Compiti a casa addio!

Chi di noi, dopo una giornata di lavoro non ha avuto l’incubo di controllare che i propri figli avessero fatto i compiti di scuola?!?

Non dico bene, ma almeno tutti.” Basta compiti !!!”  era il mantra domestico di ogni figlio che continuava ad implorare la fine della tortura, fino a che, il povero genitore, capitolava, e si metteva a farli lui, i compiti, pur di chiudere quella tragicommedia quotidiana e di andare tutti a dormire…

Stavolta, il sogno di ogni figlio alunno diventa realtà.

E si concretizza in un progetto sperimentale che coinvolge la scuola primaria e la scuola media di cinque province italiane (Biella, Verbania, Milano, Torino e Trapani), 166 le classi campione coinvolte.

In passato, ci sono state diverse iniziative, più che altro petizioni ed appelli, per trasformare il metodo di apprendimento eliminando i compiti a casa.

Ora, si passa ai fatti, con un movimento su scala nazionale che ha deciso di percorrere la strada della sperimentazione.

L’idea è verificare il valore di una diversa organizzazione del tempo-scuola, per sollevare gli alunni dal peso dei compiti a casa, spesso svolti con il coinvolgimento dei genitori (se non con il ricorso a lezioni private).

Così, dopo le iniziative sui social del preside ligure Maurizio Parodi, autore della pagina Facebook “Basta compiti!” e di una petizione online che nei mesi scorsi ha raccolto quasi 25mila consensi, in Italia, cominciano a prendere forma esperienze concrete.

E, per la prima volta, parte un progetto che coinvolge le scuole di tre regioni: Piemonte, Lombardia e Sicilia.

Ad esordire nella sperimentazione, sono state 13 classi dell’istituto comprensivo Biella II, dell’omonima città piemontese, in cui, il fatto di non assegnare compiti a casa, è la conseguenza di una diversa organizzazione della settimana scolastica.

Nella primaria, il tempo scolastico è stato strutturato in modo da far studiare ai bambini, per due settimane, lo stesso macro-argomento, trattato dalle diverse colleghe in un’ottica interdisciplinare.

Le insegnanti della classe, infatti, svolgono le normali attività di mattina e consolidano le conoscenze di pomeriggio, con attività di diverso tipo, anche pratiche. Questo consente ai bambini di acquisire i contenuti con un ritmo bisettimanale, senza essere appesantiti da compiti a casa. Le lezioni, alla scuola elementare, prevedono per una settimana intera lo studio dell’italiano e, per l’altra settimana, della matematica, affrontando l’argomento con il contributo di tutte le discipline.

Al Biella II, dice la preside Vineis,” si sta pensando di estendere la sperimentazione anche ad alcune classi della scuola media. I primi risultati del progetto sono soddisfacenti, perché si tratta di una metodologia inclusiva che non lascia indietro nessuno e che evita la stratificazione delle conoscenze.

In altre parole, l’argomento che gli alunni studiano viene affrontato e concluso in tempi brevi e le conoscenze vengono consolidate”.

Il progetto, che prende le mosse da un manuale sulle difficoltà di apprendimento stilato in collaborazione con la Asl di Biella, ha coinvolto, nello scorso anno scolastico, 36 classi del biellese.

Quest’anno, coinvolgerà 90 classi della provincia di Milano e 40 di quella di Trapani.

Il progetto, però, sta per essere “esportato” anche in altre tre regioni: Toscana, Umbria e Lazio, con monitoraggio dei risultati da parte dell’università di Milano.

Questa nuova realtà potrebbe nei prossimi anni suggerire anche qualche tipo di riforma.

Riforma che, di sicuro, otterrà il consenso di genitori spesso esasperati per la quantità di compiti a casa assegnati.

E perché, senza la necessità di assegnarli, gli alunni meno fortunati, o addirittura quelli disabili, svolgono comunque l’intero lavoro scolastico a scuola.(  Non fa niente se contenuti, metodi ed obiettivi sono diversi a seconda delle potenzialità di ogni bambino… Non ci metteremo mica ad insegnare anche ai genitori ?!? )

Il sogno è imitare la Finlandia, il paese con le performance dei propri quindicenni al top in Europa, dove il grosso del lavoro si svolge a scuola e con meno ore di lezione.

Peccato, che il sistema scolastico finlandese non assomigli per niente a quello italiano, ma, di questo, ne parleremo nella prossima puntata…Giusto per lasciare dormire tranquilli, figli e genitori…

 

Antonella Ferrari




Pensione, mettiamo la data a dopo la morte del cittadino, così facciamo prima…

Dal 1° gennaio del 2018, le donne non godranno più di un trattamento di favore rispetto agli uomini per quel che riguarda la data del pensionamento.

Tutti i lavoratori, maschi e femmine, potranno mettersi a riposo una volta superati i 66 anni e 7 mesi di età, purché abbiano alle spalle almeno 20 anni di contributi (o almeno 5 anni se assunti dopo il 1996).

A stabilirlo è la Legge Fornero, la riforma previdenziale approvata in Italia nel 2012 dal governo Monti, che ha introdotto la graduale parificazione tra uomini e donne entro il 2018.

Fino a 6-7 anni fa, infatti, le lavoratrici potevano contare su una finestra di uscita privilegiata, congedandosi dal lavoro 5 anni prima degli uomini (60 anni anziché 65).

Poi è arrivata appunto la Legge Fornero che ha cambiato tutte le regole, rendendo l’accesso al pensionamento molto più gravoso.

A partire dal 2019, sia per gli uomini che per le donne, la soglia di accesso alla pensione di vecchiaia salirà ancora di 3 mesi, fino a raggiungere i 67 anni. Per legge, infatti, l’età pensionabile verrà adeguata ogni 3 o 4 anni alle aspettative di vita della popolazione, che per fortuna sono in crescita grazie ai progressi della medicina. Sempre che, però, qualcuno non schiatti prima, direttamente sul posto di lavoro!!!

Questi sono i requisiti per la pensione di vecchiaia, che matura principalmente in base all’età.

Esiste però anche un altro trattamento che si chiama pensione anticipata, che matura invece una volta raggiunta una determinata quantità di contributi versati, indipendentemente dall’età.

Per la pensione anticipata, le donne hanno conservato un piccolissimo trattamento di favore poiché possono congedarsi dal lavoro con 41 anni e 10 mesi di contributi, 12 mesi prima degli uomini che devono invece raggiungere i 42 anni e 10 mesi di carriera. Infine, sia per gli uomini che per le donne esiste anche la possibilità di ritirarsi dal lavoro a 63 anni con l’Ape (anticipo pensionistico).

Le donne che vogliono ritirarsi dal lavoro a 63 anni con l’Ape Social (l’anticipo pensionistico senza penalizzazioni) avranno un piccolo trattamento di favore, uno sconto sui requisiti contributivi pari a 6 mesi per ogni figlio che hanno dovuto crescere nel corso della loro vita e che spesso ha comportato per loro un sacrificio in termini di carriera.

Il bonus contributivo potrà essere al massimo di due anni.

Dunque, mentre i lavoratori maschi che vanno in pensione con l’Ape Social devono avere 63 anni di età e almeno 30 anni di contributi, le donne con figli potranno mettersi a riposo anche con 28 o 29 anni di carriera alle spalle.

L’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni ha voluto così accontentare le richieste dei sindacati, che sottolineano da tempo come l’età della pensione di vecchiaia italiana sia ormai la più alta d’Europa, anche per le donne che tradizionalmente hanno goduto in passato delle finestre di uscita dal lavoro anticipate.

Ma è giusto o sbagliato che le donne vadano in pensione prima degli uomini?

Attorno a questo interrogativo si è dibattuto molto negli anni scorsi, anche prendendo spunto da quel che avviene all’estero. In gran parte degli altri paesi europei, infatti, donne e uomini vanno in pensione alla stessa età.

Ci sono poche nazioni che fanno eccezione.

E’ il caso della Gran Bretagna dove le lavoratrici femmine possono ritirarsi a circa 62 anni e mezzo contro i 65 anni degli uomini. Stesso discorso per l’Austria dove le donne si ritirano a 60 anni anziché a 65.

Non ci sono invece trattamenti di favore in altri paesi dove tuttavia – sottolineano i sindacati- l’età pensionabile è più bassa rispetto ai 66 anni e 7 mesi fissati in Italia.

In Spagna e Germania c’è ancora il requisito dei 65 anni per uomini e donne (che salirà gradualmente soltanto nell’arco di un decennio) mentre in Francia la soglia anagrafica resta inchiodata a 62 anni.

A ben guardare, però, la parificazione dell’età pensionabile è un destino ineluttabile per tutti i Paesi. A stabilirlo è infatti una sentenza delle Corte di Giustizia Europea del 2008, che ha vietato ai singoli Stati di fare disparità di trattamento a seconda dei sessi.

Giusto! Peccato che, in Italia, più che privilegiare le donne che vanno in pensione, bisognerebbe riconoscere i loro diritti prima, quando, in sede di selezione per un posto di lavoro, a parità di requisiti con candidati maschi, le donne pagano la colpa di voler fare un figlio.

Quando, al rientro dopo una gravidanza, le donne verificano che il loro diritto alla maternità è incompatibile con l’avanzamento di carriera.

Quando, in caso di contrazione del personale, le prime ad essere messe in mobilità, sono proprio le lavoratrici con figli piccoli…

Quando, se mantengono il loro posto di lavoro, le donne, a parità di prestazioni, percepiscono uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi maschi… E questo, lo dicono le statistiche!!!

Secondo le statistiche, infatti, in Italia, le donne, non solo hanno di solito stipendi mediamente più bassi, ma hanno anche maggiori difficoltà a fare carriera rispetto agli uomini.

Questo, non tanto per pregiudizi culturali, quanto piuttosto perché sono di solito penalizzate dal punto di vista professionale durante le gravidanze e non riescono a conciliare la vita lavorativa e quella familiare, al punto di essere costrette a licenziarsi.

Dunque, se vogliamo fare le cose giuste, iniziamo prima e non dopo, come al solito in Italia.

E poi, già che ci siamo, ricordiamoci del privilegio, tutto femminile, delle pensionate di curare i genitori ultraottantenni, perché, come non c’erano asili nido quando le donne lavoratrici avevano i figli piccoli, così non ci sono ricoveri adeguati all’allungamento dell’età media della popolazione, adesso che, le stesse donne hanno i genitori anziani….

Antonella Ferrari




ANCODIS A CONFRONTO CON L’ONOREVOLE CENTEMERO

L’ Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici tratta il tema del middle management scolastico con l’Onorevole Centemero ed individua la necessità di formare le figure intermedie per poter al meglio rispondere alle esigenze della scuola.

Ci chiediamo però se non sia il caso di ripensare completamente gli organismi di vertice della scuola, dalla giunta esecutiva (ormai praticamente inutile) al consiglio di istituto.

Non ci dilunghiamo ma il mondo della scuola deve essere ripensato completamente, altro che autonomia scolastica (che oggi non c’è), altro che figure manageriali, altro che Dirigenza scolastica.

Basti pensare alle centinaia di cause che le scuole perdono nei tribunali perché l’Avvocatura si Stato delega i Dirigenti Scolastici ad andare in tribunale o anche solo alla endemica mancanza di fondi che non permettono certo l’autonomia, o al fatto che quando i fondi ci sono sono spesso pilotati non alla scuola ma per gestire corollari poco edificanti (vedasi scuole belle).

La Scuola è oggi un pantano legalizzato, chissà se l’Onorevole Centemero con l’aiuto di Ancodis si muoverà per fare qualcosa?

 


ANCODIS: ANCHE NELLA CAPITALE E’ COSTITUITO IL DIRETTIVO TERRITORIALE

 Ad un anno dalla prima assemblea dei collaboratori dei DS svolta a Palermo (5/9/2016) nella quale sono state poste le basi per la costruzione di una rete tra i Collaboratori del DS nelle diverse forme (I°-II°-Responsabili di plesso), si costituisce il Direttivo territoriale di Roma presieduto dall’Ins.te Carla Federica Spoleti che ringraziamo unitamente ai colleghi che in questi mesi hanno reso possibile questo importante obiettivo.

Dopo Palermo, Siracusa, Firenze, Pisa, Cuneo e Catania, mercoledi 6 settembre i collaboratori dei DS di Roma e provincia decidono di aderire ad ANCODIS contribuendo alla crescita della struttura dell’Associazione sul territorio nazionale.

Per ANCODIS è un importante risultato tenuto conto che in meno di un anno di vita ha già superato la soglia dei 500 iscritti e quotidianamente riceve mail di richieste di informazioni.

I Collaboratori dei DS in questo breve tempo hanno compreso l’importanza di diventare comunità nella scuola italiana a partire dalla necessità di condividere e confrontare esperienze lavorative che fino a quel momento restavano circoscritte alle proprie Istituzioni Scolastiche, decidendo di tenere aperto il dibattito sul loro ruolo e sul riconoscimento giuridico e contrattuale.

Nella stessa giornata (6/9/2017), una rappresentanza ANCODIS ha incontrato alla Camera dei Deputati l’Onorevole Centemero, responsabile Scuola ed Università di Forza Italia, che – riconoscendo fondamentale il ruolo dei collaboratori dei DS – ritiene che debba essere adeguatamente valorizzato nel moderno sistema scolastico.

Sono stati evidenziati i punti condivisi in accordo con il nostro documento programmatico: riconoscimento sotto l’aspetto giuridico del collaboratore del DS, poiché inserito nel D.Lgs 165/2001, poi di fatto mai regolamentato; riconoscimento economico con una retribuzione prevista nel prossimo CCNL e non al tavolo di contrattazione d’istituto con il FIS.

Abbiamo avuto la comune consapevolezza che si tratta di docenti che dimostrano quotidianamente nelle I.S. e, soprattutto in quelle in condizione di reggenza, di avere acquisito sul campo e con percorsi di autoformazione le competenze necessarie ad assolvere ruoli nella governance delle scuole.

Vede, dunque, in modo molto favorevole l’istituzione del Middle Management e la relativa formazione effettuata attraverso il MIUR stesso o enti riconosciuti su argomenti gestionali e amministrativi relativi al nostro comparto.

E’ ormai il tempo di stabilire negli strumenti normativi e contrattuali che il lavoro dei collaboratori – nei diversi ruoli e funzioni loro assegnate dal ds – debba avere un riconoscimento anche attraverso una carriera integrata a quella di docenti.

Ed in questo percorso non si potrà non rivedere la norma che ha posto il blocco all’esonero per il primo collaboratore unitamente al riconoscimento delle funzioni vicarie e le mansioni superiori.

Sulla funzione del Middle Management intorno al dirigente si è parlato ampiamente: l’Onorevole Centemero ritiene che le vigenti Figure Strumentali debbano rientrare tra gli obiettivi nel lavoro dello Staff che può arrivare al 10% dell’intero C.D.

Ritiene molto importante fare un distinguo tra la classica carriera dell’insegnante e la carriera integrata dei collaboratori secondo ruoli e funzioni, riconoscere l’esperienza maturata sul campo come collaboratore/Vicario e responsabile di plesso non facendo fare la preselezione per il concorso a D.S.. Per quest’ultimo punto occorre valutare e studiare con molta attenzione una forma di riconoscimento anche in sede concorsuale ma non è d’accordo con la richiesta di riserva dei posti.

Su quest’aspetto occorre lavorare per trovare possibili soluzioni per questo riconoscimento.

Ci ha chiesto le nostre esperienze e l’opinione sulla L.107/2015, sul potenziamento e la chiamata diretta chiedendo di segnalarle ogni nostra riflessione sull’argomento.

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Carla Federica Spoleti, Presidente ANCODIS Roma

 




Noi stiamo con Milena…

Milena Gabanelli, 63 anni, è una nota conduttrice e giornalista italiana che lavora da 30 anni per la Rai.

La carriera della donna ha sempre girato attorno a programmi tv di inchiesta.

Il suo debutto è arrivato nel 1982 circa e da lì ha ricevuto sempre più consensi da parte del pubblico.

Nel 1989 ha preso parte a Special Mixer, dove ha avuto la possibilità di viaggiare e realizzare vari servizi, tra cui uno in Cina e uno in Vietnam.  Subito dopo l’esperienza a Special Mixer, Milena è divenuta inviata di guerra, recandosi così in numerose regioni colpite da svariati conflitti armati.

Nel 1994 è arrivata la prima esperienza da conduttrice con il programma Professione Reporter su Rai 2.

Il nome della Gabanelli è però conosciuto, ai telespettatori italiani, soprattutto per la sua presenza a Report in onda su Rai 3.

Milena è stata infatti protagonista e conduttrice del programma dal 1997 al 2016.

Nel 2013, inoltre, è arrivata un’altra grande soddisfazione per la giornalista:  Milena è infatti stata la più votata per la candidatura a Presidente della Repubblica dal Movimento 5 Stelle.

Nonostante la gratitudine nei confronti dei suoi colleghi, la donna ha però deciso di rinunciare alla carriera politica e di continuare con quella giornalistica.

Così, dopo innumerevoli premi per la sua professionalità e responsabilità, proprio dopo 20 anni di video giornalismo d’inchiesta, le è stato affidato il portale digitale di informazione Rai.

Anche qui, la Gabanelli si è dedicata con passione e professionalità al suo ruolo giornalistico.

Ma quel progetto è rimasto sulla carta, per le incomprensibili (o forse fin troppo comprensibili) resistenze dell’azienda pagata con i nostri soldi, ma teleguidata dai partiti.

Per non dover ammettere di aver cacciato anche lei, ultima di una lunga lista di proscrizione che va dall’era Berlusconi all’era Renzi, i vertici Rai le hanno fatto una proposta che, per dignità, la giornalista doveva rifiutare: la con-direzione di Rainews24, testata e sito semi-clandestini con un pugno di collaboratori scelti da altri.

E la Gabanelli, sempre per dignità, si è posta in aspettativa non retribuita: cioè – checché ne dicano i minimizzatori dei partiti e della stampa al seguito – fuori dalla Rai.

Noi pensiamo che qualunque emittente del mondo libero sarebbe orgogliosa di avere la Gabanelli tra i suoi giornalisti, soprattutto per le ragioni del suo rifiuto alla proposta del dg Mario Orfeo di fare la condirettrice di Rai News.

In un’intervista al Corriere della Sera, la giornalista Milena Gabanelli ha spiegato così il suo no alla con-direzione di RaiNews 24: “Ho chiesto l’aspettativa non retribuita.

Se vareranno una nuova testata e vorranno affidarmi la direzione, darò la mia disponibilità”.

Il piano prevedeva un nuovo sito, integrato con tutti i dipendenti dell’azienda pubblica: “La Rai, al contrario di tutte le tv del mondo, ha molti telegiornali, ma non ha un portale di news online organizzato” Mi sono tolta lo stipendio.

Non produrre e guadagnare lo troverei umiliante” “Il mio non è un capriccio, ma la certezza che non ci sono le condizioni per produrre risultati. E di cui poi devo rispondere. Il mio incarico è far funzionare l’informazione online, che la Rai non ha, malgrado i suoi 1.600 giornalisti. La proposta è quella di stare dentro un sito che non ha i presupposti per funzionare”

All’intervistatrice che le ha chiesto perché non le basta la promozione e uno staff di 40 giornalisti scelti da lei, Gabanelli ha risposto:

“Non ne ho mai fatto una questione di carica. E lavorare con Di Bella, che stimo, è pure divertente. Ma buona parte dei giornalisti che io ho incontrato, in un assestment interno, sono disponibili a trasferirsi al portale unico Rai, ma non al sito di una testata. Così quelli di tg nazionali e regionali, corrispondenti: tutti felici di contribuire. Ma non a Rainews.it, perché è percepito come il sito di una testata concorrente”.

Se il suo progetto originario non si realizzasse, la giornalista ha sottolineato:

“Sarebbe un peccato per la Rai che non può permettersi un ulteriore ritardo sull’online. Se invece il problema sono io, non ho difficoltà a farmi da parte, il lavoro fin qui fatto non andrà sprecato. Non ho paura del futuro e non sono legata alle poltrone, ho delle idee e una reputazione che vorrei continuare a mettere a disposizione del servizio pubblico. Ma non inventandomi un nuovo programma, altrimenti sarei restata dov’ero.”

Averne di giornalisti così…

Semplicemente, grazie di esistere, Milena…

 

Antonella Ferrari