Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori

Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori…

 

 

Addio, caro Tullio, scusa la confidenza, ma mi sembra di averti sempre conosciuto.

Appena ho saputo della tua morte, ho pensato che veniva a mancare una STELLA della cultura italiana e che, per curioso caso del destino o per paradosso linguistico, ci hai lasciati appena dopo fenomenologie come Maria Stella, Gelmini… ed in piena epoca di una ministra riscaldata e neppure laureata, ma nemmeno esperta di scuola.

 Tutti e tre avete ricoperto il prestigioso ruolo di ministro della Pubblica Istruzione, ma con qualche “piccola differenza”…

Coscritta di tuo figlio, ho studiato linguistica all’università, proprio sulla tua traduzione di Saussure.

Ed allora, ancora non capivo come questa materia scolastica potesse essere scienza sociale e passione civile al contempo.

In quegli anni, tu m’insegnavi che una piena padronanza della lingua italiana è un elemento indispensabile alla vita intera di una società moderna, ma da studentessa non mi era proprio chiaro…

 Poi, sono andata in classe, ed ho capito quanto davvero lo studio della lingua deve concretizzarsi in una missione di civiltà.

Il tuo ideale di lingua della Costituzione italiana, precisa, nitida nella sintassi e trasparente nel lessico, ”Parole di tutti e per tutti”, come tu eri solito ripetere, mi rendeva sempre più consapevole del mio ruolo di insegnante.

Intanto, da vero addetto ai lavori, continuavi ad insegnarmi da linguista, da professore universitario e da ministro dell’istruzione, che tutti gli insegnanti dovrebbero essere concordi nel riconoscere il primato della linguistica nell’educazione scolastica.

Per te le scuole erano, ed avrebbero dovuto essere, il terreno dove occorre far maturare negli allievi una piena consapevolezza dei mezzi linguistici e la capacità di un loro uso appropriato. Per te, solo un’elevata competenza linguistica avrebbe assicurato un’adeguata cultura.

Ed inoltre, lo studio linguistico avrebbe supportato lo sviluppo della società e delle sue forme produttive.

Vale a dire che i livelli di istruzione realmente incidono sullo sviluppo economico di un’area geografica. Dunque, per te, solo riconoscendo la centralità dell’educazione linguistica a livello nazionale si sarebbero potuti raggiungere alti livelli di istruzione individuali e collettivi e rendere un paese produttivo e competitivo.

Ma, come si suol dire…” Dal dire al fare, c’è di mezzo il mare…”.

 In classe, ho misurato sul campo che cosa significa l’analfabetismo funzionale, cioè come i miei alunni, immersi nelle nuove tecnologie informatiche, sono più analfabeti dei loro nonni…

Infatti, essi sono nipoti dei primi alunni obbligati ad andare a scuola.

I loro nonni erano alunni dell’immediato  secondo dopoguerra.

I loro nonni erano studenti negli anni ’50, in cui il 60% degli adulti era privo di ogni istruzione e solo il 18% degli Italiani, compreso i toscani ed i romani, usava l’italiano anziché il dialetto.

Erano alunni che avrebbero scoperto come il sopraggiunto obbligo di istruzione di base assicurasse e confermasse lo sviluppo economico italiano. Infatti, nei favolosi anni ’60, tali alunni avrebbero verificato di persona che il boom economico era intrecciato alla crescita del livello di istruzione delle classi giovanili.

Dunque, la diffusione della conoscenza e dell’uso effettivo della lingua italiana era garanzia di un’affermazione sociale e di un impiego lavorativo.

E così, il “saper leggere, scrivere e far di conto “, era riscatto sociale e vantaggio economico… E fin qui tutto bene.

 Poi, però, è arrivata la scuola dei genitori dei miei alunni, periodo in cui il 95% della popolazione italiana, finalmente, raggiungeva il prezioso traguardo dell’uso dell’italiano nel parlare.

Anni in cui, tra Berlinguer che ti precedeva e Moratti che ti seguiva nel tuo mandato di ministro della pubblica istruzione, qualcosa iniziava a vacillare e tu già parlavi di analfabetismo funzionale.  da vero profeta, già segnalavi che parlare in italiano anziché in dialetto, non corrispondeva ad una sicura ed estesa padronanza lessicale e competenza testuale, che parlare in italiano non vuol dire conoscerlo, e se manca l’abitudine alla lettura, non ci può essere l’abilità di scrittura…

Ed arriviamo all’ epoca della nostra buona scuola, dove il 40% della popolazione è impreparata o si trova in penose difficoltà di fronte al compito di leggere o di produrre un testo articolato sul piano sintattico.

 Sapessi quanto è amaro, verificare ogni giorno, nell’esercizio della mia professione di insegnante, che gli alunni usano google traduttore anziché il vocabolario, che la maggior parte di loro non ama leggere, che le loro famiglie preferiscono acquistare l’ultimo smartphone che un classico della letteratura.

Ho capito che la cultura è libertà, ma che l’orientamento politico italiano degli ultimi trent’anni va in direzione contraria.

Infatti, i tagli degli investimenti nella scuola hanno abbassato la qualità del servizio fornito.

Ho imparato, vivendo dentro la scuola, che il carosello di riforme scolastiche degli ultimi governi, ha portato sempre più le risorse pubbliche e private lontano dall’istruzione.

Insomma, che i miei alunni patiscono per le scelte politiche delle ultime assurde riforme, e che l’orientamento della spesa familiare è riflesso delle scelte politiche in atto.

Dunque, caro Tullio, tu hai sottolineato la centralità dell’educazione linguistica e l’importanza dell’investimento nell’istruzione ai fini dello sviluppo economico di una società.

Tu hai rimarcato il fine prioritario di dotare ogni persona degli strumenti espressivi, conoscitivi ed operativi necessari a muoversi nello spazio sociale.

Tu hai perseguito in tutta la tua vita l’ideale civile di rendere ogni italiano che parla e scrive in italiano, un vero cittadino e non un suddito o un privilegiato.

Peccato che le cose siano andate un po’ diversamente, che la carente alfabetizzazione degli italiani degli anni ’50 –’60 , abbia lasciato il posto all’analfabetizzazione di ritorno della nostra  epoca, periodo in cui le nuove tecnologie rimandano ancor più fortemente alla “necessità di leggere e scrivere molto”…

I miei alunni, abili nella competenze oculo-manuali, giocano con il cellulare, ma  non sanno parlare, scaricano da internet  una valanga di dati che non sanno analizzare, impiegano un gergo tribale svuotato di ogni senso, dove l’unico significato è far parte del gruppo.

E di fronte all’ invito a leggere e studiare seriamente, mi girano un post pieno di strafalcioni semantici dell’ultimo idolo televisivo che , ignorando l’ impiego dei congiuntivi, partecipa con successo ad un reality o grida nei talk-show e soprattutto, “guadagna un pacco di soldi, mica come lei, prof…”

 

 

 

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antonella




Impresa 4.0

IMPRESA 4.0,

ovvero Industria 4.0, più in generale mi riferisco alla quarta rivoluzione industriale  con l’insieme di nuove tecnologie impiegate lungo l’intera filiera produttiva: la definizione di processi aziendali che rappresentano anche la base di ricerca e sviluppo.

Mentre gli altri paesi si sono già inseriti in questo contesto, l’Italia deve ancora attivarsi tant’è che occupa l’undicesimo posto dopo la Germania, seguita da Svezia, Irlanda, Lussemburgo, Finlandia, Danimarca, Regno Uniti, Francia, Austria, Paesi Bassi.

Dalla piccola azienda a quella di grandi dimensioni l’innovazione tecnologica offre la possibilità di potenziare il proprio business grazie al supporto di nuove competenze ma soprattutto permette un riposizionamento sul mercato a favore di una maggiore capacità competitiva.

L’innovazione implica un confine sempre meno netto tra i processi e i servizi, il costo non sarà più la discriminante,  la differenza la  faranno altri valori come la personalizzazione,la qualità e la capacità di innovarsi costantemente, oltre al ruolo strategico  che la digitalizzazione può avere in termini di sostenibilità ambientale.

Una serie di tecnologie digitali sono arrivate a maturazione : Internet, Cloud, nuove interfacce uomo-macchina, robot collaborativi più facili da gestire, la possibilità di poter collegare in maniera molto più semplice di prima le risorse produttive, macchine con macchine. La connettività diffusa  a basso costo, la capacità di memorizzare enormi quantità di dati ( Big Data) a costi ragionevoli, costituiscono quella che è stata definita la “ Rivoluzione Digitale  4.0”.

Le tecnologie arrivate oggi  a maturazione consentono di avere fabbriche e aziende molto più efficienti, basta pensare all’impatto sul rapporto con il cliente e quindi l’incidenza su tutto il ciclo produttivo, progettazione,produzione, commercializzazione.

L’apertura di nuovi scenari di business, come ad esempio la capacità  di generare profitti da servizi “continuativi” più che dalla vendita “one shot”.

Per quanto fin qui descritto è positivo che il governo italiano ha varato un piano sostanzioso pari a 13 miliardi di investimento pubblico attraverso benefici fiscali che agiscono nel breve periodo per consentire alle imprese di cominciare a investire dal 1° gennaio 2017, a medio e lungo periodo  con azioni riguardanti la formazione e la ricerca.

L’industria 4.0  si prepara ad un momento epocale e la sfida alla quale è chiamata consiste nell’integrazione  tra le differenti tecnologie delle quali le aziende sono in realtà già in pieno possesso .

Chi non perderà il “ treno della rivoluzione digitale”  intesa come riorganizzazione dei processi produttivi e formulazione di nuove strategie di business, sarà in grado di far fronte alle richieste  del mercato globale. 

La rivoluzione in atto sicuramente sfocerà in un fenomeno dalla forza d’urto analoga alle precedenti  rivoluzioni industriali succedutesi negli ultimi secoli a livello mondiale. 

Non si tratta di una singola tecnologia ma un intreccio sistemistico  che attraversa la rete internet ove ciascuna di esse sfrutta la piattaforma di lancio per innovazioni differenti a secondo dell’interesse emergente. 

Senza dubbio la questione è anche culturale e oserei dire che oggi le aziende  hanno il dovere  di assimilare  una mentalità nuova  e iniziare a considerare la produzione come un flusso integrato anziché  una sequenza di fasi separate tra di loro, maggiore  è la dimensione della azienda , più lento e progressivo sarà  il passaggio al modello di industria  4.0.

 

Qual è  il grado di conoscenza  dell’innovazione 4.0 delle piccole e medie imprese?

Una indagine  del Politecnico di Milano  riporta che più di un terzo delle imprese italiane  dichiara di non conoscere  il tema  “Industry 4.0” ( in dettaglio il 32% delle grandi imprese e il 48% delle  Pmi), ma vi è comunque quasi il 30% delle oltre 300 imprese analizzate che ha all’attivo tre o più applicazioni di nuove tecnologie .

Considerando l’innovatività delle tecnologie  e la complessità di implementazione, oltre alla crisi economica degli ultimi anni, il quadro italiano  può avere una lettura positiva , però per accelerare  la crescita è necessario uscire dalla fase sperimentale che caratterizza la maggior parte dei progetti per passare all’applicazione diffusa ed estendere i progetti anche a settori oggi meno attivi  e soprattutto alle imprese medio-piccole  che rappresentano la ricchezza reale  del tessuto industriale italiano.

4.0 – Curiosità  nel mondo

Siamo a Lisbona all’evento più importante per chi lavora  nella tecnologia e nel digitale. La città portoghese ha accolto  in tre giorni oltre 53mila partecipanti, 15mila aziende e start-up, oltre 7mila CEO provenienti  da 166 paesi.

Girando tra gli stand c’erano colossi come Facebook,Google,Twitter e Microsoft ma anche start-up emergenti con  idee innovative e sorprendenti. Settori dall’ecommerce, fitness,musica, salute, data analytics. L’era del desktop e del web mobile  sembrano ormai tramontare  per lasciare spazio ad ogni sorta di applicazione , sempre più innovativa ,user friendly.

Sono state presentate alcune innovazioni come: assistenti robot, sensori contapassi, tecnologia Key-tracking.

Una startup ha sviluppato un  personal trainer digitale che analizza l’esercizio quotidiano e fornisce un feedback su misura. Altra novità consiste in un dispositivo bluetooth che può essere collegato a chiavi,  portafogli e passaporto. Tale applicazione emette un segnale acustico quando ci si avvicina agli oggetti smarriti.

Sono stati presentati robot in grado di dialogare come umani e con gli umani  e sostituirli in molte mansioni ordinarie, dall’assistenza  telefonica ai clienti alla guida di un veicolo, si tratta di aiutanti concepiti per aiutare  persone con mobilità ridotte.

Nell’era del 4.0 è possibile proteggere le mail aziendali?

La mail è diventato lo strumento di lavoro più utilizzato  sia dalle piccole che dalle grandi aziende che proprio attraverso  la posta elettronica  veicolano un enorme quantitativo di informazioni per contatti con altre realtà per progetti da sviluppare  o per cercare di valorizzare nel business il proprio know how.  

La  mail o la PEC( Posta Elettronica Certificata) ormai rientrano, per il loro contenuto, nella valutazione dei rischi  nel trattamento dei dati aziendali   e quindi rientrano nei processi di tutela delle informazioni e dei dati personali. 

Di recente  è stato reso applicabile il regolamento Ue  che riguarda la violazione dei dati personali e aziendali  e che prevede l’adeguamento alla normativa  da parte delle aziende che devono innanzitutto far dialogare meglio le funzioni interne e soprattutto chi avrà un ruolo chiave nell’organizzazione deve essere consapevole  ed  identificare  le aree di maggiore  sensibilità in termini di know how , business e rapporto con i clienti, fare una analisi dei rischi  al fine di valutare  l’adeguamento del livello di sicurezza.  

 Non dimentichiamo che le aziende non avranno le capacità necessarie (e indispensabili) per avere successo nell’era digitale se non prenderanno in seria considerazione la trasformazione dei propri dipendenti.

 La trasformazione digitale sta rimodellando mercati e settori produttivi e compito del management è di conseguenza quello di intercettare le forze innovatrici e “distruttive” che si dirigono verso il centro del ciclone e scaricarne a terra i benefici a vantaggio di tutta l’organizzazione.  

 

salvatore salvo esposito