IL GRANDE ZOO

Il Grande Zoo
Ho avuto in anteprima il loro secondo album uscito lo scorso 20 ottobre regalatomi personalmente da Enrico  Carugno, eclettico drummer della “lineup” patavina assieme ad Alex Boscaro  (chitarra e voce) e Valerio Nalini (basso e voce).
Stiamo parlando dei CAPOBRANCO (una tra le band più interessanti nel panorama musicale degli ultimi anni, n.d.a.) e del loro maxi-EP di 6 tracce, pubblicato da Jetglow Recordings e registrato allo Studio2 di Padova sotto la  supervisione del producer Cristopher Bacco: “Il Grande Zoo”.
La critica cosiddetta “specializzata” sicuramente potrà anche etichettare il nuovo lavoro dei Capobranco nelle forme più svariate avvicinandolo a dischi di colleghi più famosi. Niente di più sbagliato! Il disco è puro ed originale rock!
“Il Rock è Fuori Moda” è il singolo che ha preceduto l’uscita dell’EP con uno splendido videoclip contenente un messaggio coraggioso e molto caro a chi vi scrive. Palpabile la sana ironia in merito a band “tribute” & “cover” che, in un Italia perseguitata dagli “scimmiottatori” di U2, Vasco, Liga e migliaia di altre band e/o cantanti famosi (famosi già abbastanza senza che qualcuno li copra di ridicolo; n.d.a.), rende giustizia a tutti quegli artisti che, con la loro musica, vogliono esprimere qualcosa di proprio.

Abbiamo raggiunto Enrico e gli abbiamo posto alcune domande:
PERTH: Ciao Enrico, dal 2012 (anno di costituzione della band; n.d.a.) ad oggi quali sono state le tappe più importanti della vita dei Capobranco?
ENRICO: Difficile dirlo in quanto, a mio parere, ogni evento che una band vive contribuisce alla sua formazione e crescita. Ovviamente per chi fa musica propria lo studio è il banco di prova più importante ed anche il più impietoso. Si entra in studio con molte idee ma quando si esce non è detto che si siano concretizzate tutte. Questo per noi è molto stimolante ma può essere anche molto frustrante. Per quanto riguarda i live citerei una nostra apertura ai Fratelli Calafuria uno dei nostri gruppi preferiti. Tra l’altro, visto che si sono sciolti da poco, abbiamo deciso di inserire in scaletta una loro cover… un tributo alla memoria!
PERTH: Come mai un trio?
ENRICO: E’ stata una cosa abbastanza naturale. Alex, Valerio ed io abbiamo fatto parte per anni di un altro progetto musicale (The Vintage; n.d.a.) con un quarto elemento alla voce e cantavamo in inglese. Il progetto ad un certo punto si è esaurito ma con Alex e Valerio abbiamo continuato a suonare insieme e a gettare le basi di quello che in futuro sarebbe diventato il Capobranco senza sentire il bisogno di coinvolgere altri elementi. E poi la formula del trio ha un qualcosa di romantico (Enrico ride!) che mi ricorda le grandi rock band degli anni ’70 come la Experience di Hendrix o i Cream (Baker, Bruce, Clapton; n.d.a.) o i Grand Funk Railroad di Kulick (ex Kiss; n.d.a.).
PERTH: La produzione del vostro secondo lavoro sembra molto più matura rispetto al precedente disco d’esordio, quanto ha influito la collaborazione con il Producer Cristopher Bacco?
ENRICO: Sicuramente molto, Cris è uno che in studio riesce a tirare fuori l’anima della band. Ma anche noi siamo più maturi. E non intendo come musicisti ma come band e come progetto.
Individualmente noi tre venivamo da anni di esperienze live e studio, ma nel momento in cui abbiamo registrato il primo disco il Capobranco era ancora una creatura embrionale ed avevamo le idee non troppo chiare dettate da alcune nostre ingenuità. Oggi ci riteniamo soddisfatti del corpo che ha preso tale creatura.
PERTH: Mi pare che abbiate un po’ ribaltato i tradizionali schemi di produzione inserendo le liriche “dritte-dritte” sul groove basso-batteria e sulle note taglienti della chitarra di Alex…
ENRICO: Diciamo di sì per ciò che riguarda le produzioni esistenti in Italia. Negli Stati Uniti l’ascoltatore medio è più abituato a questo tipo di approccio ed è la norma seguire band molto più “estreme” come i RATM (Rage Against the Machine; n.d.a.), i Jane’s Addiction e gran parte del rock mainstream americano degli anni ’90 o generi come Hip Hop o R’n’B.
PERTH: Il singolo appare quasi un tormentone con toni freschi, orecchiabili ma mai banali, anche questo è dovuto alla collaborazione con Bacco?
ENRICO: La verità è che “Il Rock è Fuori Moda” è un pezzo scritto pochi giorni prima di entrare in studio ed è forse l’unico pezzo che non ha subìto alcuna modifica in fase di registrazione. Ovviamente Cris ci ha messo la sua arte nel fare in modo che suonasse come doveva suonare. Questo è fuori discussione.
PERTH: Siete legati o vi ispirate ad un genere particolare? Come puoi descrivere il sound di questo album in rapporto al primo lavoro?
ENRICO: Ognuno di noi ha le sue influenze musicali e che tu voglia o no queste influenze vengono fuori in quello che fai. Alex è sicuramente l’anima più R’n’R del Capobranco, Valerio è fortemente influenzato dall’Alternative Rock degli anni ’90: Jane’s Addiction, Red Hot Chili Peppers, Pearl Jam ecc. Io invece ascolto veramente di tutto, cerco di essere sempre aperto a nuovi generi ed ogni volta che posso, frequento musicisti molto più esperti e bravi di me per attingere idee dalla loro libreria e dalla loro cultura musicali. Credo che questo sia l’unico modo per tentare di essere originali. In questo periodo ascolto molto Jazz e Musica Africana ma ovviamente (Enrico mostra “I Love You” – simbolo dei Rockers – con la mano!) il Rock è il primo amore e non si scorda mai.
PERTH: Avete una forte connotazione live, lo dimostrano le centinaia di date che vi hanno portato a suonare perfino alle Canarie. Avete già iniziato con la promozione de “Il Grande Zoo”?
ENRICO: Si. Per quanto riguarda la promozione in questo mese stiamo facendo live ed interviste per le radio in attesa della prima presentazione ufficiale del disco che si terrà al Dakota a Capriccio di Vigonza (PD) il 30 ottobre, ne seguiranno altre a breve.
PERTH: I testi sono molto ironici e scanzonati pur denotando un giudizio che non è facile trovare nelle band emergenti. È il vostro punto di vista sulla vita?
ENRICO: Non direi punto di vista perché definendolo in questo modo potrebbe passare il messaggio che vogliamo esprimere un giudizio sulla vita e questa non è assolutamente nostra intenzione. Il Capobranco con i suoi pezzi osserva e propone agli ascoltatori argomenti che possono toccare chiunque. Argomenti un po’ provocatori ma senza malizia, anzi con simpatia, invitano alla riflessione.
PERTH: La composizione dei testi spetta ad Alex?
ENRICO: Il nostro paroliere ufficiale è Valerio. Di solito il concetto del testo viene deciso insieme ma chi mette le parole sulla musica alla fine è lui.
PERTH: Ho visto uno dei Vostri live in provincia di Venezia lo scorso anno e non ho potuto fare a meno di notare che il vostro pubblico non perde tempo a fare selfie e video perché troppo impegnato a ballare e ad infiammarsi un bel po’. Cosa volete trasmettere ai fan che vi seguono nei live?
ENRICO: Che si può essere spensierati senza per forza essere stupidi. Viviamo in un momento in cui (anche nella musica) bisogna per forza essere seri e fare gli intellettuali oppure darsi alla più
sfrenata idiozia. Far capire ai ragazzi di oggi che tra “Il Teatro degli Orrori” (gruppo Alternative Rock italiano; n.d.a.) e “Fabio Rovazzi” (suo il tormentone “Andiamo a Comandare”; n.d.a.) esistono varie sfumature. Della serie: se non parlo di poeti africani non devo per forza passare direttamente ad essere l’italiano medio del film di “Maccio Capatonda” (“Italiano Medio” è un film comico del 2015 diretto, appunto da Maccio Capatonda al suo debutto cinematografico; n.d.a.), ma posso anche comunicare cose più semplici senza per questo dire cretinate. Questo è il messaggio credo: semplicità e divertimento!
PERTH: Nella tracklist oltre al singolo già citato mi hanno colpito “La solitudine del fonico” e “Ad un tratto”, brani decisi e trascinanti ma forse meno orecchiabili rispetto a “Il Rock è Fuori Moda”…
ENRICO: “La solitudine del fonico” è un tributo ad una figura senza la quale il nostro mondo non potrebbe esistere ma, che di fatto, per la maggior parte della gente “non addetta ai lavori” è una figura impalpabile se non inesistente. Il Capobranco voleva rivendicarne l’importanza e anche prendere per i fondelli un po’ di amici fonici. “Ad un tratto” nasce dai problemi che Valerio ha avuto sul lavoro a causa dei trattori che ogni giorno lo rallentano. Il pezzo è sicuramente uno dei miei preferiti e, dato l’argomento “agreste”, abbiamo cercato di aprire il pezzo ispirandoci ad un sound Southern/Country.
PERTH: Siete alcuni tra i protagonisti degli “anni Zero”. A mio avviso questi ultimi 20 anni hanno visto una evidente desertificazione dell’arte musicale soprattutto in Italia. La creatività è rimasta sommersa all’interno dei generi, senza trovare la forza d’urto per uscirne testimonianza di ciò è che le Majors (Case Discografiche legate a multinazionali che detengono gran parte del mercato musicale mondiale; n.d.a.) anziché promuovere band emergenti tengono in vita cariatidi che arrivano sin dai lontani anni ‘80. Qual è secondo te la soluzione a questo vuoto spinto?
ENRICO: Mah questa è una domanda difficile. Secondo me è un riflesso del fatto che oramai la musica ha perso di valore, viene data quasi per scontata e di conseguenza gli investimenti diminuiscono. Credo che il problema siano le persone non l’industria, lo spiega il fatto che i locali che propongono musica live si svuotano e la gente preferisce stare a casa ad ascoltarti con spotify. Le cariatidi di cui parli tu sono venute fuori in anni in cui le etichette affiancavano figure professionali ai musicisti e alle band per consentir loro di esprimere al massimo il potenziale. Ora c’è moltissima offerta e pochissima domanda di conseguenza questo meccanismo non è sostenibile. Io credo che il talento non sia mai scomparso dal mondo della musica, anzi! La vera differenza con i “big” del passato è che un tempo si suonava continuamente e si producevano molti dischi oggi suonare è il punto di arrivo di centinaia di attività che con la musica hanno poco a che fare. Di conseguenza: tanta comunicazione, tante chiacchiere, tanti social, pochissimi concerti!
PERTH: La felicità! Ne parlate in modo sottile e pungente a volte con pure allusioni a volte con indicazioni più marcate e questo mi ha colpito molto. Cos’è per voi la felicità?
ENRICO: Il giorno in cui lo capirò sarai la prima persona che chiamerò!
PERTH: Grazie Enrico, puoi chiudere con un messaggio ai tuoi e vostri fan?
ENRICO: Non importa quello che ti vogliono far credere…l’importante è essere…..BELLI DENTRO!

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=gW1BADS-vS0&w=640&h=360]

PERTH

 

Enrico Carugno, eclettico drummer della “lineup” patavina assieme ad Alex Boscaro (chitarra e voce) e Valerio Nalini (basso e voce).
Enrico Carugno, eclettico drummer della “lineup”
patavina assieme ad Alex Boscaro
(chitarra e voce) e Valerio Nalini (basso
e voce).




6 punti semplici. Come ridurre i costi della politica…

Ecco la semplice idea di Betapress in sei punti:

 

Chiunque entra in una carica pubblica per elezione:

  1. Continua a prendere lo stesso stipendio che prendeva prima di venire eletto, fino ad un massimo di 4000 euro netti (se ne prendeva di più si accontenta della gioia di servire lo stato).
  2.  Viene garantito il suo posto di lavoro fino a quando non cessa la sua attività pubblica.
  3.  La pensione viene incrementata come per tutti i lavoratori dagli anni svolti nella carica, quando decade non cumula nessuna pensione aggiuntiva o prebende di sorta.
  4.  Gli vengono pagate le spese di trasferta se è fuori Roma, ma con un tetto legato alle tariffe di mercato.
  5.  Gli vengono assegnati due dipendenti statali come segreteria della carica politica (quindi a costo zero).
  6.  Gli viene data la possibilità di avere un suo collaboratore esterno a cui viene data una retribuzione massima di 2000 euro netti.

Ecco qua idea semplice e facile, chi la vuole sottoscrivere?

la vera vergogna italiana
la vera vergogna italiana




CDP – Coordinamento Docenti Precari: la buona scuola è nelle persone…

Mai come oggi la scuola è nel caos: cattedre non coperte, concorsi fantasma, posti inesistenti, docenti che volano da una parte all’altra del paese, software che si bloccano, commissioni che non riescono a fare le promozioni perchè il sistema è bloccato, in pratica uno sfacelo!!!

Se solo questo caos l’avesse generato un qualsiasi governo precedente sarebbe come minimo saltato il ministro, ma oggi nulla, nessun giornale, nessun servizio TV, nessuno ne parla, nessuna voce fuori dal coro, nessuna reprimenda dal Presidente della Repubblica, nessuna indagine della magistratura (e pensare che di solito le fanno per molto meno Nd.R.), insomma niente di niente, solo i social che esplodono dalla rabbia per qualche secondo ma poi passa il video di un gattino che si lecca i baffi e tutti passano oltre.

Per noi di Betapress non è così, per noi la scuola conta, è importante, e così, nella nostra continua ricerca di valori, siamo andati a vedere la riunione del consiglio direttivo di CDP – coordinamento docenti precari, che si è tenuta a Firenze il giorno 7 ottobre u.s.

Ci accoglie Nicola Iannalfo, uno dei Leader del comitato, a cui chiediamo subito a bruciapelo cosa ne è della buona scuola.

“Ripetiamo” esordisce Iannalfo ” non esiste e non esisterà mai una “buona scuola” senza la partecipazione attiva e diretta di insegnanti, alunni e genitori nei processi di cambiamento, se si vuole realisticamente porre al centro il miglioramento educativo e sociale della realtà scolastica. La scuola è complessa e stratificata da anni di incuria legislativa, per cambiarla occorre ascoltare chi è dentro la scuola.”

Come non essere d’accordo.

La sala è piena, le persone attendono l’avvio dei lavori che viene subito dato dopo il nostro arrivo.

Si susseguono interventi di Domenico Bruni, Pietro Danesi, Nicola Iannalfo, la sensazione è che ci sia davvero un “arrosto” finalmente, idee interessanti, sopratutto sulla valutazione del docente e sull’anno di prova.

Una parola illuminata viene anche dal Professor Luigi Diana,  dell’università di Pisa, che spiega i funzionamenti dei questi ultimi movimenti (sopratutto riguardo ai concorsi), dando una visione chiarissima e lucida di quanto sarebbe necessario fare per migliorare le cose.

Dalla platea interventi continui, non lamentele, ma suggerimenti, proposte, acute osservazioni.

Finalmente abbiamo visto la buona scuola, almeno una parte, quella che ancora crede in un paese con una scuola pubblica funzionante ed efficiente, quelli che non fanno i docenti ma sono docenti.

Renzi, manda a casa i tuoi consulenti, i sindacati che ti tirano la giacchetta, i dirigenti di cui ti circondi, e chiama queste persone, di sicuro anche tu, come è stato per noi, riuscirai a trovare davvero la buona scuola…

 

 

 

comitato docenti precari
coordinamento docenti precari

 

 

 

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La profezia di Sant’ Ermanno

La profezia di Sant’ Ermanno
Ho iniziato a segnare in agenda il 24 settembre dall’anno in cui, un caro amico mi “passò” un mp3 con registrata una conferenza tenuta dal Prof Luigi Giovanni Giussani (Desio, 1922 – Milano, 2005) chiedendomi di ascoltarla con attenzione e, ridendo, mi disse che avrei scoperto alcune cose che mi avrebbero stupito.

Così feci.

Il giorno dopo infatti, in uno dei miei viaggi di lavoro, misi la “chiavetta” nell’USB dell’auto ed iniziai l’ascolto.

La lezione trattava la vita di un monaco vissuto nella prima metà dell’XI secolo (Altshausen, 1013 – Isola di Reichenau 1054) Ermanno di Reichenau detto “lo storpio” (Reichenau è una località sul lago di Costanza; n.d.a.).

Pensai: “e quindi”?

La vita pallosissima di un monaco vissuto oltre mille anni fa?

Il sonno non era poco ed avrei voluto spegnere ed ascoltare uno dei dischi che più mi tiene sveglio in auto, Time to Move degli H-Blockx, ma non commisi il grave errore!

Giussani nella sua lezione sul suddetto monaco citò Cyril Charles Martindale (Londra, 1879 – 1963; gesuita inglese che si appassionò alla storia del “monaco-mostriciattolo” dopo il ritrovamento a metà degli anni 50 del secolo scorso nella biblioteca di Oxford di un volume in latino che ne riferiva la vita; n.d.a.) e descrisse il personaggio con un’enfasi così coinvolgente che mi ero svegliato del tutto e pian piano stavo facendomi catturare da quella strana figura di grave handicappato (il suo palato e la sua lingua erano “incollati”, le sue mani rattrappite e non riusciva neanche a sedersi senza provare dolore persistente; n.d.a.).

Non stento a credere alle parole (“sante parole!”; n.d.a.) di Giussani nella sua prefazione: “…in un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita (…) non avrebbe mai dovuto nascere (…) un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore”.

Un elemento della società impedito in tutto! Un elemento per la società inutile! Quasi imbarazzante! Da occultare!

Da… eliminare!

E invece? Questo essere deforme iniziò a costruire astrolabi, orologi, strumenti musicali a corda e a fiato, a scrivere trattati scientifici ma soprattutto comporre due capolavori di musica sacra: il Salve Regina e l’Alma Redemptoris Mater.

Handicappato? Rifiuto della società? Mi dissi: “Questo è veramente un figo!”

In Ermanno spiccavano un’umanità ricca, una sensibilità rigogliosa, un’eccezionalità attraente, la biografia raffigurava un uomo “piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti”.

La lezione stava diventando un avvincente audio-film e ad un tratto cominciò a salire lungo la schiena uno di quei brividi che capitano all’ascolto di toccanti melodie, alla vista di favolosi paesaggi autunnali o alla vibrazione che si prova quando stai incontrando (seppure in modo indiretto; n.d.a.) una persona grande!

Viva! Eccezionale!

Arrivò infatti il punto atteso e che il mio amico aveva ben compreso essere affascinante per me: “In quanto alla musica egli afferma che un buon musico dovrebbe essere capace di comporre un motivo passabile, o almeno di giudicarlo, e poi di cantarlo. In generale i cantori, egli dice, si curano del terzo punto soltanto, e non pensano mai.

Essi cantano, o, per meglio dire, si sgolano, senza rendersi conto che nessuno può cantar bene se la sua mente non è in armonia con la sua voce.

Per tali cantanti da strapazzo una voce forte è tutto ciò che conta.

Il che è peggio di ciò che fanno i ciuchi i quali, dopotutto, fanno assai più rumore, ma non alterano mai un raglio con un muggito.

Nessuno tollera, egli dice, gli errori di grammatica; tuttavia le regole della grammatica sono artificiali mentre ‘la musica sgorga diritta dalla natura‘ e in essa non soltanto gli uomini non correggono gli errori che commettono, ma giungono fino al punto di sostenerli…”

I brividi lasciarono il posto ad una gioia incontenibile!

Questo breve pezzo è profezia pura!” gridai.

Profezia di un piccolo essere deforme che (scusate!) disse questo più di mille (MILLE!!!) anni fa e (scusate nuovamente!) fu il compositore dello stupendo inno Salve Regina con quella sua caratteristica melodia in canto fermo che ancor oggi si canta in tutte le chiese cattoliche del mondo!

Magari i ciuchi… (oops!) i cantanti d’oggi studiassero a memoria le sue parole! Ci sarebbero più artisti e meno boy band made in Mediaset!

Un inciso.

Rileggendo l’inno del piccolo essere deforme mi venne in mente la canzone “They hung him on a cross” (“Lo hanno appeso ad una croce”; n.d.a.) cantata da Kurt Cobain (cover dall’album “Lead Belly’s Last Sessions” del folksinger americano Huddie William Ledbetter) e pensai che il dolore non significa infelicità, né il piacere felicità, pensai inoltre alla differenza tra la “bellezza gioiosa” di Ermanno e la “disperazione nichilista” del leader dei Nirvana.

Ma di questo ne parlerò un’altra volta.

 

PERTH

 

santermanno-profezia




MAKE SOME NOISE

MAKE SOME NOISE
Sono tornate le “margherite” di John Coraby.

“Make Some Noise”, il terzo album in studio, uscito il 05 agosto scorso (avevo prenotato l’album già ad aprile! n.d.a.) ha regalato al sottoscritto ed ai fans un capolavoro di puro Rock’n’Roll e soprattutto sancito il concetto che The Dead Daisies non sono un progetto parallelo!

Non sono una parentesi temporanea di un Supergruppo che cerca di arrotondare con un paio di album e relativi live il proprio patrimonio e quello dei promoters.
No!
The Dead Daisies sono una Hard Rock Band che sta trovando larghissimi consensi tra il pubblico soprattutto di giovanissimi e che ha girato il mondo non fermandosi mai (prossime date in Italia il 29 novembre a Milano, il 16 dicembre a Treviso ed il 17 dicembre a Grottammare; n.d.a.).

La ricetta dei The Dead Daisies è semplice: grandi show e grandissima potenza, Hard Rock genuino e carisma autentico!
The Dead Daisies nascono nel 2012 cambiando formazione varie volte ma dal 2014 John Corabi (The Scream, Mötley Crüe, Union, Ratt, ESP) prende di peso la band e ne fa un combo esplosivo.

Rispetto ai primi due album (The Dead Daisies e Revolución), Make Some Noise ha lasciato più spazio alle chitarre e con l’avvento di Doug Aldrich (Lion, House Of Lords, Dio, Whitesnake) il risultato è stato quello di un sound ancor più potente.

Da un primo ascolto l’album risulta essere energico, intenso. Dieci capolavori che spaziano dall’Hard Blues al più granitico Hard Rock anni ’90 e due magnifiche cover (“Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival e “Join Together” degli Who) rivisitate da Corabi & Co. in stile The Dead Daisies.

In “Long Way To Go” i riff di Aldrich e Lowy lasciano immediatamente spazio al groove di Mendoza che ad occhi chiusi pare quasi di sentire il martellante basso di Cliff Williams degli AC/DC.

La potente voce di John Corabi non è invecchiata di un giorno dai tempi di “Let It Scream” (primo album degli Scream del 1991; n.d.a.), assolutamente degno di nota il solo centrale di Aldrich.

La successiva “We All Fall Down” colpisce l’ascoltatore per i toni più melodici ed un bridge veramente moderno, Mendoza propone una linea di basso accattivante ed il muro iniziale e finale di chitarre, basso e batteria è da brividi.

Song and Prayer”, una ballata energica è in linea con il brano precedente, ritmo classico e moderno sono mixati in modo magistrale, cori seducenti e bridge esplosivi rendono il pezzo una delle best song dell’album, grandioso anche questa volta il superbo solo di Aldrich.

La successiva “Mainline” dal ritmo serratissimo tende a ricordare il punk di “Dookie” dei Green Day, riff e soli velocissimi che farebbero moshare o pogare (mosh e pogo sono sorte di “balli collettivi” che si praticano abitualmente durante i concerti punk, rock e metal; n.d.a.) anche il più sfigato dei nerd.

La titletrack “Make Some Noise” è una dedica al Metal degli anni ’80 da parte di Corabi & Co. Sembra di ascoltare “Tooth and Nail” e “Breakin’ the Chains” dei Dokken (band a me molto cara avendovi militato tra il 2002 ed il 2003 il caro amico e grande chitarrista patavino Alex De Rosso).

Linee di chitarra semplici ma decise e la voce di Corabi all’unisono con il ritmo serrato di crash, timpani e tom della batteria di Tichy.

Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival ha una piega contemporanea e più veloce dell’originale in puro stile The Dead Daisies, voce roca, grinta e chitarra spinta al massimo.

Last Time I Saw The Sun” è un autentico inno al Glam, omaggio agli Scream di Corabi e più in là agli Stryper dei fratelli Sweet, l’intro di Aldrich sembra avere il setup di Malcolm Young degli AC/DC in “Flick of The Switch”.

Con “Mine All Mine” e “How Does It Feel”, Corabi & Co. riescono ancora una volta a coniugare la maestria del Class Rock con l’irriverenza del compatto Hard Rock d’oltreoceano ed ancora una volta l’immenso Aldrich in due soli da brividi.

Freedom” è un’altra dedica al punk rock con choirs che ricordano molto Stanley-Simmons dei KISS di “Monster”, ancora straripante e sparato Rock’n’Roll!

La voce di John Corabi dà veramente il massimo in “All The Same”: pressante e adulatrice fino al ritornello, forse la canzone più ballabile (difficile restare fermi per l’intero album! N.d.a.).

Join Together”, la seconda cover degli Who, chiude l’album ed è come se ci dicesse: “siete proprio sicuri che il Rock è morto?”.
Un consiglio: ascoltate Make Some Noise con il volume “a palla”.

Mi ringrazierete!
PERTH

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A ROCK NEW ALBUM