Loving Vincent

Dopo lo straordinario successo raggiunto nei tre giorni di proiezione di ottobre (16, 17 e 18) “Loving Vincent” è tornato nelle sale cinematografiche italiane il 20 novembre.

Il film, primo lungometraggio interamente dipinto su tela, racconta la vita e le opere di Vincent Van Gogh ed ha totalizzato 130 mila spettatori, diventando il film evento più visto di sempre in Italia.

 Sono 283 le sale, di cui tantissime in sold out, che hanno decretato un successo oltre le aspettative di “Loving Vincent”.

Il film, scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman , già vincitore del Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy, è un lungometraggio poetico.

In esso, arte, tecnologia e pittura si fondono, proponendo allo spettatore un viaggio, di sola andata, nel mistero della vita e della morte, di un folle genio incompreso.

94 i quadri di van Gogh riprodotti in una forma simile a quella originale e più di 31 i dipinti rappresentati parzialmente.

Un team di 125 artisti ha lavorato anni per arrivare ad un risultato originale e di enorme impatto visivo.

Di fronte allo schermo, lo spettatore diviene detective e svolge una sorta di indagine poliziesca alla ricerca della verità, per scoprire chi era il vero Van Gogh.

Così, il vero Vincent, viene improvvisamente svelato dalle sue lettere. Ispirandosi al suo ultimo scritto, quello in cui annotava “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, gli autori hanno scelto di partire dalle parole dell’artista, lasciando che fossero proprio i suoi quadri a raccontare la storia e l’opera del pittore olandese esposto nei più importanti musei del mondo.

La narrazione, che riporta in vita opere come Caffè di notte, Campo di grano con volo di corvi, Notte stellata, ma anche ritratti ed autoritratti, si apre in Francia, nell’estate del 1891.

Armand Roulin, un giovane inconcludente e privo di aspirazioni, riceve da suo padre, il postino Joseph Roulin, una lettera da consegnare a mano a Parigi. Il destinatario è Théo van Gogh, fratello del pittore che si è da poco tolto la vita.

Armand non è per nulla felice della missione affidatagli: è imbarazzato dall’amicizia che legava suo padre e Vincent, un pittore straniero che si è tagliato l’orecchio ed è stato internato in un manicomio locale.

Ma, a Parigi, non c’è alcuna traccia di Théo.

La ricerca condurrà allora Armand da Père Tanguy, commerciante di colori, e quindi nel tranquillo villaggio di Auvers-sur-Oise, a un’ora da Parigi, dal medico che si occupò di Vincent nelle sue ultime settimane di vita, il dottor Paul Gachet.

Lo spettatore conoscerà così la locanda dei Ravoux, dove Vincent soggiornò per le ultime dieci settimane e dove il 29 luglio 1890 morì.

Nella sua ricerca, Armand, incontrerà la figlia del proprietario, Adeline Ravoux, ma anche la governante e la figlia del dottore, nonchè il barcaiolo del fiume, dove Van Gogh era solito dipingere en plein-air.

Ciascuno di loro darà un indizio, racconterà la sua verità, avvolgendo lo spettatore in un vortice di possibilità, fino all’ultima, la più inquietante, a proposito della morte dell’artista.

Un colpo di pistola nello stomaco, tentativo mal riuscito di suicidio o colpo accidentale di un balordo locale?!?

Quello che sconvolge è l’ineluttabilità di una morte liberatoria, quella di un genio incompreso, disposto a coprire il vero colpevole, per tutte le 29 ore di agonia, perché, finalmente, poteva liberarsi della fatica di vivere e di “non essere come loro”…

 

Antonella Ferrari




Spazio900: serve ancora leggere?

A Roma, presso la Biblioteca Nazionale Centrale, è possibile visitare il primo museo permanente all’interno di una biblioteca pubblica.

Il suo nome è Spazi900 e ospita, oltre a intere biblioteche d’autore, archivi e carte autografe degli scrittori contemporanei più celebri del patrimonio letterario italiano del Novecento: inediti di Italo Svevo, Eugenio Montale, Umberto Saba e del futurista Filippo de Pisis, ma anche la sceneggiatura del film di Roberto Benigni La vita è bella, scritta a quattro mani con Vincenzo Cerami e i Versi intimi, primo volumetto di poesie di Sandro Penna.

Questi, tuttavia, sono solo alcuni dei moltissimi nomi che figurano negli archivi del museo che consta di due Gallerie in cui gli autori vengono smistati in base ad una precisa periodizzazione: nella prima Galleria è possibile imbattersi nei documenti autografi di scrittori che hanno operato nella prima metà del Novecento come Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo.

La seconda Galleria, invece, è dedicata alla seconda metà del Novecento: si incontrano dapprima i documenti autografi di Pier Paolo Pasolini e i suoi sodali, Alberto Moravia e Natalia Ginzburg, per poi imbattersi negli autografi di Mario dell’Arco, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e Sandro Penna e si procede, infine, in direzione del nuovo secolo con Franco Fortini, Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto, Italo Calvino, Vincenzo Cerami, Amelia Rosselli e Dario Bellezza.

Le due Gallerie con le carte autografe degli scrittori rappresentano una novità assoluta nella storica e prestigiosa Biblioteca Nazionale Centrale di Roma che negli ultimi anni, grazie a una mirata politica di incremento dei fondi, ha ampliato con sempre maggior abbondanza il patrimonio di raccolte librarie e archivistiche di autori contemporanei custodito al suo interno, tanto da costituire oggi uno dei poli più significativi e autorevoli per gli studi sulla letteratura italiana del Novecento.

Originalissima e fortemente suggestiva è anche la cosiddetta “Stanza di Elsa”, ovvero una zona del museo Spazi900 in cui, attraverso l’utilizzo di elementi d’arredo originali, viene efficacemente ricreata l’atmosfera presente nello studio in cui la Morante era solita lavorare ai suoi romanzi.

La possibilità di osservare da vicino testi autografi di autori così importanti per il patrimonio letterario italiano, riporta in auge una domanda a cui spesso si tenta di fornire una risposta quanto più possibile in grado di illustrare gli enormi benefici che la diffusione della letteratura offre a ciascuno: a che serve leggere?

O ancora, a che serve la letteratura?

La difficoltà di rispondere brevemente, ma efficacemente, a questo tipo di domande rappresenta, forse, uno degli incubi peggiori di ogni docente o studente di Lettere, di ogni appassionato o addetto ai lavori nel settore della cultura.

Dopo anni di allenamento, sono riuscita a mettere insieme le idee in modo organico e coerente e mi sono accorta che basta poco per rispondere a queste domande con la capacità di persuasione di Giorgio Mastrota: la lettura nutre la mente e la libera dai vincoli strettissimi in cui molto spesso le convenzioni la imprigionano; attraverso le pagine di un buon libro è possibile incontrare culture e lingue diverse e viaggiare con l’immaginazione in territori esotici e lontani, abbattendo la barriera del pregiudizio.

La lettura arricchisce il lessico, accresce la sensibilità, difende la democrazia, innaffia il terreno di un sistema di valori che altrimenti sarebbe arido e pericolosamente scarno per la nostra società.

La lettura rafforza il senso di appartenenza alla comunità umana e fa sì che tutti, a prescindere dall’orientamento politico, dall’etnia, dal credo religioso, possano incontrarsi a metà strada nel territorio apolitico, apolide e laico del sentimento, laddove gli uomini e le donne sono tutti uguali perché l’amore, il dolore, la tristezza, il lutto, lo sconforto, la gioia e la speranza non hanno colore, sesso o religione.

Seppur sospeso in uno spazio senza luogo e senza tempo, la letteratura è uno dei pochissimi luoghi in cui non trionfa la materia, ma lo spirito; la letteratura dà voce alla bellezza, alla passione, al sentimento.

D’altronde, è di questo che siamo fatti: carne, materia corruttibile e mortale, ma anche passione, ambizioni, sogni, pulsioni, amore per la bellezza.

Mi vengono in mente le parole pronunciate dall’indimenticabile Robin Williams ne L’Attimo fuggente, mentre veste i panni dell’agguerrito e appassionato Professor Keating: «non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi Leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita».

Spesso tendiamo a dimenticarlo, ma parole e idee possono davvero salvare il mondo.