Scrivere per crescere

Beppe Severgnini, grazie!

E’ un’eterna lotta, contro il tempo e contro la moda dilagante, quella di convincere gli alunni a scrivere bene e a mano.

Ogni anno, nei primi giorni di scuola (e mi riferisco alle medie in cui insegno da parecchi anni), è tremendamente deprimente impostare la scrittura, ma ancor più la calligrafia, degli alunni.

Arrivano dalle elementari che scrivono poco e male, quasi sempre in stampatello.

Il corsivo è un optional, giusto per le grandi feste, ovvero, la ricerca o il compito in classe.

Ma non me la sento assolutamente di criticare i colleghi insegnanti delle elementari.

Siamo tutti sulla stessa barca, quella dell’addio alla scrittura, e dell’abbandono della calligrafia.

Oggi, leggendo quanto ha scritto Beppe Severgnini, a proposito del valore della scrittura e dell’importanza dello scrivere a mano, ho esultato di gusto.

Questa la sua opinione in proposito:” A scadenze regolari, qualcuno scopre che scrivere a mano è bello. Non si tratta di anziani tecnofobi o giovani eccentrici che rinunciano alla tastiera, ma di persone equilibrate, impegnate in campi diversi”.

Qualche giorno fa, il Corriere è tornato sul tema con Candida Morvillo che, riprendendo un’inchiesta di Medium Magazine, ha raccontato come diverse scuole e università Usa impongano agli studenti di prendere appunti manuali.

Invece, secondo Emanuele Trevi, la calligrafia è uno strumento intimo, quello che più si addice alla sfera personale: «un potente ansiolitico, innocuo e a basso costo».

Sull’effetto tranquillante dello scrivere a mano, non mi esprimo. Anzi, quando impongo ai miei alunni di scrivere sotto dettatura, in corsivo, di solito, si genera tensione in classe.

Ma adesso c’è un perché. E non è solo questione di pigrizia. Non solo per chi è appassionato di grafologia, ma per tutti, è evidente che scrivere a mano significa spogliarsi.

In generale, quando si impugna una penna e ci si accinge a scrivere, si prova la sensazione di mettersi a nudo. Aggredire lo spazio bianco significa aggredire la vita.

Tenere il rigo esprime stabilità ed equilibrio.

Lasciare o meno uno spazio tra lettere, parole, righe indica apertura o chiusura agli altri. Allargare o stringere il margine destro o sinistro manifesta slancio verso il futuro o attaccamento verso il passato… Il tratto rivela la personalità e la pressione sul foglio indica l’energia di un individuo.

E’ evidente, la scrittura è unica ed irripetibile, come ognuno di noi.

E cambia, a seconda delle emozioni che stiamo vivendo.

Fiorisce, si assesta, si trasforma come noi, ogni giorno, giorno dopo giorno.

E proprio perché, molti di noi intuiscono, empiricamente, quanto la grafia è rivelatrice, alcuni di noi hanno paura di quello che potrebbe saltar fuori.

A livello collettivo, poi, un po’ tutti proviamo un timore subliminale, di cui non ci rendiamo conto.  La paura di scoprirci e di renderci vulnerabili. La paura di armare l’altro con la conoscenza delle nostre debolezze o fragilità.

Ma, altrettanto inquietante, è l’uso nevrotico dello smartphone per prendere appunti. Prendere appunti con un telefonino, non è normale; è la spia di un disagio.

E il ricorso allo stampatello, soprattutto tra le nuove generazioni, non è pigrizia o ricerca di omologazione: è ansia.

Beppe Severgnini smaschera in pieno il disagio di chi teme la scrittura ed il disegno quando scrive:”La stessa ansia che ritroviamo quando proponiamo l’Intervista Disegnata, che ogni settimana chiude 7-Corriere.

La prima risposta, quasi sempre, è: «Non so disegnare!».

Allora Stefania Chiale, che cura quello spazio, pazientemente spiega: non cerchiamo virtuosismi, ma originalità e spontaneità; contano le idee e la fantasia, non l’abilità nel tratto.

Molti si lasciano convincere, e confessano d’aver trovato l’esperienza liberatoria. Ma qualcuno si ritira, e ammette: disegnare le mie convinzioni e le mie paure mi spaventa”.

E’ pazzesco!

Nell’epoca in cui, grazie o per colpa dei social, tutti, o quasi tutti, fanno a gara a spogliarsi. Nell’epoca in cui non ci sono più confini tra il pubblico ed il privato. Nell’epoca in cui ci si esibisce in senso fisico, e ci si scopre in senso traslato, non si vuole più scrivere a mano.

Perché si teme di essere scoperti.  E’chiaro! Molti tra noi non hanno paura di denudarsi emotivamente su Facebook, Instagram (o Tinder); ma si sentono vulnerabili se scrivono a mano o disegnano.

Ma, non c’è contraddizione. I social sono uno schermo, la rete è uno scudo: in qualche modo, pensiamo di poter nascondere quello che siamo e sentiamo davvero. Un biglietto scritto a mano o un disegno sono invece una confessione.

Anzi, uno spogliarello. Non tutti sono lì a guardare, ma qualcuno potrebbe intravedere qualcosa.

E forse, allora, non andremmo poi così fieri di quello che realmente siamo, spogliati di tutte le mille illusorie, estemporanee ed immaginifiche pseudo-realtà, virtuali.

Antonella Ferrari




3200 giovani: il senso del Trofeo CONI Kinder+Sport

Nel 2018, essendo membro della Giunta del Comitato Regionale Emilia Romagna del CONI ho avuto la possibilità di organizzare il Trofeo CONI Kinder+Sport, una sorta di mini olimpiade destinata ai ragazzi Under14, divisi in rappresentative regionali.

A partire dal titolo che unisce il nome del Comitato Olimpico a quello di una importante azienda come Kinder, si vede quanto possa essere utile e proficuo il collegamento tra marchi e Sport.

Nell’edizione 2018, giocata a Rimini, abbiamo visto in campo ben 3200 ragazzi e ragazze che si sono dati battaglia in 45 discipline che derivano da ben 35 Federazioni Sportive Nazionali e 10 Discipline Sportive Associate.

Due sono stati i giorni di gara ai quali se n’è aggiunto uno per la cerimonia di apertura.

Ci vorrebbe molto tempo e spazio per raccontare tutto quello che è stata questa esperienza, per cui mi limito a tre episodi significativi.

Il primo momento è la cerimonia di apertura che si è svolta giovedì 20 settembre nel parco Marecchia di Rimini, davanti al ponte Tiberio.

Il ponte Tiberio è un ponte di epoca romana ed è uno dei monumenti più importanti della provincia riminese.

Io avevo già iniziato a scrivere la mia tesi incentrata sulle evoluzioni del diritto e dello Sport nel tempo e, la prima cosa che ho pensato è che quel ponte, nei suoi duemila anni di storia, ha vissuto dalle Olimpiadi antiche a quelle moderne dei giorni nostri, tutta la parabola dello Sport cosi come lo conosciamo ed è stato emozionante.

Proprio li, seduto al mio posto nelle prime file del parterre allestito per l’occasione, ho visto passare davanti a me, uno ad uno, i 3200 ragazzi, con i circa 800 tecnici alla presenza di migliaia di appassionati e l’atmosfera è subito diventata magica.

Non ho ancora avuto la fortuna di partecipare ad una edizione dei Giochi Olimpici ma la sfilata inaugurale è uno di quei momenti di ritualità dello sport che collegano idealmente atleti da ogni parte del mondo e in ogni tempo.

Verso la fine della cerimonia, il presentatore ha fatto una domanda al Presidente del CONI, Giovanni Malagò il quale ha risposto con una sola parola “felice” e mi perdonerà se prendo in prestito questa sua risposta per definire in modo preciso e sintetico la sensazione che ha avvolto me e tutte le persone che erano li in quel momento.

Eravamo senza dubbio stanchi per aver  fatto le corse per giorni ad organizzare ed allestire i 45 campi di gara, per distribuire tutto il materiare e coordinare l’arrivo di tutti ma eravamo FELICI.

A conclusione della cerimonia c’è stato qualcosa di ancora più bello, l’inno nazionale accompagnato dai fuochi d’artificio che partivano dal ponte e che con i loro giochi di luce ci hanno permesso di vedere che su tutte le sponde si era assiepata una folla imponente di persone incuriosita dalla manifestazione.

Il secondo episodio è del giorno successivo.

Con alcuni delegati provinciali, Antonio Bonetti di Parma, Andrea Dondi di Modena e Stefano Galetti di Bologna, abbiamo fatto un giro di visite ad alcune discipline tra cui quelle della F.I.G.E.S.T. (Federazione Italiana Sport e Giochi Tradizionali) dove i ragazzi si stavano per dare battaglia nella competizione di Freccette, poi una prova veloce dell’Arrampicata e siamo arrivati nuovamente nel parco Marecchia che serviva come campo di gara per varie discipline.

Nel centro del parco avevano allestito una zona per l’Agility, disciplina collegata alla F.I.D.A.S.C. (Federazione Italiana Discipline Armi Sportive da Caccia) stava per iniziare la competizione.

Già era bellissimo vedere i ragazzi prepararsi e concentrarsi con il loro amici a quattro zampe quando il Comitato di gara ha distribuito una lettera a tutti i Partecipanti, di buon augurio per le competizioni, a firma del presidente nazionale della F.I.D.A.S.C.

Inutile dirvi quanto questo piccolo gesto abbia avuto successo tra i ragazzi, alcuni leggevano la lettera a voce alta per farla sentire anche ai loro partner a quattro zampe che, forse non potevano capirne il contenuto letterale, ma sicuramente avranno percepito la gioia e l’emozione dei ragazzi.

L’ultimo episodio arriva dalla terza ed ultima giornata, la seconda di gara, quando mi sono dedicato alle premiazioni.

Nella prima mattinata sono andato ad una disciplina che sinceramente non conoscevo molto e che mi ha stupito in modo estremamente positivo: la Palla Tamburello, dove sono stato accolto dal Vice Presidente nazionale, Flavio Ubiali.

Entrato nella palestra che ospitava la gara ho assistito agli ultimi punti della finale, estremamente combattuta, che mi ha coinvolto in un clima di tifo straordinario, rispettoso ma molto caloroso, che ha sostenuto le squadre impegnate a giocarsi la coppa in un tre contro tre alternato maschi/femmine ed incerto fino all’ultimo punto.

Che bella atmosfera!

Il tutto reso ancora più sportivamente bello quando uno dei ragazzi ha segnalato che un arbitro aveva sbagliato una valutazione a suo favore.

Un fatto che non dovrebbe essere un’eccezione, anche se purtroppo lo è, ma in questo caso ha contribuito ad affermare il vero senso dello Sport.