Fuga per la vittoria … ?

Fuga dall’Italia, l’enigma del Nuovo Millennio: Restare o andar via…

 

Talmente tante parole sono state sprecate sulla disoccupazione da farla divenire un luogo comune, il male dei nostri giorni, l’incubo di migliaia di giovani, i quali ancor prima di aver concluso gli studi progettano il loro futuro fuori dalla Nazione di appartenenza, alla ricerca di una felicità che la loro terra non è in grado di garantire.

È interessante notare come la quota dei giovani accademici pronta a fare la valigie e andar via, oggi, sia pari al 49 per cento: era il 38 per cento nel 2006.

Un laureato su tre non ha problemi a trasferirsi in un altro continente, uno su quattro accetta spostamenti frequenti. Il 52 per cento si dice disponibile a trasferire anche la residenza.

Solo il 3 per cento dei laureati analizzati, quota di residuo si percepisce, è contrario a qualsiasi tipo di trasferimento.

Quasi fosse un rituale, non trascorre giorno in cui il politico di turno, poco importa se sia una faccia molto o poco conosciuta, deprechi espressioni relative l’alto tasso di disoccupazione in cui siamo intagliati, naturalmente la frase si conclude con la relativa promessa di un piano da attuare con estrema immediatezza per sconfiggerlo.

Tra una promessa e l’altra intanto le Università continuano inesorabilmente a sfornare due tipologie di laureati: di massa e d’ élite.

Mentre i laureati di massa sono destinati a diventare futuri concorrenti di concorsi pubblici, spinti ad accettare mansioni poco soddisfacenti e per di più insufficientemente ricompensati, i laureati d’ élite, per mezzo di astuti metodi imprenditoriali, verranno presi in prestito da chi realmente si intende di “fenomeni” per essere inseriti negli alti piani della ricerca e retribuiti come è giusto che sia.

Ci si domanda a questo punto, cosa sarebbe accaduto se gli alti vertici d’oltreoceano non avessero effettuato le loro pratiche manageriali, ma credo che la risposta sia implicita al quesito posto: si sarebbe annoverato un altro numero tra i molteplici già compresi nell’immenso registro dei disoccupati, perché in Italia non c’è spazio per i cervelli.

Diffusa sembra essere l’idea di come la disoccupazione sia inscindibilmente connessa al nuovo millennio; in realtà la storia smentisce questa popolare correlazione.

Da sempre sono esistiti i disoccupati, già dalla prima metà del secolo i poveri meridionali guardavano agli Stati Uniti come unica fonte di realizzazione dei loro sogni: “andiamo in America, facciamo fortuna”.

Che poi la fortuna sia concretamente giunta è un altro discorso.

È innegabile che, tanto nel passato quanto nel presente, di un male difficilmente sanabile si tratti, ma io continuo ad avere l’impressione che coloro i quali ne parlano non sempre sappiano di cosa stanno parlando, quasi come a voler dire: “è sulla bocca di tutti, allora ne parlo anch’io”.

Quasi come uno slogan viene sponsorizzato da chi ha un particolare interesse a farlo proprio, magari per un certo tempo assedia i dicasteri per poi tornare ad essere un male incurabile di cui puntualmente nessuno si assume gli errori.

Tra disastri, errori ed orrori qualcuno ha il coraggio di affermare che: “va via solo chi vuole andar via… in fin dei conti in Italia non lavora solo chi non vuole ma il lavoro c’è”.

Inutile cercare di rispondere ad impronunciabili blasfemie… e forse si, il tasso di chi decide di andar via sarà sempre maggiore ma imbattibile resterà l’indice di coloro i quali pur potendo cambiare le sorti continuano ad innalzare i loro slogan noncuranti del male che arrecano a chi costretto deve lasciar tutto, abbandonare la terra natia, gli affetti, le certezze imprimendo nel cuore la sofferente illusione che forse un giorno in patria ritornerà… perché forse un giorno qualcuno armato di voglia di fare non pronuncerà ma attuerà il tanto invocato cambiamento.

 




Abusivismo di necessità, nuovo slogan acchiappa voti!

Con la caccia al consenso, si sa, non si fanno prigionieri, per molti politici dirla grossa è vitale.

Ecco che la nuova moda di questa estate porta con sé un messaggio inequivocabile: l’abusivismo edilizio di necessità va tutelato.

Cosa c’è dietro quest’affermazione di Luigi di Maio, candidato in pectore dei Cinque Stelle alle prossime politiche?

È abbastanza evidente, siamo dinanzi all’ennesima trovata che punta dritto alla massa: una genialata populista che mira a incrementare il consenso in vista del voto siciliano previsto il prossimo 5 novembre.

Un’affermazione elettorale dei Cinque Stelle in Sicilia, si sa, potrebbe spianare la strada per la facile conquista della maggioranza parlamentare, al contrario l’obiettivo di diventare partito di governo sarebbe in salita.

Un progetto chiaro, studiato a tavolino e messo in atto dalla squadra dei rampolli di Grillo.

D’altronde cos’è l’abusivismo di necessità?

Per necessità s’intende il diritto all’abitazione sancito dall’art. 47 della Costituzione Italiana.

Cosa c’entra con l’abusivismo?

Chi può permettersi di costruire una casa non può permettersi di acquistarla?

Non può permettersi di pagare un affitto?

La risposta alle ultime due domande è logicamente affermativa.

Costruire una casa di 100/120 metri quadri con finiture di media qualità e pregio, senza considerare oneri e sanzioni prevista dalla normativa vigente, costa non meno 120 mila euro.

Se poi consideriamo gli oneri, i tecnici e le varie pratiche di regolarizzazione non si spendono meno di 170 mila euro.

Questa non è necessità ma menefreghismo rispetto a un principio generale di pianificazione e tutela del territorio, dove l’egoismo, che chiamerei più propriamente familismo amorale, prevarica tutto e tutti.

I condoni in materia di edilizia che, tra il tra il 1985 e il 2004, hanno permesso all’erario di incassare, con una rivalutazione in euro, l’equivalente di 16 miliardi, in termini di abusivismo hanno creato una corrente di pensiero per la quale fare un abuso edilizio è in prospettiva conveniente: “prima o poi un Governo (o una regione come nel caso della Campania nel 2014) farà un nuovo condono”.

Tradotto in numeri, l’abusivismo, nel settore delle costruzioni, invece di diminuire, sale ogni anno toccando percentuali fino al 15% dell’edificato totale.

Secondo alcuni studiosi del settore, tesi che sposo integralmente, questo è il frutto inevitabile della politica dei condoni o degli slogan di qualche parlamentare pronto a buttarla lì, come spesso accade.

La Politica che ha una funzione sociale decisiva, non può, pertanto, lanciare questi pericolosissimi messaggi e con essi disintegrare una lenta ma necessaria lotta all’abusivismo, che è fatta in onore del nostro splendido Paese e nel rispetto di coloro che osservano le leggi, permettendosi ciò che la norma concede e non ciò che da furbi e miopi potrebbe, con una scorciatoia, concedersi.

Tanio Cordella




il tubo catodico non c’è più…

Fin dagli arbori degli apparecchi televisivi si è cercato di migliorare il loro aspetto estetico, visivo e funzionale ma per molti anni le cose sono andate al rilento; se consideriamo che la Tv a Tubo Catodico in bianco e nero è stata in vendita per circa 25 anni e quella a colori poi per altri 30, le nuove tecnologie a al Plasma e a Cristalli liquidi, hanno fatto passi da giganti in tempi strettissimi pari a 15 anni ed ancora non sono arrivate ad un punto che possiamo definire di consolidamento essendo ancora in forte mutazione. 

Siamo passati dai primi Plasma di fine anni 90, un 42” costava tra i 25 e 30 milioni di lire, ai schermi LCD/LED (si differiscono per il tipo di retroilluminazione), OLED che a parità di dimensioni, costano poche centinaia di euro.

I primi schermi piatti al Plasma avevano risoluzioni bassissime, 852x480Pixel che migliorarono dal 2006 arrivando al HD Ready ossia 1280×720 a 50/60Hz Progressive Scan (720Pixel di risoluzione Verticale) con l’uso anche dei primi schermi LCD. Dal 2012 si è iniziato a diffondere, grazie ad una diminuzione dei prezzi, il formato Full HD 1080p a 50/60Fps (1920x1080p) quasi esclusivamente con Pannelli LCD e LED ed infine dal 2016 si sta affermando il formato 4K detto anche Ultra HD – UHDTV (a seconda dei produttori di Tv) 3840×2160 pixel (3840Pixel di risoluzione Orizzontale). Questa è una risoluzione televisiva mentre quella propriamente 4K è cinematografica data da 4096×2160Pixel con la risoluzione Verticale che cambierà poi a seconda del rapporto d’aspetto dato dal tipo di Telecamera utilizzata per la ripresa.

Un altro aspetto interessante da approfondire è come è cambiata la composizione del Pannello di Visione, i primi schermi piatti di grandi dimensioni vennero realizzati al Plasma, avevano una qualità di immagine molto elevata grazie al fatto di avere un elevato rapporto di contrasto e un’ampia gamma di colori disponibili.

Le Tv al plasma Furono le primi ad essere molto sottili e poterono essere appese alle pareti come i televisori LCD o LED oggi. Altri fattori a suo favore erano il tempo di risposta dei pixel molto basso e un angolo di visualizzazione molto più ampio rispetto gli LCD che faceva restituire immagini molto fluide per le partite di calcio o di tennis e si vedeva bene anche posti lateralmente quando si guarda la tv in gruppo.

I lati negativi invece furono che i processi produttivi erano molto costosi e presentavano molteplici problemi tra cui un alto consumo energetico, una bassa durata della Luminosità e non ultimo il burn-in, ovvero immagine che restava come stampata troppo facilmente sul pannello. Alcuni di questi problemi vennero successivamente risolti e tra il 2003 e 2006 vi fu l’epoca d’oro dei plasma con alte vendite e buoni prodotti ma LCD che nel frattempo iniziava ad introdursi nel mercato iniziò ad acquisire sempre di più fette di mercato fino a cancellarlo definitivamente.

La tecnologia di costruzione ed il costo di un pannello LCD infatti era molto minore così come la sua qualità ma la potenza dei Marchi che lo sostenevano era tale da farlo arrivare ad essere lo Standard utilizzato da tutte i costruttori fino praticamente ad oggi.

Solo ora con l’avvento dell’OLED molto simile al Plasma (anche nei costi di produzione) ma molto più evoluto, si inizia ad incrinare lo strapotere del LCD anche se, essendo LG l’unico grande costruttore di OLED non riesce ancora a soddisfare la richiesta mondiale di questi nuovi fantastici schermi.

Da tutto ciò ne conviene che la tecnologia dei Televisori sta ancora cambiando e per molti anni sarà così visto che non si riesce a trovare la vera Killer Application che ci porterà a dire: ora posso comprarlo visto che per molti anni non cambierà più”.

 




Marco Rossi l’allenatore ad un passo dal sogno.

Il calcio Italiano, è opinione comune, non è più quello di una volta che dominava l’Europa, ma questo non vale certamente per il pionierismo dei nostri tecnici formatisi a Coverciano.

Dopo i successi ottenuti in giro per il mondo da grandi allenatori come Capello, Trapattoni, Lippi e Mancini e dopo la favola scritta dal Leicester di Massimo Ranieri nel 2016, questo è stato l’anno di Antonio Conte e Carlo Ancelotti, vincitori dei campionati di prestigio rispettivamente inglese e tedesco.

Ed ancora Massimo Carrera che, con lo Spartak Mosca, ha vinto il difficile torneo russo.

Ora a giocarsela ci sono Roberto Bordin, alla guida dello Sheriff Tiraspol, giunto in finale nel campionato Moldavo e Marco Rossi che, con il suo Honved, é appaiato al primo posto con il Videoton.

La sorte, per l’ex terzino della Samp (il secondo in alto da sinistra) di Gullit e Mancini, ha voluto che l’ultima di campionato, in programma oggi 27 maggio, si disputasse proprio nel Bozkis Stadion di proprietà del piccolo club ungherese.

In vantaggio grazie alla classifica avulsa, Rossi ha due risultati su tre dalla sua e la spinta dei tifosi, ancora increduli ma esaltati dalla bellissima pagina di calcio scritta dal suo mister.

Si perché l’Honved, con un budget di un decimo rispetto al più quotato avversario, potrebbe laurearsi campione d’Ungheria contro ogni pronostico della vigilia.

Cinque lunghi anni di lavoro, in silenzio, con la voglia di affermare il calcio su tutto, e per tutto s’intende soldi, fama e calciatori di livello. Niente che potesse far sperare in qualcosa di prestigioso. 

Il calcio ungherese è certamente lontano dai fasti del passato: quando, negli anni a cavallo tra la fine dei ’40 e i primi ’50, la leggenda magiara e bandiera dell’Honved, Ferenc Puskás vinceva in Ungheria e nel mondo.

Oggi è  un calcio sostanzialmente chiuso dove essere stranieri e farsi amare è molto difficile se non impossibile.

Marco Rossi, sempre a testa alta, ha superato, nel suo cammino in solitario tra mille ostacoli, estati torride e inverni rigidissimi.

Di cosa è figlia questa bella storia se non della forza e del valore dell’uomo, del duro lavoro e della coesione granitica del gruppo? Mancano poche ore e sapremo se sarà una vittoria su tutto e tutti o se potrà essere ancor di più, il sogno che si realizza.

Certamente a riflettori spenti, per il mister, arriveranno delle interessanti offerte, forse pure dall’Italia, ma intanto:
Forza Kispest!




Partito Democratico: primarie segno di democrazia interna.

Le primarie sono un fatto di democrazia, tutti i partiti ne parlano ma alla fine solo il PD attua questo meccanismo da quasi un decennio.

Matteo Renzi vince, Orlando ottiene un risultato soddisfacente e diventa leader della minoranza interna ed Emiliano fa flop.

Volendo essere sintetici questo è il quadro delle primarie che domenica hanno visto coinvolte oltre due milioni di persone simpatizzanti e militanti del Partito Democratico, ma le primarie non sono solo questo.

Le primarie PD dimostrano che ogni volta che all’elettorato viene chiesto di esprimersi c’è una risposta, poca o molta non ha importanza ma è questo che rappresenta la vera democrazia del nostro Paese, il poter esprimere una preferenza, il poter decidere il futuro.

Tutti i partiti dovrebbero orientare le loro scelte in quanta direzione perché è l’unico modo per realizzare dei veri percorsi di partecipazione, dove il cittadino è messo nelle condizioni di poter scegliere la nuova classe dirigente politica, una scelta non più lasciata ai “pochi“ né tantomeno al solo popolo del web che già in passato ha fatto scelte azzardate ed estreme con il solo utilizzo dei “like” o dei voti di sondaggio in qualche sito –  con solo 30  pseudo preferenze alcuni sono stati poi eletti  senatori o deputati di questa legislatura.

Per questo motivo, seppure la mia indole e inclinazione politica sia ben chiara, con un ragionamento scevro da qualsiasi ideologia vorrei dire che il PD, la parte più rilevante del centro sinistra italiano,  ha fatto una scelta coraggiosa affidandosi alle primarie, un luogo di scontro e sintesi, dove tutti i partecipanti si mettono in discussione e rischiano di essere “rottamati”, ma un luogo dove il risultato a prescindere dal vincitore è un futuro di nuove idee e democrazia per l’Italia. 

Tutto è perfettibile ma l’innovazione della politica è nei buoni esempi come appunto le primarie, ecco perché mi auspico che questo percorso sia adottato da tutti i partiti del nostro paese.

 

Francesco Melis




Puglia: terra di sogni e di chimere

Ci avviciniamo alla bella stagione e si inizia a parlare di vacanze.

Sembra che anche quest’anno una delle mete più ambite del bel paese sia la Puglia ed in particolare il Salento con le sue straordinarie suggestioni e bellezze.

Eppure le contraddizioni di questa terra non sono poche.

Ritornano alla mente le parole di Caparezza quando nella sua celebre  vieni a ballare in puglia canta “Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese” e sintetizza, in un macabro epitaffio, le morti che questa terra piange ogni anno per le tante situazioni, visibili e invisibili, che giorno dopo giorno inquinano l’aria, le falde e la terra.

La Puglia ha dalla sua un record inattaccabile: è la regione che produce la maggior quantità di anidride carbonica grazie ai tre impianti che occupano, in questa triste classifica, i primi posti in Italia: centrale termoelettrica di Cerano (Br), l’Ilva di Taranto che dal 2011 è anche proprietaria delle centrali termoelettriche della città.

Come se non bastasse, a far inorridire anche i più ottimisti, vi sono, mai del tutto risolti, le conseguenze derivanti dagli scarichi in falda sia domestici sia industriali e dalla forte presenza di pesticidi, l’assenza e il malfunzionamento dei tanti depuratori che scaricano nel mare e le tante discariche abusive che periodicamente fanno notizia.

Suona quasi beffardo il riconoscimento dell’edizione internazionale di National Geographic che scrivendo  della Puglia la definisce il meglio dell’Italia meridionale: terra “indomita” e da visitare per “i ritmi di vita, le tradizioni e la bellezza dei luoghi”.

I riconoscimento non sono estemporanei ma significativi di un territorio che ha mantenuto forti le tradizioni,  le sue bellezze architettoniche e naturali.

Lo scempio dell’abusivismo e l’ondata del boom economico del secondo dopoguerra  hanno intaccato solo in minima parte il fascino del tacco. Purtroppo anche questo non è frutto di lungimiranza politica e di scelte mirate alla conservazione del patrimonio.

Tanta fortuna è da ricondurre alla povertà e alla scarsa appetibilità della Puglia che per tanti decenni è rimasta quasi nascosta: le sue spiagge con le dune di sabbia, i suoi centri storici e le scogliere che si affacciano sull’Adriatico, dal  Gargano scendendo fino al Capo di Leuca, risalendo sullo Ionio fino alle coste neretine di Porto Selvaggio.

Non ci resta che aspettare l’estate, portatrice di una nuova ondata di turisti e della visita di Donald Trump; personaggio discusso e per tanti discutibile che avrebbe scelto come meta per le sue vacanze quella che, nonostante tutto, resta una delle più belle regioni del mondo.

 




Cremazione al Sud: Puglia fanalino di coda.

Perché nel 2017 la cremazione delle salme è ancora un tabù?

Almeno questo sembra essere il sentimento comune e maggiormente diffuso in una vasta area del sud Italia.

La Puglia non è da meno.

In Italia i forni sono settantasette, escludendo le isole, solo cinque nel Sud.

Un solo impianto presente a Bari, per la Puglia, Regione con oltre quattro milioni di abitanti ed un numero di decessi annuo che è poco al disotto delle quarantamila unità.

E’ semplice constatare come in una Regione così grande e importante un solo impianto sia sottoposto a superlavoro: tarato per trecento operazioni in realtà arriva a farne ottocento l’anno.

I freddi numeri non danno la misura del disagio che ciò procura ai familiari dei defunti che scelgono di essere cremati: liste d’attese che durano almeno dieci giorni e rifiuti che comportano trasferimenti fino all’impianto più vicino di Avellino o Salerno.

Considerando che in Molise e in Basilicata non ci sono impianti, è altrettanto evidente che essere cremati dopo il decesso non è una scelta ma una possibilità alquanto remota.

Il metodo è inviso a molti ma che in Giappone, ad esempio, viene utilizzato per il 98% dei decessi al posto dell’inumazione nei campi o delle tumulazioni nei cassettoni. In Lombardia le operazioni di cremazione vengono effettuate per il 40% dei casi; a Milano, con sette forni funzionanti le percentuali raggiungono il 70%.

Molte regioni si sono dotate di una regolamentazione, molte altre non l’hanno ancora fatto.

La Chiesta cattolica ha già da tempo chiarito un equivoco che ha origine nel lontano ‘800.

Infatti, al tempo, i socialisti si facevano cremare sull’onda di un forte anticlericalismo e come rifiuto della sepoltura religiosa, la Chiesa in risposta dichiarava inammissibile la pratica.

Nel luglio 1963 Paolo VI pubblicò l’istruzione De cadaverum crematione: essa dichiarò lecita la pratica crematoria.

Qualcuno parla di impatto ambientale della pratica di cremazione ipotizzando una crescita delle immissioni di gas nocivi.

Recente è il dibattito scatenatosi dopo l’avvio dell’iter autorizzativo per la realizzazione di un tempio crematorio nella cittadina di Botrugno a sud di Lecce.

La minoranza ha chiesto che si facesse un referendum cittadino sull’argomento.

In realtà gli studi effettuati sembra non rilevino livelli di inquinamento importanti.

Uno studio del dipartimento di ingegneria dell’università di Udine recita testualmente “le analisi non hanno riscontrato differenze misurabili nella misura del tasso d’inquinamento tra crematorio spento e crematorio acceso”.

Sembrerebbe assolutamente fuori luogo l’allarmismo che scatta ogni qualvolta si parla di un nuovo impianto sul territorio regionale.

Il problema, pertanto, potrebbe essere più politico che legato ad altre ragioni o alla disponibilità di risorse finanziarie, infatti, molte aziende che operano nel settore si sono strutturare proponendo una soluzione “chiavi in mano” ai comuni che, a loro volta, dovrebbero dichiarare di pubblica utilità il progetto e seguire un iter chiamato “project financing” per nulla complesso e senza costi.

In Puglia queste opportunità non vengono colte dalle amministrazioni.

Cecità, paura di perdere consenso o semplice rifiuto di una pratica poco conosciuta?

I cittadini attendo risposte e si mettono in coda e attendono il loro turno per poter dare soddisfazione alle ultime volontà dei loro cari (“sperando di non morire prima” N.d.R.).

 

 

 




UDIR, Dirigenti Scolastici da tutta Italia a Palermo per dire basta alla mancata tutela del ruolo!!!

Nasce oggi l’UDIR, sindacato dei Dirigenti Scolastici, che come prima mossa rivendica diritti ormai accantonati da anni, sommersi dalle responsabilità addossate sulle spalle dei Presidi.

“io non capisco” esordisce Marcello Pacifico, Presidente del Sindacato Anief, all’apertura del seminario di formazione lanciato dall’UDIR alla sua prima apparizione pubblica “avete dei diritti cari Dirigenti Scolastici e non li andate a difendere??”

La domanda dopo aver spiegato che un Dirigente Scolastico oggi non riceve circa 20.000 euro di compensi pregressi che gli spettano per legge.

Oggi erano presenti al convegno più di 200 dirigenti scolastici provenienti da tutte le parti d’Italia, Lazio, Lombardia, Calabria, Campania, Veneto, Emilia Romagna ed ovviamente Sicilia, un grande successo che lascia presagire spiragli di grande futuro per questa azione nuova e fresca in un panorama sindacale che non è mai stato favorevole ai Dirigenti Scolastici, specie perchè la rappresentanza pesa circa lo 0,1 % rispetto agli iscritti di una normale forza sindacale generalista.

Difficile che in un mondo dove la rappresentanza dei Dirigenti pesa così poco e dove i sindacati generalisti (leggasi CGIL, CISL, UIL, etc. NdR) si trovano nella ridicola situazione di dover difendere un professore dal suo datore di lavoro, che è il Dirigente Scolastico, e ove entrambe le figure sono iscritte allo stesso sindacato, difficile si diceva che il sindacato possa essere obiettivo se il peso del docente vale il 30%sugli iscritti e quello del Dirigente lo 0,1%.

“UDIR” continua Pacifico nel suo incisivo intervento “non nasce per porsi come alternativa politica agli altri sindacati, ma per intervenire nelle reali problematiche legate al ruolo della dirigenza, e soprattutto per sistemare l’annosa questione della differenza di retribuzione tra Dirigenti Scolastici e tutto il resto della Dirigenza Pubblica.”

“Basta, Basta, Basta” riprende Pacifico ” è il momento di capire che la Dirigenza Scolastica ha tenuto per troppo tempo un comportamento da martire pur di far andare avanti le scuole! è ora di dire davvero basta all’iniqua diseguaglianza che si è creata negli anni addirittura tra dirigenti prima 2001 e dirigenti dopo 2001!!!”

Can che abbaia non morde, ma UDIR da subito ha morso il centro del problema, mostrando idee chiarissime ed efficaci, prevedendo tre linee di azione immediata, quella normativa e di accompagnamento alla politica, quella di unità forte dei dirigenti su un primo tema importante quale quello della retribuzione, e quella legale, tipica di Anief che negli anni ha fatto recuperare milioni di euro ai suoi iscritti di mancate erogazioni stipendiali, che vuole essere il primo supporto concreto agli iscritti.

“Nessuno di quelli che abbiamo accompagnato nei ricorsi ha mai dovuto pagare nulla di spese legali!” Tuona ancora Pacifico in risposta ad una mail che proprio in questi giorni è stata fatta girare ed in cui si sosteneva che ricorrenti aiutati da Anief avessero dovuto pagare ingenti spese legali in caso di mancata riuscita del ricorso stesso.

Abbiamo inoltre notato che proprio nell’ultimo mese, quando cioè ormai era nota la nascita di UDIR e la sua battaglia per la retribuzione, tutte le altre sigle sindacali hanno iniziato a parlare di retribuzione dei Dirigenti, ma possibile che per far muovere i sindacati su un diritto occorra fondare un nuovo sindacato??

Se va ha le gambe dicevano i nostri nonni, ed UDIR sembra proprio avere due poderose gambe da corsa.

 

 

 

 

 

 




A me la mano, please…

Se lo Stato fosse un mago, magari, mi farei leggere, nel palmo della mano, il mio futuro da insegnante. Pensione sì? Pensione no? Ma ne avrei di cose da chiedergli, oltre la storia della pensione… Per ora mi sa, che, a breve, la mia mano servirà, allo Stato, per prendermi le impronte digitali.

Ebbene sì, proprio in questi giorni di inizio scuola, è stato approvato il disegno di legge soprannominato “concretezza” del ministro Bongiorno in cui è previsto lo sblocco del turnover, ma anche la sorveglianza ed i controlli biometrici sul rispetto dell’orario di lavoro.  A Roma, il 12 settembre scorso, al termine del Consiglio dei ministri, che ha dato via libera al provvedimento, il ministro della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, ha presentato il disegno di legge “per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo”. E nell’ambito della lotta ai furbi del cartellino, tanto abili a timbrare quello del collega assenteista, tanto una mano lava l’altra, si sa, oggi tu lo timbri a me, domani lo timbro io a te…Dicevo, nell’ambito della lotta all’assenteismo, è scesa, come una spada di Damocle, la storia delle impronte digitali.

Non scherza mica la Bongiorno!

Lotta dura ai “furbetti” della Pubblica Amministrazione, un “Nucleo della concretezza” per individuarli, ma anche un piano di ricambio generazionale per rinnovarla. Come? Con assunzioni che «puntano sulla professionalità», attraverso lo sblocco del turnover (per ogni dipendente che esce un altro ne entra).

Ecco infatti il disegno di legge contro l’assenteismo e per la semplificazione del ministero della Pubblica amministrazione voluto dalla leghista, Giulia Bongiorno.

Un provvedimento che nasce dall’esigenza di semplificare le procedure della P.A. nell’epoca del digitale.

Un provvedimento chiamato appunto concretezza per non restare l’ennesima riforma epocale, ma che vuole rimettere in moto, in tempi brevi, la P.A.

La Bongiorno stessa ha ammesso che, di semplificazione si parla da anni, vedi storia della carta d’identità elettronica, ma stavolta, sembra che si faccia sul serio.

Mercoledì scorso, in Consiglio dei ministri, è stato approvato il disegno di legge che prevede anche la misura dell’utilizzo delle impronte digitali per riconoscere un dipendente ed evitare che attesti la presenza di colleghi virtuali. «Non si tratta di un provvedimento punitivo», ha assicurato il ministro in conferenza stampa.

Ma la reazione dei sindacati non si è fatta attendere. La Flc e la Cgil hanno subito parlato di controlli polizieschi,  di violazione della privacy e di difficile attuazione per i costi. Ma tanto si sa già, sono i primi, i sindacati, che necessitano di un controllo a tappeto…

La novità del provvedimento sta nel fatto che saranno perseguiti anche i «capi». Starà al «Nucleo della concretezza», composto da 53 esperti, che agirà con l’Ispettorato, scovare e segnalare inefficienze e disfunzioni. Spiega il ministro: «È difficile obbligare all’efficienza in astratto. Ma ci sono una serie di norme disapplicate.

Un esempio? L’autocertificazione non viene sempre accettata. Il “Nucleo della concretezza” segnalerà queste norme, i dirigenti avranno un tempo per applicarle. Se non lo faranno scatteranno per loro responsabilità precise e l’iscrizione dell’amministrazione in una “black list”».

L’altro pilastro del disegno di legge è l’accelerata sulle assunzioni. «Non un’infornata», ma «un bel ricambio generazionale di qualità con giovani che abbiano le professionalità mancanti. Da quelle a sostegno della digitalizzazione, al personale della giustizia (cancellieri e assistenti giudiziari). Dagli specialisti nell’utilizzo dei fondi europei agli ingegneri esperti in controllo di gestione, al personale tecnico», sottolinea. «L’anno scorso — rimarca — c’è stato il blocco del 25% del turn-over. Noi lo togliamo e prevediamo procedure semplificate.

Una sorta di liberalizzazione delle assunzioni». Da subito verrà dato il via libera all’80% delle assunzioni previste, considerando i pensionamenti. Mutuando il sistema della Scia, che in edilizia consente di iniziare i lavori e fare controlli successivi, ci saranno assunzioni «tramite apposite procedure concorsuali indette in deroga alla normativa vigente in materia di mobilità e senza la necessità della preventiva autorizzazione».

L’idea di abbreviare i tempi per sostituire le risorse, di non aspettare la conclusione dei complicati meccanismi previsti per le assunzioni, anticipandole rispetto ai controlli, è di sicuro vincente. Anche se, il fatto che “le verifiche verranno fatte a valle”, come dice il ministro, mi spaventa un po’.

Resta da capire come la norma verrà attuata, se ci saranno degli appositi concorsi, o se i precari storici in possesso delle competenze richieste avranno una corsia preferenziale. Più che altro se, come spesso succede in Italia, anche stavolta “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Se, stavolta i furbetti non saranno degli altri, magari gli amanti della raccomandazione o dell’autocertificazione…

 

Antonella Ferrari




Lo Sport libero libera lo Sport

Era il 2009, quando i giornali, alcuni dei quali con quel gusto singolare che vede il successo come un male da combattere, titolavano “Briatore radiato dalla F1”.

Per spiegarne il motivo bisogna tornare al 2008, al GP di Singapore, quando un giovane pilota Nelson Piquet Jr., figlio del grande Nelson Piquet finiva contro un muro in quello che lui sosterrà essere un incidente simulato per eseguire un ordine di scuderia arrivato direttamente dal Team Principal della Renault Flavio Briatore, volto a favorire la vittoria dell’altro pilota della stessa scuderia, Fernando Alonso.

Il pilota che, dopo una brillante carriera nelle formule minori, aveva preso parte a 28 GP di Formula 1, ottenendo un podio e 11 ritiri.

Aveva ottenuto 19 punti totali nel campionato 2008 e 0 dopo 10 delle 17 gare nel 2009 che gli sono valsi il licenziamento da parte della scuderia francese.

Per la cronaca un’ulteriore sentenza ha definitivamente revocato la radiazione del Sig. Briatore che ora è perfettamente abilitato per tornare alla guida di un team di F1 anche se, nei successivi otto anni non è mai tornato in pista ma chissà cosa ci riserverà il futuro.

La Formula 1 è ora controllata dalla Liberty Media, una società americana, sicuramente di grande successo in tanti ambiti ma che, per quanto riguarda la massima competizione automobilistica, di certo non ha le idee molto chiare.

Analizziamo due decisioni che, per fare un complimento, definirei non brillanti: la prima trova un esempio lampante in quello che è successo al GP di Monza 2018 dove oltre alla indubbia straordinaria prestazione agonistica di Lewis Hamilton che è andato a vincere la gara dimostrando grandissima abilità, tenacia e determinazione, ha riguardato proprio gli ordini di scuderia.

Andiamo con ordine; il GP, dopo una fase abbastanza movimentata in partenza, vedeva il ferrarista Kimi Raikkonen in testa seguito da l’inglese Hamilton su Mercedes e davanti a loro, ma con un pin stop in meno, c’era il compagno di squadra dell’inglese, Valteri Bottas. Bottas in quel momento ha ricevuto un “team radio” da parte del suo box dove gli hanno detto esplicitamente di rallentare Raikkonen per facilitare il rientro di Hamilton che si era attardato per il combinato disposto di giri molto veloci di Raikkonen e due pit stop differenti; impeccabile quello della casa di Maranello e con qualche errore quello della Mercedes. Il rallentamento ha avuto successo anche perché ha anche causato un deterioramento delle gomme del pilota Ferrari che ne hanno inevitabilmente rallentato le prestazioni.

Rileggendo le prime righe verrebbe da pensare a multe e radiazioni, invece nulla di tutto ciò; tutto regolare. Senza dubbio l’interesse della squadre spesso giustamente prevale sull’interesse del singolo, ma fino a che punto si può arrivare? Che differenza c’è tra fare un incidente per rallentare tutti o frenare e rallentare un solo pilota? Posto che un incidente sia sempre e comunque pericoloso, dove è la differenza tra un caso e l’alto? Quale è il limite?

Per il modesto punto di vista di chi scrive è opportuno considerare due aspetti: innanzitutto è inevitabile che ci siano degli ordini di scuderia, anzi sono parte del gioco, si gioca in Team. Secondariamente è opportuno interrogarsi sul limite che questi possono avere e mi sembra evidente che in tutti gli sport questo debba essere il limite stesso della competizione, nel senso che si deve sempre e comunque ricercare la miglior prestazione, non esclusivamente danneggiare l’avversario.

Il caso di Raikkonen e Bottas è paragonabile ad un calciatore che si invola verso la porta e viene costantemente trattenuto dagli avversari, questo nel calcio sarebbe punito.

La punizione non è dovuta per una fantomatica giustizia divina ma semplicemente perché calerebbe lo spettacolo e snaturerebbe la disciplina. Strano che proprio una società di “media” non capisca quanto questo possa rovinare l’aspetto dello spettacolo e soprattutto il risultato incerto che è una delle discriminanti tra ciò che è sport e ciò che è semplicemente una recita.

Altra decisione, che fa sorridere, è quella di aver proibito le “ombrelline”; normalmente belle ragazze che reggevano un ombrello, da qui il nome, sopra i piloti prima della partenza. Questo giustificato con la farneticante motivazione che screditerebbe il ruolo della donna.

Ora con la stessa motivazione dovremmo vietare i bambini che accompagnano i calciatori in campo perché screditano il ruolo dei bambini. Siamo tutti al corrente della situazione politico sociale degli Stati Uniti e dei vari movimenti nati per evitare varie situazioni spiacevoli, vere o presunte, che pare abbiano visto protagoniste donne del mondo dello spettacolo e non solo, ma questo non consente in alcun modo di cambiare quella che è sempre stata una tradizione, peraltro apprezzatissima.

Cari amici di Liberty Media, leggete il vostro nome “libertà”!

Lo sport è quanto di più libero e democratico esista nella società, siate liberi davvero nelle vostre scelte e prendete esempio dal Principato di Monaco dove si sono rifiutati di applicare questa nuova norma e voi, giustamente, pur di non perdere uno spettacolo unico come il GP di Monaco, avete dovuto accettare che venisse disapplicata.

Iniziate a pensare da sportivi, ai principi dello sport, a favorire il confronto agonistico, incrementando lo spettacolo, senza fare i politicanti che rincorrono un consenso …immediato e spesso effimero.

Viva lo sport!