San Filippo Neri: proteggi tu la scuola…

Quando meno te l’aspetti …

Quando meno te l’aspetti, guardi il calendario e scopri che c’è pure un santo protettore degli insegnanti, precisamente San Filippo Neri, un nobile originario di Firenze vissuto tra il 1515 ed il 1595 che, dopo essersi trasferito a Roma, era diventato sacerdote, ma soprattutto insegnante.

L’iconografia classica ci rimanda il profilo di un uomo benevolo, sempre disposto a schierarsi dalla parte dei deboli, caritatevole verso i poveri e solidale con gli indifesi, ma, soprattutto, consigliere e MAESTRO dei più giovani.

Un tipo talmente in gamba, che, già allora, aveva tanto a cuore i problemi dei ragazzi da impiegare gran parte della sua giornata all’ascolto delle loro preoccupazioni, sempre pronto a dispensare motti pieni di sapienza e pioniere nella gestione dei conflitti. Famosa la sua frase “State buoni, se potete” con la quale invitava i suoi alunni alla bontà ed alla gioia. Un tipo concretamente impegnato nell’educazione, promotore d’incontri con i giovani e creatore dell’Oratorio.

Per questo attaccamento agli adolescenti, per il senso di sacrificio che lo portava a non stancarsi mai, e per la coerenza di vita, San Filippo Neri è stato eletto protettore dei bambini, dei giovani, ma soprattutto degli insegnanti.

Bene, il 26 maggio, la chiesa cattolica l’ha ricordato ed il presidente nazionale dell’ Anief, ( Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori, una neonata associazione ONLUS con sede a Palermo ) precisamente il professore Marcello Pacifico, in un comunicato si è rivolto ai colleghi cattolici dediti alla formazione degli alunni e degli studenti ed ha dedicato loro alcune riflessioni: “In questo giorno, in cui ogni insegnante festeggia il proprio protettore, il pensiero va a tutte le persone che prestano servizio presso le nostre scuole. Il lavoro del Maestro e quello del Professore denotano un grande senso di responsabilità, di attaccamento ai valori della famiglia”.

E già, qui, entro in crisi, perché, non so voi, ma la famiglia della nostra epoca non condivide più i valori di sacrificio, di merito e di onestà che dovrebbero essere alla base di ogni educazione scolastica.

“La Scuola – continua Pacifico – è una grande famiglia e i docenti spesso sacrificano tempo prezioso per le attività, per portare avanti la missione dell’insegnante. Un sacrificio che vale, ovviamente, anche per i docenti non cristiani.

Perché certamente, chi decide di dedicare la propria carriera all’ammaestramento dei giovani sente questo compito dal più profondo e lo porta avanti con dedizione e serietà. Ognuno di noi, nella propria formazione scolastica, ha dei ricordi che si ricollegano a specifici momenti di formazione e crescita legati a un insegnante. Il loro ruolo è basilare e molti insegnamenti, anche di vita, non lasciano mai la memoria degli studenti”.

Ringrazio profondamente questo professore per le sue parole d’incoraggiamento ed anche dopo trent’anni d’insegnamento mi rivedo sui banchi di scuola intenta a” bere” la cultura, la libertà, l’impegno sociale dei miei insegnanti…

Ma, sinceramente, faccio più fatica a riconoscere la missione attuale degli insegnanti…

O meglio, per dirla come i miei alunni è più una candidatura al martirio.

Lo so, per l’opinione pubblica siamo una manica d’incompetenti, in balia dei genitori e ricattati dagli studenti…

Però vorrei ricordare che, dal punto di vista costituzionale, la nostra scuola, o meglio la BUONA SCUOLA del nostro ultimo governo, propone un nuovo contratto che non tutela docenti e Ata.

La nostra scuola è proprio quella in cui, con una manovra anticostituzionale vengono cancellati i diritti pregressi degli insegnanti, per esempio il titolo abilitante delle maestre elementari che sono arrivate a fare lo sciopero della fame per salvare il loro posto di lavoro.

La nostra scuola è quella dell’incremento costante del burnout, cioè quella in cui i nostri insegnanti soffrono di patologie una forte esposizione allo stress.

La nostra scuola è quella in cui lo stesso sistema che ha partorito gli INVALSI, lo ha poi definito un aborto, inadeguato per verificare le competenze tanto osannate nell’ultima versione degli esami di terza media.

La nostra scuola è quella in cui gli aumenti in arrivo nel mese di giugno saranno irrisori.

Per non parlare poi delle “mance”, qualche centinaio di euro, che, da oggi saranno in busta paga, come arretrati di un rinnovo di contratto congelato da anni…

Mi piace però la posizione di questo sindacalista autonomo che insiste: “Noi ci battiamo – continua Marcello Pacifico – dalla fondazione di Anief affinché gli insegnanti possano vedere riconosciuti i sacrifici e i meriti […] Noi sogniamo una scuola che ridia rispetto e dignità al lavoro dell’insegnante, che parta dal riconoscimento del fatto che un docente è stato, prima di tutto, uno studente che ha voluto emulare i propri maestri, seguendone le orme e divenendone omologo”. Ecco, appunto, vorrei insistere sull’impellente necessità di realizzare un sistema scolastico dove venga riconosciuta l’importanza del formatore, come educatore dei discenti, dove le famiglie riconoscano che i loro figli, sono i nostri alunni, ma anche i cittadini di domani…Vorrei davvero che finalmente passasse il messaggio che, a casa, come a scuola, l’obiettivo è comune, cioè la costruzione di una società civile e civilizzata… Per questo, l’augurio di Pacifico che” nel futuro prossimo le nostre aule siano piene di studenti felici, prepararti, guidati da docenti soddisfatti del proprio ruolo” mi riempie di gioia, ma mi fa tremare d’illusione…” Noi lottiamo da sempre perché ciò possa divenire realtà e la nostra raggiunta rappresentatività non fa che spingerci più avanti rispetto alla sua realizzazione”, così conclude il presidente, e così ci affidiamo fiduciosi al nostro santo protettore, perché, grazie alla sua intercessione, avvenga il miracolo, perché di questo si tratta…

 

Antonella Ferrari

 

 




Sproloquio ergo sum

CARTESIO 2018.

Non me ne vogliano i prof di filosofia, e, pace all’anima sua, povero Cartesio, se c’è chi lo disturba per un dubbio metodico, ma anche iperbolico… 

COGITO ERGO SUM, ovvero penso dunque sono, o, anche, penso dunque esisto.

Chi di noi non ha mai citato questa frase?

L’ha detta Cartesio, al secolo René Descartes, vissuto tra il 1596 e il 1650.

Ma, spesso è impiegata con leggerezza, semplicemente per definire l’uomo come soggetto pensante.

In realtà, ha un significato più profondo di quello che può sembrare.

Nel suo Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637, all’età di 41 anni, Cartesio si proponeva infatti il compito di trovare una verità fondamentale e solida.

La scienza, il sapere umano avevano bisogno di fondamenta in grado di reggere a qualsiasi urto, anche a quelli della sua epoca, in cui il tribunale dell’Inquisizione, solo quattro anni prima, aveva processato Galileo, portandolo ad abiurare le nuove conoscenze astronomiche.

Per Cartesio, la conoscenza, al pari di una casa, doveva essere in grado di resistere ai colpi avversi. Nel caso del ragionamento, i colpi avversi erano quelli portati dal dubbio.

Per questo motivo Cartesio si propose un unico scopo: provare a mettere in dubbio tutto. Se una qualche verità avesse davvero resistito ai colpi del dubbio, allora sarebbe stata abbastanza solida da costruirci sopra una scienza.

Se invece avesse ceduto, sarebbe stata da scartare.

Dunque, il dubbio metodico era per il filosofo francese il principale metodo d’indagine della realtà, ed il famoso uomo di Cartesio, più che soggetto pensante era un soggetto dubitante.

Insomma, l’uomo, per essere ingannato dai sensi o dagli dei, doveva per forza esistere.

 Scusandomi preventivamente per aver cosi banalmente ridotto il pensiero cartesiano, mi permetto solo di applicarlo a Facebook. Giusto il tempo di un articolo, per qualche considerazione “virtualmente reale”.

Vorrei riproporre ai nostri giorni le quattro regole di conoscenza di Cartesio, quelle valide per tutte le discipline, perché, per lui, morale, geometria, politica, matematica, fisica ed arte erano solo rami diversi di un unico sapere.

E forse esisteva uno stesso metodo, uno stesso insieme di regole, per indagare ciascuno di questi ambiti.

 Prima di tutto, la Regola dell’evidenza, cioè” non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale, ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio”.

 Che meraviglia! Applicare ogni giorno, che dico, ogni istante, un salutare dubbio nei confronti delle manipolazioni della realtà proposte nei post di Facebook, nonché applicare una salutare perplessità verso i profili Instagram…

Come sarebbe più facile evitare di ingozzarsi di vacuità virtuali, cioè “non comprendere nel mio giudizio, niente di più di quello che si fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio”.

Avremmo finito di confondere il reale con il virtuale, ma avremmo anche finito di vivere nel nulla, perché, sui social, l’apparenza è l’esistenza.

Seconda regola, quella dell’analisi, cioè “dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un’adeguata soluzione”.

Anche qui, è proprio l’esatto contrario di quanto avviene ogni giorno nel mondo dei social. Di fronte a qualunque problema, anziché scomporlo, tutti sanno tutto. 

I navigatori virtuali s’improvvisano esperti di salute, psicologia e diritto, sparano sentenze e propongono soluzioni, ma, soprattutto si affrettano, in tempo reale, a totalizzare la realtà in un magma di like.

Altro che frazionare la realtà per conoscerla, su Facebook ed Instagram esiste solo un caleidoscopio di dati e d’immagini volti a frullare la realtà.

In una galleria di specchi virtuali, la realtà è sì ridotta in polvere, ma non per essere conosciuta, quanto per essere omogeneizzata.

Terza regola, quella della sintesi, cioè” di condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza”.

Ma quando mai?!? Sui social esiste una vera compulsione alla banalizzazione, in un vortice mediatico si pretende di comprendere tutto, in tempi immediati, livellando i consigli estetici ai valori etici, parlando della cellulite come dell’eutanasia. In un’ossessione oculo-manuale, non esiste un ordine logico della conoscenza, anzi della pseudo- conoscenza.

Non esiste neanche una consequenzialità dei dati, perché il nostro Ulisse del terzo millennio, rischia di pensare che il riciclo dei rifiuti possa essere antecedente al ritrovamento dei cadaveri, che smacchiare i tessuti possa venire prima di allestire un campo profughi…

E per ultimo, è sempre il caro buon Cartesio che parla,” di fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla”.

E qui, scopriamo l’acqua calda o l’uovo di Colombo!!! Per noi, l’America è il gossip, il Nuovo Mondo è il buco della serratura del profilo del vicino.

Siamo così capaci di inventariare i fatti altrui, che confondiamo la conoscenza con il voyeurismo, la consapevolezza con l’esibizionismo, la sintesi di un percorso con la generalizzazione di un caso.

Ma, soprattutto, non ci sorge mai il dubbio di conoscere noi stessi, ma questa è un’altra storia…

 

Antonella Ferrari

 

 




Il mondo delle chat come espressione di vero dramma della solitudine

Chatto dunque sono…

Ho deciso di sperimentare, possibilmente senza giudicare, il mondo occulto e distorto dell’amore virtuale.

Ecco, ho già espresso un giudizio…

Il mio problema è che voglio capire bene il dramma vissuto da tanti che frequentano le chat, cioè che chiacchierano su Internet con persone che non conoscono personalmente e di cui non hanno neppure mai sentito il tono della voce.

Come mai quest’attività spesso crea una forte dipendenza?

Perché sull’altare di un amore virtuale, molti di noi, arrivano a compromettere quello reale? Forse perché il rapporto interpersonale che si instaura in una chat è potenzialmente perfetto, intoccato ed intoccabile, a causa del fatto che non risente delle limitazioni dovute alla conoscenza diretta (aspetto fisico, mimica, tono di voce, ecc.).

Il rapporto on-line permette una grande liberazione della fantasia, una diretta gratificazione dei propri desideri.

Chattando, si provano emozioni molto forti, perché si gioca a sperimentare (anzi, in un certo senso si vive veramente) un rapporto che è quello che avremmo sempre voluto avere, quello che ciascuno di noi ha dentro di sé, come modello ideale di rapporto.

Parlando nascosti dietro un nickname, stereotipati in un cocktail di misure fisiche ottimizzate e di interessi mentali sublimati, incasellati in un profilo di sé perfetto, ci si sente capiti, si possono condividere tante cose, si ritorna a quello stato di grazia di una “cotta” adolescenziale.

“L’amore al tempo del colera” dei nostri quattordici anni, era basato molto sulla fantasia, e non a caso, bastava una foto, una stimolazione minima, per far scattare dentro di noi quella complessa reazione psico-affettiva, che chiamavamo amore.

In effetti, prima scoperta, alcuni amano soprattutto chattare, mentre hanno resistenza ad incontrarsi, o anche solo a telefonarsi. Apparentemente questo è paradossale: se ci si piace tanto on-line, perché allora non incontrarsi, di persona? Ma questa resistenza non è contraddittoria, anzi, è razionalmente logica e psicologicamente umana.

Ed ha un nome: PAURA.

E’ la paura di conoscersi meglio, è la paura di barattare il sogno perfetto, con la realtà imperfetta, il virtuale con il reale.

Perché, più ci si conosce, più gli aspetti di realtà, necessariamente, tolgono spazio alla fantasia e limitano la possibilità di provare quei forti sentimenti che erano sbocciati dentro di noi. Infatti, quel complesso di stati affettivi, che in genere chiamiamo amore, si basa sempre su un grado di idealizzazione, di deformazione della persona amata, affinché essa rientri meglio nel modello che ci portiamo dentro. Questo è un meccanismo normale, utile al nostro adattamento e funzionamento sociale.

Dunque, ogni volta che ci innamoriamo, avviene una sorta di abbinamento tra un’immagine interna ed una esterna.

L’esterna deve, però, essere capace di evocare quella interna, perché, solo attraverso quest’evocazione, che produce il piacevole stato psico-affettivo e motivazionale, viviamo l’esperienza dell’innamoramento.

Ecco perché, così tanti, sono bisognosi di essere costantemente innamorati: per prolungare all’infinito questo stato di grazia.

Così, ho scoperto che ci sono persone che stanno benissimo solo in chat, individui che mi hanno raccontato che, mentre davanti ad uno schermo provavano un grande piacere ad aprirsi, una volta al telefono, con quella stessa persona con cui avevano chattato per giorni interi, non sapevano più cosa dire, si bloccavano, provavano imbarazzo, gelo, inibizione dei sentimenti.

Il motivo, con tutta probabilità, è che il tono della voce aumenta molto la conoscenza e quindi l’intimità, ed allora, subito, cresce la paura che quello che proviamo sia inappropriato. Il telefono è la prima “prova del nove”, il primo tentativo di tornare con i piedi per terra.

Ma è soprattutto quando ci si incontra “dal vivo”, che si è alla resa dei conti.

A quel punto, anche solo davanti un caffè, in un bar, si è maggiormente in contatto con una persona reale, e non più con quell’immagine precedentemente prodotta dalla nostra fantasia.

E, qui, viene il bello…

Amara scoperta, adesso, davanti a quella tazzina di caffè, quell’immagine non può più essere evocata con la stessa facilità.

Tutta la nostra psiche è in uno stato di allerta, adesso il nostro inconscio entra in collisione con il nostro conscio, ora bisogna “lavorarci sopra”, cioè fare un certo lavoro per adattare la nostra immagine interna alla nuova.

Prima conseguenza, la FUGA, il rinunciare alla fatica del confronto, perché, conoscersi per davvero, è faticoso.

Infatti, privata della dimensione ludica del virtuale, l’impegno di una conoscenza reale comporta dei rischi, non ultimo, quello di non riuscire più a provare le cose che provavamo prima.

Ma, questo, è il normale percorso dello sviluppo dei sentimenti: in certi casi, quando all’inizio non eravamo tanto innamorati, una conoscenza approfondita fa aumentare l’amore, mentre, se siamo già molto innamorati di una persona che conosciamo poco, può accadere che, con la conoscenza, il sentimento diminuisca o comunque si modifichi molto.

Dunque, è tutto così rischioso e deprimente in una chat? Tutti i rapporti basati prevalentemente sulla fantasia sono destinati a fallire una volta che ci si vede? Assolutamente no!!!

Possono essere delle opportunità, molto belle, per conoscere e esprimere delle emozioni che abbiamo dentro, pronte a sbocciare.

Forse, il chattare con un estraneo, è una specie di terapia domestica, di psicanalisi “fai da te”…  In una chat, si verifica un po’quello che gli addetti ai lavori chiamano transfert, cioè quell’insieme complesso e delicato di sentimenti che possono emergere nei confronti del terapeuta. Un paziente, in cura da uno psicologo, assume la consapevolezza di sé, scopre e conosce sentimenti, soprattutto come sono stati i suoi precedenti rapporti significativi (col padre, con la madre ecc.,.) di cui appunto il rapporto trans-ferale è una sorta di riedizione .

Non a caso, lo psicoanalista classico cerca di non farsi conoscere dal proprio paziente, di comportarsi in modo abbastanza anonimo, appunto per non distruggere questa potenzialità (ben sapendo che eliminare del tutto la propria influenza è impossibile).

Ed in genere, il paziente ha paura di conoscere meglio il proprio terapeuta, ad esempio, si trova a disagio se lo incontra per strada, appunto perché, inconsciamente, sa che quel suo rapporto trans-ferale è prezioso e vuole preservarlo. Il paziente difende quel rapporto perché sa che, quella relazione asettica, gli fornisce conoscenza ed esperienze importanti utili alla terapia di cui ha bisogno.

Certo, il paziente vorrebbe anche conoscere il proprio terapeuta (così come chi chatta vorrebbe conoscere la persona con cui chatta), ma questo desiderio è in conflitto con la paura di perdere quell’altra cosa, basata sulla fantasia, a cui tiene molto.

Io, in passato mi sono interessata alla psicoterapia reale, ora sono attirata da quella on line (cioè tramite Internet), e ho notato un curioso paradosso: molti psicoanalisti sono scettici verso questa nuova potenzialità di Internet, eppure non si rendono conto che la psicoterapia on line estremizza (direi quasi in modo caricaturale) proprio alcuni aspetti centrali dell’approccio psicoanalitico reale.

Infine, per chi è guarito da questa prima fase, si rimanda alla prossima puntata, ma ad onor del vero, non l’ho ancora verificata…

 

Antonella Ferrari




Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

Il tradimento virtuale, o l’amante del ventunesimo secolo…

Di recente, ho riso di gusto, quando ho visto un post su Facebook: sotto la foto del volto di un uomo pestato a sangue, si leggeva “Ecco cosa ti succederà quando tua moglie scoprirà la password del tuo cellulare”.

In effetti, penso che tra molti individui, forse più uomini che donne, ci sia l’abitudine al tradimento online, ritenendolo meno grave di quello reale, magari consumato, a pagamento, con una prostituta. Lungi da me stilare una classifica della gravità del tradimento, voglio solo suggerire un’interpretazione del tradimento virtuale. Forse, il tradire online sminuisce il tradimento in sé, lo semplifica, paradossalmente lo giustifica, come meccanismo di sopravvivenza della coppia.

Per gli appassionati delle chat d’incontri esiste, almeno all’inizio, anche la possibilità che questi amori intensi e basati sulla fantasia abbiano una funzione “difensiva”, di protezione del matrimonio già esistente.

Tutto questo rimanda all’istituzione del ruolo dell’AMANTE.

L’amante, è sempre esistito, in ogni epoca ed in ogni ambito sociale, sempre che l’unione istituzionale fosse improntata alla monogamia. L’amante era l’amore scelto dall’individuo, in opposizione a quello imposto dalla società.

Ma perché, anche oggi, che ci si sposa per amore, esiste ancora l’amante? Perché il tradimento è ancora tanto presente ed importante nella nostra società? Perché anche in un’epoca in cui non esiste più il matrimonio politico o l’unione familiare combinata, sono moltissime le persone che sentono il bisogno di tradire il proprio partner? Partner con cui liberamente hanno scelto di dividere la propria vita e di cui peraltro non riuscirebbero a fare a meno…

Bene, nella nostra epoca, il bisogno compulsivo di chattare con un estraneo, rimanda alla possibilità, sempre esistita, in tutte le epoche, di tradire il proprio partner.

Ecco perché, il CHATTARE può essere considerata una forma di tradimento, anche solo a livello di fantasia.

Gli amanti, istituzione che esiste dal tempo dei tempi, non possono essere eliminati facilmente.

Il loro amore si alimenta di segreto e di divieto. Il loro amore si rinforza sempre più, quanto più sono “amanti”, cioè clandestini.

Il loro amore tanto più esiste, quanto più resiste una coppia ufficiale dalla quale sono esclusi.

O viceversa, il loro amore resiste quanto più esiste il matrimonio o la convivenza di base.

Se la questione degli amanti consistesse solo nell’amare un’altra persona più del(la) partner, allora basterebbe separarsi e mettersi con l’amante, e questi problemi sarebbero subito risolti in tutto il mondo.

Ma perché, non a caso, ciò viene evitato quasi sempre? Naturalmente, a livello conscio, il valore della clandestinità e del divieto non viene ammesso, questa loro importanza non viene riconosciuta. Anzi, molti amanti soffrono e si lamentano della loro condizione…

Eppure, vi sono innumerevoli esempi che dimostrano che, la condizione dell’amante, è ricercata, appunto proprio perché è clandestina, irregolare, che, è da questa condizione di non ufficialità, che trae la sua linfa vitale.

Se la coppia ufficiale si separa, non raramente anche gli amanti subito si separano, perché cessa improvvisamente l’amore.

Persino l’attrazione sessuale, che prima era così forte, a volte, sparisce del tutto. Oppure, se la coppia degli amanti diventa quella ufficiale, presto uno dei due sente uno strano desiderio, quello di innamorarsi di un’altra persona. Uno dei due si guarda attorno, prova varie simpatie, sente il bisogno di ricreare una situazione triangolare.

Dunque, un’interpretazione del tradimento online, potrebbe rimandare all’ipotesi che, in alcuni individui, ci sia una paura inconscia verso la condizione monogamica, ufficiale, “normale”, una paura che inevitabilmente porta alla frigidità e alla depressione.

Pensiamo a quelle tante coppie di coniugi che, totalmente ignari delle proprie dinamiche inconsce, razionalizzano la loro difficoltà a stare bene insieme dicendo che alla sera “si annoiano a guardare sempre la televisione”, oppure a quelli che dicono che “è la convivenza che toglie vitalità al matrimonio”. In realtà, è evidente che per tante coppie la convivenza non inibisce i sentimenti e il piacere di stare insieme, anzi!!!…

Il bisogno profondo di vivere qualcosa di bello con la propria fantasia, di “evadere”, di provare sentimenti intensi – bisogno perfettamente legittimo – potrebbe insomma essere concepito non “in positivo”, ma “in negativo”, cioè come il tentativo disperato di provare determinati sentimenti, dato che il soggetto non riesce a provarli nel modo “normale”, perché ne ha paura.

L’unica possibilità per lui è appunto di viverli in una situazione non vera, parziale, non ufficiale, in cui si sente meno responsabile di quello che fa, forse meno “in colpa”.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, proviamo a pensare che chi gode tanto di questi bei rapporti di fantasia non è più virile o interiormente più ricco, non ha una vita affettiva più intensa, ma è semplicemente un impotente, una persona che ha paura della intimità affettiva e sessuale, forse anche della amicizia vera.

Non lo dico io, l’ha detto Freud!!! Egli infatti definiva “impotenza psichica” quella di cui sono affette le persone incapaci di provare simultaneamente amore e attrazione sessuale verso la stessa persona: molti uomini, ma anche donne, fanno fatica a gestire questi due sentimenti simultaneamente, ad attivare questi due “sistemi motivazionali” (attaccamento e sessualità) nei confronti della stessa persona.

Preferiscono scindere, cioè amare sentimentalmente una persona idealizzandola, ma senza sessualità, e provare desiderio verso un’altra persona, non amata, vista solo come oggetto sessuale o di divertimento, ad esempio una conoscente occasionale o una prostituta.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, scelto o subito, prima di dare in escandescenze per essere stati scoperti o, ancor più, per averlo scoperto, proviamo a porci due domande…Ma, davvero è tutta colpa di internet? O, magari, di Freud!?!…

 

Antonella Ferrari




Gli ultimi regali del colosso dai piedi d’argilla morente: ennesimo insulto ai vicepresidi, classi pollaio e il vademecum del linguaggio di genere

Nella gioia che il vecchio sistema è andato e che il nuovo che arriva peggio non può fare, abbiamo però la possibilità di gioire dei lasciti finali che ci sono stati lasciati dalla “zarina”.

Povero Denis Diderot, Lui che rimase deluso dall’incapacità della monarca russa Caterina II di capire l’importanza di introdurre riforme e  principi di giustizia nel suo governo, oggi sarebbe sconvolto ancor più nel vedere gli ultimi lasciti della zarina prima della sua uscita.

Partiamo dal vademecum sul linguaggio di genere nel gergo amministrativo, vademecum di BEN trenta pagine, realizzato da un gruppo di lavoro avviato nel luglio 2017, in cui solerti dirigenti e professoroni universitari hanno fatto approfondimenti importanti sul fatto che è più opportuno scrivere la dirigente scolastica invece che il dirigente scolastico, e che non è giusto dire gli alunni intendendo anche le alunne, architetto e architetta, revisore, revisora, insomma un importantissimo studio che rimette finalmente al centro i problemi della scuola italiana, un anno di lavoro costato sicuramente ma che ha centrato un problemone di cui non potevamo più attendere una risoluzione, i dirigenti ora possono finalmente scrivere in fondo alle lettere La Dirigente Scolastica!!! Scuola sistemata, gli Accademici della Crusca nuovamente scandalizzati e chissenefrega se gli edifici scolastici sono a pezzi se la manutenzione non esiste, se i soldi comunque sono ancora pochi, se i PON stanno facendo impazzire le scuole per la loro complessità…

Altra importante indicazione dell’Impero Russo è la creazione delle classi in cui devono essere stipati più alunni possibili, così si risparmia sui costi! Bravissima zarina, abbiamo risolto un problema e risollevato le finanze dello stato sicuramente, ma forse abbiamo danneggiato per l’ennesima volta la giusta necessità didattico educativa di avere classi equamente distribuite non solo nel livello di apprendimento ma anche nella necessità di non essere costretti in spazi soffocanti.

Infatti il DM 18 dicembre 1975 Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici di funzionalità urbanistica, da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica” prevede almeno 1,8 mq per alunno.

In pratica per fare classi di 27 alunni occorrono aule di almeno 48,6 mq, calcolando che solo la cattedra e la lim occupano 6 mq medi, lo spazio per una classe di 27 alunni dovrebbe essere minimo di 54,6 mq, invitiamo tutti i Dirigenti a mettere i mq delle loro classi a fianco dello schema degli alunni per classe che viene inviato al Provveditorato.

Facendo così ameno quando dovesse venire l’ispezione dei vigili del fuoco che contesta il numero di alunni nella scuola potete dimostrare che avevate segnalato a chi di dovere le capienze dell’istituto.

Ma la cosa che più ci fa andare in bestia che al confronto il buon Diderot era un santo, è la continua offesa, nonché l’insulto evidente ed il disprezzo inaccettabile che viene riservato alla categoria dei Vicepresidi nella loro essenziale funzione sia educativa che di gestione della scuola.

L’art. 4 comma 1 Direttiva MIUR 281/2018 è I R R I C E V I B I L E!!!

Dimostra, se mai vi fossero stati dubbi, l’assoluta ottusità di chi credere di risolvere le cose senza sapere di cosa parla.

D’altronde se per scrivere trenta pagine di così profonda profondità c’è voluto un anno, per capire come funziona la scuola probabilmente ci vorranno novant’anni.

Peccato che la scuola non ha novant’anni di tempo, peccato che chi oggi si occupa di aiutare i Dirigenti Scolastici (ben ha fatto il sindacato UDIR a stigmatizzare la necessaria temporalità di provvedimenti così assurdi) non può aspettare nemmeno un giorno per veder riconosciuti i propri diritti, e, come diceva mia nonna, “fischia ma almeno un grazie lo si può dire??!!??”

Ma vogliamo almeno riconoscere pubblicamente l’importanza di queste figure altamente professionali che da anni reggono le scuole assieme ai Dirigenti???

NOI DI BETAPRESS LO FACCIAMO, GRAZIE VICEPRESIDI SIETE COSI’ PREZIOSI CHE SE NON CI FOSTE DOVREBBERO INVENTARVI!!!

Si dovrebbe rivedere il modello organizzativo delle scuole, riconoscere il ruolo ai vicepresidi con stipendi e deleghe corrette (un vicepreside normalmente resta a scuola il doppio del tempo), innalzare lo stipendio dei docenti e legare di più la loro attività alla scuola modificando il contratto, rivedere la dotazione di personale di segreteria e dare il giusto rispetto alla figura del Dsga, smettere di considerare la scuola un bacino di voti facile da comprare con pochi spiccioli (vedasi il recente rinnovo contrattuale che definirlo una colossale presa in giro è veramente eufemismo, tra l’altro ancora non capiamo come mai i docenti abbiano ancora le tessere dei sindacati???), insomma è ora di considerare la scuola non come un centro di costo ma come un sistema di investimento…

Ma ora lasciamo la parola agli amici di ANCoDiS che meglio di noi rappresentano le tematiche del loro ruolo.

 

A.N.Co.Di.S.

Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici

 COMUNICATO STAMPA  ANCODIS: i Collaboratori dei DS ricorrono al TAR del Lazio contro la Direttiva MIUR 281/2018.

Come anticipato nelle scorse settimane, Giovedi 14 giugno i Collaboratori dei DS iscritti ad ANCODIS – rappresentati e difesi dall’Avv. Prof. Salvatore Raimondi del foro di Palermo – hanno deciso di presentare un ricorso al TAR del Lazio sulla legittimità della Direttiva MIUR 281/2018 che, ancora per l’ennesimo anno scolastico, consentirà a quanti già inseriti nella graduatoria degli incarichi di presidenza nell’A.S. 2005/2006 (poche unità) di continuare ad essere nominati nelle scuole senza ds titolare o in aspettativa mentre ESCLUDE – nonostante l’elevato numero delle scuole in condizione di reggenza – nuovi inserimenti per quanti ritengono di avere i titoli culturali e professionali per poter accedervi.

Il problema delle I.S. affidate in reggenza presenta ormai i caratteri di una patologia cronica che il MIUR ha voluto affrontare con una scelta illogica ed incomprensibile così come riportato nell’Art. 4 comma 1 della Direttiva MIUR 281/2018 “I posti disponibili non assegnati per conferma ai sensi delle disposizioni contenute nei precedenti articoli sono successivamente conferiti con incarico di reggenza”.

E’ ben noto agli addetti ai lavori che con questa scelta oltre al danno vi è anche la beffa nei confronti dei tantissimi Collaboratori dei DS che annualmente si fanno carico di sostenere con professionalità i ds reggenti cui vengono affidate le loro I.S..

Questo lo sanno bene i nostri DS: senza i Collaboratori – sia nella scuola di titolarità che in quella affidata in reggenza – il loro ruolo dirigenziale con tutte le incombenze e le scadenze sarebbe messo a dura prova, quasi al limite di una missione impossibile!!

Per queste ragioni, i Collaboratori iscritti ad ANCODIS hanno deciso di far pronunciare il TAR del Lazio avverso una scelta del MIUR che evidentemente – ormai da troppi anni – ritiene normale affidare le scuole ad una guida part time forse poiché considera il problema superato con l’espletamento del prossimo Concorso nazionale del quale però non si ha alcuna certezza sui tempi di definizione!

La storia di questi anni è ben nota a tutti: ogni anno scolastico aumenta il numero delle scuole in reggenza che da un fenomeno residuale è divenuto strutturale e patologico.

L’istituto dell’affidamento a reggenza a qualche migliaio di Dirigenti scolastici, già titolari in una determinata scuola anche complessa e di grandi dimensioni per numero di plessi, numero di alunni e di personale scolastico, in pochi anni ha assunto i “caratteri di una grave patologia cronica”, che il MIUR non ha ancora voluto affrontare con una “cura e terapia realmente efficaci ed incisive”.

I DS che ogni fine anno scolastico manifestano disagi e pubblici disappunti poi sono contrattualmente obbligati – nolenti o volenti – ad assumere una reggenza magari in I.S. dislocate su molti comuni e con tanti plessi affidati dal primo giorno dell’insediamento ai Collaboratori (I°-II°-Fiduciari di plesso) che continuano instancabilmente, con professionalità e competenza, ad organizzare e garantire un servizio scolastico degno di tale valore.

I Collaboratori sono stanchi di essere RESPONSABILI di una scuola senza che nessuno abbia la “cortesia” di dichiararlo e riconoscerlo (MIUR, OO.SS., Associazioni DS).

Ed intanto la nave va…. Superando ogni anno mari burrascosi, improvvise tempeste, eventi che impongono scelte ragionevoli ed adeguate, con scuole – con DS titolare e reggente – che devono garantire nell’organizzazione e nell’offerta formativa un servizio scolastico di qualità per alunni e famiglie.

Durante questi lunghi 7 anni intercorsi fra il corso-concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici dell’anno 2011 e quello previsto per il corrente anno scolastico 2018/2019, il MIUR ha continuato ad utilizzare l’istituto della reggenza dalla dubbia efficacia, senza tenere conto che il funzionamento delle predette scuole assegnate a reggenza è dovuto prevalentemente al sacrificio ed alla professionalità dei Collaboratori dei Dirigenti scolastici che, in assoluto silenzio e nell’ombra, hanno sempre costituito “la spina dorsale” della governance dell’istituzione scolastica privata da anni della figura del Dirigente scolastico titolare.

Ed è il caso di sottolineare che i Collaboratori dei Dirigenti rappresentano in moltissime scuole la memoria storica dell’istituzione scolastica conoscendone criticità e punti di forza, avendo collaborato alla stesura dei RAV e dei PTOF, condividendo con i DS atti di indirizzo e piani di miglioramento, collaborando con il DSGA e conoscendo il programma annuale poiché in gran parte anche impegnati nei Consigli di Istituto e nelle giunte esecutive da più anni consecutivi.

Per le suddette ragioni, i Collaboratori di ANCODIS chiedono al TAR del LAZIO l’ANNULLAMENTO PREVIA SOSPENSIONE della direttiva n. 281 del 16 aprile 2018 dell’Ufficio di Gabinetto del MIUR, firmata dal Ministro pro-tempore e trasmessa, dal Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per il personale scolastico – Ufficio II Dirigenti scolastici, agli Uffici Scolastici Regionali – Ambiti territoriali provinciali, concernente la sola conferma degli incarichi di presidenza nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, nelle scuole secondarie di secondo grado e negli istituti educativi per l’anno scolastico 2018/2019.

Con il ricorso al TAR del Lazio confidano in un provvedimento che ponga fine – con la riapertura delle graduatorie ed il ritorno all’incarico di presidenza seppur temporaneo e nelle more dell’espletamento delle fasi concorsuali – all’abnorme numero di scuole affidate ai DS reggenti poiché in contrasto con il comma 1 dell’art. 97 della Costituzione che recita “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo




Mario Pittoni presidente della commissione Istruzione al senato.

Mario Pittoni alla commissione Istruzione al Senato, un’ottima notizia, finalmente una persona competente al posto giusto.

Anche se in pectore Ministro dell’Istruzione ideale per la sua incessante attività a favore della scuola, Mario Pittoni classe 1950, è oggi il Presidente della commissione Istruzione del senato, succede a Andrea Marcucci, esponente del Partito Democratico.

Pittoni è stato il difensore della legalità nella scuola ed i suoi interventi a favore dei docenti e dell’etica del mondo dell’istruzione hanno salvaguardato la scuola negli ultimi anni.

Mai persona politica è stata più assidua nell’esercitare il suo ruolo ed i suoi doveri (Pittoni vanta il 99,66% di presenze in aula) ed è stato sostenitore dei diritti dei docenti intervenendo con grande successo nella riforma dei meccanismi di reclutamento dei docenti su base regionale salvaguardando il diritto di scelta dei docenti.

Ma Pittoni ha anche lavorato per l’università, orientando i fondi della spesa universitaria indirizzandoli verso spese virtuose e di merito invece che semplicemente come costi storici ed infruttuosi.

L’attività di Pittoni negli anni è stata indefessa e continuativa, per difendere i diritti della scuola Pittoni ha bussato a tutte le porte del MIUR, acquisendo stima da parte di tutti gli interlocutori e lasciando in tutti la certezza di una grande professionalità.

Betapress ha sempre seguito le iniziative del Senatore, plaudendo al loro successo nella certezza che avvenisse per il bene della scuola, e pertanto nell’occasione di questa nomina non possiamo che esprimere la felicità di tutta la redazione per questo importante momento di cambiamento verso il quale tutto il mondo della scuola è orientato.

Buon Lavoro Senatore Pittoni, ad maiora.

 


Dott. Corrado Faletti

Direttore Responsabile

 

 

 

 

 

 

 

 




I dieci comandamenti del Bullismo

Provo a metterla sul ridere, anche se, di questi tempi, ci sarebbe da piangere…Per quello che ne so io, per esperienza diretta, non perché io sia una vittima o un aggressore, ma più “semplicemente” perché sono un insegnante, quotidianamente in campo, non c’è bullo o bulla che si rispetti che non abbia il suo codice comportamentale, ovvero una tavola dei dieci comandamenti.

Primo, “NON AVRAI ALTRO DIO ALL’INFUORI DI ME” ed il bullo in un delirio di autoaffermazione non vede che sé stesso, si sente il centro dell’universo, soddisfa sempre e solo la sua ossessione d’imporsi e pretende che gli altri lo riconoscano un dio in base ad un’escalation di angherie o di violenze perpetrate su una vittima.

Secondo,” NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO”. Sono solo i complici del bullo che lo possono nominare, anzi l’apostrofano con lo pseudonimo che lui ha scelto, sui social’ quando si scatena nel cyberbullismo, si nasconde dietro un nikename per non essere riconosciuto. E se qualcuno lo nomina con il suo vero nome, è perché è una spia che vuole incastrarlo.

Terzo,” RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE”. E qui, ogni intervallo, ogni cambio d’ insegnante o di aula è una festa, perché sono le situazioni non codificate, nei bagni o nella palestra quelle in cui si scatena la festa, ovvero la cerimonia della violenza fisica o verbale.

Quarto,” ONORA IL PADRE E LA MADRE”. La violenza nasce dentro casa, spesso tra le pareti domestiche il bullo impara la prevaricazione, vive la catena dell’aggressività e la mancanza di rispetto. Fuori casa, a scuola, che è una palestra di vita, il bullo onora nel vero senso della parola, il codice comportamentale genitoriale. Del resto, basta pensare alle aggressioni perpetrate dagli stessi genitori di alunni problematici nei confronti dei loro insegnanti, per non avere dubbi.

Quinto,” NON UCCIDERE” almeno fosse preso alla lettera, cioè non torturare fino allo sfinimento la vittima, che, nei casi estremi arriva lei stessa ad uccidersi!!! Il bullo non uccide la propria identità distorta, non rinnega sé stesso, perché vorrebbe dire morire, e lui vuole vivere. Eccome! Vuole vivere, seppur nella violenza. Perché per lui la violenza è vita.

Sesto, “NON COMMETTERE ATTI IMPURI”. La violenza di un bullo è spesso a sfondo sessuale, la sua compulsione ad aggredire l’altro sfiora il sadismo, la vittima è per lui un corpo su cui esercitare uno sfogo a dir poco ormonale. Ma in tutto questo il bullo non vede un atto impuro, ancor meno una perversione psichiatrica, solo un gioco di violenza da amplificare poi con i filmati sparati in rete.

Settimo, ”NON RUBARE”, infatti il bullo non ruba la merenda del compagno, la pretende. Non ruba il materiale scolastico del vicino, se ne appropria. Fino a che, quando sparirà il cappellino firmato o il cellulare appoggiato, è perché il bullo ne ha sempre uno uguale…

Ottavo,” NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA”. Il bullo è un tale manipolatore della realtà che nega l’evidenza dei fatti. Il bullo vive in un mondo parallelo dove la menzogna è la verità, dove la bugia è una tale consuetudine, che la falsa testimonianza è dire il vero.

Nono,” NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI “. Infatti, il bullo, la donna di un altro, mica la desidera, se la prende, tanto è un oggetto da consumare, non un soggetto d’amare.

E per ultimo, “NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI”. Ma per questo si rimanda al primo comandamento, gli altri non esistono, men che meno la loro roba!!!

 

Antonella Ferrari