ZFU, sarà un successo?

Tanti ritardi ma alla fine si parte.

 

Seguendo il modello francese delle “Zones Franches Urbaines” il MISE stanzia ulteriori 30 milioni di euro a favore di 10 Comuni per un provvedimento nell’ambito della politica di sviluppo e integrazione socio-economica di aree urbane svantaggiate, depresse e caratterizzate da fenomeni di ineguaglianza e esclusione sociale.

Tutto iniziò con la legge finanziaria del 2007 e 2008 in cui si stabilivano i fondi e i criteri per l’individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane e attraverso la quale soprattutto la Regione Sicilia ebbe modo di sperimentare in prima battuta lo strumento non di finanziamento ma di aiuto alle imprese.

Proprio da questa Regione possiamo trarre qualche spunto in previsione futura, infatti da una prima analisi dei dati siciliani notiamo subito che le ZFU dopo aver privilegiato un ruolo di attrattore imprenditoriale piuttosto che di riqualificazione sociale si è subito scontrata con la necessita di creare le infrastrutture utili allo sviluppo dell’impresa come il potenziamento dei trasporti e dei servizi collegati

Oltre al bisogno di ridurre i costi aerei e navali per consentire all’isola di competere alla pari con altre Regioni.

Oggi con il decreto 5 giugno 2017 (G.U. 2017) si compie un ulteriore passo in avanti nella ricerca di crescita del nostro PIL, infatti, seppure i risultati siciliani per ora lascino dei dubbi sui risultati ottenuti, è pur vero che se puntiamo la nostra attenzione sui precedenti risultati francesi, più consolidati vista la quasi ventennale esperienza, potremmo ben sperare.

Nei comuni e “arrondissement” francesi le aziende hanno aumentato i loro fatturati e hanno superato la crescita di ben 5 volte rispetto alla media delle loro concorrenti in ambito nazionale. Non è sicuramente la chiave di volta per la risoluzione dei problemi macroeconomici che attanagliano l’Italia ma è pur sempre un proseguo di una volontà politica che inizia a scommettere maggiormente sui comuni e sulle piccole e medie imprese.

Le agevolazioni consisteranno nell’esenzione dalle imposte sui redditi per 5 anni, nell’esenzione dall’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), nell’esenzione dell’IMU e nell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali.

Nei 10 Comuni interessati c’è anche Iglesias, uno dei comuni piu poveri d’Italia, ebbene se questa ZFU dara i risultati sperati si prospetta un nuovo futuro per il sud Sardegna e soprattutto per il Sulcis Iglesiente.

 

Francesco Melis




Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Si chiama Federica Brocchetti l’ex assistente parlamentare dell’Onorevole Mario Caruso che, attraverso il programma televisivo “Le Iene”, ha coraggiosamente sfidato il Parlamento italiano, denunciando pubblicamente di aver lavorato come portaborse per un anno e mezzo, senza un regolare contratto di lavoro e senza percepire alcun compenso economico per tutta la durata dell’incarico.

La giovane ha raccontato al microfono della iena Filippo Roma di aver intrapreso inizialmente uno stage non retribuito della durata di tre mesi, anche in questo caso senza la sottoscrizione di alcun contratto; poi, con la promessa di un regolare contratto di lavoro, reiterata più volte nel corso dell’anno, a Federica è stato proposto di continuare a svolgere l’attività di assistente parlamentare nei mesi successivi.

Dopo un anno e mezzo, però, non si era ancora concretizzato nulla e la ragazza ha deciso di denunciare gli imbrogli che si consumano nei palazzi del potere.

Ad accrescere l’ingiustizia del trattamento riservato alla Brocchetti interviene, poi, un particolare dal retrogusto fortemente sessista: mentre la ragazza lavorava per la gloria come portaborse, Fabrizio Rossi, figlio del sottosegretario alla difesa Domenico Rossi, risultava segnato in un regolare contratto di lavoro come assistente parlamentare dell’Onorevole Caruso.

Insomma, Federica Brocchetti lavorava “aggratis”, mentre Fabrizio Rossi percepiva un cospicuo stipendio, secondo contratto, per starsene a casa in panciolle.

Per avvalorare le sue testimonianze, la Brocchetti ha pensato bene di registrare un colloquio avuto con l’Onorevole Caruso, in cui chiedeva chiarimenti circa la posizione di Fabrizio Rossi e la conseguente impossibilità, per lei, di firmare un regolare contratto di lavoro.

Alla domanda «perché Fabrizio Rossi è segnato come suo assistente?», Caruso risponde di aver «fatto una cortesia al papà», ovvero al Generale Domenico Rossi, con cui Caruso condivide l’ufficio.

Domenico Rossi era già noto alla redazione de “Le Iene” che, qualche anno fa, aveva indagato sull’uso irregolare che il Generale faceva di un’auto blu del Ministero della Difesa, facendosi prelevare direttamente da casa o accompagnare allo stadio.

Che la Brocchetti si recasse in Parlamento per svolgere effettivamente delle mansioni impartitele dall’Onorevole Caruso e non per guardare le mosche, lo confermano alcuni messaggi che la ragazza ha conservato sul suo cellulare, in cui Caruso le chiedeva di presentarsi in ufficio a una certa ora, di correggere dei curriculum, di procurargli dei documenti, e così via.

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti, nel 2007, aveva promesso al microfono dello stesso Filippo Roma un regolamento che stabilisse che nessun portaborse potesse entrare nella Camera o in Senato senza un regolare contratto di lavoro e, in effetti, così è stato stabilito.

Ma quando si tratta di raggirare le leggi, si sa, Italians do it better.

Perciò, fatta la legge, trovato l’inganno: i portaborse possono comunque accedere alla Camera o al Senato anche senza contratto, utilizzando un badge ottenuto su richiesta del gruppo parlamentare.

Come hanno spiegato Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei deputati, e l’Onorevole Fraccaro, membro dell’Ufficio di presidenza della Camera, è necessario solamente che il capogruppo firmi un’autocertificazione in cui afferma che una determinata persona è «sua amica» per poterle rilasciare il tesserino; tuttavia per il capogruppo in questione c’è sempre il rischio di compromettersi penalmente.

«Non c’è un buco nel regolamento, ma una voragine», continua Di Maio.

Oltre al danno, anche la beffa per Federica Brocchetti, alla quale, subito dopo la messa in onda del servizio de “Le Iene”, è stato comunicato di non presentarsi più in ufficio.

Le è stato persino bloccato il tesserino e quando la ragazza ha provato ad entrare in Parlamento per recuperare alcuni oggetti personali, le è stato interdetto l’accesso.

Nessuno dei dipendenti ha manifestato la minima solidarietà nei confronti di Federica, una giovane ragazza che ha finalmente trovato il coraggio di denunciare le ingiustizie che si consumano in quei palazzi che dovrebbero essere il baluardo della giustizia.

Già, perché proprio nel luogo in cui si fanno le leggi, queste stesse leggi vengono quotidianamente raggirate e le vittime principali di questo sistema fallace sono spesso i portaborse, figure deboli pagate in nero o addirittura non retribuite.

Sono moltissime le testimonianze di assistenti parlamentari che affermano di ricevere soldi in nero e di vedersi ovviamente negati diritti come la maternità, la liquidazione e la tredicesima.

È ovvio che i parlamentari vogliono continuare a fare la cresta sulla voce “portaborse” del loro stipendio, ma solo quando i portaborse sono figli di nessuno, persone comuni.

Quando invece l’assistente parlamentare è figlio di o nipote di, stranamente, tutte le porte si spalancano, i liquidi non mancano e gli “onorevoli” dimostrano un’affabilità e una generosità senza precedenti.

Ciliegina sulla torta, l’Onorevole Caruso aveva anche fatto delle avances alla Brocchetti, prima durante una cena e poi tramite sms, quando, con il sex appeal di una carota lessa, le ha scritto «sono a casa, valuta tu cosa fare»; è proprio vero, la cavalleria è bella che morta.

Caruso ha confermato, sempre nel famoso colloquio registrato dalla Brocchetti, di averla invitata a trasformare il rapporto di lavoro in qualcosa di più…intimo.

Ma quando la Brocchetti gli ha confidato di aver temuto ripercussioni sul lavoro dopo il suo rifiuto, l’Onorevole l’ha consolata dicendole di non preoccuparsi perché «quelle erano due cose distinte e separate».

Vuoi vedere che Caruso si era innamorato della giovane assistente?

Nessuna meraviglia per questa notizia.

Sono cose che capitano, soprattutto in Italia, dove la meritocrazia, la trasparenza e la legalità, ormai, sono solo vagheggiate chimere.

Nella storia di Federica Brocchetti ci sono tutti gli ingredienti per raccontare l’ennesima ingiustizia all’italiana, fatta di favoritismi, violazioni del protocollo e, in questo caso, anche di squallore sessista.

La Brocchetti ha confidato al presidente della Camera Laura Boldrini, che ha voluto incontrarla per esprimerle la sua vicinanza, di temere che le alte personalità politiche coinvolte in questa vicenda che ha destato moltissimo scalpore al livello mediatico, possano farle terra bruciata intorno; ma la Boldrini l’ha rassicurata dicendosi colpita dal coraggio con cui la ragazza ha sfidato il Parlamento.

È proprio vero, coraggio invidiabile. Brava Federica Brocchetti, una ragazza brillante e intraprendente la cui determinazione rappresenta un ottimo esempio per le giovani donne di questo paese.




La filastrocca del Vicepreside

Il Vicepreside.

Ad ogni grado corrisponde un determinato ruolo, ad eccezione del Vicepreside.

Il Vicepreside è quella figura che lavora a prescindere se gli compete o meno.

Il Vicepreside è quella figura che dell’anzianità ne fa un proprio e invidiabile titolo di studio.

Il Vicepreside è quella figura chiamata sempre a spegnere focolai dove l’inesperienza e la sapienza creano disagi e dissapori.

Il Vicepreside è una sorta di ancora di salvezza per ognuno che ne chiede consiglio, a lui basta una parola o una telefonata per risolvere tutto.

Il Vicepreside sostituisce il Dirigente, ma il Dirigente non può sostituire il Vicepreside, il Vicepreside gestisce tutti i beni, ma tutti i beni non fanno un Vicepreside, il Vicepreside non sgrida i sottoposti, ma tutti possono sgridare il Vicepreside, si, perché il Vicepreside è stato abituato ad essere sgridato, gli altri no.

Essere Vicepreside è più complesso di quanto potrebbe intendersi, essere Vicepreside obbliga a comportarti sempre in un certo modo, non gli è concesso sbagliare, non gli è concesso fermarsi, non gli è più concessa voce in capitolo.

Però i doveri ad esso sono sempre attribuiti, lui vive di doveri, dopotutto il Vicepreside per gli altri ha sempre una buona parola, mentre a lui non è concessa neanche una pacca sulla spalla.

Il Vicepreside comunque ed in ogni caso, rimane quella figura che in sua assenza, ogni luogo diventa un inferno.




Gesù, hacker della comunicazione

Gesù parlava un linguaggio nuovo,sicuramente un grande esperto della comunicazione ed un innovatore culturale , in pratica potremmo chiamarlo con la terminologia attuale : un esperto hacker …

Non vorrei essere frainteso e neanche blasfemo ma riflettendo bene  l’hacker è colui che “si impegna ad affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte nei propri ambiti d’interesse”, non solo informatico.

In questa ottica, dunque, possono essere considerati hacker  tutti coloro che, ogni giorno, indipendentemente dalla loro professione, dal sesso o dalla loro età, provano ad andare più in là delle forme di conoscenza che appare agli occhi.

A differenza della religione, forse, il mondo hacker non impone l’ immaginazione di qualcosa  completamente astratto: lo sharing, l’open-source, la co-creazione, i processi creativi in crowdsourcing, figlie del Web 2.0, ne sono la prova vivente e visibile tutti i giorni sotto gli occhi di chi vive la Rete, e non solo.

Mi scappa di dire  che la Chiesa non è all’altezza del suo Fondatore perché con i suoi riti secolari e i messaggi ormai “vecchi” di amore, pace, fratellanza, povertà, castità (qualcuno non conosce nemmeno il significato di tali termini) sia lontana dalla società contemporanea, e quindi anche dalla sua espressione più evidente, i giovani, e dovrebbe attualizzarsi, rientrare nelle coordinate temporali.

Gesù storicamente  è divenuto la figura spartiacque della civiltà occidentale  e la sua umanità è stata spesso sottovalutata sia dai contestatori della religione cristiana sia dai difensori dei suoi dogmi.

La comprensione della sua persona e del suo messaggio spirituale, poi, è stata pesantemente condizionata da fattori politici ed economici, mi chiedo quanti Gesù oggi sono ancora vittime di questi due fattori.

Il termine hacker deriva dal verbo “to hack” e da qui, infatti, prende la sua duplice connotazione negativa e positiva: la prima, conosciuta ai più, è quella di colui che  colpisce con violenza” ( la mente ritorna alla cacciata dei mercanti del Tempio da parte di Gesù, la seconda invece, dietro la quale si nasconde un significato più ampio e complesso ed intorno alla quale aleggiano implicazioni etiche e filosofiche, Gesù il Messia…

Vorrei aprire una riflessione su due argomenti molto attuali:

  1. Cultura digitale cattolica

-La prima fase di studi dedicata al fenomeno ha inizio nel 1996, con la pubblicazione del primo articolo scientifico dedicato all’argomento, The Unknown God of the Internet, scritto da Stephen O’Leary e Brenda Brasher. Siamo nella seconda metà degli anni Novanta e i primi studiosi osservano internet come un nuovo spazio attraverso il quale le religioni possono  potenziare il loro messaggio oltre a esperire la propria religiosità.

– La seconda fase di studi ha inizio col nuovo millennio e ha tentato di comporre un’analisi sistematica del fenomeno, categorizzando le differenti comunità religiose apparse in rete.

– La terza e attuale fase di studio, può essere definita la “svolta teorica”. La comunità scientifica si sta infatti interrogando su come si ricostruiscano e negozino le diverse categorie religiose in rete: come si può ricreare una comunità religiosa online? Come si ricostruisce o come viene riconosciuta un’autorità religiosa sul web? Cosa viene definito sacro in rete e come può essere riprodotto un rito online? Come possono essere circoscritti tempi e spazi sacri su internet? Quali trasformazioni subisce la comunicazione religiosa in rete? Quanto può valere la celebrazione di una messa trasmessa on-line ?

Che cosa è la religione digitale?

La  mia  ricerca si concentra sul concetto di autorità nella cultura dei nuovi media. In particolare su come gruppi religiosi o individui costruiscano e rappresentino la loro autorità online e come nello specifico nuove forme di autorità o nuovi leader religiosi emergenti, possano sfidare le tradizionali istituzioni. Ci sono teologi che vogliono rendere il loro lavoro un po’ più pubblico e accessibile, i teologi blogger non fanno altro che riproporre online quella che è la loro autorità offline.

Al contrario ci sono persone che non hanno fatto il seminario, non hanno la dovuta preparazione, ma raccolgono intorno a sé persone con le quali condividono le stesse idee da discutere online.

È una pratica consentita esclusivamente dall’ambiente digitale. Ovviamente tra questi due gruppi si viene a creare tensione soprattutto su argomenti come chi ha l’autorità, i valori e la legittimità per dare certe interpretazioni in questo contesto teologico.

Internet sta cambiando il modo in cui le istituzioni religiose comunicano, ma sta cambiando anche il modo in cui le persone vivono la propria spiritualità?

Internet sta realmente potenziando l’individuo.

Nel campo della religione internet dà accesso a informazioni che un tempo si potevano avere solo frequentando il catechismo, o andando dal prete, o consultando dei libri;veicola insomma tante di quelle informazioni, che non c’è più bisogno di rivolgersi ai tradizionali intermediari.

Questo è ottimo per l’individuo, ma non per la comunità che vorrebbe mantenere i fedeli all’interno dei suoi confini e soprattutto dei confini delle sue idee. Perciò la teologia può diventare problematica, perché internet spinge a trattare tutto equamente e a muoversi in diversi posti, piuttosto che stare in uno solo.

  1. Cultura digitale diversamente cattolica

Vorrei fornire un nuovo e personale contributo che si genera dal pensiero creativo  tra il mondo cristiano e mondo hacker. Si tratta di uno sforzo nell’avvicinare due universi che, a prima vista, distano anni luce uno dall’altro, ma di qualcosa che, invece, è naturalmente presente, ma forse celato, da sempre.

Oggi l’azione pastorale non consiste  nel dare una  connotazione  digitale alla testimonianza cristiana  illudendosi che sia sufficiente adottare qualche nuovo strumento di comunicazione, qualche nuovo linguaggio per rendere l’azione pastorale più accattivante  ma si tratta piuttosto di abilitare questa cultura valorizzando la testimonianza cristiana che offre l’incontro tra la testimonianza storica di Gesù Cristo e una concreta esperienza di vita nella fraternità del suo mondo ecclesiale.

Gesù, a mio parere, era ultramoderno e digital-connesso, ciò nonostante ci ha tramandato l’insegnamento che non possiamo  vivere da soli, rinchiusi in noi stessi ma abbiamo bisogno di amare ed essere amati, abbiamo bisogno di tenerezza. Ci ha tramandato non solo la strategia di essere connessi ma l’dea della bellezza, la bontà e la verità della comunicazione.

Mi piacerebbe che i giovani usassero gli strumenti digitali per approfondire Gesù come primo hacker buono e ricercassero  nelle strade di internet la vera ragione del Suo essere  con una consapevole  riflessione sul fatto  che i social possono essere utilizzati per il bene della « comunità giovani e non solo » e non per alimentare il « Cyberfango mediadico ».

 

Salvo Esposito




Istituto Alberghiero Falcone di Gallarate: pubblicazione avviso bando gara

Istituto Superiore “Giovanni Falcone” Gallarate

BANDO DI GARA – CIG. 7218884B85

E’ indetta procedura aperta per la fornitura di generi alimentari vari di origine animale e vegetale, freschi e conservati occorrenti al servizio di ristorazione a ridotto impatto ambientale.

22 lotti importo complessivo per un triennio € 673.8000,00

Ricezione offerte 03/11/17 ore 12

Documentazione su www.isfalconegallarate.gov.it

In pubblicazione G.U.U.E. il 30/09/2017  – 2017S188-384787




Doxa: la scuola piace di più, ma gli Italiani studiano di meno…

Doxa: 9 italiani su 10 hanno un bel ricordo della scuola

A pochi giorni dalla riapertura delle scuole nel nostro Paese, la Doxa, principale ideatrice delle ricerche di mercato in Italia, ha recuperato dagli archivi una ricerca condotta ben venticinque anni fa, nel 1992, per avviarla nuovamente al fine di confrontare i risultati ottenuti in passato con quelli del presente e far luce su un tema poco discusso ma estremamente importante per ciascuno di noi: i ricordi delle esperienze vissute tra i banchi di scuola.

Attraverso questa ricerca è emerso che la maggior parte degli intervistati serba un ricordo relativamente positivo della propria esperienza scolastica.

Se nel 1992, infatti, il 6% degli intervistati aveva riferito di avere un ricordo negativo della propria esperienza scolastica elementare, media e superiore, per quanto concerne la scuola elementare, solo il 3.5% degli intervistati nel 2017 riferisce di averne un ricordo negativo, mentre appena il 4.5% confessa di avere un brutto ricordo delle scuole medie e superiori.

È evidente, dunque, che la percezione negativa, attualmente, è generalmente inferiore rispetto a quanto registrato un quarto di secolo fa.

Attraverso la ricerca della Doxa è emerso anche un altro dato interessante, cioè la grande importanza che ciascuno degli intervistati ha attribuito alla scuola per la formazione della propria personalità e del proprio bagaglio culturale ed esperienziale.

L’88% degli intervistati giudica fondamentale l’apporto della scuola superiore, definita una vera e propria «scuola di vita»; seguono le elementari con l’85% delle risposte positive.

I sostenitori delle scuole superiori sono soprattutto soggetti appartenenti alla generazione dei baby-boomers, ovvero gli over 55, oltre ai cosiddetti millenials, nati tra il 1979 e il 2000, mentre oltre la metà dei 30-35enni considera le scuole elementari più formative di medie e superiori.

Gran parte degli ex studenti italiani serba un ricordo complessivamente positivo della propria esperienza scolastica e per i futuri studenti, certo, la situazione non può che migliorare.

La scuola è cambiata, è stata travolta dal progresso tecnologico, ha dovuto aggiornarsi sulle più recenti teorie dell’apprendimento, ha mutuato i più innovativi modelli d’insegnamento.

Dall’ormai obsoleto registro cartaceo in cui incasellare i voti e le assenze con la biro, all’etereo registro elettronico da gestire e consultare in remoto; dalla mitica lavagna in ardesia, al suo corrispettivo elettronico e interattivo, la LIM; dalle piccole aule coi banchi addossati gli uni agli altri, alle aule ampie e ariose che possono contenere fino a trenta studenti; dalla calcolatrice al tablet; dalla Treccani ad Internet, sono state numerose le trasformazioni che hanno investito il mondo della didattica, riguardando da vicino sia i docenti che gli studenti e consentendo a questi ultimi, tra le altre cose, di svestire i panni di meri ascoltatori passivi dei prolissi sermoni dell’insegnante per partecipare attivamente al momento della spiegazione.

Oggi i docenti si impegnano per rendere le lezioni stimolanti e accattivanti, al fine di catturare e non perdere l’attenzione degli alunni. Ricordo perfettamente quando al liceo la mia insegnante di lettere ci sottoponeva suggestivi confronti tra una poesia di Leopardi e una canzone di Mogol e Battisti o ci svelava i riferimenti sessuali nascosti nel Gelsomino notturno di Pascoli, nel tentativo di attualizzare quanto più possibile un patrimonio letterario tanto vicino alla nostra sensibilità moderna, quanto difficile da presentare nel modo giusto a un gruppo consistente di adolescenti annoiati.

L’epoca del maestro intransigente, freddo e severo, che bacchetta poveri ragazzi terrorizzati in grembiule, è bella che finita.

Oggi ai docenti viene chiesto di essere aperti al dialogo e al confronto e la scuola millanta il ruolo precipuo rivestito nell’educazione dei giovani al pensiero critico, da krino che in greco significa “giudizio”, quindi “pensiero giudicante”.

A partire dal 2015 con la legge 107 (“La buona scuola”) sono stati attivati percorsi di alternanza scuola-lavoro per consentire agli studenti di superare più agevolmente il gap formativo esistente tra mondo accademico e mondo del lavoro, in termini di competenze e preparazione.

Insomma, la scuola ce la sta mettendo tutta per rendere l’apprendimento sempre più agevole e interessante per gli studenti e non mi sorprenderebbe se tra venticinque anni, a seguito di una nuova indagine condotta dalla Doxa, venisse fuori che il 100% degli intervistati serba un bel ricordo della propria esperienza scolastica.

Viene da chiedersi, però, quanto i giovani d’oggi siano disposti ad usufruire di questo confort didattico che aleggia nelle aule degli istituti scolastici senza adagiarvisi troppo comodamente, rischiando di addormentarsi e di perdere l’opportunità di formarsi e arricchirsi in un contesto sicuramente più incoraggiante rispetto al passato.

Le nuove generazioni, infatti, tendono spesso a trascurare l’importanza della cultura, la sua capacità di aprire la mente, di arricchire il cuore, e farsi motore della mobilità sociale.

Costantemente delusi, arrabbiati, mai contenti o soddisfatti di quello che hanno, sono purtroppo lo specchio della nostra arida società.

Li vedi seduti tra i banchi, imbronciati, con le lingue taglienti e la risposta sempre pronta, capaci di far vacillare anche un generale nella sua autorevolezza.

Talvolta aggressivi, spesso viziati, fanno i duri ma sono in realtà così fragili da scoraggiarsi alla prima difficoltà, iperprotetti e sollevati da qualsiasi responsabilità.

Quando rimproverati, non esitano a invocare l’intervento di mamma e papà per mettere a posto il povero docente che, esasperato, ha deciso di ricorrere alla sospensione; e mamma e papà si precipitano a scuola trafelati e infervorati per protestare contro il trattamento ingiusto riservato al proprio figlio, mettendo in discussione l’operato del docente e, perché no, improvvisandosi anche esperti pedagoghi pronti a muovere critiche sul suo metodo o sulla tipologia di tema propinato in classe.

I ricordi di scuola degli studenti saranno sicuramente positivi in futuro, ma possiamo dire lo stesso per gli insegnanti?

All’apertura al dialogo delle scuole, gli studenti e le loro famiglie hanno risposto in maniera ingiusta e irriconoscente, scambiando il tentativo di garantire condizioni più serene attraverso cui facilitare e rendere più accattivante l’apprendimento, col passo falso di chi abbassa la guardia.

 




Gli Italiani incapaci di andare all’estero.

Meglio disoccupato che lontano da casa…

L’Italia ha un grandissimo problema di “fuga di cervelli”, che secondo la Confindustria è il vero “spreco del Paese” capace di costare 14 miliardi l’anno.

Ma, non solo, l’Italia deve fare anche i conti con l’altra faccia della medaglia, il problema esatto contrario: gli italiani che, interrogati sul tema, dicono di non voler lavorare lontani da casa, anche a costo di restare disoccupati e di rinunciare alla carriera.

Secondo un sondaggio realizzato dall’Osservatorio mensile Findomestic con Doxa, infatti, quasi un lavoratore su due (46%) preferisce non allontanarsi da casa, anche a patto di restare disoccupato o non fare una progressione di carriera significativa. La comodità e la vicinanza agli affetti hanno la meglio sull’ambizione professionale.

E, come se non bastasse, solo due italiani su dieci rinuncerebbero all’Italia, ed andrebbero a vivere all’estero, pur di fare il lavoro dei propri sogni.

Fortunatamente, almeno,” tre italiani su quattro sono soddisfatti della vicinanza al proprio posto di lavoro”, dice l’Osservatorio.

Ma c’è di più: la Sicilia è al top tra oltre 200 regioni europee per l’alto tasso di giovani fra i 18 e i 24 anni che non studiano e non cercano lavoro, i cosiddetti Neet.

Il dato negativo dell’isola (41,4%) è inferiore solamente a quelli registrati per la Guyana francese (44,7%) e la regione bulgara di Severozapaden (46,5%).

Questo è quanto emerge dal Regional Yearbook 2017 pubblicato il 14 settembre da Eurostat.

Dunque, c’è un problema, nel problema…

Accanto ai giovani siciliani che non riescono a trovare una strada lavorativa nella propria terra, quelli per cui partire sembra l’unico modo, doloroso e drammatico, per costruirsi un futuro dignitoso, ci sono quelli che non fanno niente!!!

Se in Italia un giovane su quattro non lavora e non studia, e il dato è già di per sé desolante, in Sicilia la percentuale sale addirittura al 39,5 per cento: poco meno della metà della popolazione tra i 15 e i 29 anni non lavora e non studia.

Pessimi i dati in generale per tutto il Mezzogiorno. Al secondo posto la Campania con il 36,2 per cento, seguita dalla Calabria con il 35,8, ancora, la Puglia, la Sardegna, la Basilicata e il Molise, tutte al di sopra del 30 per cento.

Un baratro nero, se si pensa che in Europa ci sono regioni come i Paesi Bassi dove lo stesso tasso scende di quasi 20 punti!!!

Niente di nuovo sotto il sole, diremmo noi…

Ma, per quelli che lavorano, ritornando all’indagine Doxa, scopriamo anche altri aspetti del rapporto tra gli italiani ed il loro lavoro.

A cominciare da quello economico: in base ai dati raccolti da Findomestic, oltre un lavoratore su due (54%) si aspetterebbe di guadagnare di più.

La maggior parte giudica invece positivamente il clima lavorativo (76%) e la sicurezza del posto (66%). Si torna al 54% di quelli che non sono soddisfatti della coerenza dell’occupazione con il proprio percorso di studio.

Non stupisce, dunque, che la maggior parte dei lavoratori italiani (60%) abbia pensato almeno una volta di cambiare lavoro, soprattutto nella fascia fra i 35 e i 44 anni.

Inoltre, anche i dati sul rapporto tra l’impegno professionale e la qualità della vita, sono significativi: il 61% dei lavoratori italiani è soddisfatto dell’equilibrio che è riuscito a raggiungere tra lavoro e vita privata, ma i “molto soddisfatti” sono solo 1 su 10.

Come al solito, se potessero avere più tempo libero gli italiani lo utilizzerebbero per stare con la famiglia (50%), poi, per dedicarsi agli hobby (43%), per viaggiare (42%) ed infine, solo uno su quattro, per fare sport (28%).

Dal capitolo ‘benefit’ dell’Osservatorio Findomestic risulta, inoltre, che i lavoratori chiedono soprattutto buoni spesa per carburante, alimentari ed elettronica (40%), oltre a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (38%) e forme di assistenza sanitaria (35%), queste ultime desiderate soprattutto dalle donne.

E qui, altra anomalia italiana…

Se, stipendio e stabilità restano le voci principali (il primo è la variabile più importante per il 64% dei rispondenti, la seconda per il 42%) di tutti i lavoratori, maschi o femmine che siano, alcune differenze di genere sorgono tra uomini e donne, frutto probabilmente di un carico diverso che ancora separa le due categorie, una volta che si rientra nelle mura domestiche.

La flessibilità dell’orario di lavoro è più rilevante per queste ultime (35% contro il 26% degli uomini), mentre gli uomini dimostrano di dare più peso all’autonomia decisionale (31% contro 27% delle donne) e all’opportunità di fare carriera (17% contro 9% delle donne).

Come al solito, per le donne italiane, il lavoro c’è sempre e comunque, a casa!!!

 

Antonella Ferrari




Banca Intesa al Games Week

Unica Banca presente al Games Week di Milano è stata Banca Intesa, due grandi stand per stare vicino ai giovani.

Molto interessante l’iniziativa carta Flash su misura, ove per tutti i partecipanti era possibile ricevere una carta flash con la fotografia personalizzata.

 




Games Week: Milano al centro del videogioco

Si svolge in questi giorni la manifestazione del videogioco più importante in Italia, tre giorni di passione per i videogiocatori di tutte le età.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Giocatori hanno preso d’assalto i saloni della manifestazione fin dalle prime ore del mattino, riempiendo tutti gli stand.

I titoli più richiesti erano Battelefront II, l’acclamato seguito del primo gioco sulla saga di Star Wars, WWII rievocazione della seconda guerra mondiale, Destiny 2, gioco futuristico Destiny 2 è un videogioco sparatutto sviluppato da Bungie con l’assistenza di Vicarious Visions e High Moon Studios, sequel dello Shared World Shooter (“sparatutto a mondo condiviso”) Destiny e delle sue espansioni. Il gioco era stato originariamente annunciato per l’8 settembre 2017, salvo poi essere anticipato al 6 settembre su console per evitare di sovraccaricare i server nel weekend di lancio. La versione PC sarà disponibile dal 24 ottobre 2017 e verrà distribuita esclusivamente su Battle.net, la piattaforma online di Blizzard.

 

Anche  giochi automobilistici hanno attirato molto l’attenzione dei Fan, che non erano solo ragazzi, ma anche ragazze interessate ed attente alle novità del settore.




Solitudine per regalo di compleanno? Meglio un ricovero…

Argentina: si fa ricoverare in ospedale per non trascorrere il compleanno da solo

Qualche giorno fa, in Argentina, un anziano signore di nome Oscar ha subito un ricovero presso l’ospedale regionale “Bahia Blanca” di Buenos Aires, lamentando una presunta cefalea. Alcune ore dopo, però, il signore ha trovato il coraggio di confessare alle infermiere in servizio di non avere in realtà alcuna cefalea, ma di soffrire di un male non meno doloroso, tristemente caratteristico della nostra epoca: la solitudine.

L’uomo aveva, infatti, richiesto il ricovero in ospedale solo per poter trascorrere in compagnia il suo ottantaquattresimo compleanno.

Da quattro lunghi anni viveva completamente solo nella sua abitazione, avendo perso la moglie, con cui non aveva avuto figli, e tutti e tre i fratelli maggiori, l’unica famiglia che gli era rimasta.

L’episodio è stato riportato su Facebook dall’infermiera Gisel Rach la quale ha raccontato di aver organizzato insieme alle colleghe una piccola festa improvvisata per il compleanno di Oscar, con tanto di torta e palloncini ricavati dai guanti in lattice: «si è recato alla guardia medica per una “cefalea” e lo scrivo tra virgolette perché sapete qual era la sua vera malattia?

Oggi compie 84 anni e non voleva stare da solo.

Sì, proprio quello che avete letto. Scommetto che vi si è stretto il cuore come è successo a me e ai miei colleghi».

Gisel ha indubbiamente ragione: il cuore si stringerebbe a chiunque leggesse di questa notizia, soprattutto se si pensa alla triste realtà che questo episodio mette in luce e quindi a quanti anziani nel mondo versano nelle stesse condizioni di Oscar, soli e abbandonati a se stessi.

In una società che è stata completamente sopraffatta dal ritmo del successo e dal superamento dei valori tradizionali, sempre più spesso gli anziani vivono in uno stato di disinteresse generale, ai margini della compagine sociale, talvolta in balia del proprio destino.

Nella nostra epoca, infatti, sono carenti le strutture sociali e si è decisamente indebolito il valore della famiglia, dopo la trasformazione che l’ha vista protagonista negli ultimi decenni, con il passaggio dal modello di famiglia allargata, in cui i nonni rappresentavano un punto di riferimento, a quello di famiglia nucleare.

Inoltre, con la crisi dello Stato, è entrata in crisi quell’entità che sembrava garantire ai singoli individui la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo; il tessuto sociale si è sfaldato e regna sovrano un individualismo senza precedenti, figurarsi se qualcuno ha ancora del tempo da riservare agli anziani.

La nostra epoca ha vomitato la sua anima gentile e generosa e il prodotto di questo rigurgito è una collettività asettica, che si preoccupa di difendere i profitti piuttosto che i più deboli.

La promiscuità consumistica della nostra società ci spinge a desiderare sempre il nuovo, svalutando tutto ciò che è considerato agée e in questo modo non fa che alimentare la triste sensazione di impotenza, il sentimento di inutilità che spesso deprime gli anziani, costretti a farsi da parte in un mondo che ormai sembra non aver più bisogno di loro, nemmeno per ricevere dei consigli.

Dimentichi del valore della saggezza, abbiamo smesso di interrogare la loro vetusta memoria di uomini e donne scampati a terribili guerre, di protagonisti di rivoluzioni, di giovani sposi che sono riusciti a far durare i matrimoni per secoli.

Noi che le guerre e le rivoluzioni le abbiamo viste solo in tv e che abbiamo reso i legami precari, liquidi e scivolosi come l’olio; e loro, che hanno vissuto meglio, quando si stava peggio ma c’erano ancora speranze; quando ci si doveva ancora scontrare con la perfidia di un mondo bugiardo, tanto promettente, quanto arido di possibilità; quando la promessa di un’infinita espansione economica non era ancora stata soppiantata dalla crisi finanziaria più lunga e devastante della storia e il sogno di volare sotto cieli tranquilli non aveva ancora ceduto il passo allo spettro di esplosioni e schianti che si propaga nelle fusoliere degli aerei ogniqualvolta un passeggero di religione musulmana prende posto a sedere.

Sarebbe bello, sarebbe utile rubar loro qualche segreto per addolcire poco poco l’amarezza del presente, per riappropriarsi di quei valori che abbiamo irrimediabilmente perduto, per tornare ad apprezzare le cose semplici, per vivere in un mondo onesto, pulito e genuino.

Probabilmente ci impegneremmo nuovamente per ricostruire uno Stato assistenziale che sia capace di fornire supporto alle famiglie, affinché ci si possa occupare di nuovo attivamente dei propri figli e dei propri genitori, senza dover ricorrere a 3 babysitter e 5 badanti, che altro non sono se non il modo con cui sopperire all’assenza dello Stato.

In Italia il “Fondo nazionale per le politiche sociali” (FNPS), che è il primo canale di finanziamento della rete integrata di interventi e servizi sociali, continua a subire sforbiciate e nel frattempo gli anziani giacciono dimenticati nelle loro abitazioni o nelle case di riposo, vivendo di pensioni sempre più taglieggiate da uno Stato ingrato.

Le Regioni sono state chiamate al risparmio per contribuire all’equilibrio di bilancio e, ovviamente, i risparmi hanno inciso anche sul FNPS, che nel 2017 ha perso ben 211 milioni sui 311,58 stanziati nell’ottobre 2016, mentre 50 milioni sono stati tagliati al Fondo non autosufficienze; si tratta di soldi che servono a finanziare, ad esempio, gli asili nido, gli interventi di sostegno al reddito per le famiglie meno abbienti, l’assistenza domiciliare, i centri antiviolenza e il sostegno a disabili gravissimi e anziani.

Ma se i tagli continuano a ridimensionare il portafogli del welfare state, riusciremo mai a trovare soluzioni per garantire una maggiore efficienza delle politiche sociali?

Oggi si parla addirittura di sandwich generation, di generazione-panino i cui membri si trovano schiacciati come sottilette tra l’età avanzata in cui si sceglie di avere un figlio e il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione.

Proprio così, “schiacciati”. I bambini arrivano tardi e l’aspettativa di vita si è notevolmente allungata, così a quarantacinque anni ti ritrovi a barcamenarti tra i bisogni di tuo figlio di 5 anni e i bisogni dei tuoi genitori di 80, una vera e propria impresa se i turni di lavoro sono alienanti, i soldi pochi, e la vita si svolge sempre così frenetica, in un mondo governato dalla mercatocrazia. Lo Stato non interviene e i cittadini sono soli con i propri problemi.

Uno dei valori precipui nell’antica Roma era la pietas, un termine che designava, oltre alla devozione religiosa, la virtuosa commistione di senso del dovere, rispetto e affetto nei confronti della famiglia, della patria e degli amici ed emblematica era l’immagine del mitico eroe Enea che, fuggendo dalla città di Troia in fiamme, assunse su di sé il peso del padre Anchise, caricandoselo sulle spalle per portarlo in salvo.

Ma noi, oggi, siamo ancora disposti a rallentare la nostra corsa sfrenata verso il nulla e a caricarci sulle spalle il peso delle nostre responsabilità?

Per il momento ci sono troppi Oscar e pochi Enea, ma per fortuna ci sono anche tante belle persone come Gisel Rach e le sue colleghe.