Webeti senior e Webeti Junior

Nel nostro paese (ma non solo) c’è una generazione di persone che è stata anestetizzata dalla televisione commerciale, dalla mancanza di approfondimento per una leggerezza da cercare e proporre a tutti i costi, dall’incapacità della società civile di esprimere un modello fondato sul contraddittorio.

Manca la capacità di confrontarsi e a volte mancano anche le parole per poterlo fare, infatti c’è una povertà di linguaggio, tant’è che le nuove generazioni il più delle volte parla a gesti e con suoni più che con frasi complete e con senso compiuto.

Per meglio chiarire questo stato di fatto, un noto giornalista( Mentana) ha coniato una parola che rende molto bene l’idea : webeti

Il webete, se così vogliamo chiamarlo, è il frutto di anni di questo approccio, una persona che è stata cresciuta ed educata ad assorbire tutto ciò che le veniva proposto senza chiedersi nulla, a prendere tutto per buono. Ecco quindi che “l’ho sentito dire alla tv quindi è vero”, diventa automaticamente “l’ho letto su Facebook quindi è vero.”

Ecco quindi di cosa stiamo parlando, dei figli parlanti di una generazione di tv che ha reso queste persone “webeti” nell’era della rete che per poter parlare d’amore si limitano a scrivere «  TVB ».

Il futuro delle nuove generazioni  dipenderà dalla loro capacità di trovare un equilibrio tra le diverse opinioni, soprattutto avere delle opinioni.

Un ruolo importante lo potranno avere le piattaforme come Facebook o Google o Twitter che non dovrebbero proporre  solo i contenuti simili a quelli su cui clicca Mi Piace,  altrimenti si rischierà l’appiattimento e la crisi dei webeti  non farà altro che aggravarsi.

Il rapporto tra i  giovani di oggi e la precedente generazione è molto conflittuale,  i primi sono accusati dai secondi di essere in qualche modo responsabili della attuale situazione di degrado in cui viviamo perché sono demotivati e non si impegnano abbastanza.

In questa fase della mia riflessione mi  chiedo le ragioni di  questo “astio” nei confronti dei giovani, considerando che ogni cambiamento, ogni trasformazione parte proprio da loro. E’ vero, molti fattori ci fanno ritenere che le nuove generazioni siano un popolo dii sconfitti, a volte la rassegnazione la fa da padrona, eppure la forza di tutti loro insieme può affrontare ogni ostacolo che si presenta davanti. Forse però questo “astio” da parte della generazione passata è dovuto proprio alla paura di cambiamento, a questa presa di distanza dal passato basato su egoismi, sprechi, interessi personali, raccomandazioni e ingiustizia.

I giovani si trovano spesso a dover affrontare prospettive contraddittorie, confuse, in bilico tra fragilità ed esibizione di forza. Bisogna farli riflettere che non devono accettare con passività tutto perché nella storia ci sono stati tanti esempi di persone morte per rivendicare i propri diritti, per cambiare qualcosa che per molti non sarebbe mai cambiato.

Dimostrare alla vecchia generazione che insieme si possono cambiare in meglio le cose facendo tesoro degli errori precedenti.

Chi ha creato la società attuale?

Sicuramente non le nuove generazioni che si trovano semplicemente in un periodo storico difficile, nel quale l’unica cosa che possono, ma soprattutto devono fare è rimboccarsi le maniche e intraprendere lunghi percorsi per rendere questo mondo così ingiusto un posto migliore.

Tutti i giorni, tramite fonti informative di diverso genere percepiamo notizie “flash” su persone che lottano quotidianamente, che siano giovani, adulti, che sia uno studente o un operaio, per cambiare l’esistente ma spesso tutto è avvolto nell’indifferenza.

E questo è inaccettabile, è inaccettabile assistere a queste forme di menefreghismo, di disinteresse, di superficialità.

I giovani sono il futuro, e proprio per colpa della generazione passate ora si ritrovano ad affrontare e lottare per problematiche più grandi di loro, talvolta con un’energia invidiabile.

“ Costi quel che costi”. In una società come quella odierna si ha bisogno di persone che non temono nulla e che siano sempre capaci di lottare per cambiare sempre in meglio.

Cosa c’è di meglio di poter dire un domani:” Ho lottato affinché le cose cambiassero.”

Una generazione può essere vittima dello stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli.

Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro…, ma essi non l’hanno fatto e quindi noi non abbiamo fatto nulla di più.

E’ proprio su questo concetto che le nuove generazioni devono concentrare le proprie riflessioni.

Salvo Esposito




Loving Vincent

Dopo lo straordinario successo raggiunto nei tre giorni di proiezione di ottobre (16, 17 e 18) “Loving Vincent” è tornato nelle sale cinematografiche italiane il 20 novembre.

Il film, primo lungometraggio interamente dipinto su tela, racconta la vita e le opere di Vincent Van Gogh ed ha totalizzato 130 mila spettatori, diventando il film evento più visto di sempre in Italia.

 Sono 283 le sale, di cui tantissime in sold out, che hanno decretato un successo oltre le aspettative di “Loving Vincent”.

Il film, scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman , già vincitore del Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy, è un lungometraggio poetico.

In esso, arte, tecnologia e pittura si fondono, proponendo allo spettatore un viaggio, di sola andata, nel mistero della vita e della morte, di un folle genio incompreso.

94 i quadri di van Gogh riprodotti in una forma simile a quella originale e più di 31 i dipinti rappresentati parzialmente.

Un team di 125 artisti ha lavorato anni per arrivare ad un risultato originale e di enorme impatto visivo.

Di fronte allo schermo, lo spettatore diviene detective e svolge una sorta di indagine poliziesca alla ricerca della verità, per scoprire chi era il vero Van Gogh.

Così, il vero Vincent, viene improvvisamente svelato dalle sue lettere. Ispirandosi al suo ultimo scritto, quello in cui annotava “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, gli autori hanno scelto di partire dalle parole dell’artista, lasciando che fossero proprio i suoi quadri a raccontare la storia e l’opera del pittore olandese esposto nei più importanti musei del mondo.

La narrazione, che riporta in vita opere come Caffè di notte, Campo di grano con volo di corvi, Notte stellata, ma anche ritratti ed autoritratti, si apre in Francia, nell’estate del 1891.

Armand Roulin, un giovane inconcludente e privo di aspirazioni, riceve da suo padre, il postino Joseph Roulin, una lettera da consegnare a mano a Parigi. Il destinatario è Théo van Gogh, fratello del pittore che si è da poco tolto la vita.

Armand non è per nulla felice della missione affidatagli: è imbarazzato dall’amicizia che legava suo padre e Vincent, un pittore straniero che si è tagliato l’orecchio ed è stato internato in un manicomio locale.

Ma, a Parigi, non c’è alcuna traccia di Théo.

La ricerca condurrà allora Armand da Père Tanguy, commerciante di colori, e quindi nel tranquillo villaggio di Auvers-sur-Oise, a un’ora da Parigi, dal medico che si occupò di Vincent nelle sue ultime settimane di vita, il dottor Paul Gachet.

Lo spettatore conoscerà così la locanda dei Ravoux, dove Vincent soggiornò per le ultime dieci settimane e dove il 29 luglio 1890 morì.

Nella sua ricerca, Armand, incontrerà la figlia del proprietario, Adeline Ravoux, ma anche la governante e la figlia del dottore, nonchè il barcaiolo del fiume, dove Van Gogh era solito dipingere en plein-air.

Ciascuno di loro darà un indizio, racconterà la sua verità, avvolgendo lo spettatore in un vortice di possibilità, fino all’ultima, la più inquietante, a proposito della morte dell’artista.

Un colpo di pistola nello stomaco, tentativo mal riuscito di suicidio o colpo accidentale di un balordo locale?!?

Quello che sconvolge è l’ineluttabilità di una morte liberatoria, quella di un genio incompreso, disposto a coprire il vero colpevole, per tutte le 29 ore di agonia, perché, finalmente, poteva liberarsi della fatica di vivere e di “non essere come loro”…

 

Antonella Ferrari




Spazio900: serve ancora leggere?

A Roma, presso la Biblioteca Nazionale Centrale, è possibile visitare il primo museo permanente all’interno di una biblioteca pubblica.

Il suo nome è Spazi900 e ospita, oltre a intere biblioteche d’autore, archivi e carte autografe degli scrittori contemporanei più celebri del patrimonio letterario italiano del Novecento: inediti di Italo Svevo, Eugenio Montale, Umberto Saba e del futurista Filippo de Pisis, ma anche la sceneggiatura del film di Roberto Benigni La vita è bella, scritta a quattro mani con Vincenzo Cerami e i Versi intimi, primo volumetto di poesie di Sandro Penna.

Questi, tuttavia, sono solo alcuni dei moltissimi nomi che figurano negli archivi del museo che consta di due Gallerie in cui gli autori vengono smistati in base ad una precisa periodizzazione: nella prima Galleria è possibile imbattersi nei documenti autografi di scrittori che hanno operato nella prima metà del Novecento come Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo.

La seconda Galleria, invece, è dedicata alla seconda metà del Novecento: si incontrano dapprima i documenti autografi di Pier Paolo Pasolini e i suoi sodali, Alberto Moravia e Natalia Ginzburg, per poi imbattersi negli autografi di Mario dell’Arco, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e Sandro Penna e si procede, infine, in direzione del nuovo secolo con Franco Fortini, Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto, Italo Calvino, Vincenzo Cerami, Amelia Rosselli e Dario Bellezza.

Le due Gallerie con le carte autografe degli scrittori rappresentano una novità assoluta nella storica e prestigiosa Biblioteca Nazionale Centrale di Roma che negli ultimi anni, grazie a una mirata politica di incremento dei fondi, ha ampliato con sempre maggior abbondanza il patrimonio di raccolte librarie e archivistiche di autori contemporanei custodito al suo interno, tanto da costituire oggi uno dei poli più significativi e autorevoli per gli studi sulla letteratura italiana del Novecento.

Originalissima e fortemente suggestiva è anche la cosiddetta “Stanza di Elsa”, ovvero una zona del museo Spazi900 in cui, attraverso l’utilizzo di elementi d’arredo originali, viene efficacemente ricreata l’atmosfera presente nello studio in cui la Morante era solita lavorare ai suoi romanzi.

La possibilità di osservare da vicino testi autografi di autori così importanti per il patrimonio letterario italiano, riporta in auge una domanda a cui spesso si tenta di fornire una risposta quanto più possibile in grado di illustrare gli enormi benefici che la diffusione della letteratura offre a ciascuno: a che serve leggere?

O ancora, a che serve la letteratura?

La difficoltà di rispondere brevemente, ma efficacemente, a questo tipo di domande rappresenta, forse, uno degli incubi peggiori di ogni docente o studente di Lettere, di ogni appassionato o addetto ai lavori nel settore della cultura.

Dopo anni di allenamento, sono riuscita a mettere insieme le idee in modo organico e coerente e mi sono accorta che basta poco per rispondere a queste domande con la capacità di persuasione di Giorgio Mastrota: la lettura nutre la mente e la libera dai vincoli strettissimi in cui molto spesso le convenzioni la imprigionano; attraverso le pagine di un buon libro è possibile incontrare culture e lingue diverse e viaggiare con l’immaginazione in territori esotici e lontani, abbattendo la barriera del pregiudizio.

La lettura arricchisce il lessico, accresce la sensibilità, difende la democrazia, innaffia il terreno di un sistema di valori che altrimenti sarebbe arido e pericolosamente scarno per la nostra società.

La lettura rafforza il senso di appartenenza alla comunità umana e fa sì che tutti, a prescindere dall’orientamento politico, dall’etnia, dal credo religioso, possano incontrarsi a metà strada nel territorio apolitico, apolide e laico del sentimento, laddove gli uomini e le donne sono tutti uguali perché l’amore, il dolore, la tristezza, il lutto, lo sconforto, la gioia e la speranza non hanno colore, sesso o religione.

Seppur sospeso in uno spazio senza luogo e senza tempo, la letteratura è uno dei pochissimi luoghi in cui non trionfa la materia, ma lo spirito; la letteratura dà voce alla bellezza, alla passione, al sentimento.

D’altronde, è di questo che siamo fatti: carne, materia corruttibile e mortale, ma anche passione, ambizioni, sogni, pulsioni, amore per la bellezza.

Mi vengono in mente le parole pronunciate dall’indimenticabile Robin Williams ne L’Attimo fuggente, mentre veste i panni dell’agguerrito e appassionato Professor Keating: «non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi Leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita».

Spesso tendiamo a dimenticarlo, ma parole e idee possono davvero salvare il mondo.




Battlefront II: Fare non Provare!

Il gioco più atteso da tutti i fan di Star Wars è sugli scaffali e lo abbiamo giocato a fondo e sviscerato a dovere per portarvi la nostra opinione.

Battlefront 2 arriva a due anni di distanza dal primo capitolo uscito nel 2015 e corregge quasi tutti i difetti che aveva il suo predecessore e che avevano scontentato i fan.

L’introduzione di una campagna single player è la più importante delle aggiunte, della lunghezza di circa sei ore, durata tipica per uno sparatutto, la storia ci porta nei panni di un agente speciale dell’impero in una serie di livelli che coinvolgono l’uso di navi spaziali e alcuni dei più famosi eroi della saga.

Si tratta di un’esperienza intensa e divertente che farà riferimento a molti altri media del nuovo canone di Star Wars e che farà esaltare i fan della saga, ma che rimarrà comunque godibile anche per i neofiti.

Altra modalità offline è l’Arcade in cui ci si può cimentare in sfide o partite personalizzate contro il computer da soli o in schermo condiviso con un amico.

Menzione importante va al comparto multiplayer che questa volta mette a disposizione molti più pianeti, molti più veicoli, molti più personaggi e il tutto proveniente da tutte e tre le ere cinematografiche.

Nel multigiocatore sono inoltre presenti le battaglie spaziali con le iconiche astronavi, anche queste notevolmente migliorate nell’utilizzo e nella varietà dal precedente capitolo, che portano il giocatore a scontri al cardiopalma nel vuoto dello spazio e tra campi di asteroidi.

La sola nota negativa del multiplayer, e osiamo dire di tutto il gioco, è il sistema di progressione che blocca anche alcuni personaggi giocabili dietro alle così dette loot box.

Le loot box rappresentano un sistema di microtransazioni in-game che permette di ottenere premi e progredire velocemente pagando in denaro reale casse premio che altrimenti richiederebbero ore di gioco per essere guadagnate.

Si viene così a creare un evidente vantaggio in partita per chi è disposto a pagare rispetto a chi non vuole o non può farlo.

Questo è un problema largamente conosciuto dalla community online ed è talmente sentito che, a causa delle numerose lamentele dei giocatori, a distanza di poche ore dall’uscita EA è stata costretta a eliminare, temporaneamente, le microtransazioni dal gioco.

Non resta che sperare che il sistema di progressione venga migliorato con futuri aggiornamenti che introdurranno, tra l’altro, anche numerosi nuovi contenuti gratuiti per tener vivo il gioco negli anni a seguire.

http://betapress.it/index.php/2017/11/12/star-wars-una-nuova-trilogia-allorizzonte-lontano-lontano/

http://betapress.it/index.php/2017/10/28/trust-me-im-a-jedi/

http://betapress.it/index.php/2017/09/30/games-week-milano-al-centro-del-videogioco/

 

 




GIZMODROME

Stewart Copeland? Mark King? Adrian Belew? Vittorio Cosma?

No, eh? E se dicessi: THE POLICE? LEVEL 42? KING  KRIMSON? PREMIATA FORNERIA MARCONI?

Questi sono i GIZMODROME.

Copeland alla batteria e voce, King al basso, Belew alle chitarre e Cosma alle tastiere e piano.

Disco divertente il primo lavoro omonimo della Super Band voluta da Cosma&Copeland, dove gli assoluti ottimi musicisti che arrivano da esperienze e generi diversissimi tra loro hanno potuto sperimentare in assoluta naturalezza ed istintività.

Ascoltando i pezzi del disco si nota innanzitutto l’amicizia che aleggia tra i quattro big e già dalle prime tracce è evidente in ogni passaggio come le performance nascano innanzitutto dal desiderio di intrattenere ed allietare.

Registrato a Milano nello studio “Officine Meccaniche” di Mauro Pagani (ex P.F.M. e produttore di molti big della musica italiana dalla Nannini, a Ligabue, ai Timoria etc…) GIZMODROME è un prodotto riuscito, un prodotto volutamente senza fronzoli dove emergono in modo evidente le assolute qualità dei singoli.

Gli appassionati di Mark King troveranno un unico vero pezzo dove è evidente la tecnica slap del bassista dei LEVEL 42: “Spin this”, pezzo molto intrigante. L’ascoltatore poi non deve spaventarsi per la voce che nel disco è quella dell’ex POLICE Stewart Copeland, anche questo fa parte del gioco  GIZMODROME.

Una vera chicca è la presenza di Elio (ELIO E LE STORIE TESE) nell’ultima track “Zubatta Cheve” che definisce bene lo spirito goliardico del disco. Cosma in una recente intervista afferma: “la mancanza di committenza ci ha reso liberi, è una situazione da amici, non da supergruppo col fiato dei manager sul collo.

GIZMODROME è un parco giochi per musicisti che suonano in libertà”.

TRACKLIST
01. Zombies in the Mall – (03:59)
02. Stay Ready – (04:01)
03. Man in the Mountain – (03:43)
04. Summer’s Coming – (03:30)
05. Sweet Angels (Rule the World) – (02:56)
06. Amaka Pipa – (03:39)
07. Strange Things Happen – (02:55)
08. Ride Your Life – (03:43)
09. Zubatta Cheve – (04:01)
10. Spin This – (06:09)
11. I Know Too Much – (03:47)
12. Stark Naked – (04:03)

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=yh6ivWu9SLw&w=640&h=360]

 

Perth




Immagini digitali sempre più di qualità

Una grande e sempre crescente parte di tutti i bit che circolano per le autostrade di internet è costituita da immagini digitalizzate di alta qualità.

Circa il 99,44% delle immagini sono elaborate solo per divertimento,giochi e altre cose indicibili,tuttavia io voglio rivolgermi a quel 0,56% che ne ha bisogno per il proprio lavoro e quindi vorrei fare una panoramica sui vari formati di immagini.

 A COSA SERVE IL FORMATO GIF

GIF( Grafic Interchange Format) si adatta perfettamente alla capacità dello schermo di un personal computer, non più di 256 colori in una immagine e in genere una risoluzione video di 640×480 oppure 1024×768 pixel.

Dozzine di programmi commerciali  possono leggere e scrivere i file GIF, in particolare UNIX , con il  sistema X Window consente l’uso di pacchetti di programmi gratuiti ma il più utilizzato è Image Magick.

UN PO’ DI STORIA

Alcuni anni fa ,alcuni esperti di fotografia digitale si riunirono e decisero che era giunto il momento di avere un formato ufficiale standard per le fotografie digitalizzate in quanto i formati esistenti non erano sufficientemente rispondenti alle esigenze.

Dopo diversi studi e discussioni nacque JPEG( Joint Photographic Experts Group) il cui formato era specifico per memorizzare fotografie digitalizzate a colori e in bianco e nero.

Il Joint Photographic Experts Group è il Comitato misto fondato da Jim Judkins .

Visto che stiamo parlando di immagini digitalizzate forse vi state chiedendo  se gli archivi on-line contengono anche fotografie diciamo un po’ « spinte », rassicuratevi, non esistono.

Questo per due ragioni di cui una politica : le società e le università che danno i fondi alla maggior parte delle  posizioni su internet  non sono interessate ad essere accusate  di occuparsi di pornografia ne a riempire i loro costosi dischi con immagini che nulla hanno a che fare  con qualsiasi lavoro legittimo.

C’è un simpatico aneddoto che racconta che presso un archivio di una nota università americana, quando le immagini di Playboy scomparvero, furono sostituite da un messaggio che diceva : se siete in grado di spiegare perché avete bisogno di queste immagini per una ricerca accademica saremo lieti  di inserirle nuovamente.

La seconda ragione è pratica perché c’è sempre qualcuno che crea una propria  collezione privata di immagini a luci rosse che vengono diffuse in un lampo e con lo stesso lasso di tempo spariscono.

 

Salvo Esposito




PERGOLESI & CARAVAGGIO: LA PROVOCAZIONE DELLA BELLEZZA

I miei studi classici di pianoforte non hanno fatto di me un bravo interprete e un bravo esecutore, soprattutto per due motivi: il primo è che dopo anni passati a suonare Bach, Wagner, Beethooven ho avuto la repulsione per lo strumento a corde più famoso al mondo ed il secondo è che sin da piccolo ho sempre desiderato fondare una Hard Rock Band, scrivere musica originale e passare finalmente alla mia passione: la chitarra elettrica, passione che coltivo tuttora.

Ad onor del vero devo ringraziare i miei genitori perché solo dopo anni ho capito quanto importante sia stato il sudore versato tra solfeggi e tasti bianchi e neri che ha suscitato una passione forte per la musica in genere e, a piccole dosi, anche per la musica classica.

Oggi apprezzo molto, oltre ai classici succitati, compositori straordinari come Stravinskji, Ravel, Debussy, Bartók e attuali come Ludovico Einaudi e l’amico Remo Anzovino (è fresco di stampa il suo nuovo album “Nocturne” che consiglio vivamente ai lettori di BetaPress.it; n.d.a.).

L’incontro più bello e commovente l’ho avuto però con Giovanni Battista Draghi detto “Pergolesi” (Jesi, 4 gennaio 1710 – Pozzuoli, 16 marzo 1736) ad una presentazione di un quadro del più grande pittore di tutti i tempi: Michelangelo Merisi detto il “Caravaggio” (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610).

Il quadro in questione era “La morte della Vergine” e la musica di sottofondo l’ultima opera di Pergolesi, lo “Stabat Mater” (Pergolesi morì a soli 26 anni di tubercolosi; n.d.a.).

L’affinità e la simpatia provata durante l’esposizione del quadro per il binomio Caravaggio-Pergolesi mi ha spinto a conoscere più a fondo i due artisti e le loro opere.

Di Caravaggio potrei scrivere per ore (pur non essendo un critico d’arte; n.d.a.), ma mi limiterò a parlare del quadro in questione e dell’ultima opera di Pergolesi e di quella strana corrispondenza tra una delle più grandi meraviglie del pittore lombardo e dell’immensa melodia gregoriana del compositore campano.

Non posso negare che “La vocazione di San Matteo”, che ho contemplato più volte nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, è il quadro che preferisco in assoluto del Caravaggio ma “La morte della Vergine” a mio avviso è qualcosa di sublime!

I capolavori di Pergolesi e di Caravaggio furono commissionati da ordini e confraternite religiose.

Ne “La morte della Vergine” si narra che Caravaggio abbia utilizzato il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere qualche anno prima come modello per Maria.

Ci fu grande scandalo per il presunto squallore dell’opera che pareva non richiamare alla santità della Vergine, Caravaggio al contrario volle pensare ad un quadro in perfetto equilibrio tra religiosità, quotidianità e… provocazione!

Quella di Maria è una delle immagini morte più rivoluzionarie di tutta la storia dell’arte.

Diversamente da altre opere infatti, nella scena è assente ogni riferimento al sacro, e non c’è alcun indizio che possa suggerire il riconoscimento della Vergine.

Anche gli apostoli e gli altri protagonisti del quadro sono ritratti come dei semplici popolani, privi di aureola o di qualche particolare che li renda identificabili! Spettacolo!

Un tributo alla povertà non compreso dai Committenti (votati tra l’altro alla povertà; n.d.a.) ma soprattutto un messaggio fortissimo: la Madonna, secondo le testimonianze dei Vangeli morì anziana, guardando invece la donna ritratta di Caravaggio, sembra essere il contrario; una donna molto giovane simbolo della Chiesa immortale e con il ventre gonfio per simboleggiare la Grazia Divina che riempie la Vergine…un vero genio!!! Ma passiamo a Pergolesi, destino simile.

L’accusa maggiore, che fu mossa a Pergolesi dai suoi detrattori circa lo Stabat Mater, fu quella di aver musicato un testo sacro con una musica di carattere lirico e profaneggiante.

Per il compositore ci furono polemiche sia in patria che all’estero da parte di chi contestava che lo stile non fosse appropriato per una opera religiosa.

La provocazione di Pergolesi è di una bellezza e di una profondità uniche! Ogni strofa musicata della preghiera di Jacopone da Todi (la sequenza “Stabat Mater” è attribuita al religioso e poeta italiano Jacopone da Todi – III Secolo, venerato come beato della Chiesa Cattolica; n.d.a.) è affrontata con autenticità, schiettezza e profonda pregnanza, altro che profanazione! Stupore assoluto!

C’è una strana e piena sintonia tra i due capolavori del Caravaggio e del Pergolesi, una sintonia che mi ha colpito sin dal primo istante e che mi ha portato a riflettere sulla genialità dei due personaggi.

Vorrei invitare il lettore ad immedesimarsi con ciò che sto dicendo e, di fronte alle immagini del quadro del Caravaggio, con il sottofondo del componimento del giovanissimo Giovan Battista Pergolesi, verificare di persona quanto sia realmente palpabile la provocante Bellezza espressa dai due tra i più grandi talenti cui il nostro Paese ha dato i natali.

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=CVwne4YEN7A&w=640&h=360]

 

Perth




Il Tennis è Cool

A Milano vanno in scena i migliori 8 under21 del circuito; in realtà sono 7 più 1, ovvero la wild card concessa alla nazione ospitante: Gianluigi Quinzi, 21anni, ha dimostrato di meritarsela, non solo con le qualifiche, ma anche per l’ottima prestazione del giovedì pomeriggio contro il sudcoreano Chung.

“The future is now” è lo slogan presente nel padiglione che ospita l’evento e, sicuramente, di futuro li dentro ce n’è: a partire dai dai giocatori, che nei prossimi anni, con tutta probabilità, si giocheranno master 1000 e saranno protagonisti nei tornei dello Slam, fino al format della competizione, totalmente innovativo.

Ci saranno spunti interessanti.

Chi conosce il tennis è abituato a set che finiscono al sesto gioco vinto, settimo in caso di tie break; invece qui vince chi arriva a 4, punto.

Le partite però, si giocano 3 set su 5 come a Flashing Meadows o a Wimbledon, e non 2 su 3 come nella maggior parte dei Tornei.

Se la palla colpisce la rete in battuta, non si ripete proprio nulla. Meglio che cada nel settore giusto dall’altra parte della rete!

D’altronde anche il caso, o meglio la fortuna, vuole la sua parte.

Scompaiono anche i vantaggi; quando si è pari è colui che batte a scegliere la direzione ma, la vittoria o la sconfitta nel game, si giocano sul singolo punto.

Addio dubbi o punti contestati, “l’occhio di falco” segue ogni dritto e ogni rovescio, non si perde nulla e, su uno schermo, proietta inesorabile tutti i “close call”, i punti dove la palla si avvicina pericolosamente alla linea.

La possibilità di interagire con il coach, il tempo tra un punto e l’altro, quello per il riscaldamento e tanti altri aspetti, rendono il gioco veloce, ricco di colpi di scena e particolarmente avvincente.

La location, con tanto di DJ che movimenta il pubblico, la scarica elettrica in occasione di Break Point, la presentazione della partita e dei giocatori proiettano gli spettatori in campo, a sentirsi parte dello spettacolo che sta andando in scena.

Ritornando al motto “the future is now”, è indubbio che il formato è molto congeniale a chi non gioca a tennis, e magari non è in grado di apprezzare il gesto tecnico; ma allo stesso modo con dei cambi così repentini di risultato, richiede al giocatore in campo, per vincere, di dover uscire al meglio da molte più situazioni “on the edge”; questo genera colpi spettacolari, stimolando ancora di più il rischio.

Non penso che il numero di games giocati nella media sia particolarmente diverso da una partita 2 su 3 arrivando a 6 ma, sicuramente, le possibilità di vincerla o perderla aumentano di molto. Invece, quanto sia un vantaggio poter scegliere dove battere, rispetto al rischiare di perdere un punto senza perdere il game, bisognerebbe chiederlo a quelli che battono a 200km/h e non tanto a quelli, come chi vi scrive, che arrivano a malapena di là dalla rete.

Il cronometro tra un punto e l’altro, e nel riscaldamento, sicuramente aiuta a tenere alto il ritmo, generando spettacolo. Spettacolo è la parola chiave.

Al contrario, poter parlare con il coach, a mio modesto parere, è un’opzione più affine agli sport di squadra e, in questo caso, lascia un po’ il tempo che trova.

Esperimento riuscito dunque, portare a Milano il grande tennis.

Un’ottima opportunità colta dall’amministrazione regionale, che tanto sta facendo per lo sport.

L’esperimento per quanto riguarda le regole sta facendo discutere quindi, indipendentemente dalle applicazioni future, ha vinto la sua piccola sfida.

Certo non riseco a vedere il nuovo format sui prati di Wimbledon ma a Milano tutti hanno visto che il tennis è “cool”.

 




Nazionale Italiana: ripartiamo che forse è meglio…

ITALIA -SVEZIA: CADERE PER RIPARTIRE!

 

Un giorno che entra di diritto nella storia del calcio e lo fa per il peggior risultato della nazionale italiana a livello mondiale, dal 1958.

Era da sessant’anni infatti, dalla selezione guidata da Alfredo Foni, che l’Italia non mancava la qualificazione alla fase finale dei Campionati del Mondo e questa giornata dell’autunno milanese ha pareggiato questo triste record.

La Russia nel 2018 ospiterà la fase finale dei Campionati del Mondo di Calcio, ma senza l’Italia, senza quell’azzurro che fa sognare gli italiani.

Si usa spesso dire che in Italia ci siano sessanta milioni di allenatori ma il Commissario Tecnico che deve scegliere i convocati e i titolari è uno solo, solo in tutti i sensi, con tanta pressione sulle spalle data da quelle quattro stelle e da tutta la concorrenza. Alla fine si può fare bene o sbagliare, vincere, perdere o soprattutto pareggiare come contro la Svezia a San Siro.

Un pareggio che sancisce la fine del percorso mondiale e lascia tanta amarezza.

Con tutta sincerità non credo di avere le competenze tecniche per commentare le scelte di Gian Piero Ventura, troppo facile criticarlo ora.

Criticare i giocatori? Nemmeno!

Se sono stati convocati evidentemente erano e sono tra i migliori italiani a giocare a calcio, in molti non avrebbero saputo fare meglio.

Leggo anche dei commenti critici nei confronti del presidente Tavecchio e della FIGC, fanno sorridere.

La situazione del calcio è sotto gli occhi di tutti, da tempo, stadi mezzi vuoti, disaffezione e disinteresse, squadre che soffrono il confronto all’estero con capitali impareggiabili.

Le inglesi, le spagnole e alcune tedesche che la fanno da padrone in Europa e nel mondo.

Molte società hanno stadi non più funzionali e in alcuni casi inagibili mentre all’estero sorgono nuovi impianti innovativi e spettacolari.

La nazionale ha rispecchiato tutto questo nei suoi risultati.

All’inizio vinceva e non convinceva, quasi come se fossero le stelle sul petto a farci vincere più che il gioco sul campo, poi la palla ha deciso di non entrare più; tre goal nelle ultime cinque partite e lo 0-0 finale.

Non da Italia, quell’Italia che tutti vorrebbero vedere, quell’Italia che tutti sognano e che tutti vogliono nuovamente sul tetto del mondo.

Può sembrare un’impresa impossibile e sicuramente sarà difficile ma dopo il ’58 sono arrivati l’82 ed il 2006.

Vinceremo ancora il mondiale, ne sono sicuro, anche perché chi era allo stadio, ha visto uno spettacolo straordinario, non tanto in campo quanto sugli spalti, 73000 persone.

Lo stadio pieno, una rarità nell’ultimo periodo, una coreografia da brividi, l’inno italiano urlato da tutti, una squadra che è stata spinta verso la porta avversaria dal primo al 95esimo minuto.

Quando, dalle poltroncine della tribuna d’onore vedi che tutto attorno a te non si smette di cantare ed incitare allora capisci che, forse troppo tardi per i Mondiali in Russia, qualcosa è nuovamente cambiato.

Questa partita può essere davvero il punto di ripartenza per il calcio italiano.

Non lasciamo svanire il buono perché per tornare a vincere e convincere ci vogliono tutti: l’allenatore, i giocatori, i dirigenti ma anche i tifosi e con un tifo così si può davvero tornare grandi, è solo questione di tempo.

Forza Azzurri! Forza Italia!

 




Star Wars, una nuova trilogia all’orizzonte… lontano lontano.

Recentissimo è l’annuncio da parte di Disney di una nuova trilogia di film ambientata nell’universo di Star Wars.

A scriverla e a dirigere almeno il primo film sarà Rian Johnson, regista di Star wars: Gli ultimi Jedi; Disney e Lucas Film sono rimasti, infatti, talmente colpiti dal lavoro svolto in episodio 8, che hanno deciso di affidargli anche questo importante compito.

Per quanto riguarda la storia, ancora non si conoscono i particolari, si sa solamente che sarà scollegata dalle vicende degli Skywalker, e che a livello di ambientazione si vedranno angoli di galassia mai visti prima.

La data stimata per l’uscita del primo film è successiva al 2020: non ci resta che aspettare!!!

http://betapress.it/index.php/2017/10/28/trust-me-im-a-jedi/