Tutti Promossi! La Scuola perde il suo significato…

Bocciature “abolite” per decreto alle elementari e medie, nuovi esami e test Invalsi rivoluzionati in terza media.

L’anno scolastico ormai alle porte si apre con una serie di novità introdotte dalla Buona scuola che riguardano i bambini della primaria e i ragazzini della scuola media.

Per la scuola superiore occorrerà attendere ancora 12 mesi prima di vedere gli effetti della legge 107.

Il governo Renzi e il suo successore Gentiloni, che ha approvato le deleghe della riforma Renzi/Giannini, hanno dichiarato guerra alle bocciature: l’Italia è una delle nazioni europee con la dispersione scolastica più alta.

Alle elementari si potrà bocciare solo in caso di abbandono dell’anno scolastico o per le troppe assenze.

Una situazione che riguarda una fascia marginale di alunni: tre su mille in prima elementare e uno su mille nelle altre quattro classi della primaria. In pratica, non si potrà bocciare per il profitto, basta che l’alunno venga a scuola !!!

“Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”, recita il decreto legislativo 62 dello scorso mese di aprile.

Nei casi di promozione “agevolata”, le scuole dovranno attivare “specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”.

Oltre al danno anche la beffa !!!

La bocciatura sarà possibile sono se tutti gli insegnanti del consiglio di classe saranno d’accordo: “Solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”, spiega la norma.

Basterà un solo parere contrario per fare scattare la promozione ope legis.

Novità anche per le prove Invasi.

Oltre ai consueti test di Italiano e Matematica, in seconda e quinta, in quest’ultima classe i bambini verranno sottoposti a un’ ulteriore prova di Inglese.

Anche alla scuola media la promozione diventerà la regola generale: “Le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo”, prevede il decreto legislativo sulla Valutazione.

Tranne i casi di gravi infrazioni disciplinari e nei casi di “parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline”.

Situazioni in cui “il consiglio di classe può deliberare” la bocciatura, ma con adeguata motivazione.

Giusto se l’alunno  ha dato fuoco alla scuola può sperare di essere bocciato, perché insultare un prof o picchiare un compagno non basta !!!

Anche in questo caso potrà scattare la promozione in presenza di insufficienze in una o più discipline, a patto che le scuole avviino percorsi di supporto per colmare le lacune.

Le prove Invalsi, che da qualche anno si svolgono solo in terza media, non saranno più in concomitanza con gli esami conclusivi e non incideranno più sul voto finale.

Si svolgeranno entro il mese di aprile, saranno effettuate al computer – computer-based – e contempleranno anche una prova di Inglese.

Così come avverrà alla scuola elementare, tutta la fase di spoglio delle schede e di caricamento al computer degli esiti degli Invalsi sarà a carico degli insegnanti, come “attività ordinaria d’istituto”. E la partecipazione alle stesse costituirà requisito di ammissione agli esami.

Dopo anni di polemiche e dibattiti, l’esame di licenza media verrà semplificato: solo tre prove scritte – Italiano, Matematica e Lingue straniere – e un colloquio.

Per gli indirizzi musicali, durante lo stesso colloquio, è prevista una prova pratica relativa allo strumento studiato.

Alla media, più che le risultanze degli esami, la Buona scuola premierà la carriera scolastica.

Il voto finale sarà espresso in decimi – con eventuale lode – e scaturirà dalla media tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove d’esame.

E a presiedere gli esami sarà lo stesso dirigente scolastico dell’istituto in cui si svolgo gli esami.

Niente più presidente esterno. Scusate, ma proprio non ce la faccio…

Da parte mia, io non ho mai pensato alla bocciatura come forma di punizione o peggio di discriminazione, ma ho sempre ritenuto che essa altro non fosse se non il naturale esito di un percorso scolastico insoddisfacente, dove l’alunno in questione non ha raggiunto neppure gli obiettivi minimi che il corso prescelto ed i programmi di quell’anno scolastico richiedevano.

Come non si manderebbe in sala operatoria un chirurgo che non sa fare il suo mestiere, come non si affiderebbe un aereo a chi non lo sa pilotare, così non si può promuovere chi non lo merita, perché ciò provocherebbe un grave danno individuale e sociale al tempo stesso: individuale, perché chi viene promosso senza merito si illude di avere competenze e capacità che in realtà non possiede e lo si condanna, per di più, ad affrontare l’anno successivo  dei contenuti che non è in grado di apprendere; sociale, perché mettendo sullo stesso piano i capaci e meritevoli (così denominati dalla Costituzione) e gli incapaci e i lavativi, si crea la grave ingiustizia per cui, nel mondo del lavoro, sarà avvantaggiato chi possiede aderenze e amicizie varie, perpetuando il malcostume che – spesso solo a parole – tutti condannano.

La scuola sessantottina infatti, favorendo le promozioni di massa senza selezione, ha immesso nella società e nel mondo del lavoro una massa di incompetenti che hanno fatto carriera grazie al nepotismo ed alle raccomandazioni; e siccome queste aderenze le posseggono soprattutto le classi elevate, il risultato ottenuto è stato l’esatto contrario di ciò che la “rivoluzione” del ’68 si proponeva, cioè l’eguaglianza sociale.

Oggi ci sono anche altri motivi per cui nelle scuole si tende a promuovere in massa: le pressioni dei genitori, la paura di perdere classi e posti di lavoro, ecc.

Ma chi fa sul serio questa professione, chi crede davvero nella funzione formativa della scuola, non può accettare questi compromessi.

Se vogliamo che i nostri studenti imparino qualcosa e si formino veramente per una vita futura, dobbiamo essere selettivi; altrimenti i ragazzi, che non sono affatto sciocchi, smetteranno di dedicarsi del tutto allo studio, non appena avranno intuito che la promozione è garantita.

Ciò non significa ovviamente che la bocciatura sia un fatto sempre positivo o di per sé auspicabile; se è possibile è meglio evitarla, fornendo anzitutto agli studenti tutti gli strumenti per recuperare le loro carenze e soprattutto mostrando noi stessi amore e dedizione al nostro lavoro.

Io personalmente tendo ad essere indulgente con chi mi segue e mi dimostra impegno, anche se i suoi risultati non sono del tutto soddisfacenti, mentre non ho alcuna comprensione per chi viene a scuola, come dicevano ai miei tempi, “per scaldare il banco”.

E’ anche vero che esistono studenti che, pur impegnandosi a fondo, non riescono a raggiungere risultati accettabili, forse perché non adatti, per capacità o per inclinazioni, al corso di studi che hanno scelto; ma in questo caso, più che la bocciatura, sarebbe necessario un nuovo orientamento scolastico da parte della scuola.

Se i docenti del primo anno di un Liceo, ad esempio, si rendono conto dopo due o tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico che un alunno ha operato una scelta non adeguata alla sua personalità, è loro dovere chiamare i genitori e decidere insieme il passaggio ad altro corso di studi.

Non vedo nulla di disdicevole o di disonorevole in questa procedura; è molto più umiliante essere promossi a forza e costretti a seguire discipline e contenuti che non si è in grado di apprendere, tirando avanti a stento, con continui insuccessi e la necessità di dover effettuare anche lezioni private, con inutile dispendio di denaro e di energie.

Antonella Ferrari




Ridi che ti passa

“Ridi che ti passa” dice un vecchio proverbio.

Ma, applicato alla scuola, può davvero una semplice risata riportare l’armonia in classe?

Sì, lo conferma l’esperienza comune, ma c’è di più: oltre a creare un clima positivo dal punto di vista emotivo, ridere favorisce la concentrazione.

A sostenere questa tesi tanto provocatoria quanto rivoluzionaria è stata Lucia Suriano, insegnante, autrice di Educare alla felicità ed ambasciatrice nel mondo dell’International Laughter Yoga University, chiamata dall’ADI a chiudere la prima sessione di interventi nel seminario internazionale sull’educazione svoltosi a Bologna il 24 e il 25 febbraio scorsi.

Certo, è passato un po’ di tempo… Ma all’inizio di un nuovo anno scolastico conviene fare un breve ripasso…

Prof.ssa Suriano, tutti gli insegnanti possono potenzialmente creare un buon clima emotivo in classe? Quanto incidono o interferiscono il temperamento, le esperienze personali, l’indole?

“Sì, tutti potenzialmente possono; certamente contano moltissimo la storia personale e le esperienze di ciascuno; il temperamento e l’indole costituiscono un vantaggio, ma non ritengo siano fondamentali, poiché un insegnante è un professionista che oltre alle competenze del sapere e della didattica deve aver sviluppato notevoli competenze socio-emotive”.

E gli insegnanti ‘antipatici’ come fanno? Non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nelle aule?

“Bella questa battuta! Un insegnante “antipatico” non è un professionista, al massimo possiamo parlare di un insegnante poco empatico e allora, possiamo iniziare a riflettere su come si possa sviluppare la capacità di entrare in empatia con l’altro, del resto la nostra non è definita professione a relazione d’aiuto?”.

Che cosa significa ridere con i propri allievi?

“Significa svelare la propria umanità, significa creare le condizioni perché il processo di apprendimento trovi le condizioni per avvenire in modo significativo e non semplicemente come sterile processo finalizzato all’emergenza contingente, cioè l’interrogazione”.

Lei insegna; cosa quotidianamente si ripete prima di entrare in classe?

“Ogni giorno so che ho la possibilità di imparare; prima di entrare in classe respiro, sorrido e… Buongiorno!”.

In quale ordine e grado di scuola le risate portano più beneficio all’apprendimento?

“La risata non conosce età, i benefici avvengono a livello psico-fisico ed emotivo, non possiamo scegliere di smettere di ridere. Il nostro corpo ha bisogno della risata come del pianto poiché nasciamo “cablati per fare l’esperienza della felicità” (C. Pert)”.

Ora, per chi ha provato sulla propria pelle l’enorme vantaggio terapeutico e didattico di una sana risata, voglio segnalare che il minimo comune denominatore degli insegnanti, che gestiscono una professione stressante a rischio di BURNOUT come l’insegnamento, è il desiderio di ricominciare o di continuare a stare bene a scuola, poiché la fatica degli ultimi anni e il malcontento non sono una leggenda…

Certo, bisogna educarsi ed educare a “ridere con…” e non “ a ridere di qualcosa o di qualcuno…” Però, ho imparato che un clima di distensione favorisce la motivazione.

Anno dopo anno, ho sperimentato che, in classe, c’è un grande bisogno di tornare a ridere in modo sano, positivo, pulito. Che nei momenti di maggiore conflittualità, il riuscire a virare sull’aspetto ludico, giocoso e divertente della situazione è una strategia didattica.

Che, spesso, un semplice esercizio di risata incondizionata può offrire più vantaggi che svantaggi ad un docente.

Che, alla fine, il saper instaurare una relazione con i propri alunni anticipa ed agevola l’insegnamento delle conoscenze ed il raggiungimento delle competenze.

Portare la risata nel mondo della scuola non squalifica l’intervento didattico, anzi, richiede molta preparazione, un grande lavoro su di sé, soprattutto molto rispetto del ruolo educativo che la scuola svolge nella vita di ciascun alunno.

La strada da percorrere è “quella della”ricerc-azione, della sperimentazione suffragata da una profonda conoscenza di ciò che ci giunge dagli studi scientifici, avendo come obiettivo lo sviluppo di un percorso che porti a vivere l’esperienza dell’apprendimento come qualcosa da desiderare e non da rifuggire; per fare questo dobbiamo puntare la nostra attenzione non solo sulle funzioni cognitive, ma anche sui processi emotivi e sull’importanza del movimento del corpo”, come ha dichiarato Lucia Suriano.

La stessa ha anche sottolineato che bisogna “ ricucire la frattura dicotomica tra scuola e risata, facendo riscoprire quest’ultima nella sua funzione di potente alleata del processo di apprendimento e non come nemica da combattere”.

Ed allora, forza, iniziamo il nuovo anno scolastico con un bel sorriso e non dimentichiamo che ridere in classe fa bene, parola di specialista…

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Antonella Ferrari