Bitcoin

Che cosa sono le nuove monete elettroniche meglio conosciute col nome di Bitcoin.

La moneta elettronica è comparsa sul mercato virtuale circa otto anni fa, non ha un organo centrale che la emette ma si serve di un database che circola in rete internet che provvede anche alla tracciabilità delle transazioni.

I Bitcoin disponibili in rete sono 21 milioni mentre quelli effettivamente in circolazione sono circa 9 milioni. Il valore del Bitcoin è passato da 0 (nel 2009) fino a 1200 dollari (il picco dello scorso novembre).

Secondo il Financial Times gli scambi totali hanno raggiunto i 10 miliardi di dollari contro i 150 milioni di un anno prima.

Per poter acquistare Bitcoin è necessario aprire un portafoglio/conto virtuale dopodiché occorre collegarsi ai numerosi siti che offrono la valuta virtuale in cambio di denaro (pagamento attraverso bonifico, carte ricaricabili).

I Bitcoin possono essere scambiati o spesi (sono accettati da numerose attività commerciali sia virtuali che fisiche).

Pro e contro:

Pro

  • utilizzo semplice e veloce

  • costi di transazione bassi

Contro

  • possibile crollo della valutazione
  • affidabilità operatori

Essendo un denaro virtuale il Bitcoin può essere rubato (per esempio da un attacco hacker) o perso (malfunzionamento dell’hard disk del pc).

Per questi motivi è importante assicurarsi  una navigazione sicura usando buoni antivirus e scollegarsi al minimo dubbio durante l’operatività in rete.

C’è chi dice no:

Il governo cinese ha proibito alle banche di usare Bitcoin per i loro scambi, per prevenire i rischi di riciclaggio di denaro e difendere la stabilità finanziaria.

Nessuna restrizione invece per gli scambi tra privati.

La Cina è il primo mercato del Bitcoin con il 35% di tutti i traffici mondiali.

Dallo scorso ottobre il motore di ricerca baidu.com ha deciso di accettare la moneta virtuale come metodo di pagamento per vari servizi di sicurezza online.

Vantaggi a lungo termine:

Pur consapevoli  di rischi di natura legale e in materia di supervisione, il Bitcoin può rappresentare un vantaggio a lungo termine in particolare per quanto riguarda l’innovazione di un sistema di pagamento più veloce, più efficiente e sorprendentemente più sicuro.

Chi la può coniare ?

 Chiunque la può coniare, pur tuttavia esiste un tetto massimo pari a 21 milioni, cifra che secondo le proiezioni analitiche dovrebbe essere raggiunta nel 2140.

L’uso della moneta elettronica garantisce l’anonimato anche se il Bitcoin ha sempre un intestatario  per far si che venga utilizzata una sola volta.

Inoltre la privacy è garantita dal fatto che è unicamente il possessore a decidere se rivelarsi o meno durante la transazione.

Diamo una occhiata alla crescita degli ultimi cinque anni della moneta elettronica

 

 

 

Salvo Esposito




Widiba: Director of First Impression

Una volta si diceva che “la prima impressione è quella che conta”, e così avrà pensato Andrea Cardamone, amministratore delegato di Widiba (Gruppo Mps) quando ha creato la figura del Director of First Impression.

Entrando nel palazzo di Widiba in via messina a Milano si incontra pertanto come prima figura colui che riassume l’approccio della banca e che ha il ruolo di direttore della prima impressione (quella che conta).

Stefano Scalercio è appunto il DFI, e ci ha accolto durante la nostra visita in modo affabile e preciso, con professionalità ma anche sempre con un sorriso.

 

Questa nuova figura è comunque in linea con il nuovo percorso della banca che ha da poco avviato un percorso nuovo nell’approccio con il cliente,  “prima al mondo”, con un progetto che ricrea l’esperienza bancaria in realtà 3D con comandi ottici e vocali.

“Abbiamo incrociato gli ultimi trend della tecnologia, studiato le nuove prospettive e alcuni tra i possibili scenari che impattano il mondo della distribuzione – ha detto Andrea Cardamone – abbiamo calato tutto nell’industria bancaria, individuando nuovi percorsi che attraverso forme tecnologicamente semplici ed economicamente sostenibili ci permettono di recuperare e restituire fedelmente l’esperienza di una filiale tradizionale”

Sicuramente il futuro è questo, ma a Noi ha colpito la gentilezza e la professionalità del Director of First Impression..

 




La ministra frettolosa: basta scaricare tutto sulla scuola e la famiglia

Basta con la superficialità con cui il Miur affronta le problematiche serie della scuola!

“adelante, presto, con iuicio” persino il Manzoni poteva essere d’ausilio alla Ministra, ma c’erto non tutti conoscono questa famosa frase…

Prima di parlare sarebbe sempre opportuno informarsi e dimostrare di conoscere l’argomento di cui si tratta.

Occorre ribellarsi a dichiarazioni che non hanno il senso della gravità e del disagio in cui le normative, non adeguate ai tempi e al ruolo sociale nuovo che il nostro paese vive, fanno vivere la scuola a professori, genitori, alunni dirigenti e personale tutto.

È ora di finirla di pensare che le famiglie sono quelle di una volta, in cui l’uomo lavorava e la donna era a casa a seguire i figli, o pensare che tutti hanno nella porta accanto i genitori che possono ancora fare i nonni felici: oggi non è più così.

Per sopravvivere, al giorno d’oggi, occorre avere due stipendi e poiché ormai la gente per poter lavorare deve anche cambiare città, se non regione addirittura, non sempre si può contare sui nonni.

Quindi la signora Ministra cerchi di capire in che paese vive, perché in questo i genitori non possono andare a prendere i loro figli come vent’anni fa.

Ma ancor più grave risulta il fatto che il Ministro dica “Presidi e professori se ne facciano una ragione, devono consegnare i minori ai genitori”, interpretando a modo suo una sentenza della Cassazione che si riferisce invece ad un caso specifico di contraddizione tra quanto previsto dal Regolamento interno ed il comportamento dell’istituzione scolastica.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e Udir, afferma che “La responsabilità dei giovani, una volta usciti dal perimetro scolastico, non può essere additata ancora agli insegnanti, al personale Ata o al dirigente scolastico. Su questo il Miur dovrebbe essere chiaro. Va bene rassicurare le famiglie, ma è un modo di procedere che non condividiamo, perché significa implicitamente accostare alla scuola e a chi vi opera le eventuali manchevolezze del patto di corresponsabilità stipulato con i genitori. Fino a prova contraria, la scuola esercita un pubblico servizio che prevede dei precisi orari di apertura e chiusura. Al di fuori delle ore prestabilite, non è possibile garantire la permanenza e vigilanza del minore. Ancora di più perché in questi casi il docente dovrebbe affidare l’alunno al suo preside, che quasi sempre non c’è perché ha in media sette-otto sedi da seguire, oppure al collaboratore scolastico, che però a sua volta deve rispettare degli orari di lavoro e siccome gli ausiliari sono stati tagliati in numero drastico, sono sempre più frequenti i casi, soprattutto alle medie, di istituti che già subito dopo l’ora di pranzo sono costretti a chiudere. Oppure, si mettano nelle condizioni i comuni di prelevare tutti i minori di 14 anni e portatori di disabilità di portarli a scuola attraverso appositi pulmini.”

In ogni caso l’art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312 stabilisce che nel caso in cui l’Amministrazione “risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti a vigilanza”, la responsabilità patrimoniale degli insegnanti è limitata ai soli casi di dolo e colpa grave.

Esso prevede che, salvo rivalsa nelle suddette ipotesi di dolo o colpa grave, l’amministrazione si surroga al personale “nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi “.

Nell’ipotesi di responsabilità per culpa in vigilando gli insegnanti statali non rispondono più personalmente verso terzi, rispetto ai quali risponde invece direttamente l’Amministrazione su cui viene a gravare la responsabilità civile nelle azioni risarcitorie, salvo rivalsa dello Stato nei confronti dell’insegnante in caso di dolo o colpa grave.

Pertanto un Ministro non può pensare di risolvere un grave problema sociale con frasi messe a caso e occorre dunque un intervento serio, legato soprattutto ad un fatto: la scuola non è un deposito dei ragazzi piccoli o grandi che siano, la scuola è un luogo in cui si forma un processo educativo che accompagna il giovane nella sua crescita.

Questo processo non può essere interrotto da lacune legislative che poggiavano la loro essenza su uno stato sociale delle famiglie di 50 anni or sono; ora occorre cambiare pesantemente e prendere atto dei nuovi problemi sociali.

Non è più ammissibile strizzare un occhio alla famiglia e buttare l’osso alla scuola dando 80 euro a pioggia, creando invece malcontenti sociali e fratture nel difficile rapporto scuola famiglia.

Il presidente nazionale Pacifico prosegue dicendo che “Viene da chiedersi anche se nello stesso ddl [il nuovo progetto di legge dichiarato dal Ministro N.d.R.] vada pure esplicitato che a scuola il minore dovrà giungere accompagnato da chi ne ha la patria potestà oppure dai nonni.

Altrimenti, si mettano nelle condizioni i comuni di prelevare tutti i minori di 14 anni e portatori di disabilità di portarli a scuola attraverso appositi pulmini.

La vita reale, sappiamo, che è ben altra: è quella che viviamo tutti i giorni, fatta di Comuni che tagliano anche le linee di bus ordinarie, come accaduto a 150 liceali del palermitano, costretti ad essere accompagnati per fare più di 20 chilometri tra Capizzi e Nicosia perché il Comune non può più pagare il pullman.

Allora, anziché andare ad attribuire per l’ennesima volta compiti e responsabilità ulteriori alle scuole, sarebbe bene ricordarsi che i giovani sono un patrimonio di tutti: della scuola, certamente, ma anche delle famiglie e delle istituzioni”.

Signora Ministra meno parole e più azioni: la scuola non è uno slogan!

 

http://betapress.it/index.php/2017/09/12/compiti-a-casa-addio/

http://betapress.it/index.php/2017/10/03/doxa-la-scuola-piace-di-piu-ma-gli-italiani-studiano-di-meno/




Trust me I’m a Jedi

spade laser realtà o fantasia?

È possibile la creazione dell’iconica arma dell’universo di Star Wars?

Negli ultimi anni è tornata con prepotenza nella nostra quotidianità, una delle saghe più amate di sempre: Star Wars.

Difficili da dimenticare le epiche battaglie spaziali, accompagnate dalle meravigliose musiche di John Williams,  ma certamente indelebili nella nostra mente sono i combattimenti con le spade laser.

« Questa è l’arma dei cavalieri Jedi. Non è goffa o erratica come un fulminatore… è elegante invece, per tempi più civilizzati. » cosi ci viene introdotta per la prima volta questa iconica arma dal maestro Obi-Wan Kenobi in episodio IV.

Nell’universo di Star Wars, una galassia lontana lontana, le spade laser sono lo strumento più potente per i Jedi e per i Sith, rappresentanti del lato chiaro e del lato oscuro in continuo conflitto.

Ma come funzionano effettivamente queste armi? è possibile costruirle con la tecnologia attualmente a nostra disposizione?

Nei film le spade laser sono composte da un’elsa da cui fuoriesce del plasma che forma la lama.

La spada è alimentata da una batteria che emette energia la quale deve essere canalizzata in un cristallo Kyber, che dà il colore alla lama.

La proprietà principe di quest’arma è l’estremo calore della lama, in grado di scogliere e penetrare quasi ogni materiale; tutto tranne un’altra spada laser, ed è questa caratteristica che rende possibile i combattimenti e gli scontri tra le spade.

I tentativi di replicare questa tecnologia nella realtà non sono mancati, creando per esempio laser potentissimi è possibile imitare l’impugnatura che emette il fascio di luce colorato, ma questo fascio si propaga senza possibilità di dare una lunghezza finita alla lama, inoltre la luce non interagisce con se stessa e dunque è impossibile che due lame si possano scontrare.

La soluzione potrebbe essere quella di usare un fascio di plasma, gas portato ad elevate temperature che emette luce, ma questo dovrebbe essere contenuto in una forma e interagire con un’altra spada.

Per fare ciò, almeno teoricamente, si potrebbero utilizzare campi magnetici molto potenti, capaci di contenere il plasma e interagire tra di loro in maniera più o meno simile a quella vista nei film.

Tuttora, con le conoscenze e la tecnologia odierna, la spada laser rimane, purtroppo, soltanto una fantasia della nostra infanzia, possiamo sperare e aspettare che diventi un ambito oggetto del nostro futuro.

 




Upgrade Pegaso Award ad Antonio Brienza

Il vincitore del concorso accademico nazionale “Upgrade Pegaso Award” è Antonio Brienza con il progetto scientifico “Il gioco virtuale quale neurostimolante di processi di apprendimento multidisciplinare”




Udir apprezza il Ministero degli Esteri

 

Il Sindacato UDIR plaude all’iniziativa del Ministero degli Esteri che in data 17 e 18 ottobre ha convocato a Roma tutti i Dirigenti scolastici che prestano servizio all’estero.

La giornata del 17 era espressamente dedicata alla raccolta di pareri tecnici ai fini della revisione della normativa applicativa onde rendere il lavoro dei Dirigenti più agile e adatto alle mutate realtà della nostra presenza all’estero (non più legata alle esigenze degli italiani fuori confine ma ad una visione inclusiva di cooperazione).

La giornata del 18, presso la prestigiosa Società Dante Alighieri, è servita a fare il punto della situazione sulle strategie di diffusione e promozione della nostra lingua e cultura all’estero.

I Dirigenti sono stati accolti presso la Farnesina con inusitata dignità, chiaro segnale di una considerazione che tarda ad essere recepita dal Ministero dell’Istruzione ancora alle prese con una atavica rivendicazione di adeguamento stipendiale che recuperi quanto tolto e quanto non assegnato negli ultimi dieci anni di vacatio contrattuale (l’ annosa questione della perequazione retributiva rispetto alle altre categorie dirigenziali dello Stato).

Varie le criticità segnalate dai Dirigenti che si trovano ad operare come singole unità su territori spesso molto più grandi della stessa Italia, senza nessun aiuto di personale amministrativo.

Aspetto che limita fortemente la loro azione per la costituzione di reti, promozione di accordi e protocolli di intesa in cui concretizzare la politica educativa.

Tra le criticità maggiori vanno segnalate:

la mancanza di personale a disposizione facilmente reperibile modificando le assegnazioni dei docenti la cui utilizzazione nelle scuole paritarie appare desueta nel panorama odierno (si tratta di una funzione che eredita la visione delle scuole per italiani emigrati residenti all’estero) e dovrebbe invece, in linea col nuovo Decreto 64/2017, tendere alla creazione di team a disposizione del Dirigente scolastico per la produzione di materiali didattico-educativi con cui operare in tutte le scuole, pubbliche e private, in cui si insegna l’italiano nonché a fornire assistenti esperti di lingua italiane nelle scuole pubbliche bilingue e nei corsi degli Enti gestori.

Un altro contributo in termini di risorse potrebbe venire da una ridefinizione delle modalità di assegnazione degli incarichi in loco dei lettori le cui ore eccedenti, per prassi consolidata, vengono gestite dagli Istituti di Cultura che però, a differenza degli uffici scolastici, dispongono di personale dipendente e risorse finanziarie.

La mancanza di risorse finanziarie con cui attuare iniziative e protocolli di intesa locali finalizzati a promuovere la conoscenza della lingua italiana, anche in vista della promozione dello studio presso le università italiane da parte di studenti stranieri.

Infine, il peso delle procedure burocratiche che sottrae enormi quantità di tempo al lavoro e alla programmazione delle attività dei Dirigenti che devono relazionarsi ad un numero elevatissimo di soggetti istituzionali per lo svolgimento dei loro compiti.

http://betapress.it/index.php/2017/09/17/udir-la-marcia-non-si-arresta/

http://betapress.it/index.php/2017/10/03/doxa-la-scuola-piace-di-piu-ma-gli-italiani-studiano-di-meno/




Generazioni maligne

Un futuro di povertà nella società del benessere: i dati Ocse sulle disuguaglianze tra generazioni in Italia

Secondo il rapporto Preventing ageing unequally (“Come prevenire le disuguaglianze legate all’invecchiamento”) stilato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per le nuove generazioni italiane si preannuncia un futuro decisamente a tinte fosche: meno occupazione e più povertà rispetto a quelle che le hanno precedute.

L’Organizzazione parigina sottolinea come negli ultimi trentanni, in Italia, si sia notevolmente ampliato il divario tra le vecchie e le nuove generazioni.

Mentre il tasso di occupazione per coloro che possiedono un’età compresa tra i 55 e 64 anni è cresciuto del 23% tra il 2000 e il 2016, nello stesso arco di tempo è crollato dell’11% per i giovani di età compresa tra i 18 e 24 anni.

Secondo i dati raccolti dall’Ocse, se è vero che la povertà relativa risulta diminuita per le vecchie generazioni, è anche vero che risulta notevolmente cresciuta per le nuove generazioni, i cui membri, intrappolati in lavori non-standard, trovano difficoltà a ottenere un’occupazione stabile.

Certamente questa difficoltà è accresciuta dall’elevato costo del lavoro per i contratti a tempo indeterminato, fra i più alti del mondo nel nostro Paese.

Elevato, ovviamente, sarà il costo di una carriera iniziata tardi e discontinua per la pensione, una parola che rischia di trasformarsi in un’antica leggenda per le nuove leve.

In Italia, spiega l’Ocse, «le ineguaglianze tra i nati dopo il 1980 sono già maggiori di quelle sperimentate dai loro parenti alla stessa età» e, dal momento che «le diseguaglianze tendono ad aumentare durante la vita lavorativa, una maggiore disparità tra i giovani di oggi comporterà probabilmente una maggiore diseguaglianza fra i futuri pensionati, tenendo conto del forte legame che esiste tra ciò che si è guadagnato nel corso della vita lavorativa e i diritti pensionistici».

Insomma, le nuove generazioni che si affacciano o si sono già affacciate all’età adulta, dopo essere cresciute nella società del benessere, con la promessa di una sempre più graduale espansione della prosperità economica e del progresso, sono destinate a scontrarsi con l’infedeltà di un mondo tanto promettente quanto arido di possibilità.

Vittime di una società liquida, cioè priva di fondamenti stabili e di valori duraturi, le nuove generazioni si ritrovano costrette ad affrontare il futuro senza quegli stimoli, quelle speranze e quelle possibilità di realizzazione di cui hanno goduto le generazioni più anziane.

Siamo cresciuti con la promessa di un’espansione infinita, invece viviamo in universi in contrazione in cui ciascuno sa che sarà più povero o più disoccupato della generazione precedente.

Bisogna riconoscerlo, con le nuove generazioni i tempi sono stati infedeli, non hanno mantenuto quelle promesse di prosperità e benessere che hanno spinto a credere al miraggio di un futuro in cui essere infelici sarebbe stato un crimine.

Le generazioni più anziane hanno gettato ai propri figli un osso già spolpato, commettendo un vero e proprio saccheggio intergenerazionale e venendo meno a quel patto di solidarietà tra vecchi e giovani che in passato garantiva il benessere di entrambi.

Negli ultimi decenni si è innegabilmente consumata un’intrinseca ingiustizia, pur nel rispetto della legalità formale: le vecchie generazioni sembrano concludere il loro ciclo biologico come “generazioni egoiste”, arroccate sul principio del rispetto dei diritti acquisiti che, applicando un criterio di giustizia su base generazionale, potrebbero ragionevolmente essere definiti “privilegi”, vantaggi concessi a una specifica frazione della società.

È un paradosso, ma si preannuncia un futuro di povertà e disoccupazione per le generazioni nate e cresciute nell’epoca più florida, progredita e ricca di possibilità della storia.

 




LA PROCURA EUROPEA

LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA TRA PAESI UE: L’ISTITUZIONE DI UNA PROCURA EUROPEA PER LA DIFESA DEGLI INTERESSI FINANZIARI DELL’UNIONE.

 

Lo spazio Europeo di repressione penale è attualmente diviso e, a detta di molti studiosi, rappresenta una delle principali cause che limitano l’efficienza dell’azione europea di contrasto alla criminalità organizzata.

Ciò è considerato motivo determinante per dotare l’Unione di una Procura Europea per la protezione dei suoi interessi finanziari con il chiaro obiettivo di accelerare il processo di armonizzazione del diritto penale degli Stati membri.

D’altro canto, le frodi a danno dell’Unione europea raffigurano un flagello che provoca gravi pregiudizi al funzionamento e al progresso dell’eurozona. Si tratta di un fenomeno che è dilagato inesorabilmente con il trascorrere del tempo, malgrado gli strumenti di contrasto introdotti nel corso degli anni, ed ha colpito soprattutto ambiti quali quello delle politiche agricole o delle politiche strutturali, finendo per indebolire tutte le istituzioni europee e il percorso politico di unificazione comunitaria.

Gli strumenti di cooperazione tra gli Stati membri, fino ad oggi attuati, non sono stati sufficienti a estirpare questa grave illegalità. Come detto, hanno influito in modo rilevante i problemi relativi alla difformità dei procedimenti giudiziari nei singoli Stati e i sistemi di acquisizione e circolazione delle prove, che hanno spesso reso impraticabile il funzionamento degli strumenti di lotta anti frode.

La cooperazione giudiziaria in materia penale per la lotta alle frodi comunitarie, fino ad oggi è stata caratterizzata dall’uso di strumenti quali la rogatoria, l’estradizione, il mandato di arresto europeo e gli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, che hanno tentato di contribuire alla lotta ai fenomeni di criminalità transnazionale.

L’istituzione del procuratore europeo dovrà incentrarsi su una meticolosa analisi costi-benefici.

Bisogna determinare e coordinare, inoltre, in maniera adeguata le implicazioni dell’attività del Procuratore europeo, dopo la fase delle indagini, fornendo di conseguenza alle strutture giudicanti, non solo le risorse necessarie ma anche la giusta mentalità e formazione europea che è richiesta ai giudici e agli operatori del diritto.

La Commissione europea, sulla base dell’articolo 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che rappresenta la base giuridica, sta lavorando al regolamento  sull’organizzazione e le competenze della struttura.

Tutto questo ragionamento deve però tener conto del grande rilievo che ha il tema della protezione dei diritti fondamentali che deve obbligatoriamente accompagnare la creazione di una Procura europea.

Il Trattato di Lisbona nel 2009, oltre ad aver attribuito valore giuridico alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, ha rafforzato il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto ad un processo equo.

L’ufficio del Procuratore si impianta concettualmente nella prospettiva di una forte integrazione tra i Pesi europei.

Difatti, il programma si sposa con la visione di un modello federale degli Stati Uniti d’Europa, unica struttura capace di permettere a tutti i cittadini UE di vivere insieme conservando le singole diversità e di allontanare le tendenze anti europeiste che minacciano il senso profondo della comune convivenza.

In verità, da una recente indagine avviata dalla Commissione Europea tra numerosi procuratori nazionali che trattano procedimenti su frodi comunitarie, è emerso che il 60% degli intervistati considerino i fattori di transnazionalità come elementi di intralcio all’indagine medesima, evidenziando pertanto una concreta diffidenza verso tutto ciò che oltrepassa i confini nazionali.

Nonostante la riluttanza della maggior parte dei procuratori, sembra invece plausibile che, neanche se tutte le opzioni al giorno d’oggi percorribili fossero sfruttate a trecentosessanta gradi, si otterrebbero concrete risposte al limite intrinseco della divisione dello spazio penale europeo: le rogatorie sono in ogni caso contraddistinte da un formalismo che, per quanto possa essere abbreviato, non potrà essere attenuato più di tanto.

Quindi la concentrazione delle indagini sulle frodi comunitarie nella mani di un organismo investigativo giudiziario europeo unitario che abbia il potere di far circolare speditamente e senza sovrabbondanti impedimenti la prova nello spazio giuridico europeo può, allora, rappresentare un salto di qualità.

È altrettanto vero che, la presenza di regole procedurali comuni adottabili in tutto il territorio della UE si tradurrebbe in una certezza dei diritti della difesa, di modo che, per esempio, un cittadino italiano avrebbe piena contezza delle regole con le quali può essere assoggettato ad indagine in un altro Stato UE, al contrario di quanto avviene sulla scorta del principio del mutuo riconoscimento che si fonda, in pratica, sulla difformità dei sistemi giuridici.

Sarà poi compito della politica consentire l’attuazione di un passo così rilevante verso l’integrazione europea.

Sarebbe considerevole se l’Italia comparisse tra le prime nazioni sostenitrici dell’iniziativa, facendosi portavoce di quel principio di integrazione europea che, se da un lato certamente non deve essere idealizzato come il rimedio di tutti i mali, dall’altro è, verosimilmente, una risposta ineludibile di fronte alle sfide che il mondo contemporaneo pone all’Europa, non soltanto per ciò che concerne a tutela degli interessi finanziari ma più propriamente rappresenta una prova di maturità rispetto alle risposte che ci si aspetta dinanzi a spinte che giungono da ogni dove e che potrebbero vanificare gli sforzi fin qui sostenuti.

 

Tanio Cordella




ZFU, sarà un successo?

Tanti ritardi ma alla fine si parte.

 

Seguendo il modello francese delle “Zones Franches Urbaines” il MISE stanzia ulteriori 30 milioni di euro a favore di 10 Comuni per un provvedimento nell’ambito della politica di sviluppo e integrazione socio-economica di aree urbane svantaggiate, depresse e caratterizzate da fenomeni di ineguaglianza e esclusione sociale.

Tutto iniziò con la legge finanziaria del 2007 e 2008 in cui si stabilivano i fondi e i criteri per l’individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane e attraverso la quale soprattutto la Regione Sicilia ebbe modo di sperimentare in prima battuta lo strumento non di finanziamento ma di aiuto alle imprese.

Proprio da questa Regione possiamo trarre qualche spunto in previsione futura, infatti da una prima analisi dei dati siciliani notiamo subito che le ZFU dopo aver privilegiato un ruolo di attrattore imprenditoriale piuttosto che di riqualificazione sociale si è subito scontrata con la necessita di creare le infrastrutture utili allo sviluppo dell’impresa come il potenziamento dei trasporti e dei servizi collegati

Oltre al bisogno di ridurre i costi aerei e navali per consentire all’isola di competere alla pari con altre Regioni.

Oggi con il decreto 5 giugno 2017 (G.U. 2017) si compie un ulteriore passo in avanti nella ricerca di crescita del nostro PIL, infatti, seppure i risultati siciliani per ora lascino dei dubbi sui risultati ottenuti, è pur vero che se puntiamo la nostra attenzione sui precedenti risultati francesi, più consolidati vista la quasi ventennale esperienza, potremmo ben sperare.

Nei comuni e “arrondissement” francesi le aziende hanno aumentato i loro fatturati e hanno superato la crescita di ben 5 volte rispetto alla media delle loro concorrenti in ambito nazionale. Non è sicuramente la chiave di volta per la risoluzione dei problemi macroeconomici che attanagliano l’Italia ma è pur sempre un proseguo di una volontà politica che inizia a scommettere maggiormente sui comuni e sulle piccole e medie imprese.

Le agevolazioni consisteranno nell’esenzione dalle imposte sui redditi per 5 anni, nell’esenzione dall’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), nell’esenzione dell’IMU e nell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali.

Nei 10 Comuni interessati c’è anche Iglesias, uno dei comuni piu poveri d’Italia, ebbene se questa ZFU dara i risultati sperati si prospetta un nuovo futuro per il sud Sardegna e soprattutto per il Sulcis Iglesiente.

 

Francesco Melis




Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Si chiama Federica Brocchetti l’ex assistente parlamentare dell’Onorevole Mario Caruso che, attraverso il programma televisivo “Le Iene”, ha coraggiosamente sfidato il Parlamento italiano, denunciando pubblicamente di aver lavorato come portaborse per un anno e mezzo, senza un regolare contratto di lavoro e senza percepire alcun compenso economico per tutta la durata dell’incarico.

La giovane ha raccontato al microfono della iena Filippo Roma di aver intrapreso inizialmente uno stage non retribuito della durata di tre mesi, anche in questo caso senza la sottoscrizione di alcun contratto; poi, con la promessa di un regolare contratto di lavoro, reiterata più volte nel corso dell’anno, a Federica è stato proposto di continuare a svolgere l’attività di assistente parlamentare nei mesi successivi.

Dopo un anno e mezzo, però, non si era ancora concretizzato nulla e la ragazza ha deciso di denunciare gli imbrogli che si consumano nei palazzi del potere.

Ad accrescere l’ingiustizia del trattamento riservato alla Brocchetti interviene, poi, un particolare dal retrogusto fortemente sessista: mentre la ragazza lavorava per la gloria come portaborse, Fabrizio Rossi, figlio del sottosegretario alla difesa Domenico Rossi, risultava segnato in un regolare contratto di lavoro come assistente parlamentare dell’Onorevole Caruso.

Insomma, Federica Brocchetti lavorava “aggratis”, mentre Fabrizio Rossi percepiva un cospicuo stipendio, secondo contratto, per starsene a casa in panciolle.

Per avvalorare le sue testimonianze, la Brocchetti ha pensato bene di registrare un colloquio avuto con l’Onorevole Caruso, in cui chiedeva chiarimenti circa la posizione di Fabrizio Rossi e la conseguente impossibilità, per lei, di firmare un regolare contratto di lavoro.

Alla domanda «perché Fabrizio Rossi è segnato come suo assistente?», Caruso risponde di aver «fatto una cortesia al papà», ovvero al Generale Domenico Rossi, con cui Caruso condivide l’ufficio.

Domenico Rossi era già noto alla redazione de “Le Iene” che, qualche anno fa, aveva indagato sull’uso irregolare che il Generale faceva di un’auto blu del Ministero della Difesa, facendosi prelevare direttamente da casa o accompagnare allo stadio.

Che la Brocchetti si recasse in Parlamento per svolgere effettivamente delle mansioni impartitele dall’Onorevole Caruso e non per guardare le mosche, lo confermano alcuni messaggi che la ragazza ha conservato sul suo cellulare, in cui Caruso le chiedeva di presentarsi in ufficio a una certa ora, di correggere dei curriculum, di procurargli dei documenti, e così via.

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti, nel 2007, aveva promesso al microfono dello stesso Filippo Roma un regolamento che stabilisse che nessun portaborse potesse entrare nella Camera o in Senato senza un regolare contratto di lavoro e, in effetti, così è stato stabilito.

Ma quando si tratta di raggirare le leggi, si sa, Italians do it better.

Perciò, fatta la legge, trovato l’inganno: i portaborse possono comunque accedere alla Camera o al Senato anche senza contratto, utilizzando un badge ottenuto su richiesta del gruppo parlamentare.

Come hanno spiegato Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei deputati, e l’Onorevole Fraccaro, membro dell’Ufficio di presidenza della Camera, è necessario solamente che il capogruppo firmi un’autocertificazione in cui afferma che una determinata persona è «sua amica» per poterle rilasciare il tesserino; tuttavia per il capogruppo in questione c’è sempre il rischio di compromettersi penalmente.

«Non c’è un buco nel regolamento, ma una voragine», continua Di Maio.

Oltre al danno, anche la beffa per Federica Brocchetti, alla quale, subito dopo la messa in onda del servizio de “Le Iene”, è stato comunicato di non presentarsi più in ufficio.

Le è stato persino bloccato il tesserino e quando la ragazza ha provato ad entrare in Parlamento per recuperare alcuni oggetti personali, le è stato interdetto l’accesso.

Nessuno dei dipendenti ha manifestato la minima solidarietà nei confronti di Federica, una giovane ragazza che ha finalmente trovato il coraggio di denunciare le ingiustizie che si consumano in quei palazzi che dovrebbero essere il baluardo della giustizia.

Già, perché proprio nel luogo in cui si fanno le leggi, queste stesse leggi vengono quotidianamente raggirate e le vittime principali di questo sistema fallace sono spesso i portaborse, figure deboli pagate in nero o addirittura non retribuite.

Sono moltissime le testimonianze di assistenti parlamentari che affermano di ricevere soldi in nero e di vedersi ovviamente negati diritti come la maternità, la liquidazione e la tredicesima.

È ovvio che i parlamentari vogliono continuare a fare la cresta sulla voce “portaborse” del loro stipendio, ma solo quando i portaborse sono figli di nessuno, persone comuni.

Quando invece l’assistente parlamentare è figlio di o nipote di, stranamente, tutte le porte si spalancano, i liquidi non mancano e gli “onorevoli” dimostrano un’affabilità e una generosità senza precedenti.

Ciliegina sulla torta, l’Onorevole Caruso aveva anche fatto delle avances alla Brocchetti, prima durante una cena e poi tramite sms, quando, con il sex appeal di una carota lessa, le ha scritto «sono a casa, valuta tu cosa fare»; è proprio vero, la cavalleria è bella che morta.

Caruso ha confermato, sempre nel famoso colloquio registrato dalla Brocchetti, di averla invitata a trasformare il rapporto di lavoro in qualcosa di più…intimo.

Ma quando la Brocchetti gli ha confidato di aver temuto ripercussioni sul lavoro dopo il suo rifiuto, l’Onorevole l’ha consolata dicendole di non preoccuparsi perché «quelle erano due cose distinte e separate».

Vuoi vedere che Caruso si era innamorato della giovane assistente?

Nessuna meraviglia per questa notizia.

Sono cose che capitano, soprattutto in Italia, dove la meritocrazia, la trasparenza e la legalità, ormai, sono solo vagheggiate chimere.

Nella storia di Federica Brocchetti ci sono tutti gli ingredienti per raccontare l’ennesima ingiustizia all’italiana, fatta di favoritismi, violazioni del protocollo e, in questo caso, anche di squallore sessista.

La Brocchetti ha confidato al presidente della Camera Laura Boldrini, che ha voluto incontrarla per esprimerle la sua vicinanza, di temere che le alte personalità politiche coinvolte in questa vicenda che ha destato moltissimo scalpore al livello mediatico, possano farle terra bruciata intorno; ma la Boldrini l’ha rassicurata dicendosi colpita dal coraggio con cui la ragazza ha sfidato il Parlamento.

È proprio vero, coraggio invidiabile. Brava Federica Brocchetti, una ragazza brillante e intraprendente la cui determinazione rappresenta un ottimo esempio per le giovani donne di questo paese.