San Filippo Neri: proteggi tu la scuola…

Quando meno te l’aspetti …

Quando meno te l’aspetti, guardi il calendario e scopri che c’è pure un santo protettore degli insegnanti, precisamente San Filippo Neri, un nobile originario di Firenze vissuto tra il 1515 ed il 1595 che, dopo essersi trasferito a Roma, era diventato sacerdote, ma soprattutto insegnante.

L’iconografia classica ci rimanda il profilo di un uomo benevolo, sempre disposto a schierarsi dalla parte dei deboli, caritatevole verso i poveri e solidale con gli indifesi, ma, soprattutto, consigliere e MAESTRO dei più giovani.

Un tipo talmente in gamba, che, già allora, aveva tanto a cuore i problemi dei ragazzi da impiegare gran parte della sua giornata all’ascolto delle loro preoccupazioni, sempre pronto a dispensare motti pieni di sapienza e pioniere nella gestione dei conflitti. Famosa la sua frase “State buoni, se potete” con la quale invitava i suoi alunni alla bontà ed alla gioia. Un tipo concretamente impegnato nell’educazione, promotore d’incontri con i giovani e creatore dell’Oratorio.

Per questo attaccamento agli adolescenti, per il senso di sacrificio che lo portava a non stancarsi mai, e per la coerenza di vita, San Filippo Neri è stato eletto protettore dei bambini, dei giovani, ma soprattutto degli insegnanti.

Bene, il 26 maggio, la chiesa cattolica l’ha ricordato ed il presidente nazionale dell’ Anief, ( Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori, una neonata associazione ONLUS con sede a Palermo ) precisamente il professore Marcello Pacifico, in un comunicato si è rivolto ai colleghi cattolici dediti alla formazione degli alunni e degli studenti ed ha dedicato loro alcune riflessioni: “In questo giorno, in cui ogni insegnante festeggia il proprio protettore, il pensiero va a tutte le persone che prestano servizio presso le nostre scuole. Il lavoro del Maestro e quello del Professore denotano un grande senso di responsabilità, di attaccamento ai valori della famiglia”.

E già, qui, entro in crisi, perché, non so voi, ma la famiglia della nostra epoca non condivide più i valori di sacrificio, di merito e di onestà che dovrebbero essere alla base di ogni educazione scolastica.

“La Scuola – continua Pacifico – è una grande famiglia e i docenti spesso sacrificano tempo prezioso per le attività, per portare avanti la missione dell’insegnante. Un sacrificio che vale, ovviamente, anche per i docenti non cristiani.

Perché certamente, chi decide di dedicare la propria carriera all’ammaestramento dei giovani sente questo compito dal più profondo e lo porta avanti con dedizione e serietà. Ognuno di noi, nella propria formazione scolastica, ha dei ricordi che si ricollegano a specifici momenti di formazione e crescita legati a un insegnante. Il loro ruolo è basilare e molti insegnamenti, anche di vita, non lasciano mai la memoria degli studenti”.

Ringrazio profondamente questo professore per le sue parole d’incoraggiamento ed anche dopo trent’anni d’insegnamento mi rivedo sui banchi di scuola intenta a” bere” la cultura, la libertà, l’impegno sociale dei miei insegnanti…

Ma, sinceramente, faccio più fatica a riconoscere la missione attuale degli insegnanti…

O meglio, per dirla come i miei alunni è più una candidatura al martirio.

Lo so, per l’opinione pubblica siamo una manica d’incompetenti, in balia dei genitori e ricattati dagli studenti…

Però vorrei ricordare che, dal punto di vista costituzionale, la nostra scuola, o meglio la BUONA SCUOLA del nostro ultimo governo, propone un nuovo contratto che non tutela docenti e Ata.

La nostra scuola è proprio quella in cui, con una manovra anticostituzionale vengono cancellati i diritti pregressi degli insegnanti, per esempio il titolo abilitante delle maestre elementari che sono arrivate a fare lo sciopero della fame per salvare il loro posto di lavoro.

La nostra scuola è quella dell’incremento costante del burnout, cioè quella in cui i nostri insegnanti soffrono di patologie una forte esposizione allo stress.

La nostra scuola è quella in cui lo stesso sistema che ha partorito gli INVALSI, lo ha poi definito un aborto, inadeguato per verificare le competenze tanto osannate nell’ultima versione degli esami di terza media.

La nostra scuola è quella in cui gli aumenti in arrivo nel mese di giugno saranno irrisori.

Per non parlare poi delle “mance”, qualche centinaio di euro, che, da oggi saranno in busta paga, come arretrati di un rinnovo di contratto congelato da anni…

Mi piace però la posizione di questo sindacalista autonomo che insiste: “Noi ci battiamo – continua Marcello Pacifico – dalla fondazione di Anief affinché gli insegnanti possano vedere riconosciuti i sacrifici e i meriti […] Noi sogniamo una scuola che ridia rispetto e dignità al lavoro dell’insegnante, che parta dal riconoscimento del fatto che un docente è stato, prima di tutto, uno studente che ha voluto emulare i propri maestri, seguendone le orme e divenendone omologo”. Ecco, appunto, vorrei insistere sull’impellente necessità di realizzare un sistema scolastico dove venga riconosciuta l’importanza del formatore, come educatore dei discenti, dove le famiglie riconoscano che i loro figli, sono i nostri alunni, ma anche i cittadini di domani…Vorrei davvero che finalmente passasse il messaggio che, a casa, come a scuola, l’obiettivo è comune, cioè la costruzione di una società civile e civilizzata… Per questo, l’augurio di Pacifico che” nel futuro prossimo le nostre aule siano piene di studenti felici, prepararti, guidati da docenti soddisfatti del proprio ruolo” mi riempie di gioia, ma mi fa tremare d’illusione…” Noi lottiamo da sempre perché ciò possa divenire realtà e la nostra raggiunta rappresentatività non fa che spingerci più avanti rispetto alla sua realizzazione”, così conclude il presidente, e così ci affidiamo fiduciosi al nostro santo protettore, perché, grazie alla sua intercessione, avvenga il miracolo, perché di questo si tratta…

 

Antonella Ferrari

 

 




Sproloquio ergo sum

CARTESIO 2018.

Non me ne vogliano i prof di filosofia, e, pace all’anima sua, povero Cartesio, se c’è chi lo disturba per un dubbio metodico, ma anche iperbolico… 

COGITO ERGO SUM, ovvero penso dunque sono, o, anche, penso dunque esisto.

Chi di noi non ha mai citato questa frase?

L’ha detta Cartesio, al secolo René Descartes, vissuto tra il 1596 e il 1650.

Ma, spesso è impiegata con leggerezza, semplicemente per definire l’uomo come soggetto pensante.

In realtà, ha un significato più profondo di quello che può sembrare.

Nel suo Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637, all’età di 41 anni, Cartesio si proponeva infatti il compito di trovare una verità fondamentale e solida.

La scienza, il sapere umano avevano bisogno di fondamenta in grado di reggere a qualsiasi urto, anche a quelli della sua epoca, in cui il tribunale dell’Inquisizione, solo quattro anni prima, aveva processato Galileo, portandolo ad abiurare le nuove conoscenze astronomiche.

Per Cartesio, la conoscenza, al pari di una casa, doveva essere in grado di resistere ai colpi avversi. Nel caso del ragionamento, i colpi avversi erano quelli portati dal dubbio.

Per questo motivo Cartesio si propose un unico scopo: provare a mettere in dubbio tutto. Se una qualche verità avesse davvero resistito ai colpi del dubbio, allora sarebbe stata abbastanza solida da costruirci sopra una scienza.

Se invece avesse ceduto, sarebbe stata da scartare.

Dunque, il dubbio metodico era per il filosofo francese il principale metodo d’indagine della realtà, ed il famoso uomo di Cartesio, più che soggetto pensante era un soggetto dubitante.

Insomma, l’uomo, per essere ingannato dai sensi o dagli dei, doveva per forza esistere.

 Scusandomi preventivamente per aver cosi banalmente ridotto il pensiero cartesiano, mi permetto solo di applicarlo a Facebook. Giusto il tempo di un articolo, per qualche considerazione “virtualmente reale”.

Vorrei riproporre ai nostri giorni le quattro regole di conoscenza di Cartesio, quelle valide per tutte le discipline, perché, per lui, morale, geometria, politica, matematica, fisica ed arte erano solo rami diversi di un unico sapere.

E forse esisteva uno stesso metodo, uno stesso insieme di regole, per indagare ciascuno di questi ambiti.

 Prima di tutto, la Regola dell’evidenza, cioè” non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale, ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio”.

 Che meraviglia! Applicare ogni giorno, che dico, ogni istante, un salutare dubbio nei confronti delle manipolazioni della realtà proposte nei post di Facebook, nonché applicare una salutare perplessità verso i profili Instagram…

Come sarebbe più facile evitare di ingozzarsi di vacuità virtuali, cioè “non comprendere nel mio giudizio, niente di più di quello che si fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio”.

Avremmo finito di confondere il reale con il virtuale, ma avremmo anche finito di vivere nel nulla, perché, sui social, l’apparenza è l’esistenza.

Seconda regola, quella dell’analisi, cioè “dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un’adeguata soluzione”.

Anche qui, è proprio l’esatto contrario di quanto avviene ogni giorno nel mondo dei social. Di fronte a qualunque problema, anziché scomporlo, tutti sanno tutto. 

I navigatori virtuali s’improvvisano esperti di salute, psicologia e diritto, sparano sentenze e propongono soluzioni, ma, soprattutto si affrettano, in tempo reale, a totalizzare la realtà in un magma di like.

Altro che frazionare la realtà per conoscerla, su Facebook ed Instagram esiste solo un caleidoscopio di dati e d’immagini volti a frullare la realtà.

In una galleria di specchi virtuali, la realtà è sì ridotta in polvere, ma non per essere conosciuta, quanto per essere omogeneizzata.

Terza regola, quella della sintesi, cioè” di condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza”.

Ma quando mai?!? Sui social esiste una vera compulsione alla banalizzazione, in un vortice mediatico si pretende di comprendere tutto, in tempi immediati, livellando i consigli estetici ai valori etici, parlando della cellulite come dell’eutanasia. In un’ossessione oculo-manuale, non esiste un ordine logico della conoscenza, anzi della pseudo- conoscenza.

Non esiste neanche una consequenzialità dei dati, perché il nostro Ulisse del terzo millennio, rischia di pensare che il riciclo dei rifiuti possa essere antecedente al ritrovamento dei cadaveri, che smacchiare i tessuti possa venire prima di allestire un campo profughi…

E per ultimo, è sempre il caro buon Cartesio che parla,” di fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla”.

E qui, scopriamo l’acqua calda o l’uovo di Colombo!!! Per noi, l’America è il gossip, il Nuovo Mondo è il buco della serratura del profilo del vicino.

Siamo così capaci di inventariare i fatti altrui, che confondiamo la conoscenza con il voyeurismo, la consapevolezza con l’esibizionismo, la sintesi di un percorso con la generalizzazione di un caso.

Ma, soprattutto, non ci sorge mai il dubbio di conoscere noi stessi, ma questa è un’altra storia…

 

Antonella Ferrari

 

 




Il mondo delle chat come espressione di vero dramma della solitudine

Chatto dunque sono…

Ho deciso di sperimentare, possibilmente senza giudicare, il mondo occulto e distorto dell’amore virtuale.

Ecco, ho già espresso un giudizio…

Il mio problema è che voglio capire bene il dramma vissuto da tanti che frequentano le chat, cioè che chiacchierano su Internet con persone che non conoscono personalmente e di cui non hanno neppure mai sentito il tono della voce.

Come mai quest’attività spesso crea una forte dipendenza?

Perché sull’altare di un amore virtuale, molti di noi, arrivano a compromettere quello reale? Forse perché il rapporto interpersonale che si instaura in una chat è potenzialmente perfetto, intoccato ed intoccabile, a causa del fatto che non risente delle limitazioni dovute alla conoscenza diretta (aspetto fisico, mimica, tono di voce, ecc.).

Il rapporto on-line permette una grande liberazione della fantasia, una diretta gratificazione dei propri desideri.

Chattando, si provano emozioni molto forti, perché si gioca a sperimentare (anzi, in un certo senso si vive veramente) un rapporto che è quello che avremmo sempre voluto avere, quello che ciascuno di noi ha dentro di sé, come modello ideale di rapporto.

Parlando nascosti dietro un nickname, stereotipati in un cocktail di misure fisiche ottimizzate e di interessi mentali sublimati, incasellati in un profilo di sé perfetto, ci si sente capiti, si possono condividere tante cose, si ritorna a quello stato di grazia di una “cotta” adolescenziale.

“L’amore al tempo del colera” dei nostri quattordici anni, era basato molto sulla fantasia, e non a caso, bastava una foto, una stimolazione minima, per far scattare dentro di noi quella complessa reazione psico-affettiva, che chiamavamo amore.

In effetti, prima scoperta, alcuni amano soprattutto chattare, mentre hanno resistenza ad incontrarsi, o anche solo a telefonarsi. Apparentemente questo è paradossale: se ci si piace tanto on-line, perché allora non incontrarsi, di persona? Ma questa resistenza non è contraddittoria, anzi, è razionalmente logica e psicologicamente umana.

Ed ha un nome: PAURA.

E’ la paura di conoscersi meglio, è la paura di barattare il sogno perfetto, con la realtà imperfetta, il virtuale con il reale.

Perché, più ci si conosce, più gli aspetti di realtà, necessariamente, tolgono spazio alla fantasia e limitano la possibilità di provare quei forti sentimenti che erano sbocciati dentro di noi. Infatti, quel complesso di stati affettivi, che in genere chiamiamo amore, si basa sempre su un grado di idealizzazione, di deformazione della persona amata, affinché essa rientri meglio nel modello che ci portiamo dentro. Questo è un meccanismo normale, utile al nostro adattamento e funzionamento sociale.

Dunque, ogni volta che ci innamoriamo, avviene una sorta di abbinamento tra un’immagine interna ed una esterna.

L’esterna deve, però, essere capace di evocare quella interna, perché, solo attraverso quest’evocazione, che produce il piacevole stato psico-affettivo e motivazionale, viviamo l’esperienza dell’innamoramento.

Ecco perché, così tanti, sono bisognosi di essere costantemente innamorati: per prolungare all’infinito questo stato di grazia.

Così, ho scoperto che ci sono persone che stanno benissimo solo in chat, individui che mi hanno raccontato che, mentre davanti ad uno schermo provavano un grande piacere ad aprirsi, una volta al telefono, con quella stessa persona con cui avevano chattato per giorni interi, non sapevano più cosa dire, si bloccavano, provavano imbarazzo, gelo, inibizione dei sentimenti.

Il motivo, con tutta probabilità, è che il tono della voce aumenta molto la conoscenza e quindi l’intimità, ed allora, subito, cresce la paura che quello che proviamo sia inappropriato. Il telefono è la prima “prova del nove”, il primo tentativo di tornare con i piedi per terra.

Ma è soprattutto quando ci si incontra “dal vivo”, che si è alla resa dei conti.

A quel punto, anche solo davanti un caffè, in un bar, si è maggiormente in contatto con una persona reale, e non più con quell’immagine precedentemente prodotta dalla nostra fantasia.

E, qui, viene il bello…

Amara scoperta, adesso, davanti a quella tazzina di caffè, quell’immagine non può più essere evocata con la stessa facilità.

Tutta la nostra psiche è in uno stato di allerta, adesso il nostro inconscio entra in collisione con il nostro conscio, ora bisogna “lavorarci sopra”, cioè fare un certo lavoro per adattare la nostra immagine interna alla nuova.

Prima conseguenza, la FUGA, il rinunciare alla fatica del confronto, perché, conoscersi per davvero, è faticoso.

Infatti, privata della dimensione ludica del virtuale, l’impegno di una conoscenza reale comporta dei rischi, non ultimo, quello di non riuscire più a provare le cose che provavamo prima.

Ma, questo, è il normale percorso dello sviluppo dei sentimenti: in certi casi, quando all’inizio non eravamo tanto innamorati, una conoscenza approfondita fa aumentare l’amore, mentre, se siamo già molto innamorati di una persona che conosciamo poco, può accadere che, con la conoscenza, il sentimento diminuisca o comunque si modifichi molto.

Dunque, è tutto così rischioso e deprimente in una chat? Tutti i rapporti basati prevalentemente sulla fantasia sono destinati a fallire una volta che ci si vede? Assolutamente no!!!

Possono essere delle opportunità, molto belle, per conoscere e esprimere delle emozioni che abbiamo dentro, pronte a sbocciare.

Forse, il chattare con un estraneo, è una specie di terapia domestica, di psicanalisi “fai da te”…  In una chat, si verifica un po’quello che gli addetti ai lavori chiamano transfert, cioè quell’insieme complesso e delicato di sentimenti che possono emergere nei confronti del terapeuta. Un paziente, in cura da uno psicologo, assume la consapevolezza di sé, scopre e conosce sentimenti, soprattutto come sono stati i suoi precedenti rapporti significativi (col padre, con la madre ecc.,.) di cui appunto il rapporto trans-ferale è una sorta di riedizione .

Non a caso, lo psicoanalista classico cerca di non farsi conoscere dal proprio paziente, di comportarsi in modo abbastanza anonimo, appunto per non distruggere questa potenzialità (ben sapendo che eliminare del tutto la propria influenza è impossibile).

Ed in genere, il paziente ha paura di conoscere meglio il proprio terapeuta, ad esempio, si trova a disagio se lo incontra per strada, appunto perché, inconsciamente, sa che quel suo rapporto trans-ferale è prezioso e vuole preservarlo. Il paziente difende quel rapporto perché sa che, quella relazione asettica, gli fornisce conoscenza ed esperienze importanti utili alla terapia di cui ha bisogno.

Certo, il paziente vorrebbe anche conoscere il proprio terapeuta (così come chi chatta vorrebbe conoscere la persona con cui chatta), ma questo desiderio è in conflitto con la paura di perdere quell’altra cosa, basata sulla fantasia, a cui tiene molto.

Io, in passato mi sono interessata alla psicoterapia reale, ora sono attirata da quella on line (cioè tramite Internet), e ho notato un curioso paradosso: molti psicoanalisti sono scettici verso questa nuova potenzialità di Internet, eppure non si rendono conto che la psicoterapia on line estremizza (direi quasi in modo caricaturale) proprio alcuni aspetti centrali dell’approccio psicoanalitico reale.

Infine, per chi è guarito da questa prima fase, si rimanda alla prossima puntata, ma ad onor del vero, non l’ho ancora verificata…

 

Antonella Ferrari




Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

Il tradimento virtuale, o l’amante del ventunesimo secolo…

Di recente, ho riso di gusto, quando ho visto un post su Facebook: sotto la foto del volto di un uomo pestato a sangue, si leggeva “Ecco cosa ti succederà quando tua moglie scoprirà la password del tuo cellulare”.

In effetti, penso che tra molti individui, forse più uomini che donne, ci sia l’abitudine al tradimento online, ritenendolo meno grave di quello reale, magari consumato, a pagamento, con una prostituta. Lungi da me stilare una classifica della gravità del tradimento, voglio solo suggerire un’interpretazione del tradimento virtuale. Forse, il tradire online sminuisce il tradimento in sé, lo semplifica, paradossalmente lo giustifica, come meccanismo di sopravvivenza della coppia.

Per gli appassionati delle chat d’incontri esiste, almeno all’inizio, anche la possibilità che questi amori intensi e basati sulla fantasia abbiano una funzione “difensiva”, di protezione del matrimonio già esistente.

Tutto questo rimanda all’istituzione del ruolo dell’AMANTE.

L’amante, è sempre esistito, in ogni epoca ed in ogni ambito sociale, sempre che l’unione istituzionale fosse improntata alla monogamia. L’amante era l’amore scelto dall’individuo, in opposizione a quello imposto dalla società.

Ma perché, anche oggi, che ci si sposa per amore, esiste ancora l’amante? Perché il tradimento è ancora tanto presente ed importante nella nostra società? Perché anche in un’epoca in cui non esiste più il matrimonio politico o l’unione familiare combinata, sono moltissime le persone che sentono il bisogno di tradire il proprio partner? Partner con cui liberamente hanno scelto di dividere la propria vita e di cui peraltro non riuscirebbero a fare a meno…

Bene, nella nostra epoca, il bisogno compulsivo di chattare con un estraneo, rimanda alla possibilità, sempre esistita, in tutte le epoche, di tradire il proprio partner.

Ecco perché, il CHATTARE può essere considerata una forma di tradimento, anche solo a livello di fantasia.

Gli amanti, istituzione che esiste dal tempo dei tempi, non possono essere eliminati facilmente.

Il loro amore si alimenta di segreto e di divieto. Il loro amore si rinforza sempre più, quanto più sono “amanti”, cioè clandestini.

Il loro amore tanto più esiste, quanto più resiste una coppia ufficiale dalla quale sono esclusi.

O viceversa, il loro amore resiste quanto più esiste il matrimonio o la convivenza di base.

Se la questione degli amanti consistesse solo nell’amare un’altra persona più del(la) partner, allora basterebbe separarsi e mettersi con l’amante, e questi problemi sarebbero subito risolti in tutto il mondo.

Ma perché, non a caso, ciò viene evitato quasi sempre? Naturalmente, a livello conscio, il valore della clandestinità e del divieto non viene ammesso, questa loro importanza non viene riconosciuta. Anzi, molti amanti soffrono e si lamentano della loro condizione…

Eppure, vi sono innumerevoli esempi che dimostrano che, la condizione dell’amante, è ricercata, appunto proprio perché è clandestina, irregolare, che, è da questa condizione di non ufficialità, che trae la sua linfa vitale.

Se la coppia ufficiale si separa, non raramente anche gli amanti subito si separano, perché cessa improvvisamente l’amore.

Persino l’attrazione sessuale, che prima era così forte, a volte, sparisce del tutto. Oppure, se la coppia degli amanti diventa quella ufficiale, presto uno dei due sente uno strano desiderio, quello di innamorarsi di un’altra persona. Uno dei due si guarda attorno, prova varie simpatie, sente il bisogno di ricreare una situazione triangolare.

Dunque, un’interpretazione del tradimento online, potrebbe rimandare all’ipotesi che, in alcuni individui, ci sia una paura inconscia verso la condizione monogamica, ufficiale, “normale”, una paura che inevitabilmente porta alla frigidità e alla depressione.

Pensiamo a quelle tante coppie di coniugi che, totalmente ignari delle proprie dinamiche inconsce, razionalizzano la loro difficoltà a stare bene insieme dicendo che alla sera “si annoiano a guardare sempre la televisione”, oppure a quelli che dicono che “è la convivenza che toglie vitalità al matrimonio”. In realtà, è evidente che per tante coppie la convivenza non inibisce i sentimenti e il piacere di stare insieme, anzi!!!…

Il bisogno profondo di vivere qualcosa di bello con la propria fantasia, di “evadere”, di provare sentimenti intensi – bisogno perfettamente legittimo – potrebbe insomma essere concepito non “in positivo”, ma “in negativo”, cioè come il tentativo disperato di provare determinati sentimenti, dato che il soggetto non riesce a provarli nel modo “normale”, perché ne ha paura.

L’unica possibilità per lui è appunto di viverli in una situazione non vera, parziale, non ufficiale, in cui si sente meno responsabile di quello che fa, forse meno “in colpa”.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, proviamo a pensare che chi gode tanto di questi bei rapporti di fantasia non è più virile o interiormente più ricco, non ha una vita affettiva più intensa, ma è semplicemente un impotente, una persona che ha paura della intimità affettiva e sessuale, forse anche della amicizia vera.

Non lo dico io, l’ha detto Freud!!! Egli infatti definiva “impotenza psichica” quella di cui sono affette le persone incapaci di provare simultaneamente amore e attrazione sessuale verso la stessa persona: molti uomini, ma anche donne, fanno fatica a gestire questi due sentimenti simultaneamente, ad attivare questi due “sistemi motivazionali” (attaccamento e sessualità) nei confronti della stessa persona.

Preferiscono scindere, cioè amare sentimentalmente una persona idealizzandola, ma senza sessualità, e provare desiderio verso un’altra persona, non amata, vista solo come oggetto sessuale o di divertimento, ad esempio una conoscente occasionale o una prostituta.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, scelto o subito, prima di dare in escandescenze per essere stati scoperti o, ancor più, per averlo scoperto, proviamo a porci due domande…Ma, davvero è tutta colpa di internet? O, magari, di Freud!?!…

 

Antonella Ferrari




Gli ultimi regali del colosso dai piedi d’argilla morente: ennesimo insulto ai vicepresidi, classi pollaio e il vademecum del linguaggio di genere

Nella gioia che il vecchio sistema è andato e che il nuovo che arriva peggio non può fare, abbiamo però la possibilità di gioire dei lasciti finali che ci sono stati lasciati dalla “zarina”.

Povero Denis Diderot, Lui che rimase deluso dall’incapacità della monarca russa Caterina II di capire l’importanza di introdurre riforme e  principi di giustizia nel suo governo, oggi sarebbe sconvolto ancor più nel vedere gli ultimi lasciti della zarina prima della sua uscita.

Partiamo dal vademecum sul linguaggio di genere nel gergo amministrativo, vademecum di BEN trenta pagine, realizzato da un gruppo di lavoro avviato nel luglio 2017, in cui solerti dirigenti e professoroni universitari hanno fatto approfondimenti importanti sul fatto che è più opportuno scrivere la dirigente scolastica invece che il dirigente scolastico, e che non è giusto dire gli alunni intendendo anche le alunne, architetto e architetta, revisore, revisora, insomma un importantissimo studio che rimette finalmente al centro i problemi della scuola italiana, un anno di lavoro costato sicuramente ma che ha centrato un problemone di cui non potevamo più attendere una risoluzione, i dirigenti ora possono finalmente scrivere in fondo alle lettere La Dirigente Scolastica!!! Scuola sistemata, gli Accademici della Crusca nuovamente scandalizzati e chissenefrega se gli edifici scolastici sono a pezzi se la manutenzione non esiste, se i soldi comunque sono ancora pochi, se i PON stanno facendo impazzire le scuole per la loro complessità…

Altra importante indicazione dell’Impero Russo è la creazione delle classi in cui devono essere stipati più alunni possibili, così si risparmia sui costi! Bravissima zarina, abbiamo risolto un problema e risollevato le finanze dello stato sicuramente, ma forse abbiamo danneggiato per l’ennesima volta la giusta necessità didattico educativa di avere classi equamente distribuite non solo nel livello di apprendimento ma anche nella necessità di non essere costretti in spazi soffocanti.

Infatti il DM 18 dicembre 1975 Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici di funzionalità urbanistica, da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica” prevede almeno 1,8 mq per alunno.

In pratica per fare classi di 27 alunni occorrono aule di almeno 48,6 mq, calcolando che solo la cattedra e la lim occupano 6 mq medi, lo spazio per una classe di 27 alunni dovrebbe essere minimo di 54,6 mq, invitiamo tutti i Dirigenti a mettere i mq delle loro classi a fianco dello schema degli alunni per classe che viene inviato al Provveditorato.

Facendo così ameno quando dovesse venire l’ispezione dei vigili del fuoco che contesta il numero di alunni nella scuola potete dimostrare che avevate segnalato a chi di dovere le capienze dell’istituto.

Ma la cosa che più ci fa andare in bestia che al confronto il buon Diderot era un santo, è la continua offesa, nonché l’insulto evidente ed il disprezzo inaccettabile che viene riservato alla categoria dei Vicepresidi nella loro essenziale funzione sia educativa che di gestione della scuola.

L’art. 4 comma 1 Direttiva MIUR 281/2018 è I R R I C E V I B I L E!!!

Dimostra, se mai vi fossero stati dubbi, l’assoluta ottusità di chi credere di risolvere le cose senza sapere di cosa parla.

D’altronde se per scrivere trenta pagine di così profonda profondità c’è voluto un anno, per capire come funziona la scuola probabilmente ci vorranno novant’anni.

Peccato che la scuola non ha novant’anni di tempo, peccato che chi oggi si occupa di aiutare i Dirigenti Scolastici (ben ha fatto il sindacato UDIR a stigmatizzare la necessaria temporalità di provvedimenti così assurdi) non può aspettare nemmeno un giorno per veder riconosciuti i propri diritti, e, come diceva mia nonna, “fischia ma almeno un grazie lo si può dire??!!??”

Ma vogliamo almeno riconoscere pubblicamente l’importanza di queste figure altamente professionali che da anni reggono le scuole assieme ai Dirigenti???

NOI DI BETAPRESS LO FACCIAMO, GRAZIE VICEPRESIDI SIETE COSI’ PREZIOSI CHE SE NON CI FOSTE DOVREBBERO INVENTARVI!!!

Si dovrebbe rivedere il modello organizzativo delle scuole, riconoscere il ruolo ai vicepresidi con stipendi e deleghe corrette (un vicepreside normalmente resta a scuola il doppio del tempo), innalzare lo stipendio dei docenti e legare di più la loro attività alla scuola modificando il contratto, rivedere la dotazione di personale di segreteria e dare il giusto rispetto alla figura del Dsga, smettere di considerare la scuola un bacino di voti facile da comprare con pochi spiccioli (vedasi il recente rinnovo contrattuale che definirlo una colossale presa in giro è veramente eufemismo, tra l’altro ancora non capiamo come mai i docenti abbiano ancora le tessere dei sindacati???), insomma è ora di considerare la scuola non come un centro di costo ma come un sistema di investimento…

Ma ora lasciamo la parola agli amici di ANCoDiS che meglio di noi rappresentano le tematiche del loro ruolo.

 

A.N.Co.Di.S.

Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici

 COMUNICATO STAMPA  ANCODIS: i Collaboratori dei DS ricorrono al TAR del Lazio contro la Direttiva MIUR 281/2018.

Come anticipato nelle scorse settimane, Giovedi 14 giugno i Collaboratori dei DS iscritti ad ANCODIS – rappresentati e difesi dall’Avv. Prof. Salvatore Raimondi del foro di Palermo – hanno deciso di presentare un ricorso al TAR del Lazio sulla legittimità della Direttiva MIUR 281/2018 che, ancora per l’ennesimo anno scolastico, consentirà a quanti già inseriti nella graduatoria degli incarichi di presidenza nell’A.S. 2005/2006 (poche unità) di continuare ad essere nominati nelle scuole senza ds titolare o in aspettativa mentre ESCLUDE – nonostante l’elevato numero delle scuole in condizione di reggenza – nuovi inserimenti per quanti ritengono di avere i titoli culturali e professionali per poter accedervi.

Il problema delle I.S. affidate in reggenza presenta ormai i caratteri di una patologia cronica che il MIUR ha voluto affrontare con una scelta illogica ed incomprensibile così come riportato nell’Art. 4 comma 1 della Direttiva MIUR 281/2018 “I posti disponibili non assegnati per conferma ai sensi delle disposizioni contenute nei precedenti articoli sono successivamente conferiti con incarico di reggenza”.

E’ ben noto agli addetti ai lavori che con questa scelta oltre al danno vi è anche la beffa nei confronti dei tantissimi Collaboratori dei DS che annualmente si fanno carico di sostenere con professionalità i ds reggenti cui vengono affidate le loro I.S..

Questo lo sanno bene i nostri DS: senza i Collaboratori – sia nella scuola di titolarità che in quella affidata in reggenza – il loro ruolo dirigenziale con tutte le incombenze e le scadenze sarebbe messo a dura prova, quasi al limite di una missione impossibile!!

Per queste ragioni, i Collaboratori iscritti ad ANCODIS hanno deciso di far pronunciare il TAR del Lazio avverso una scelta del MIUR che evidentemente – ormai da troppi anni – ritiene normale affidare le scuole ad una guida part time forse poiché considera il problema superato con l’espletamento del prossimo Concorso nazionale del quale però non si ha alcuna certezza sui tempi di definizione!

La storia di questi anni è ben nota a tutti: ogni anno scolastico aumenta il numero delle scuole in reggenza che da un fenomeno residuale è divenuto strutturale e patologico.

L’istituto dell’affidamento a reggenza a qualche migliaio di Dirigenti scolastici, già titolari in una determinata scuola anche complessa e di grandi dimensioni per numero di plessi, numero di alunni e di personale scolastico, in pochi anni ha assunto i “caratteri di una grave patologia cronica”, che il MIUR non ha ancora voluto affrontare con una “cura e terapia realmente efficaci ed incisive”.

I DS che ogni fine anno scolastico manifestano disagi e pubblici disappunti poi sono contrattualmente obbligati – nolenti o volenti – ad assumere una reggenza magari in I.S. dislocate su molti comuni e con tanti plessi affidati dal primo giorno dell’insediamento ai Collaboratori (I°-II°-Fiduciari di plesso) che continuano instancabilmente, con professionalità e competenza, ad organizzare e garantire un servizio scolastico degno di tale valore.

I Collaboratori sono stanchi di essere RESPONSABILI di una scuola senza che nessuno abbia la “cortesia” di dichiararlo e riconoscerlo (MIUR, OO.SS., Associazioni DS).

Ed intanto la nave va…. Superando ogni anno mari burrascosi, improvvise tempeste, eventi che impongono scelte ragionevoli ed adeguate, con scuole – con DS titolare e reggente – che devono garantire nell’organizzazione e nell’offerta formativa un servizio scolastico di qualità per alunni e famiglie.

Durante questi lunghi 7 anni intercorsi fra il corso-concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici dell’anno 2011 e quello previsto per il corrente anno scolastico 2018/2019, il MIUR ha continuato ad utilizzare l’istituto della reggenza dalla dubbia efficacia, senza tenere conto che il funzionamento delle predette scuole assegnate a reggenza è dovuto prevalentemente al sacrificio ed alla professionalità dei Collaboratori dei Dirigenti scolastici che, in assoluto silenzio e nell’ombra, hanno sempre costituito “la spina dorsale” della governance dell’istituzione scolastica privata da anni della figura del Dirigente scolastico titolare.

Ed è il caso di sottolineare che i Collaboratori dei Dirigenti rappresentano in moltissime scuole la memoria storica dell’istituzione scolastica conoscendone criticità e punti di forza, avendo collaborato alla stesura dei RAV e dei PTOF, condividendo con i DS atti di indirizzo e piani di miglioramento, collaborando con il DSGA e conoscendo il programma annuale poiché in gran parte anche impegnati nei Consigli di Istituto e nelle giunte esecutive da più anni consecutivi.

Per le suddette ragioni, i Collaboratori di ANCODIS chiedono al TAR del LAZIO l’ANNULLAMENTO PREVIA SOSPENSIONE della direttiva n. 281 del 16 aprile 2018 dell’Ufficio di Gabinetto del MIUR, firmata dal Ministro pro-tempore e trasmessa, dal Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per il personale scolastico – Ufficio II Dirigenti scolastici, agli Uffici Scolastici Regionali – Ambiti territoriali provinciali, concernente la sola conferma degli incarichi di presidenza nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, nelle scuole secondarie di secondo grado e negli istituti educativi per l’anno scolastico 2018/2019.

Con il ricorso al TAR del Lazio confidano in un provvedimento che ponga fine – con la riapertura delle graduatorie ed il ritorno all’incarico di presidenza seppur temporaneo e nelle more dell’espletamento delle fasi concorsuali – all’abnorme numero di scuole affidate ai DS reggenti poiché in contrasto con il comma 1 dell’art. 97 della Costituzione che recita “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo




Mario Pittoni presidente della commissione Istruzione al senato.

Mario Pittoni alla commissione Istruzione al Senato, un’ottima notizia, finalmente una persona competente al posto giusto.

Anche se in pectore Ministro dell’Istruzione ideale per la sua incessante attività a favore della scuola, Mario Pittoni classe 1950, è oggi il Presidente della commissione Istruzione del senato, succede a Andrea Marcucci, esponente del Partito Democratico.

Pittoni è stato il difensore della legalità nella scuola ed i suoi interventi a favore dei docenti e dell’etica del mondo dell’istruzione hanno salvaguardato la scuola negli ultimi anni.

Mai persona politica è stata più assidua nell’esercitare il suo ruolo ed i suoi doveri (Pittoni vanta il 99,66% di presenze in aula) ed è stato sostenitore dei diritti dei docenti intervenendo con grande successo nella riforma dei meccanismi di reclutamento dei docenti su base regionale salvaguardando il diritto di scelta dei docenti.

Ma Pittoni ha anche lavorato per l’università, orientando i fondi della spesa universitaria indirizzandoli verso spese virtuose e di merito invece che semplicemente come costi storici ed infruttuosi.

L’attività di Pittoni negli anni è stata indefessa e continuativa, per difendere i diritti della scuola Pittoni ha bussato a tutte le porte del MIUR, acquisendo stima da parte di tutti gli interlocutori e lasciando in tutti la certezza di una grande professionalità.

Betapress ha sempre seguito le iniziative del Senatore, plaudendo al loro successo nella certezza che avvenisse per il bene della scuola, e pertanto nell’occasione di questa nomina non possiamo che esprimere la felicità di tutta la redazione per questo importante momento di cambiamento verso il quale tutto il mondo della scuola è orientato.

Buon Lavoro Senatore Pittoni, ad maiora.

 


Dott. Corrado Faletti

Direttore Responsabile

 

 

 

 

 

 

 

 




I dieci comandamenti del Bullismo

Provo a metterla sul ridere, anche se, di questi tempi, ci sarebbe da piangere…Per quello che ne so io, per esperienza diretta, non perché io sia una vittima o un aggressore, ma più “semplicemente” perché sono un insegnante, quotidianamente in campo, non c’è bullo o bulla che si rispetti che non abbia il suo codice comportamentale, ovvero una tavola dei dieci comandamenti.

Primo, “NON AVRAI ALTRO DIO ALL’INFUORI DI ME” ed il bullo in un delirio di autoaffermazione non vede che sé stesso, si sente il centro dell’universo, soddisfa sempre e solo la sua ossessione d’imporsi e pretende che gli altri lo riconoscano un dio in base ad un’escalation di angherie o di violenze perpetrate su una vittima.

Secondo,” NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO”. Sono solo i complici del bullo che lo possono nominare, anzi l’apostrofano con lo pseudonimo che lui ha scelto, sui social’ quando si scatena nel cyberbullismo, si nasconde dietro un nikename per non essere riconosciuto. E se qualcuno lo nomina con il suo vero nome, è perché è una spia che vuole incastrarlo.

Terzo,” RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE”. E qui, ogni intervallo, ogni cambio d’ insegnante o di aula è una festa, perché sono le situazioni non codificate, nei bagni o nella palestra quelle in cui si scatena la festa, ovvero la cerimonia della violenza fisica o verbale.

Quarto,” ONORA IL PADRE E LA MADRE”. La violenza nasce dentro casa, spesso tra le pareti domestiche il bullo impara la prevaricazione, vive la catena dell’aggressività e la mancanza di rispetto. Fuori casa, a scuola, che è una palestra di vita, il bullo onora nel vero senso della parola, il codice comportamentale genitoriale. Del resto, basta pensare alle aggressioni perpetrate dagli stessi genitori di alunni problematici nei confronti dei loro insegnanti, per non avere dubbi.

Quinto,” NON UCCIDERE” almeno fosse preso alla lettera, cioè non torturare fino allo sfinimento la vittima, che, nei casi estremi arriva lei stessa ad uccidersi!!! Il bullo non uccide la propria identità distorta, non rinnega sé stesso, perché vorrebbe dire morire, e lui vuole vivere. Eccome! Vuole vivere, seppur nella violenza. Perché per lui la violenza è vita.

Sesto, “NON COMMETTERE ATTI IMPURI”. La violenza di un bullo è spesso a sfondo sessuale, la sua compulsione ad aggredire l’altro sfiora il sadismo, la vittima è per lui un corpo su cui esercitare uno sfogo a dir poco ormonale. Ma in tutto questo il bullo non vede un atto impuro, ancor meno una perversione psichiatrica, solo un gioco di violenza da amplificare poi con i filmati sparati in rete.

Settimo, ”NON RUBARE”, infatti il bullo non ruba la merenda del compagno, la pretende. Non ruba il materiale scolastico del vicino, se ne appropria. Fino a che, quando sparirà il cappellino firmato o il cellulare appoggiato, è perché il bullo ne ha sempre uno uguale…

Ottavo,” NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA”. Il bullo è un tale manipolatore della realtà che nega l’evidenza dei fatti. Il bullo vive in un mondo parallelo dove la menzogna è la verità, dove la bugia è una tale consuetudine, che la falsa testimonianza è dire il vero.

Nono,” NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI “. Infatti, il bullo, la donna di un altro, mica la desidera, se la prende, tanto è un oggetto da consumare, non un soggetto d’amare.

E per ultimo, “NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI”. Ma per questo si rimanda al primo comandamento, gli altri non esistono, men che meno la loro roba!!!

 

Antonella Ferrari




Bagnoregio e la scrittura creativa

Dall’11 al 13 aprile 2018, presso l’Istituto Omnicomprensivo “F.lli Agosti” di Bagnoregio (VT), si è svolto un corso di scrittura creativa intensivo rivolto agli alunni delle classi terze dell’Istituto Tecnico Agrario, con la collaborazione della casa editrice Currenti Calamo.

I ragazzi sono stati introdotti nell’affascinante mondo della scrittura creativa dagli editor della casa editrice lombarda, che hanno condiviso con il loro giovane uditorio i trucchi del mestiere, svelando procedimenti e curiosità utili a realizzare un testo ben scritto e a incanalare la propria creatività nella maniera più proficua. Con una stimolante commistione di teoria e pratica, i ragazzi hanno appreso alcune delle procedure più diffuse per condurre una precisa e puntuale correzione di bozze, rispolverando e rafforzando le conoscenze pregresse sulle regole di ortografia, grammatica e sintassi; hanno preso parte, con grande entusiasmo, a una serie di esercizi di scrittura creativa atti a consentir loro di acquisire dimestichezza con l’arte della scrittura, con la capacità di riportare nero su bianco, in modo creativo e originale, i propri pensieri e le proprie emozioni, rivelando notevoli capacità non solo inventive, ma anche tecniche.

Alcuni ragazzi e ragazze hanno condiviso con i compagni di classe la lettura dei propri componimenti, tra cui si annoverano poesie, monologhi teatrali, testi musicali, racconti e romanzi. La timidezza iniziale è stata ben presto sostituita dalla partecipazione appassionata con cui i ragazzi si sono cimentati in tutte le attività condotte dagli editor, dimostrando, nonostante la giovane età, una proprietà di linguaggio degna degli scrittori più navigati e una profondità d’animo, una delicatezza, che noi adulti possiamo solo invidiare.

Guidati dagli editor i ragazzi hanno dato libero sfogo alla dolcezza dei loro cuori, all’ardore delle loro idee giovanili di uguaglianza, giustizia e libertà, alla purezza dei loro sentimenti; per qualche ora sono stati completamente liberi di esprimersi nella maniera più congeniale: attraverso la letteratura, la poesia, il teatro e la musica, condividendo con i compagni di classe e con i docenti i loro talenti.

Le lezioni degli editor, poi, si sono allargate sino a comprendere nozioni di Scienze della comunicazione e di prossemica. Non sono mancati momenti di confronto sulle tematiche più discusse e calde concernenti il mondo della comunicazione massmediatica: la massificazione, la perdita dell’identità individuale, l’impoverimento lessicale, i pro e i contro dei social network. Tutti i ragazzi sono intervenuti nel dibattito per esprimere le proprie idee e conoscere il parere dei compagni; l’esperienza si è rivelata profondamente costruttiva e benefica per una generazione di giovani che hanno un assoluto bisogno di imparare a pensare in modo critico e, soprattutto, ad ascoltare.

 




Il dilemma: lo Stato in reggenza!

Balletti, schiamazzi, frizzi e lazzi…

questo è ormai il nostro paese, è così resterà per i prossimi decenni, stretto dalla morsa del bisogno di fare riforme urgenti e dall’impegno di mantenere una folla di persone, italiane e non.

Il governo ancora non si forma, forse ci sarà un contratto di governo alla tedesca, gli italiani hanno votato ma probabilmente, come sempre, non fregherà niente  a nessuno del parere di questi quattro pezzenti di italiani che ormai non contano più nulla per nessuno, nemmeno per quelli a cui danno il voto!

D’altronde quando mai hanno contato? non è che adesso sia meglio di prima o viceversa.

Ma basterebbe guardare cosa succede nei vari mondi dello stato, dalla scuola fino ai carabinieri.

Ormai nella scuola si va a reggenze ed accorpamenti: 9000 scuole di cui circa 800 in reggenza, ovvero con un dirigente che in parte cura la sua scuola e in parte quella vicina senza dirigente; in questo modo il servizio sarà certamente “perfetto”.

Ma in ogni caso mentre prima avevamo un dirigente ogni scuola adesso ne abbiamo uno ogni sette, certo le scuole sono state accorpate e dove prima c’erano sette scuole con sette dirigenti oggi ci sono sempre sette scuole ma il dirigente è rimasto uno solo, e così vale anche per i DSGA (i segretari delle scuole) ma anche per i collaboratori del dirigente ( i vecchi vicepresidi).

Negli anni la scuola è stata massacrata silenziosamente sull’altare della mancanza degli alunni e della riduzione dei costi.

Premesso che lo Stato che non investe nella scuola e nel suo personale è uno stato che non conosce se stesso, specialmente i suoi doveri verso i cittadini, ma pare assurdo che non solo siano state messe insieme scuole con orientamenti differenti (un dirigente può dover gestire licei, agrari, elementari, medie, scuole professionali) ma si costringa il dirigente a lavorare due giorni la settimana in una scuola media ed elementare con 1000 alunni e tre giorni in una scuola superiore con altri 1000 alunni suddivisi in scientifico, classico, agrario, artistico, etc.

Già è bello se il dirigente si ricorda in che scuola deve entrare la mattina, per fortuna che il vicepreside lo chiama per ricordarglielo.

Inevitabilmente il carico di lavoro diviene altissimo, difficile da sostenere, tutto a discapito della qualità che dovrebbe essere garantita alle famiglie.

Certo abbiamo risparmiato tanti soldi, ma tanti! e dove caspita sono finiti visto che il debito pubblico aumenta comunque ed i servizi erogati dallo stato fanno sempre più schifo?

Eppure proprio oggi ci è stato detto che siamo usciti dalla crisi peccato che Il nostro è il terzo debito pubblico più alto del mondo: se raffrontato alla ricchezza nazionale siamo arrivati al 131,5%.

In lieve calo rispetto al 2016, ma solo perché non sono ancora stati contabilizzati gli aiuti destinati al salvataggio delle banche venete.

Davanti a noi, tra i Paesi più grandi, ci sono solo il Giappone, con un rapporto debito/Pil pari al 239,2 per cento, e la disastrata Grecia al 181,3%.

Riusciamo a dirci fesserie senza nemmeno provare un poco di vergogna.

Eppure siamo convinti che possa esistere il reddito di cittadinanza, gli 80 euro, il bonus docenti, il bonus maggiorenni e altre amenità del genere senza che nessuno li paghi, tanto l’importante è l’adesso, l’oggi, del futuro del paese sembra davvero che non freghi più niente a nessuno!

Betapress è ancora una redazione convinta che ci si potrà salvare solo guardando al futuro, anche se oggi gli Italiani non hanno più nemmeno le “pezze al culo”!!! Persino le case, vero bene italiano, ormai non valgono più nulla, e l’unico mattone che resta ormai agli Italiani è quello da tirare nei vetri dei palazzi dei politici romani.

Ci consola come sempre vedere che qualcuno cerca di reagire, ed appena vediamo qualche reazione su argomenti importanti siamo i primi a porli all’attenzione di tutti.

Ecco infatti il pensiero degli amici di Ancodis sulle reggenze scolastiche, bravi ex Vicepresidi, anche voi credete ancora in questo paese … 

 __________________________________________________________________________

COMUNICATO STAMPA del 27 aprile 2018

ANCODIS: riconoscimento giuridico e caos reggenze.

Nel prossimo anno scolastico si ripeterà la stessa musica……stonata!

 

 

Un anno scolastico volge al termine ed ANCODIS vuol porre l’attenzione al prossimo con una amara constatazione: ancora un anno sprecato per la scuola italiana in relazione al grave problema delle scuole affidate a reggenza!

Esattamente un anno fa ponevamo il tema delle reggenze ed – oggi – corre l’obbligo di riproporlo alle Istituzioni (MIUR), agli operatori scolastici, ai genitori.

Cosa è successo in questo anno scolastico di nuovo? NULLA!

Assolutamente nessun passo avanti concreto se non l’indizione del corso-concorso tanto atteso dal 2011 ma ancora alla fase del bando. Anzi è notizia di questi giorni, che la prova preselettiva si svolgerà il 23 luglio 2018 (in piena estate e dopo la conclusione degli Esami di Stato), con buona pace dei candidati – stanchi fisicamente e psicologicamente – che tanta fiducia hanno riposto nel concorso!

Le Istituzioni scolastiche restano – per la quotidiana e complessa gestione – nell’incertezza dei tempi senza un DS titolare in grado di essere guida sicura in un mare sempre più tempestoso.

Il messaggio che arriva dal MIUR è semplicemente questo: continuate ad andare avanti con un DS reggente che sarà senz’altro in grado di sostenere gli impegni e le responsabilità di un’altra I.S. oltre a quella già affidata (chi ci crede? amara constatazione…).

 

Fino all’a.s. 2006-2007, se una I.S. rimaneva senza DS, si poteva nominare un preside incaricato che – a pieno titolo – ne assumeva una titolarità annuale; con il decreto legge n. 7/2005 convertito dalla legge n. 43/2005  Art. 1-sexies è stato abolito l’incarico di presidenza (ancora oggi però utilizzato!) ed un accordo politico tra governo e OO.SS. Area dirigenziale (art. 19 comma 1 lettera b CCNL AREA V), ha contrattualizzato l’istituto della reggenza che invece era stato pensato per la sostituzione di DS assenti per brevi periodi e non certamente per un intero a.s./diversi anni scolastici (amara constatazione…).

Deve essere chiaro a tutti che questa operazione aveva un solo scopo: consentire allo Stato – con il consenso dei sindacati firmatari – un notevole risparmio a danno di una proficua ed adeguata gestione di una scuola.

La ragione economica e la ragione di Stato hanno prevalso sull’interesse del personale scolastico, degli alunni e delle famiglie ad avere un Dirigente scolastico a tempo pieno; uno Stato che dichiara di avere tra le sue priorità la SCUOLA pubblica, laica e moderna e che, invece, mette in crisi la sua governance creando tensioni e criticità sia nella scuola di titolarità che in quella affidata a reggenza!  Ipocrisia di Stato si potrebbe definire!

 

Proviamo, dunque, a fare il punto sulla situazione:

  • le scuole affidate a reggenza (sottodimensionate e normodimensionate) in questo a.s. sono ben 748 (fonte ANP). In queste condizioni, la metà delle scuole italiane ha avuto un dirigente scolastico responsabile di almeno due scuole (con quanti plessi? In quanti comuni?);
  • in considerazione dei prossimi pensionamenti/aspettative/altri incarichi (utilizzati all’estero, distaccati al MIUR o negli URS con incarichi temporanei di dirigente tecnico o amministrativo, con esonero parlamentare, amministrativo o sindacale) la previsione è che per il prossimo a.s. le scuole senza DS arriveranno a circa 2500 (fonte UDIR);
  • per rappresentare in modo sicuramente parziale il fenomeno si riportano i dati relativi al numero delle reggenze in alcune regioni nell’a.s. 2017-2018 (fonte ANCODIS):

Piemonte 167

Lombardia 242

Friuli Venezia Giulia 61

Emilia Romagna 173

Lazio 147

Campania 59

Calabria 80

Sardegna 59

Sicilia 116

Di fronte a questo quadro certamente non edificante per il MIUR e per l’intero sistema scolastico italiano, non sono previste operazioni di immissione in ruolo con relativa assegnazione di sede prima del 31/08/2018 a seguito del mancato espletamento delle procedure concorsuali (che riteniamo non saranno concluse entro l’A.S. 2019-2020).

Pertanto, non resta che aspettare l’annuale e tanto attesa Circolare (agostana) per il conferimento degli incarichi di reggenza per l’A.S. 2018-2019 su tutti i posti rimasti disponibili dopo le operazioni di mobilità e sui posti relativi a scuole sottodimensionate ai sensi dell’art. 19 comma 5 della Legge 111/2011 (comma modificato dall’art. 4, comma 69, legge n. 183 del 2011, poi dall’art. 12, comma 1, legge n. 128 del 2013) che proverà ancora per un altro anno scolastico a mettere in tante I.S. una toppa inadeguata ad un buco gigantesco.

E si aprirà l’ennesima discussione da parte dei sindacati ed associazioni di categoria sulla grave situazione senza che NESSUNO tra il MIUR e le OO.SS. faccia un pubblico mea culpa sulle ragioni che hanno portato a questa insostenibile e disastrata condizione della scuola italiana.

 

I Collaboratori dei DS – che vivono quotidianamente la faticosa gestione delle scuole con DS titolare ed in reggenza – denunciano questa condizione divenuta ormai non più sostenibile né accettabile per un paese moderno che guarda all’Europa ma che mette in campo scelte politiche che lo allontanano dall’Europa!

ANCODIS vuole evidenziare che la condizione di criticità in cui versa la scuola italiana pubblica è anche dovuta a questa precarietà che ovviamente – in un sistema complesso e delicato – rende confusa la vision e debole la mission di ciascuna istituzione scolastica affidata a reggenza (possiamo immaginare tutto questo in una scuola NON statale?).

Non possiamo ignorarne le gravi conseguenze: demotivazioni nel personale, criticità nella gestione e nella organizzazione, insoddisfazione nei genitori cui viene meno il riferimento dirigenziale, indebolimento del profilo didattico ed educativo, perdita di identità nelle relazioni con le altre Istituzioni.

In questa triste ed amara realtà, a baluardo dell’identità costruita faticosamente anno per anno restano i docenti collaboratori del ds che assumono oneri e responsabilità nell’interesse della propria scuola senza alcun riconoscimento giuridico e con responsabilità certamente non indifferenti.

Occorre trovare delle soluzioni tempestive ed adeguate per dare risposte a quanti rivendicano il diritto ad avere una scuola guidata con competenza e professionalità in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali ancora in fase iniziale.

 

ANCODIS, dunque, propone al nuovo governo ed al futuro Ministro tre urgenti interventi legislativi attraverso un Decreto Legge:

 

  1. Riconoscimento giuridico dei Collaboratori dei DS e, tra di essi, di coloro che svolgono il ruolo di Primo collaboratore con funzioni vicarie (ex vicepreside). Lo sanno bene al MIUR che il “vicario” svolge di fatto, con l’istituto della delega, ruoli apicali in molti settori della vita scolastica, sostituendo il dirigente in caso di assenza (ferie in corso di anno ed estive) o impedimento. In queste circostanze, le scuole vengono affidate dai DS ai loro vicari che ne assumono la responsabilità in ordine a quanto programmato unitamente all’onere di gestire ogni circostanza NON prevista o ogni situazione emergenziale.

Per non dimenticare il problema relativo ai tanti DS prossimi al pensionamento (al 31/8/2018 circa 500) che per fruire delle ferie hanno già di fatto programmato lunghe assenze dal servizio affidando la scuola ai loro collaboratori.

Per queste ragioni – deve essere chiaro – il vicario spesso NON fruisce del proprio periodo di ferie.  Ed il MIUR e OO.SS. non lo vogliono ufficialmente riconoscere!

 

  1. Ripristinare in TUTTE le scuole l’esonero per il Collaboratore cui il DS affida compiti di sostituzione in caso di assenza o impedimento, indipendentemente dalla materia di insegnamento/ordine di scuola e dall’organico dell’autonomia. I Vicepresidi oggi sono spesso impegnati in attività di docenza: rivendicano, pertanto, la necessità del distaccamento per lavorare a tempo pieno nell’attività di collaborazione dei DS titolari e reggenti. Il DS delega loro compiti e funzioni che però non possono esercitare pienamente se impegnati anche in attività didattiche. In questo modo molti DS si trovano in condizione di non avere un Collaboratore a tempo pieno che possa svolgere la funzione conferita e devono fare a meno di un collaboratore che assuma a tempo pieno deleghe e carichi di lavoro.

 

  1. Assegnare l’incarico di presidenza al Collaboratore di cui al punto a (ai sensi dell’O.M. 39/2004), finalizzato alla gestione temporanea delle scuole in reggenza fino all’insediamento del DS titolare. Si tratta di docenti che negli anni hanno certamente dimostrato competenza e professionalità (basta chiedere ai loro DS!) e che chiedono semplicemente di essere valorizzati nella governance della loro scuola.

Su questo punto è il caso di ricordare che il Miur ha diramato in questi giorni la Direttiva n. 281/2018 relativa agli incarichi di presidenza nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado per l’anno scolastico 2018/2019 precisando che non sono più conferiti incarichi di presidenza, eccetto i casi di conferma degli incarichi già conferiti.

Riteniamo necessario su quest’ultimo aspetto pensare ad un provvedimento d’urgenza che non lasci le scuole affidate alle reggenze: piuttosto, è opportuno ripensare al provvedimento di incarico non affidandolo più a docenti senza esperienza gestionale ma esclusivamente ai Collaboratori purchè abbiano un’esperienza certificata di almeno 36 mesi di servizio.

Sarebbe un riconoscimento al Collaboratore vicario per una fase limitata e transitoria e si darebbe alle scuole la possibilità di avere una guida a partire dal primo giorno del prossimo anno scolastico: molti Collaboratori, infatti, ricoprono questo ruolo da diversi anni, sono la memoria storica di una I.S., hanno sviluppato adeguate professionalità e capacità di organizzazione e gestione nella collaborazione con i loro DS.

Sarebbe, inoltre, un modo per investire sulle risorse esistenti e garantire una guida efficace ad ogni istituzione scolastica che non è più possibile garantire con le reggenze!

Proponiamo anche di monitorare periodicamente il lavoro del Collaboratore incaricato e di valutarne il servizio al termine dell’a.s. per l’eventuale riconferma nell’incarico nell’anno successivo ove permanessero le condizioni di reggenza.

Per tale incarico l’Amministrazione deve prevedere soltanto il costo relativo all’indennità di posizione: si avrebbe un risparmio sul costo della reggenza ed un conseguente minore aggravio dal FIS della scuola ogni anno sempre più esiguo.

 

Sono soluzioni che riteniamo coerenti ad un bisogno di governance, che tiene conto dei necessari presupposti di conoscenza delle dinamiche interne specifiche di ogni i.s. e delle criticità superate e da affrontare, di una riconquistata credibilità ed affidabilità nei confronti di docenti e famiglie, di una riduzione di oneri di lavoro a carico di DS reggenti che – è risaputo a chi vive la scuola – fanno comunque grande affidamento nei loro Collaboratori.

Siamo pronti a discutere soluzioni concrete, sostenibili, capaci di dare risposte ad urgenti necessità e contemporaneamente vogliamo dire a tutti: NOI CI SIAMO!

Nel frattempo – preso atto che sulla base della Direttiva n. 281 del 2018 verranno conferiti incarichi di presidenza ad un numero molto residuale di docenti ed in considerazione dell’art. 4 comma 1 – inviteremo tutti i nostri iscritti ed i restanti collaboratori a presentare agli UU.SS.RR. apposita istanza per il conferimento dell’incarico, impugnando in ogni sede competente sia il testo della Direttiva sia i singoli provvedimenti di esclusione per disparità di trattamento e per contrarietà manifesta alle esigenze di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

I Collaboratori sono pronti ad assumere impegni a favore delle loro I.S.: mettiamoli in condizione di farlo e di dimostrare la loro professionalità riconoscendo capacità ad assumere responsabilità e competenze conseguite.

 

 

Per ANCODIS NAZIONALE

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

 

 

 




KARMA – INTERVISTA AD ANDREA “CONTE” BACCHINI

A metà degli anni ’90 ero un musicista prestato all’Università e passavo il tempo libero con gli amici in sala prove, a vedere concerti e ad organizzarne pure.

Voglio oggi ricordare una delle band che per molte ragioni ha rivoluzionato la musica underground ed influenzato me ed altri centinaia di musicisti nel ventennio successivo allo stop (non allo scioglimento! N.d.a).

E’ un onore per me intervistare il mitico Andrea “Conte” Bacchini, eclettico chitarrista dei KARMA.

Ritrovarlo è come vivere di nuovo un momento magico degli anni in cui la musica era diretta e non drogata dai falsi miti proposti dagli odierni Talent, ma soprattutto alla portata di tutti.

Milano, 13 aprile 2018, ci vediamo a mangiare un boccone al Ristorante “Il Tronco” ed il “Conte” mi racconta di sé a partire dalla sua vita e dalla sua grande passione per la musica ma anche del rapporto divenuto da alcuni anni controverso con la chitarra, strumento a cui ha dedicato la vita e che forse non gli ha “ritornato” a pieno quel che erano le attese dell’inizio.

Non vi nascondo che è stato come ritrovare un amico con cui non ci si vedeva da molto tempo e nel dialogo con lui è emersa tutta la forza di una vita a tratti difficile, ma sempre vissuta con coraggio. Il giudizio sul mondo della musica è di una lucidità disarmante, il futuro? Pieno di desideri!

 

PERTH: Ci racconti come è iniziata l’avventura del “CERCHIO DEL KARMA”? Dopo più di 20 anni cos’è rimasto di quel mitico combo divenuto semplicemente “KARMA”?

ANDREA: Ti faccio una premessa: se tu facessi questa domanda ad ognuno di noi 5 (David Moretti – voce, Andrea Viti – basso, Diego Besozzi – batteria, Alessandro “Pacho” Rossi – percussioni e Andrea “Conte” Bacchini chitarra) ti risponderemmo tutti in modo diverso. Con alcuni eravamo amici ben da prima dei KARMA, ad esempio con David. Ci siamo visti un mese fa e con lui è un’amicizia vera, non ti vedi per un anno e basta una sola sera ed è come se non ci vedessimo da un giorno. Tornando alla domanda io sono un po’ l’archivista del gruppo, perché sono molto preciso e metodico (da questo nasce il soprannome “il Conte”; n.d.a.) e potrei dirti per filo e per segno ogni singolo passo fatto con i KARMA. Il gruppo nasce da una telefonata di Andrea (Viti) che conoscevo bene perché abitavamo nella stessa zona, Andrea aveva bisogno di un chitarrista per un concerto in una scuola di Milano. Con Diego (Besozzi) e con Andrea (Viti) abbiamo iniziato quindi a provare sin da subito, e suonavamo anche 5/6 ore al giorno tutti i pomeriggi. Il repertorio non era omogeneo, era molto scompaginato e andava da HENDRIX (di cui il Conte è grandissimo estimatore; n.d.a.), a BILLY COBHAM e i CULT, dando grande spazio all’improvvisazione. David (Moretti) venne a sentirci e ci chiese di cantare con noi. Per un certo periodo suonavamo anche pezzi dei DEEP PURPLE ed avevamo pure due cantanti: David e Gianluca Galeazzi (famoso per essere stato campione mondiale di subbuteo; n.d.a.). Un bel giorno poi ci siamo trovati in sala prove con Pacho, invitato da Diego, e dopo il primo pezzo suonato assieme affascinati dal suo assoluto talento, era infatti il miglior musicista di tutti noi, gli abbiamo chiesto di restare. Così è nato “IL CERCHIO DEL KARMA”. Dopo non molto abbiamo cominciato ad inserire qualche pezzo nostro, all’inizio composti quasi solo da David, che ha un istinto pazzesco nella composizione. Essendo lui un estro “fuori controllo”, che scriveva pezzi molto bizzarri, aveva bisogno di Andrea (Viti) e del sottoscritto per “sistemare” il tutto in modo quasi certosino… da qui nascevano i nostri brani, il resto è… KARMA!

PERTH: I giovani di oggi, in questo Paese dilaniato dalla crisi e da uno stato di disagio socio-politico hanno pochissimi sogni da vivere. Ci racconti cosa sentivate e cosa volevate cambiare in quegli anni?

ANDREA: Milano in quel periodo era una città molto frammentata, che potrebbe sembrare una cosa negativa ma non lo è. Molte pulsioni anche distanti tra loro, tanti stili ed un fermento quasi epocale, molti musicisti hanno tenuto a valorizzare aspetti sociali e politici attraverso le loro canzoni. Noi eravamo un gruppo che poneva la musica al primo posto… la musica doveva parlare per noi e doveva tentare di dare uno spunto per il cambiamento. Le nostre aspirazioni erano quelle di avere una carriera musicale che potesse far crescere quel che eravamo attraverso la nostra musica.

PERTH: Nel cuore delle nuove generazioni ci sarebbe ancora spazio per i Karma?

ANDREA: Secondo me sì. Certo non sicuramente ripetendo una formula tipo “come eravamo belli e giovani… ecco siamo tornati!”… dovrebbe essere un progetto NUOVO! Una naturale evoluzione di quel che erano i KARMA!

PERTH: David Moretti e Andrea Viti hanno continuato con il progetto JUAN MORDECAI ed ora, il primo (“la punta di diamante del cerchio” come lo definisce Diego Besozzi, il drummer della band; n.d.a.) ha fatto carriera ed è Direttore Creativo presso la Apple a Cupertino in California. Per il secondo faccio veramente fatica a dire tutti i progetti musicali, cito solo gli AFTERHOURS di cui è stato bassista per 10 anni – tra l’altro ha suonato con Agnelli&Co. per i 30 anni della band al Forum di Assago il 10 aprile u.s. –  ed il progetto YELLOW MOOR, che mi ha colpito particolarmente (https://vimeo.com/87995454). Diego vive nelle Marche e si occupa di emergenza sociale con il trip della pittura, Pacho ha collaborato con il Clan di MORGAN ed ora insegna percussioni. Raccontaci un po’ del rapporto con i tuoi colleghi ieri ed oggi.

ANDREA: Tutte persone con cui i rapporti sono rimasti ottimi. Erano la mia band, il mio progetto artistico e di vita! Ormai siamo molto lontani dal punto di vista kilometrico, hai detto bene, David ha fatto una gran carrierona ed ora è negli States, Diego si occupa di sociale e lo sento spesso, Pacho è un grandissimo “casalingo” (ride) e Andrea veramente non lo sento da un pò.

PERTH: …e tu cosa fai oggi? Ti occupi ancora di musica? Hai mai pensato ad una carriera solista?

ANDREA: Ultimamente ho una certa avversione per la chitarra. Un po’ devo dire che mi sento tradito. Le ho dedicato fin da giovane praticamente tutto! Dal punto di vista lavorativo ho insegnato chitarra per alcuni anni, ma alla fine è risultato frustrante. Ti arrivano genitori che questionano per le tariffe, ragazzi che iniziano di buona lena ma si stufano dopo poco tempo e alcuni che vogliono solo saper tenere in mano la chitarra per far casino… non è più come un tempo, ci sono sempre meno giovani che hanno voglia di suonare impegnandosi e sputando sangue come ho fatto io da giovane. Ho lavorato in alcuni negozi di dischi di Milano ed ho fatto altri lavoretti cercando di stare molto vicino a quel che volevo fare nella vita: il musicista. Mi hanno chiesto in molti di suonare in Band Tribute o Cover e, capiamoci, ho rispetto per quelli che lo fanno di mestiere, ma l’idea di finire in un pub a guadagnare 50 euro per suonare cover di altri è una cosa che…, è più forte di me, non ce la faccio! La musica è per me passione e la passione la puoi mettere in una cosa che hai scritto e che ti rappresenta, una sfera artistica e creativa che è un investimento emotivo per cui vale la pena suonare. Per quanto riguarda un progetto solista, io purtroppo non canto! Sono stato spronato da molta gente che mi diceva di provare a cantare e mi piace pure, ma non ho mai sviluppato l’indipendenza tra voce e strumento… non riuscirei neanche a fare “il Gatto e la Volpe” (famoso brano di EDOARDO BENNATO, struttura molto semplice in Fa, Rem, Solm e Do7; n.d.a.) suonando e cantando. Ma mi piacerebbe! Chissà…

PERTH: JUAN MORDECAI voleva perpetuare la fiammella iniziale di un Rock-Grunge, quello dei KARMA, che si sarebbe comunque evoluto in qualcosa di diverso. Cosa ti è piaciuto di quel progetto targato “Moretti-Viti”?

ANDREA: Il suo respiro internazionale come sono stati i KARMA, è stato la naturale evoluzione dei KARMA. Il Rock deve “suonare” anglosassone, non italiano!

PERTH: Molti sostengono che la scena italiana, legata al Rock “duro e puro” di fatto, non esista; troppe tribute band, pochi locali per la musica indipendente e l’underground portato solo da finti alternativi. Cosa ne pensi di tutti questi aspetti che negli ultimi dieci/vent’anni hanno portato ad un impoverimento dei talenti veri?

ANDREA: Urca! Questa è una domanda complicata… c’è mai stato qualcuno che in Italia ha fatto del Rock “duro e puro”? Ci sarà mai? (Ride). Ci hanno sempre detto che noi KARMA cavalcavamo l’onda Grunge… no! Avremmo fatto sicuramente parte dell’onda di Seattle fossimo nati in America, ma cosa vuol dire “cavalcare”? Noi in quegli anni ci siamo ritrovati in “qualcosa”! Ci siamo trovati dentro a quel “qualcosa” che emergeva nuovamente come movimento Rock! Semplicemente eravamo stufi della “plastica” degli anni ’80. E come noi altre centinaia di band. Da allora è aumentata esponenzialmente la possibilità di creare musica, anche con i Social, e qualche talento vero c’è, ma oggi il circo dell’industria musicale cerca bravi esecutori quindi non emergerà mai nessun talento che non sia disposto ad assoggettarsi alle logiche del potere discografico e mediatico… connubio diabolico! Oggi è sempre più difficile per le band promuovere la propria musica. Si fanno a tavolino album per lanciare dei bravissimi interpreti e non c’è più la seria passione per la costruzione di un disco che possa essere solo alla fine promosso con la tournèe. La vera questione è che la discografia è morta e non c’entra più nulla con il Rock. Una volta era illuminata ora assolutamente mercantile, interessata a tenere in vita i 4/5 artisti che fanno milioni di copie in tutto il mondo, ma interessata a scoprire nuovi talenti proprio no!

PERTH: I nomi di spicco della scena musicale alla fine degli anni ’90 erano RITMO TRIBALE, CASINO ROYALE, AFTERHOURS, LA CRUS, SCISMA, EXTREMA, TIROMANCINO, MOVIDA, ALMAMEGRETTA, MARLENE KUNTZ ne dimentico sicuramente molti ma voglio però aggiungere anche i TIMORIA dell’amico Omar, con chi ti piacerebbe oggi collaborare?

ANDREA: Che domandona! Sono amicizie storiche e alcuni che hai citato sono proprio amici cari come Mario Riso dei MOVIDA e REZOPHONIC. Qualche progetto con alcuni membri dei RITMO TRIBALE l’ho fatto pure… sicuramente se ci fosse un’idea artistica che esula da un imbarazzante amarcord ti direi che mi piacerebbe collaborare con molti nomi che hai elencato ma, per quel che ti ho detto prima, è comunque difficile rispondere oggi!

PERTH: Ho ascoltato fino allo  sfinimento il groove di Karma ed Astronotus, noto che la tua chitarra ha un posto di primo piano e, da chitarrista, ti chiedo quali set up hai usato per un suono che ancor oggi risulta modernissimo?

ANDREA: Io sono fondamentalmente per un suono meno “orpelloso” possibile a patto che la fonte sia eccellente e poco “lavorata” successivamente (la “fonte” sta per chitarra+amplificatore; n.d.a.). Dopo anni sono diventato estimatore MESA BOOGIE, dal vivo ho usato sempre Rectifier 50/100 o Trem o Verb, in studio sempre quelli, ma con dei finali di potenza, sempre MESA tipo Strategy 400 per spingere ancora di più. Distorsione dell’ampli e pochissimi effetti, pedale del volume con cui controllo anche la distorsione, delay e il cry baby (wha wha), ma sono molto “dry”, molto basic. Chitarre? Essendo io pro pickup “single coil” (dispositivo elettrico, in grado di trasformare le vibrazioni delle corde di uno strumento musicale cordofono in suono, il single coil è ad una singola bobina mentre l’humbucker è a doppia bobina; n.d.a.), la mia chitarra preferita è sempre stata la Fender Stratocaster, una chitarra “che non perdona”, come la Fender Telecaster d’altronde. Sono chitarre che più di altre riescono a portare il chitarrista a trovare il suo suono, più delle chitarre a doppia bobina (humbucker). In tutto ho 15 chitarre, in studio uso anche la Gibson Les Paul e oltre all’amore viscerale per la Fender Stratocaster amo anche la Paul Reed Smith McCarty.

PERTH: Personalmente sono legatissimo a “Lo Stato delle Cose”, “Terra” ed “Atomi”, hanno fatto da sottofondo a centinaia di giornate. Qual è invece la canzone dei KARMA di cui vai più fiero?

ANDREA: Ce la potremmo giocare tra Avorio e Samsara… le mie preferite!

PERTH: A risentirli due decenni dopo, i dischi rock anni ‘90 suonano ancora bene, ricordo come ci fosse la sensazione di poter veramente cambiare i clichè della musica contemporanea. Poi c’è stato il fenomeno dei Social che ha portato artisti (e non!) ad autoprodursi e a chiedere “like” agli amici e sostenitori, che solo nella minoranza dei casi ha portato successo ai pezzi proposti. Non trovi che ci debbano essere delle regole per poter definirsi artisti? Mi riferisco alla gavetta, ai live in locali semisconosciuti e alle case discografiche che dovrebbero passare il loro tempo a scovare talenti anziché farsi “passare” giovinastri da Maria De Filippi & Co. che ne pensi?

ANDREA: Qui mi provochi… potrei iniziare e non fermarmi più. Sono assolutamente d’accordo con te. Ciò che fa grande un gruppo è suonare tutto il giorno, massacrarsi di concerti, provare allo sfinimento fino a raggiungere una specie di telepatia dove tu fai una cosa e gli altri membri rispondono. Questa cosa succede solo con l’interazione continua, desiderata e fortemente voluta tra i membri del gruppo. Se non c’è questo allora ci si trova di fronte ad un prodotto costruito. Questo è il demonio! Il prodotto preconfezionato! Prodotto pilotato… creazione di un fenomeno momentaneo che viene spremuto e poi nella maggior parte dei casi gettato via. Una volta ci si costruiva una carriera componendo e portando nei live le proprie song. Ora la logica della carriera di una band è difficilissima. Manca una discografia illuminata e manager che credano nella band. Domandiamoci perché la figura del produttore stia scomparendo! Anche noi KARMA non abbiamo avuto un vero e proprio produttore che si è imposto, eravamo 5 musicisti litigiosissimi, delle teste calde e di cazzo (ride) e volevamo ognuno imporre le nostre idee. Fabri (Fabrizio Rioda; n.d.a.) è stato il nostro produttore ma, pur riuscendo ad indicarci una strada, non riusciva a fare molto di più con noi, spesso Fabri diceva che i KARMA sono stati il gruppo che più gli ha fatto venire il mal di testa… grandissimo! La scomparsa di queste figure sono segnali che dimostrano come vi è una frammentazione totale della musica. Per la discografia è più importante avere interpreti che autori. I gruppi scrivono! Forse bisogna fare i conti con il nuovo corso della discografia dei nostri tempi, ma io ho il dente avvelenato con il fenomeno dei Talent… è la morte!

PERTH: Un’ultima domanda è d’obbligo. Nel 2010 avete organizzato una reunion e, sinceramente, noi tutti pensavamo ad un nuovo album, poi nulla. Non avremo la fortuna di assistere ad un nuovo lavoro?

ANDREA: Noi ufficialmente non ci siamo mai sciolti: L’idea di fare “Karma III” non l’abbiamo mai abbandonata. Materiale ce n’è tanto anche se la vedo complessa da organizzare a breve, perché siamo tanto distanti… David è negli States, Diego in centro Italia… ma mai dire mai! L’unica cosa che non voglio è “reunion-effetto-nostalgia”, un greatest hits di noi stessi. No! Il mio desiderio sarebbe quello di un progetto creativo di cui andare fiero, un’opera che, guardando avanti e non indietro, possa essere accolta da un pubblico anche differente da quello dei KARMA. Io non voglio prendere per il culo chi ci ha amati!

PERTH: Grazie Conte!

 

youtube

 

 

Perth