Educare la Mente, il Corpo e lo Spirito, oggi qualcuno ne è ancora capace?

ANCODIS ci invia uno dei suoi significativi comunicati stampa che Noi di Betapress pubblichiamo sempre volentieri perché ci da modo di fare alcune riflessioni sul tema.

Educare, in generale, promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e delle qualità morali di una persona, specialmente di giovane età, tipicamente i figli.

Ma oggi chi è in grado ancora di farlo? Diciamo che gli ultimi esempi riportati dai quotidiani non sono certo edificanti, ma confidiamo anche nel fatto che la notizia cattiva è una parte delle notizie buone che comunque i quotidiani non riportano.

Eppure un peggioramento dell’educazione c’è, è evidente nelle strade, nelle voci dei giovani, nel gergo spesso sboccato e volgare, nei comportamenti incivili e bifolchi dei ragazzi e delle ragazze, nella sguaiatezza degli atteggiamenti e nella palese ignoranza, non forse aneddotica, ma certamente metodologica.

Eppure noi ci meravigliamo ancora dei ragazzi maleducati, ci chiediamo come sia possibile che si possa essere così maleducati

Tutto questo accade per colpa dell’incapacità generazionale di reggere il cambiamento, il senso di inadeguatezza genitoriale di fronte alla richiesta di chiarimenti dei figli, ed anche al senso di colpa per il distacco tra essere padri e madri ed essere lavoratori, che questo paese ha subito begli ultimi trent’anni.

Un crollo dello spazio famiglia che prima era contenitore valoriale ed oggi invece è campo di contese spesso non solo dialettiche, spazio famiglia che prima conteneva valori di generazioni differenti, con i relativi confronti, oggi è solo centro di esplosione e saturazione di mefitici veleni genitoriali.

Separazioni, diatribe portate sui figli quasi come scusante della mancanza di capacità genitoriali, televisione utilizzata come anestetico giovanile, poca voglia di confrontarsi…

La Scuola sempre più in difficoltà, troppo carica di amenicoli amministrativi, formazioni su argomenti più o meno utili, PON, sigle assurde, sindacati inadatti al loro ruolo, ed ora anche genitori in cerca di riscossa con i loro figli, quasi che scatenarsi contro i professori sia ormai l’unico modo per farsi riconoscere il ruolo genitoriale dai figli.

Figli, che non essendo del tutto cretini, ma maleducati, si approfittano di questa debolezza genitoriale per scappare dalle loro responsabilità, dimostrando ancora di più la stupidità dei loro genitori.

A questo punto per maleducati e stupidi è fin troppo facile prendersela con i professori, perché, ricordiamo che fra un intelligente ed uno stupido vincerà sempre lo stupido, perché l’intelligente si pone sempre in discussione, lo stupido no.

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ANCODIS lancia la petizione contro la violenza verso i docenti da parte di alunni e genitori.

Il quotidiano ripetersi delle azioni e l’aggravarsi delle forme di violenza fisica e verbale nei confronti dei docenti impone alle Istituzioni la massima attenzione.

I docenti sembrano essere diventati ormai da alcuni anni l’anello debole del sistema scolastico: alunni e genitori ormai non ne riconosco più il ruolo sociale e quotidianamente registriamo azioni violente, intimidazioni, fino ad arrivare alle riprese video che poi vengono diffuse nei social media. Dobbiamo porre un freno a tutto questo degrado!

Non possiamo continuare a parlare di scuola quale luogo di formazione e di educazione e poi registrare quotidianamente oltraggi e volgari attacchi all’Istituzione ed ai suoi operatori (collaboratori scolastici, docenti, Collaboratori dei Ds).

Sembra ormai essere divenuta una “normalità” sentire/leggere attraverso gli organi di stampa il ripetersi di violenze fisiche o intimidazioni verso docenti che appaiono deboli, impotenti e indifesi di fronte ad alunni e genitori che ritengono di affrontare e risolvere le situazioni problematiche con la violenza piuttosto che con la forza del confronto e del dialogo.

Purtroppo, non esistono più aree franche: c’è la quotidiana sensazione di lavorare in un ambiente nel quale l’aggressione verbale degli alunni è quotidiana routine mentre è da mettere tra le possibilità quella fisica di genitori ed alunni.

E non possiamo non rilevare come in questo ultimo decennio l’Istituzione Scolastica è stata indebolita da attacchi (fuoco amico!) fondati su volgari pregiudizi che hanno scardinato il ruolo educativo e formativo proprio di una comunità scolastica.

Per questo ANCODIS avanza una proposta che si preoccupa sia della tutela di chi – nei diversi ruoli – presta il proprio servizio in favore dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti sia alla tutela dell’Istituzione stessa.

E’ ormai stato raggiunto il livello di guardia!

Siamo davvero preoccupati di quanto leggiamo quotidianamente e, dunque, sottoponiamo ai rappresentanti delle Istituzioni, ai DS, agli operatori scolastici la seguente petizione che vuole provare ad alzare un argine alla crescente sensazione di insicurezza e dare un segnale di massima attenzione a livello giuridico.

PETIZIONE

ANCODIS – per le suddette considerazioni – chiede ai Rappresentanti di tutte le Istituzioni di:

  1. Rendere più grave il reato di oltraggio a pubblico ufficiale nella scuola proprio per la sua specificità (luogo di formazione e di educazione) e per la presenza di minori (spesso queste aggressioni avvengono in presenza di minori che subiscono turbamenti psicologici);

  2. Risarcire il docente vittima di aggressione fisica – sulla base dei danni biologico e morale rilevati – con una specifica indennità economica ed un riconoscimento giuridico da valere nella progressione di carriera;

  3. Risarcire l’Istituzione Scolastica – anch’essa vittima dell’aggressione – sulla base del danno cagionato alla sua immagine;

  4. Determinare una forma di “D.A.SCO.” (Divieto di Accedere alle manifestazioni SCOlastiche) temporaneo per alunni e permanente per i genitori violenti a tutela della serenità dell’ambiente scolastico;

  5. Obbligare alla costituzione di parte civile per legge del MIUR e dell’Istituzione Scolastica in sede di processo penale;

  6. Prevedere – nel caso di gravi violenze verbali da parte di un alunno – il temporaneo affidamento ad Enti di volontariato riconosciuti e presenti nel territorio per favorire un processo di riflessione e di recupero educativo.

Non possiamo più aspettare: si rischia una deriva sociale che toglie dignità ai docenti, sottrae autorevolezza alle istituzioni scolastiche, favorisce il misconoscimento del valore educativo del sistema scolastico italiano.

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Carla Federica Spoleti, Presidente ANCODIS Roma




Apparenze: finalmente i Nomadi.

I Nomadi sempre con Noi.

Oggi a Bassano Bresciano si svolge la manifestazione incontro con i Nomadi, grazie alla Tribute Band Apparenze, capitanata da Stefano Motti, voce, Carlo Corti, Basso, Fabrizio Bresciani, tastiere, Gianluca Papani, chitarra e Carmine Carbone, batteria.

La manifestazione ha visto il saluto del Sindaco di Bassano Bresciano che si è dichiarato fan dei Nomadi da sempre, mentre l’organizzatore Piergiorgio Brichese con orgoglio rappresenta l’ottima riuscita di questa terza edizione dell’incontro con i Nomadi grazie alla tribute band apparenze, con l’occasione sono arrivati anche Yuri Cilloni e Bebbe Carletti che hanno rallegrato la giornata di centinaia di fans presenti.

Il nuovo lavoro dei Nomadi, Nomadi dentro, è veramente entusiasmante, carico di echi emotivi e di particolari essenze musicali.

Il pomeriggio è stato rallegrato dalla performance della Band Apparenze che ha magistralmente interpretato le migliori canzoni della storia dei Nomadi, entusiasmando i presenti con l’interpretazione di Tutto a Posto, che ha scatenato un applauso infinito.

 

 




Sulle ALI dell’autoironia: Io mi libro di Alessandro Pagani

Per il suo nuovo libro, Alessandro Pagani non avrebbe potuto scegliere un titolo più emblematico: Io mi libro (96, rue de-La-Fontaine, Torino 2017, pp. 78) è una raccolta di 500 freddure, battute umoristiche, modi di dire, doppi sensi e giochi di parole che, con delicata ironia, scherniscono la nostra piccola epica quotidiana, insistendo sulle situazioni più comiche e grottesche in cui spesso capita di imbattersi.

Alessandro Pagani, con un procedimento formale che ricorda il fulmen in clausulam  degli epigrammi di Marziale, adopera la scrittura aforismatica come strumento attraverso cui condurre il lettore a un’autoironica riflessione su se stesso, sui propri limiti e sui lati più bizzarri e tragicomici della propria esistenza, al fine di esorcizzarli e superarli con la leggerezza tipica del riso, necessaria e vitale per non lasciarsi sopraffare dalla tristezza, per svincolarsi temporaneamente da quell’eccessiva serietà con cui l’uomo ha condizionato se stesso e la propria natura, soffocandone il lato più vivace, spensierato e frizzante.

Io mi libro è una critica originale e pungente alla tendenza che tutti noi abbiamo a prenderci troppo sul serio, a lasciarci travolgere dal pessimismo e dalla negatività e, soprattutto, a ingigantire ogni singolo problema, anche il più minuscolo, perché incapaci di riderci su, di pensarlo con la leggerezza dell’autoironia e di perdonare i nostri errori.

L’approccio di Pagani al riso si condensa in una profonda e rispettosa consapevolezza dello straordinario potere insito in questo sentimento, e si inserisce nel solco tracciato dai grandi maestri della filosofia e della letteratura moderna e contemporanea, come Leopardi, Bergson e Pirandello, tutti e tre accomunati dalla convinzione che non vi sia «nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano» e che il riso sia una prerogativa esclusiva dell’essere umano, perché il solo dotato di ragione tra gli esseri viventi.

Il riso, infatti, si concretizza come il risultato di una riflessione, talvolta amara, sulla propria condizione e su quella altrui e la grandezza del suo potere consiste nell’ottenimento, a seguito di questa riflessione, di una maggiore consapevolezza della vanità dell’esistenza e delle cose, dei limiti della natura umana, della sua perfettibilità e imperfezione, della sua delicatezza, con la conseguente sensazione di sentirsi parte di una grande famiglia di individui che sbagliano, inciampano in situazioni imbarazzanti, vengono travolti dai problemi, ma trovano sempre il coraggio di sdrammatizzare, di ridere delle proprie fragilità, di superare ogni situazione tragica o comica che sia, con leggerezza e autoironia.

Gli strumenti adottati da Alessandro Pagani per far luce sui paradossi della nostra vita sono i paradossi della nostra lingua: ossimori, giochi di parole, doppi sensi, casi di omografia, omofonia e omonimia linguistiche, vengono adoperati dall’autore per schernire la modernità e le sue peculiari passioni, come quella per i programmi di cucina e per i cuochi, rappresentanti di una nuova generazione di artisti nell’epoca del divismo minore di massa, in cui in tutto il mondo la filosofia, la pittura e la letteratura stanno cedendo il posto alla gastronomia («Decine e decine di aspiranti chef in tv: il pressa-cuochismo»); oppure quella per i talent show e per i reality, sempre più trash e volgari, in una società che ha un’insaziabile ‘fame di fama’, direbbe Pagani, ossessionata dalla voglia di farsi notare e accaparrarsi i celeberrimi quindici minuti di celebrità, anche solo virtualmente sui social network, anche se l’unico talento che si possiede è quello di essere figlio di una personaggio talentuoso («Nuovo contest in arrivo che vedrà sfidarsi figli d’arte. Talent padre, talent figlio»; CHIESA SOCIAL: Scambiatevi un segno: ? mi piace).

Ci sono, poi, frasi che giocano con le parole e frasi che giocano con proverbi e modi di dire tipici della nostra lingua.

Tra le pagine di Io mi libro, l’autore sperimenta l’infinita produttività del linguaggio verbale umano, combinando le parole con la stessa creatività di un musicista che combina le note musicali per ottenere le più svariate e originali melodie o di un pittore che miscela i colori per creare nuove sfumature.

Giocando con grande maestria con il significato letterale e quello metaforico delle parole, Pagani allestisce un carosello linguistico attraverso cui esplorare l’enorme complessità della lingua italiana e le diverse sfaccettature dei suoi lemmi, sfruttando i paradossi linguistici come gli ossimori e gli omonimi per fare il verso ai paradossi quotidiani.

Come a chiudere il cerchio, Alessandro Pagani decide di collocare alla fine di un lavoro intitolato Io mi libro, un breve testo di kafkiana memoria, dal titolo Piccolo racconto onirico, in cui racconta di aver sognato di librarsi in volo, sfruttando il candido e folto piumaggio delle ali di cui, a seguito di una metamorfosi notturna, si ritrova dotato.

Volteggiando tra le nuvole sui tetti di Firenze e sui luoghi della sua giovinezza, Pagani s’interroga sul perché, da sempre, l’uomo sogna di volare: forse per osservare il mondo dall’alto, per alleggerire la propria esistenza osservando le cose da un altro punto di vista e dimenticarsi per un attimo di essere così prevedibili e attaccati alle cose terrene, così pesanti e seriosi.

Pagani accompagna il lettore sino all’uscio del racconto, disseminando tra le pagine del libro una serie di curiosi e accattivanti indizi linguistici, sotto forma di allitterazioni e anafore dello stesso gruppo sillabico, “ALI”, segnalato graficamente in tondo maiuscolo (ad es. ‘reALI’, verbALI’, ‘ALIbi’ e così via).

Una volta varcata la soglia, il lettore si sentirà in grado di continuare da solo la restante parte del viaggio, per approdare all’ultima pagina del racconto con la consapevolezza di aver trovato in quel gruppo sillabico in maiuscolo che volteggia come un uccello tra le pagine del libro, l’ultimo elemento necessario a completare il significato del lavoro di Alessandro Pagani: Io mi libro è un omaggio delicato e brillante allo straordinario potere della lettura che consente all’uomo che sogna di volare, di librarsi in volo anche senza ali.

 




FISH

Chi non ricorda Torch Song o Keyleigh enormi successi degli ultimi anni ’80 firmati Marillion? Gruppi immortali come Pink Floyd, Genesis, Jethro Tull, Yes e tutti i pionieri del Prog Rock hanno “lanciato” circa un decennio più tardi una band inglese capitanata dal mastodontico Fish (quasi due metri d’altezza ed un peso che si aggira sui 140 kg; n.d.a.): i Marillion.

Una voce particolare, molto calda che a tratti ricorda Peter Gabriel, Fish ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica Prog fin dai tempi dei primi quattro capolavori: Script for a Jester’s Tear, Fugazi (acronimo di “Fucked Up, Got Ambushed, Zipped In”, “fottuto, preso in imboscata, bloccato”, espressione slang dei soldati statunitensi durante la guerra del Vietnam; n.d.a.), Misplaced Childhood e Clutching at Straws.

Compositore e Songwriter raffinato che ha tratto spunto dalla realtà personale cantando l’infanzia difficile, gli insuccessi amari e gli amori impossibili, con accurata introspezione ha rifiutato sin dagli albori della carriera i clichè da Rockstar e le imposizioni metriche delle etichette discografiche.

Durante un’intervista una decina di anni fa, durante la promozione di 13th Star, nono album da solista di Fish, alla domanda: «…da trent’anni lei scrive, produce e canta, come si è evoluta la scena rock in tutto questo tempo? » la risposta, una perla: «E’ evoluta, si, ma in negativo…c’è così tanta merda musicale (testuali parole “Shit Music”; n.d.a.) che passa per radio, musica fatta di plastica senza che batta un cuore all’interno di essa. Io continuo ad amare la musica degli anni 70, quella con la quale sono cresciuto».

Fish ha prodotto da solista 10 album di uno spessore compositivo eccezionale.

La sofferenza per le alterne vicende sentimentali e per la salute cagionevole mostrano una sensibilità fuori dal comune che nel corso degli anni ha portato ad una maturazione evidente nei lavori in studio, album unici ed irripetibili pieni di poesia e supportati dall’ugola inconfondibile e dal carisma di un’autentica leggenda del progressive rock.

Mi permetto di consigliare ai lettori di BetaPress.it due album in particolare: Vigil in a Wilderness of Mirrors del 1990, forse l’unico di matrice Marillion e Fellini Days del 2001, tributo al famoso regista ed alla sua Roma.

Per quanto riguarda l’antica band di Fish, i Marillion, dal 1990 hanno continuato a suonare dal vivo ed a produrre album con Steve Hogarth alla voce ed il resto della formazione originale (il chitarrista – e leader della band – Steve Rothery, Pete Trewavas al basso, Mark Kelly alle tastiere e Ian Mosley alla batteria) ed hanno recentemente  pubblicato il loro diciottesimo album in studio “Fuck Everyone and Run (F E A R)”.

Ho seguito “a singhiozzo” l’attività degli ultimi decenni della band forse anche a causa della simpatia e della stima che ho avuto e nutro tuttora per Fish e… per l’antipatia provata in più occasioni per Steve Rothery!

Un esempio? Due recenti interviste a Fish e a Rothery!

Steve (Rothery), cosa accadde quando vi separaste da Fish? «Non so perché, ma non ci preoccupammo per nulla quando Fish se ne andò, anzi! ».

Fish, che rapporto hai oggi con Steve Rothery e gli altri tuoi ex compagni dei Marillion? «Preferisco solitamente non rispondere perchè vengo spesso frainteso. Scherzi a parte sono in buoni rapporti con Steve e i ragazzi! »

 

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Perth