Caro ministro, stavolta hai ragione, almeno in parte…

Alle scuole del Sud non servono i soldi, ma l’impegno.

Questa la linea del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, finito al centro della polemica politica per le sue parole sulla scuola nel Mezzogiorno.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente di Caivano, Nano Tv, Bussetti ha risposto al cronista che gli chiedeva come possano fare le scuole del Sud a recuperare il gap con quelle del Nord.

Per il ministro “ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte. Più fondi? No, più impegno: lavoro, sacrificio, impegno, lavoro e sacrificio”.

Detta così, sembra la classica polemica sul Sud fannullone contro il Nord stakanovista.

Ma la frase incriminata era stata estrapolata da tutto un discorso più articolato. (Ancora una volta il triste gioco della strumentalizzazione della notizia e della manipolazione della verità!)  Complimenti a Bussetti che, l’indomani della boutade mediatica, ha spiegato su Facebook le motivazioni della sua visita in Campania: “Come ministero vogliamo far sentire la nostra presenza, essere vicini ai territori, in tutta Italia, al Nord come al Sud. Senza distinzioni.

Ma al Sud dico: non vi servono solo più fondi, che non mancheranno, dovete anche credere di più in voi stessi.

Nelle vostre eccellenze. Gli istituti che ho visitato oggi ad Afragola e Caivano dimostrano come l’impegno delle comunità, di dirigenti scolastici, docenti, studenti e famiglie insieme, possa produrre risultati straordinari. Saremo vicini alle istituzioni scolastiche e alle realtà formative del Sud.

Ma occorre che tutte le istituzioni del territorio facciano la loro parte. Ci vogliono impegno, lavoro, sacrificio e bisogna credere molto in quello che si fa.”

Al di là di tutte le strumentalizzazioni politiche e degli strascichi mediatici, l’intervento del Ministro Bussetti, nella sua interezza, e non estrapolando una sola frase, non fa una piega.

La scuola italiana, da nord a sud, presenta una serie di problemi oggettivi, non risolvibili con fondi, o, almeno non solo con quelli.

Primo problema: il personale già in servizio.

Tanto al Nord, quanto al Sud, accanto ad insegnanti preparati e motivati, ci sono insegnanti parassiti. Insegnanti, mantenuti dallo Stato, che squalificano la categoria, perché entrati nel mondo della scuola per caso e restatici per ripiego.

Insegnanti liberi professionisti che si destreggiano tra lo studio di architettura e le ore di arte ed immagine, tra lo studio di commercialista e le spiegazioni di economia aziendale.

Insegnanti con un doppio stipendio, un orario agevolato, il monopolio nelle scuole serali, (più facili da gestire con la doppia professione), ed il posto rubato ad un giovane, che non riesce mai a raggiungere il posto fisso. Insegnanti che si lamentano per la pensione sempre più lontana, ma che, non appena vanno in pensione, continuano a lavorare, stavolta in una scuola privata.

Insegnanti del Sud, che fanno domanda di supplenza al Nord, prendono servizio, firmano i documenti in segreteria e non entrano neanche in classe a vedere che faccia hanno i ragazzi. Perché, l’indomani, sono già in malattia, maternità anticipata o congedo parentale.

Arrivano già pronti, con in tasca il certificato medico, per rivendicare il loro diritto ad essere insegnanti virtuali.

Intanto nelle classi, ogni anno scolastico, la scuola inizia a singhiozzo.

Spesso è alla fine di ottobre, se va bene, che arriva un insegnante. Intendiamoci, è il supplente del supplente, che non ha mai insegnato, e gli alunni hanno di che divertirsi, e, le famiglie, hanno di che lamentarsi. Ma almeno, rimane…Poi però ci sono le vacanze di Natale, e qui piovono altri certificati migratori al Nord per coprire gli insegnanti che tornano al Sud. E che ci rimangono qualche giorno in più, perché il viaggio costa…

Poi ci sono gli insegnanti che sono regolarmente in servizio, ma che sono borderline, scoppiati, vittima di burnout.

I preferiti per lo scarico di aggressività fisica e verbale da parte di alunni disturbati e di genitori non adeguati.

Passiamo ai bidelli, tralasciamo quelli che lavorano all’uncinetto e fanno le parole crociate, in realtà io intendo quelli che puliscono i locali, senza poter utilizzare né ammoniaca, né candeggina, perché tossiche.

Provate voi a pulire le schifezze delle orde di barbari che ci sono in classe o a mensa e poi, ne parliamo!

Passiamo ai dirigenti scolastici, spremuti come un limone, tra scuole di titolarità e reggenze, sempre più burocrati, sempre meno ex-insegnanti.

Spazi, altro problema. O non ci sono, vedi problema delle classi pollaio. O ci sono e non sono a norma di legge, vedi problema della sicurezza.

Totale, i miei alunni fanno educazione fisica in un’aula, fintanto che la struttura sportiva d’avanguardia, adiacente alla scuola, non è certificata.

Strumenti: nelle scuole manca la carta per le fotocopie, perché ci sono maestre che passano la vita a fotocopiare schede da colorare e da completare per alunni disgrafici e discalculei.

E manca la carta igienica perché, come dicono i miei alunni, la scuola fa…

Mancano computer e lim (Lavagne multimediali interattive).

Per fortuna che ci sono la raccolta punti della Coop o della Conad, con cui, almeno, ogni tanto, otteniamo uno strumento…

Mancano libri e vocabolari, perché, le case editrici sono sempre più restie ad omaggiarti di strumenti cartacei, nell’epoca del virtuale.

Peccato che gli alunni testimonino sempre più il degrado sociale, l’impoverimento lessicale e l’annichilimento cognitivo, dovuto all’uso e all’abuso dei tablet e dei social.

Programmi: E qui viene il bello! E’ un classico della scuola italiana cambiare le carte in tavola, modificare gli esami senza prima rettificare i programmi. Invalsi sì, invalsi no.

Prima, dopo, durante, non so.

Alternanza sì, alternanza no. Vediamo al tuo stage che importanza do’. Intanto, caro maturando, pensa a studiare, che quest’anno non c’è più la terza prova scritta, ma il quiz si sposta all’orale.

Apri la busta e vediamo di che morte devi morire.

Ma per finta, perché, intanto con il nuovo punteggio è riconosciuto maggior peso al tuo percorso scolastico. Non più 25 punti su 100, ma 40 su 100. Ti basta presentarti agli scritti e dire qualcosa all’orale, che un 60/100 è garantito, perché basta fare i conti.

Dunque è vero, ci vuole tanto impegno, tanto lavoro. Ma da parte di tutti, però! E, non solo da parte degli insegnanti del sud! Non solo perché i problemi della scuola italiana sono presenti ovunque, in questa istituzione violentata a turno dagli ultimi governi. Ma anche perché, l’esempio, dovrebbe venire dall’alto!

In questo, almeno a parole, ha ragione Di Maio quando dice: “Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più. Soprattutto sulla scuola, che richiede interventi storici per le condizioni veramente indegne in cui versano tante strutture.

Ci sono genitori preoccupatissimi per lo stato degli edifici scolastici e ci sono studenti che fanno lezione in condizioni imbarazzanti. Siamo noi che dobbiamo fare di più e ogni cosa che faremo non sarà mai abbastanza.

Bisogna iniziare a eliminare le “classi pollaio”, quelle dove alunni e insegnanti sono costretti a fare lezione in 30 – a volte anche di più – in un’aula, una piaga in particolare del sud.

Questo è un modo anche per valorizzare le competenze degli insegnanti, oltre a fare stare meglio i ragazzi.

Ed è solo il primo dei disegni di legge che dobbiamo portare a casa nei prossimi mesi.

I miliardi di euro che abbiamo stanziato nel 2019 per l’edilizia scolastica devono essere solo l’inizio.

I fondi per nuovi laboratori devono almeno raddoppiare.

Quindi impegniamoci di più come Governo.

Tutto il Governo e tutto il Parlamento hanno solo da imparare da insegnanti, alunni, famiglie e tutto il mondo della scuola per come hanno resistito in questi anni a tutti i tagli e a tutti gli attacchi che hanno subito da parte dei vecchi Governi.

Ci sono insegnanti che si svegliano alle 5 del mattino per preparare la lezione, per studiare e aggiornarsi, per conciliare i tempi del lavoro con quelli per la famiglia”.

Dunque, anziché generalizzare e colpevolizzare, diamoci una mossa, un po’ tutti, dentro e fuori la scuola, nelle aule scolastiche, come in quelle della politica. Proviamo a credere nel valore della scuola, nella missione dell’insegnamento, nel riconoscimento del merito, nello spazio alla ricerca e nell’importanza del laboratorio.

Proviamo a lavorare di più e meglio.

Proviamo a trovare ed investire soldi nella scuola, nella ricerca e nell’università.

Ma proviamo anche a controllare che fine fanno i soldi che già girano nelle scuole e si perdono nei meandri della burocrazia, tanto per dirne una. Controlliamo le gare d’appalto dei PON e la distribuzione dei bonus per merito. Controlliamo il marketing dei corsi di aggiornamento e la competenza dei formatori.

Controlliamo le certificazioni alibi redatte da medici compiacenti, in un’epoca in cui l’ indolenza scolastica si maschera di disgrafìa e di discalculìa. Controlliamo che fine fanno i nostri soldi, quando i nostri migliori alunni devono migrare all’estero per trovare impiego.

Quando chi ha lavorato bene, con tanto sacrificio ed impegno, non riesce ad ottenere un lavoro adeguato e non sottopagato.

Insomma, caro ministro, grazie perché, le tue parole hanno scatenato l’ennesima polemica sulla scuola, ma anche dentro la scuola.

Perché di IMPEGNO, SACRIFICIO e LAVORO, c’è tanto bisogno, è vero.

Ma non solo al Sud, anche al Nord.

E non solo nella scuola, soprattutto nella politica!

 

Antonella Ferrari




Dislessia: un modo diverso di vedere le cose…

In Italia nel 2017 se ne contavano quasi 2 milioni.

Per fortuna è un esercito numeroso perché non sarebbe stato facile combattere in pochi contro tanti preconcetti.

Sono i ribelli della scrittura, i sovversivi della sillabazione, i disobbedienti delle cifre, al secolo noti come ragazzi con caratteristiche di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), sono i disgrafici, dislessici o discalculici.

Sono tanti ma rischiano di essere ancora di più i preconcetti sul loro conto:

  • Sono malati -> poverini
  • Sono dei geni -> sono incompresi
  • Sono pigri -> ci vogliono i ceffoni
  • Vanno aiutati -> poverini
  • Sono lenti -> poverini
  • Anche Einstein era dislessico -> sono tutti scienziati
  • Semplicemente non si impegnano abbastanza -> sono pigri
  • Adesso che esiste la malattia, sono tutti dislessici -> ci vogliono i ceffoni
  • Nelle prove orali sono più bravi che in quelle scritte -> poverini
  • Hanno la testa tra le nuvole -> sono pigri
  • Non potranno mai leggere -> poverini
  • Leggono ma non capiscono -> poverini
  • Confondono le lettere -> poverini
  • Confondono la destra con la sinistra -> poverini
  • Sono dislessici perché da bambini non giocavano abbastanza per terra -> colpa dei genitori

E avanti fino all’infinito.

A chiedere in giro a cosa viene da pensare quando si parla di dislessia, se ne sentono proprio di tutti i colori.

Quasi viene da pensare che questi ragazzi siano malati, eppure non ci sono i presupposti per definirli tali.

Questi piccoli eroi, ogni giorno, combattono delle guerre senza quartiere contro l’opinione comune e il diffuso “sotuttismo” (vogliamo togliere la possibilità di dire la propria anche a chi si occupa di tutt’altro?), contro madri ansiose, insegnanti superficiali, fratelli geniali, medici pressappochisti e scuole rigide.

Super eroi circondati da tante opinioni sulla dislessia ma poche su di loro.

Ovviamente quella che ho presentato non è l’unica realtà, ma è solo quella che mi disturba di più.

Di contro, naturalmente, esistono genitori pacificanti, insegnati competenti e professionali, fratelli che sono fratelli con i quali giocare e litigare e non poli di paragone, medici preparati e scuole all’avanguardia.

Esistono anche realtà di supporto molto belle ed è con una di queste che mi sono fermata a parlare.

Loro sono Alessandro Rocco, Paola Saba e Valentina Conte, sono i volti e le voci di W la Dislessia e io sono una fan del loro lavoro perché, a guardarli all’opera e a parlare con loro, sembrano felici e al posto giusto e queste, per me, sono qualità di valore.

Operano a Vicenza ma seguono ragazzi provenienti da tutta Italia.

All’interno della loro struttura, seguono ragazzi con riconosciuta dislessia insegnano loro tecniche di lettura e metodo di studio.

Secondo il loro metodo, non si parte dal problema ma dalle difficoltà dei ragazzi.

Se si va sul loro sito (il link tra i riferimenti) si legge che hanno seguito fino ad oggi 3756 ragazzi e formato attraverso i loro corsi 6034 genitori.

Mi spiegano Paola e Alessandro che il lavoro che fanno avviene su più livelli: si lavora coi ragazzi e coi genitori.

Spesso il primo incontro è con i genitori che li contattano perché sono preoccupanti per i loro figli ai quali o è stato diagnosticato una difficoltà di apprendimento; o accusano una difficoltà scolastica (spesso dovuta alla mancanza di un metodo di studi) più o meno circostanziale.

I ragazzi faranno una valutazione con Paola o Valentina mentre i genitori, che avranno portano tutte le documentazioni del caso, dovranno affrontare Alessandro che, di solito, un po’ li richiama all’ordine.

Spesso i genitori portano dai ragazzi di W la dislessia i propri figli per farli “curare” e alla fine può capitare che siano proprio i genitori i primi a dover cambiare certi atteggiamenti, abbattere certe ansie e farsi una sorta di esame di coscienza per le proprie pretese.

Non per cambiare la diagnosi specialistica ma per aiutare i propri figli a concentrarsi sui propri talenti.

Quello che cercano di fare i ragazzi di W la dislessia, è creare l’esigenza nelle persone di continuare ad avere voglia di imparare.

Per riassumere, i ragazzi, attraverso il gioco e la relazione (non facendo i compiti) valorizzano le loro doti compensando e mirando a colmare altre lacune; i genitori imparano a gestire la dislessia dei figli e, quando ci sono, la propria ansia o fragilità genitoriali.

W la dislessia entra anche nelle scuole grazie a giornate dedicate e a incontri specifici, un modo controintuitivo di affrontare delle realtà giovani (i DSA), numerosissime e che ancora   capita che non si sappia bene come prendere.

Ci auguriamo che venga un giorno in cui, come dicono Paola, Valentina e Alessandro, si decodifichi quella D dell’acronimo DSA non come Disturbi ma come Difficoltà perché “tuo figlio non è malato”.

Riferimenti

 

 

 

 

 

 

Per conoscere meglio il lavoro svolto da W La dislessia visita i link riportati cliccando sulle parole

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Libri: 

? W la Dislessia – tuo figlio non è malato

W i Compiti – come dire definitivamente addio i pomeriggi di urla e litigi