Delle buone passioni e delle nostre anime perfette

Io lo ricordo l’amore e ricordo che era esclusivo,

ricordo che era così ingombrante che ogni volta rendeva trasparenti tutte le altre cose.

L’amore è bruciante, l’amore consuma passione.

La passione è egoista e le sue regole sono orientamento ed energia incondizionate.

La passione è un’ossessione che brucia e consuma finché non ti cambia.

La passione può renderci migliori così come può renderci peggiori.

Ma non è colpa della passione: dipende da noi.

La biga va equilibrata dal cavallo della ragione.

Lasciamo che le passioni arricchiscano la nostra anima e badiamo che la ragione vegli affinché la strada sia quella giusta.

La passione è un’ossessione e lavora l’anima per un costante miglioramento o logorio.

Il tipo di lavoro che facciamo su noi stessi non migliora o peggiora il mondo direttamente, ma è la via per renderci “strumento”.

La passione orientata verso il bello migliora la nostra anima.

Lo studio di una fotografia, 

la ricerca su un argomento,

l’immersione dentro brani musicali,

la scoperta incessante del bello,

la sete di natura,

la fame di arte.

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Dovremmo impegnarci ad amare incondizionatamente ciò che ci avvicina alla bellezza 

ogni età ha le sue passioni 

ogni età ha l’obbligo di migliorarci in modo differente per avvicinarci il più possibile alla migliore idea che abbiamo di noi.

Che la passione per il bello forgi la nostra anima perfetta.




La bellezza salverà il mondo

È importante circondarci di bellezza?

La bellezza di un ambiente, può migliorare l’indole di un individuo?

“La bellezza salverà il mondo” faceva dire Dostoevskij al principe Myškin dalle pagine de L’Idiota.

Per qualche minuto, poniamoci il problema sollevato da questa chiosa.

La bellezza influisce su di noi? E come?

La bellezza ci migliora?

Qual è il rapporto di causa ed effetto tra ambiente e socialità?

Alziamo la posta: 

nei quartieri degradati c’è la malavita perché i quartieri sono degradati o viceversa: la malavita esiste perché prospera nel degrado?

Questa è la provocazione sollevata dal prof. Alessandro Bianchi, Rettore dell’Università Telematica Pegaso, nella sua prolusione all’evento Ri-Genera Tour.

Ri-genera è un ciclo di appuntamenti di formazione itineranti coordinato dal prof. Bianchi e dal prof. Mauro Minelli, presidente del Corso di Studi in Scienze Motorie della stessa Università.

Il tema del ciclo è stato il rapporto tra ambiente e salute.

Un ambiente bello, curato, civile, nel senso etimologico del termine, ovvero adatto al civis, al cittadino, un ambiente così fatto, può influire sulla buona condotta e sulla buona salute dell’individuo?

La responsabilità dell’urbanista, di chi architetta la sinfonia del nucleo abitativo, è forse quello di impattare così profondamente sull’anima umana da indirizzarne l’indole?

La responsabilità del nutrizionista è quello di e proteggere l’organismo dall’impatto dell’ambiente esterno preparandolo al meglio?

Forse sì.

Se è facile pensare che un ambiente salubre facilita il nostro benessere fisico, pensare che un ambiente bello e armonioso possa aiutare il nostro benessere sociale richiede uno sforzo in più.

Ma non perché non sia giusto e logico, ma perché non siamo abituati a pensarlo.

La bellezza salverà il mondo?

Forse sì, o, comunque, può essere usato come strumento impattante.

Allontaniamoci per un attimo dai contenuti fedeli della lezione e facciamo una riflessione parallela.

Nel 1969 il professor Philip Zimbardo fece un esperimento che dimostra la viralità dell’atto vandalico.

Prese due auto identiche e ne posteggiò una nel Bronx, quartiere povero e periferico, un’altra nella ricca e tranquilla Palo Alto.

Nella prima parte dell’esperimento, accadde quello che tutti ci aspettiamo possa accadere: dopo una settimana, la macchina posteggiata nel Bronx venne smantellata e depredata di ogni pezzo; la macchina posteggiata a Palo Alto restò intonsa.

La seconda parte dell’esperimento, portò ad un interessante stadio successivo.

I ricercatori ruppero un vetro della macchina posteggiata a Palo Alto; in poco tempo la stessa auto fu oggetto di furti e vandalismo che ridussero la vettura come la gemella del Bronx.

Ecco quindi che si nota che quando ci troviamo davanti a qualcosa già manomessa o sgradevole, una parte di noi si ritiene giustificata a portare avanti il disordine.

Quando una strada è piena di cartacce, ci sentiamo più giustificati a buttare anche noi un rifiuto fuori dal cestino rispetto a quando ci troviamo su una strada pulita.

Quando visitiamo città ordinate e pulite, ci sentiamo in dovere di essere ordinati e puliti a nostra volta.

Com’è bello l’animo umano che si adatta all’ambiente circostante e come è potente la vocazione di chi vuole e può, col suo operato, migliorare gli animi.




Lettera all’amico

In tutta sincerità non nutro grande stima per la Vita.

Certo le porto rispetto, quel rispetto che non mi fa mettere la mia volontà sopra la sua.

Ma di lei ci sono tanti aspetti che mi turbano.
Non mi piace, per esempio, il dolore che la pervade (non potremmo risparmiarcelo?), il fatto che debba finire (perché allora affannarsi tanto?), la sua apparente inutilità cosmica (chi siamo e che senso abbiamo al cospetto dell’universo?)…

Però non riesco a biasimarla del tutto.

Le riconosco infatti dei frequenti colpi di genio più che quotidiani.
Parlo di quello scorcio di panorama alzando lo sguardo che lascia incantati;
del colore del cielo che cambia sempre e ogni volta toglie il fiato facendoti partecipare all’infinito;
del volo di quell’insetto che all’improvviso ti fa dimenticare dell’insetto e sospende per aria anche te.

Cose come queste, che non sono le singole cose ma la eco dentro la nostra anima.
Quel colore, quel profumo, quel sapore, quel suono, quel tocco, quell’estasi muta fuori controllo.

E, tra queste, la sua perfezione, il suo incastrarsi perfetto,
Il suo farti dire agli altri proprio le parole di cui hai bisogno tu.

Quelle parole che tu solo sei in grado di dire perché proprio tu conosci quel dolore.

E allora amico mio non chiedermi mai scusa per la tua forza incompresa.
Non c’è fallimento nell’apparente non trovare pace.
Siamo persone assetate che non si accontentano e sanno che da qualche parte esiste la nostra fonte.
E anche se non dovessimo trovarla, sappiamo che moriremmo molto prima se non provassimo a cercarla.

Ascoltiamo gli altri, li guardiamo senza invidia,
ma ci chiediamo quando toccherà anche a noi quella fetta di normalità che tocca a tutti gli altri ma a noi no.

Quel matrimonio fatto per bene, quel figlio sano, quel lavoro sicuro, quel titolo rispettabile, quell’orgoglio dei genitori, quella casa ordinata, quello spicchio di stabilità…

Quello che ottengono tutti gli altri ma noi no.
Ed è così difficile spiegarne il perché a chi ce ne chiede conto.
Perché non c’è un vero motivo.
Appariamo come quelli che dicono “no” a tutto e che non vogliono accontentarsi ed essere felici.

Però noi lo sappiamo che, alla fine, che vogliamo essere felici è l’unica cosa che vogliamo e ci urla dentro come un babbuino impazzito.
Lo sappiamo che se non troviamo pace è perché stiamo scomodi
e ci muoveremo finché non troveremo il nostro posto
Ovunque sia.
In qualunque tempo sia.
Ma è così difficile spiegarlo.

Amico mio non c’è vergogna nel seguire le strade più lunghe e solitarie
Non sono poi cosi solitarie, è che stiamo tutti zitti e non ci accorgiamo dei vicini.

La nostra è una norma diversa, più difficile da accettare anche per noi, però ci porta verso la strada che ci avvicinerà di più a ciò che siamo.

Non potrò dirti di accontentarti e farti piacere ciò che hai.
Di abbracciare i sogni e le attese di semisconosciuti, di tenere il tuo tempo sugli orologi di altri, di voler vivere nello spazio troppo stretto per te.

Amico mio non scusarti per la tua forza incompresa.
Alla fine le nostre spiegazioni non interessano a chi ci pone queste domande.




30 pensieri offensivi per le donne

Ecco l’elenco delle cose che nella società in cui viviamo offendono l’esser donna.

Di seguito riportiamo un elenco in via di incremento che un campione di 250 donne intervistate hanno raccolto nel corso degli ultimi 3 mesi.

L’elenco qui riportato non è stato presentato in ordine di importanza ma in ordine di produzione.

Questo elenco sarà oggetto di approfondimento nel corso delle trasmissioni di Betapress.it a tutela del più debole.

 

Elenco

1) Il pensiero che si debba essere sempre l’amante di qualcuno per far strada;

2) Dover ascoltare e sopportare in silenzio battute allusive da parte di uomini in qualunque momento e in qualunque contesto;

3) Pensare che il proprio valore sia monetizzabile;

4) Non poter fare un figlio se non si ha un contratto a tempo indeterminato per paura di essere licenziate;

5) Aspettare di firmare un contratto a tempo indeterminato per far figli;

6) Compensare il proprio bisogno di affetto e approvazione con la svendita del proprio corpo;

7) Sentir dire come complimento “ragioni come un uomo”… come se, in certi casi, ci volesse tanto…

8) Percepire in un uomo la sincera invidia verso chi mercifica il corpo femminile;

9) Che la tv mostri la donna come un oggetto buona solo a ballare e dimenarsi;

10) Che l’immagine passata dai media sia quella di una donna uterina e dai nervi fragili;

11) Il fatto che ancora, si ritenga che una chiave di volta del marketing sia legata al sesso;

12) Che vengano sottovalutate dagli uomini la sindrome pre-; infra- e post- mestruale;

13) Non poter dichiarare la propria omosessualità senza che un uomo non esprima i propri sogni erotici;

14) Che si usi un nudo femminile anche per pubblicizzare una saponetta;

15) Che si usino  immagini femminili ammiccanti anche per pubblicizzare un formaggio;

16) Accettare e fare propri tabù sessuali legati al contesto familiare, religioso e culturale in cui si è cresciuti;

17) Sentir chiamare un uomo per nome cognome e titolo e la donna, di pari età, titolo e grado, “ragazza, signora. signorina” … quando va bene… quando va male:  per metonimia con una parte del proprio corpo o per similitudine con nomi di animali;

18) Gli uomini che devono a tutti costi mettere le mani addosso per toccare e palmare;

19) La violenza fisica e psicologica sulle donne;

20) La stupida competitività femminile;

21) Perdere la tenerezza umana per un modello di potere;

22) Fare del valore delle bellezza un valore esteriore, canonizzato e rigoroso piuttosto che una commistione di animo, modi e gesti;

23) Sentirsi nel torto quando si subiscono molestie e violenze;

24) Dovere apparire per poter essere;

25) Pensare di dover nascondere la propria intelligenza per poter trovare un uomo;

26) La frase “essere bella è un grande limite per la carriera”: chi dice così ritiene che la propria bellezza sia oltremodo superiore alla propria intelligenza;

27) L’idea che la sola priorità di tutte le donne debbano essere il matrimonio, i figli e il marito;

28) Quando ci si separa dal marito, pretendere gli alimenti anche se ci si potrebbe mantenere da sole;

29) Confondere la sensualità con la sessualità;

30) Pensare di dover essere simile ad un uomo per poter esser ritenuta uguale o migliore: non dobbiamo essere uguali ma complementari: ciò che una donna non fa, lo farà l’uomo e viceversa.

 




Caro ministro, stavolta hai ragione, almeno in parte…

Alle scuole del Sud non servono i soldi, ma l’impegno.

Questa la linea del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, finito al centro della polemica politica per le sue parole sulla scuola nel Mezzogiorno.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente di Caivano, Nano Tv, Bussetti ha risposto al cronista che gli chiedeva come possano fare le scuole del Sud a recuperare il gap con quelle del Nord.

Per il ministro “ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte. Più fondi? No, più impegno: lavoro, sacrificio, impegno, lavoro e sacrificio”.

Detta così, sembra la classica polemica sul Sud fannullone contro il Nord stakanovista.

Ma la frase incriminata era stata estrapolata da tutto un discorso più articolato. (Ancora una volta il triste gioco della strumentalizzazione della notizia e della manipolazione della verità!)  Complimenti a Bussetti che, l’indomani della boutade mediatica, ha spiegato su Facebook le motivazioni della sua visita in Campania: “Come ministero vogliamo far sentire la nostra presenza, essere vicini ai territori, in tutta Italia, al Nord come al Sud. Senza distinzioni.

Ma al Sud dico: non vi servono solo più fondi, che non mancheranno, dovete anche credere di più in voi stessi.

Nelle vostre eccellenze. Gli istituti che ho visitato oggi ad Afragola e Caivano dimostrano come l’impegno delle comunità, di dirigenti scolastici, docenti, studenti e famiglie insieme, possa produrre risultati straordinari. Saremo vicini alle istituzioni scolastiche e alle realtà formative del Sud.

Ma occorre che tutte le istituzioni del territorio facciano la loro parte. Ci vogliono impegno, lavoro, sacrificio e bisogna credere molto in quello che si fa.”

Al di là di tutte le strumentalizzazioni politiche e degli strascichi mediatici, l’intervento del Ministro Bussetti, nella sua interezza, e non estrapolando una sola frase, non fa una piega.

La scuola italiana, da nord a sud, presenta una serie di problemi oggettivi, non risolvibili con fondi, o, almeno non solo con quelli.

Primo problema: il personale già in servizio.

Tanto al Nord, quanto al Sud, accanto ad insegnanti preparati e motivati, ci sono insegnanti parassiti. Insegnanti, mantenuti dallo Stato, che squalificano la categoria, perché entrati nel mondo della scuola per caso e restatici per ripiego.

Insegnanti liberi professionisti che si destreggiano tra lo studio di architettura e le ore di arte ed immagine, tra lo studio di commercialista e le spiegazioni di economia aziendale.

Insegnanti con un doppio stipendio, un orario agevolato, il monopolio nelle scuole serali, (più facili da gestire con la doppia professione), ed il posto rubato ad un giovane, che non riesce mai a raggiungere il posto fisso. Insegnanti che si lamentano per la pensione sempre più lontana, ma che, non appena vanno in pensione, continuano a lavorare, stavolta in una scuola privata.

Insegnanti del Sud, che fanno domanda di supplenza al Nord, prendono servizio, firmano i documenti in segreteria e non entrano neanche in classe a vedere che faccia hanno i ragazzi. Perché, l’indomani, sono già in malattia, maternità anticipata o congedo parentale.

Arrivano già pronti, con in tasca il certificato medico, per rivendicare il loro diritto ad essere insegnanti virtuali.

Intanto nelle classi, ogni anno scolastico, la scuola inizia a singhiozzo.

Spesso è alla fine di ottobre, se va bene, che arriva un insegnante. Intendiamoci, è il supplente del supplente, che non ha mai insegnato, e gli alunni hanno di che divertirsi, e, le famiglie, hanno di che lamentarsi. Ma almeno, rimane…Poi però ci sono le vacanze di Natale, e qui piovono altri certificati migratori al Nord per coprire gli insegnanti che tornano al Sud. E che ci rimangono qualche giorno in più, perché il viaggio costa…

Poi ci sono gli insegnanti che sono regolarmente in servizio, ma che sono borderline, scoppiati, vittima di burnout.

I preferiti per lo scarico di aggressività fisica e verbale da parte di alunni disturbati e di genitori non adeguati.

Passiamo ai bidelli, tralasciamo quelli che lavorano all’uncinetto e fanno le parole crociate, in realtà io intendo quelli che puliscono i locali, senza poter utilizzare né ammoniaca, né candeggina, perché tossiche.

Provate voi a pulire le schifezze delle orde di barbari che ci sono in classe o a mensa e poi, ne parliamo!

Passiamo ai dirigenti scolastici, spremuti come un limone, tra scuole di titolarità e reggenze, sempre più burocrati, sempre meno ex-insegnanti.

Spazi, altro problema. O non ci sono, vedi problema delle classi pollaio. O ci sono e non sono a norma di legge, vedi problema della sicurezza.

Totale, i miei alunni fanno educazione fisica in un’aula, fintanto che la struttura sportiva d’avanguardia, adiacente alla scuola, non è certificata.

Strumenti: nelle scuole manca la carta per le fotocopie, perché ci sono maestre che passano la vita a fotocopiare schede da colorare e da completare per alunni disgrafici e discalculei.

E manca la carta igienica perché, come dicono i miei alunni, la scuola fa…

Mancano computer e lim (Lavagne multimediali interattive).

Per fortuna che ci sono la raccolta punti della Coop o della Conad, con cui, almeno, ogni tanto, otteniamo uno strumento…

Mancano libri e vocabolari, perché, le case editrici sono sempre più restie ad omaggiarti di strumenti cartacei, nell’epoca del virtuale.

Peccato che gli alunni testimonino sempre più il degrado sociale, l’impoverimento lessicale e l’annichilimento cognitivo, dovuto all’uso e all’abuso dei tablet e dei social.

Programmi: E qui viene il bello! E’ un classico della scuola italiana cambiare le carte in tavola, modificare gli esami senza prima rettificare i programmi. Invalsi sì, invalsi no.

Prima, dopo, durante, non so.

Alternanza sì, alternanza no. Vediamo al tuo stage che importanza do’. Intanto, caro maturando, pensa a studiare, che quest’anno non c’è più la terza prova scritta, ma il quiz si sposta all’orale.

Apri la busta e vediamo di che morte devi morire.

Ma per finta, perché, intanto con il nuovo punteggio è riconosciuto maggior peso al tuo percorso scolastico. Non più 25 punti su 100, ma 40 su 100. Ti basta presentarti agli scritti e dire qualcosa all’orale, che un 60/100 è garantito, perché basta fare i conti.

Dunque è vero, ci vuole tanto impegno, tanto lavoro. Ma da parte di tutti, però! E, non solo da parte degli insegnanti del sud! Non solo perché i problemi della scuola italiana sono presenti ovunque, in questa istituzione violentata a turno dagli ultimi governi. Ma anche perché, l’esempio, dovrebbe venire dall’alto!

In questo, almeno a parole, ha ragione Di Maio quando dice: “Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più. Soprattutto sulla scuola, che richiede interventi storici per le condizioni veramente indegne in cui versano tante strutture.

Ci sono genitori preoccupatissimi per lo stato degli edifici scolastici e ci sono studenti che fanno lezione in condizioni imbarazzanti. Siamo noi che dobbiamo fare di più e ogni cosa che faremo non sarà mai abbastanza.

Bisogna iniziare a eliminare le “classi pollaio”, quelle dove alunni e insegnanti sono costretti a fare lezione in 30 – a volte anche di più – in un’aula, una piaga in particolare del sud.

Questo è un modo anche per valorizzare le competenze degli insegnanti, oltre a fare stare meglio i ragazzi.

Ed è solo il primo dei disegni di legge che dobbiamo portare a casa nei prossimi mesi.

I miliardi di euro che abbiamo stanziato nel 2019 per l’edilizia scolastica devono essere solo l’inizio.

I fondi per nuovi laboratori devono almeno raddoppiare.

Quindi impegniamoci di più come Governo.

Tutto il Governo e tutto il Parlamento hanno solo da imparare da insegnanti, alunni, famiglie e tutto il mondo della scuola per come hanno resistito in questi anni a tutti i tagli e a tutti gli attacchi che hanno subito da parte dei vecchi Governi.

Ci sono insegnanti che si svegliano alle 5 del mattino per preparare la lezione, per studiare e aggiornarsi, per conciliare i tempi del lavoro con quelli per la famiglia”.

Dunque, anziché generalizzare e colpevolizzare, diamoci una mossa, un po’ tutti, dentro e fuori la scuola, nelle aule scolastiche, come in quelle della politica. Proviamo a credere nel valore della scuola, nella missione dell’insegnamento, nel riconoscimento del merito, nello spazio alla ricerca e nell’importanza del laboratorio.

Proviamo a lavorare di più e meglio.

Proviamo a trovare ed investire soldi nella scuola, nella ricerca e nell’università.

Ma proviamo anche a controllare che fine fanno i soldi che già girano nelle scuole e si perdono nei meandri della burocrazia, tanto per dirne una. Controlliamo le gare d’appalto dei PON e la distribuzione dei bonus per merito. Controlliamo il marketing dei corsi di aggiornamento e la competenza dei formatori.

Controlliamo le certificazioni alibi redatte da medici compiacenti, in un’epoca in cui l’ indolenza scolastica si maschera di disgrafìa e di discalculìa. Controlliamo che fine fanno i nostri soldi, quando i nostri migliori alunni devono migrare all’estero per trovare impiego.

Quando chi ha lavorato bene, con tanto sacrificio ed impegno, non riesce ad ottenere un lavoro adeguato e non sottopagato.

Insomma, caro ministro, grazie perché, le tue parole hanno scatenato l’ennesima polemica sulla scuola, ma anche dentro la scuola.

Perché di IMPEGNO, SACRIFICIO e LAVORO, c’è tanto bisogno, è vero.

Ma non solo al Sud, anche al Nord.

E non solo nella scuola, soprattutto nella politica!

 

Antonella Ferrari




Dislessia: un modo diverso di vedere le cose…

In Italia nel 2017 se ne contavano quasi 2 milioni.

Per fortuna è un esercito numeroso perché non sarebbe stato facile combattere in pochi contro tanti preconcetti.

Sono i ribelli della scrittura, i sovversivi della sillabazione, i disobbedienti delle cifre, al secolo noti come ragazzi con caratteristiche di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), sono i disgrafici, dislessici o discalculici.

Sono tanti ma rischiano di essere ancora di più i preconcetti sul loro conto:

  • Sono malati -> poverini
  • Sono dei geni -> sono incompresi
  • Sono pigri -> ci vogliono i ceffoni
  • Vanno aiutati -> poverini
  • Sono lenti -> poverini
  • Anche Einstein era dislessico -> sono tutti scienziati
  • Semplicemente non si impegnano abbastanza -> sono pigri
  • Adesso che esiste la malattia, sono tutti dislessici -> ci vogliono i ceffoni
  • Nelle prove orali sono più bravi che in quelle scritte -> poverini
  • Hanno la testa tra le nuvole -> sono pigri
  • Non potranno mai leggere -> poverini
  • Leggono ma non capiscono -> poverini
  • Confondono le lettere -> poverini
  • Confondono la destra con la sinistra -> poverini
  • Sono dislessici perché da bambini non giocavano abbastanza per terra -> colpa dei genitori

E avanti fino all’infinito.

A chiedere in giro a cosa viene da pensare quando si parla di dislessia, se ne sentono proprio di tutti i colori.

Quasi viene da pensare che questi ragazzi siano malati, eppure non ci sono i presupposti per definirli tali.

Questi piccoli eroi, ogni giorno, combattono delle guerre senza quartiere contro l’opinione comune e il diffuso “sotuttismo” (vogliamo togliere la possibilità di dire la propria anche a chi si occupa di tutt’altro?), contro madri ansiose, insegnanti superficiali, fratelli geniali, medici pressappochisti e scuole rigide.

Super eroi circondati da tante opinioni sulla dislessia ma poche su di loro.

Ovviamente quella che ho presentato non è l’unica realtà, ma è solo quella che mi disturba di più.

Di contro, naturalmente, esistono genitori pacificanti, insegnati competenti e professionali, fratelli che sono fratelli con i quali giocare e litigare e non poli di paragone, medici preparati e scuole all’avanguardia.

Esistono anche realtà di supporto molto belle ed è con una di queste che mi sono fermata a parlare.

Loro sono Alessandro Rocco, Paola Saba e Valentina Conte, sono i volti e le voci di W la Dislessia e io sono una fan del loro lavoro perché, a guardarli all’opera e a parlare con loro, sembrano felici e al posto giusto e queste, per me, sono qualità di valore.

Operano a Vicenza ma seguono ragazzi provenienti da tutta Italia.

All’interno della loro struttura, seguono ragazzi con riconosciuta dislessia insegnano loro tecniche di lettura e metodo di studio.

Secondo il loro metodo, non si parte dal problema ma dalle difficoltà dei ragazzi.

Se si va sul loro sito (il link tra i riferimenti) si legge che hanno seguito fino ad oggi 3756 ragazzi e formato attraverso i loro corsi 6034 genitori.

Mi spiegano Paola e Alessandro che il lavoro che fanno avviene su più livelli: si lavora coi ragazzi e coi genitori.

Spesso il primo incontro è con i genitori che li contattano perché sono preoccupanti per i loro figli ai quali o è stato diagnosticato una difficoltà di apprendimento; o accusano una difficoltà scolastica (spesso dovuta alla mancanza di un metodo di studi) più o meno circostanziale.

I ragazzi faranno una valutazione con Paola o Valentina mentre i genitori, che avranno portano tutte le documentazioni del caso, dovranno affrontare Alessandro che, di solito, un po’ li richiama all’ordine.

Spesso i genitori portano dai ragazzi di W la dislessia i propri figli per farli “curare” e alla fine può capitare che siano proprio i genitori i primi a dover cambiare certi atteggiamenti, abbattere certe ansie e farsi una sorta di esame di coscienza per le proprie pretese.

Non per cambiare la diagnosi specialistica ma per aiutare i propri figli a concentrarsi sui propri talenti.

Quello che cercano di fare i ragazzi di W la dislessia, è creare l’esigenza nelle persone di continuare ad avere voglia di imparare.

Per riassumere, i ragazzi, attraverso il gioco e la relazione (non facendo i compiti) valorizzano le loro doti compensando e mirando a colmare altre lacune; i genitori imparano a gestire la dislessia dei figli e, quando ci sono, la propria ansia o fragilità genitoriali.

W la dislessia entra anche nelle scuole grazie a giornate dedicate e a incontri specifici, un modo controintuitivo di affrontare delle realtà giovani (i DSA), numerosissime e che ancora   capita che non si sappia bene come prendere.

Ci auguriamo che venga un giorno in cui, come dicono Paola, Valentina e Alessandro, si decodifichi quella D dell’acronimo DSA non come Disturbi ma come Difficoltà perché “tuo figlio non è malato”.

Riferimenti

 

 

 

 

 

 

Per conoscere meglio il lavoro svolto da W La dislessia visita i link riportati cliccando sulle parole

On line 

?? Gruppo facebook

Canale you tube 

? Sito: www.wladislessia.com

Libri: 

? W la Dislessia – tuo figlio non è malato

W i Compiti – come dire definitivamente addio i pomeriggi di urla e litigi

 




Come le bugie manovrano la nostra vita

“C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. 

No, ragazzi, avete sbagliato. 

C’era una volta un pezzo di legno. 

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta… ”

Ci sono oggi tante persone fatte con quel povero ciocco di legno da catasta.

Ci sono oggi tante persone che, nonostante questo,

vengono amate… 

amate da un povero vecchio cuore che darebbe qualunque cosa per il bene di quei burattini di carne.

Questi moderni burattini, così come quello della favola, hanno una cosa che li accomuna: dicono le bugie.

Ma non parliamo di loro.

Parliamo del burattino famoso 

di quello del libro per bambini che tutti conoscono.

Parliamo di Pinocchio.

Le bugie lo tenevano prigioniero e non gli davano la possibilità di diventare un bambino vero.

Ma lui questo non lo sapeva.

Lui viveva di piccole bugie innocenti che lo aiutavano a non affrontare la realtà.

Di grosse bugie impegnative che lo rendevano prigioniero e gli facevano rischiare la morte.

La morte.

Bugie che riuscivano a portarlo così lontano da quello che era (con i suoi difetti ma anche con i suoi pregi) fino a trasformarlo in qualcosa di ancora peggiore e più pericoloso di un burattino: in un ciucchino in pericolo di vita.

Non era un bambino vero ma poteva morire.

Non era un burattino ma un animale da soma.

Tutto questo per colpa delle bugie.

Poi un giorno qualcosa cambia.

Pinocchio mette la testa a posto.

Capisce i suoi errori, impara ad affrontare la realtà con tutte le sue amarezze 

ed ecco che avviene la magia:

Pinocchio diventa un bambino vero.

La maschera di legno che credeva lo avrebbe salvato da qualunque cosa, cade e viene fuori l’essenza, la verità.

Ed è così che comincia il cammino di crescita dell’uomo.

————

Il fatto è che la verità fa paura.

La verità è quella parte del nostro animo che urla le nostre debolezze e per questo non la vogliamo vedere.

Ma la verità è ambrosia.

La verità è quell’aspetto del nostro essere che taglia i fili che ci rendono burattini e schiavi.

La verità ci rende divini.

In tutti i percorsi iniziatici (che mi vengono in mente in questo momento) è la verità a rendere liberi.

Ma probabilmente, come è successo a Pinocchio, è per questo che fa così paura.

——–

Dedicato a chi ha il coraggio di scoprire la verità

guardarla in faccia 

e abbracciarla.

E a chi prima o poi di stancherà di restare un ciuccio.




Lo scaffale delle cose vergognose

Grande subbuglio nella Casa dalle Finestre Rosse.
In questi giorni ho fatto ordine.

Sono stati giorni belli, di cornici appese e penne scariche buttate vie.
Mattonelle decorate e fogli strappati in modo da far scomparire i dati sensibili;
candele accese, tisane calde, gatti che correvano di qua e di là.
Vecchie foto ritrovate e tanto, tanto, tanto spazio in più.

In tutto questo mettere ordine ho creato un posto segreto, nascosto.
L’ho chiamato lo Scaffale delle Cose Vergognose.

È un posto che si trova a casa mia, che ha a che fare con me ma che ospita degli aspetti che in questo momento, non voglio che altri vedano perché stonano con il resto esposto.

Alcuni di questi aspetti sono sulla porta per andar via,
altri, chissà, potrebbero stare per entrare,
altri ancora sono segreti e basta.

Le cose che non hanno più a che fare con me le ho buttate o date via (credo molto nel regalare la roba che non ha più motivo di stare con me: abiti, oggetti ecc… perché così continueranno ad essere utili e a migliorare la vita di qualcun altro)
Gli oggetti dello Scaffale delle Cose Vergognose, invece, hanno bisogno di rimanere ancora perché, anche se in modo non ben definito, hanno a che fare con me ma non voglio che tutti lo sappiano.

Tutti noi abbiamo uno scaffale delle cose vergognose.
Si trova dentro un mobile o in bella vista nascosto dai libri.

Conserviamo quella roba dentro di noi come in alcune case si nascondono le bomboniere che non piacciono e che non si possono buttare perché chi ce le ha regalate viene spesso a farci visita.

Lo Scaffale delle Cose Vergognose lo abbiamo tutti,
è giusto che esista ed è giusto saperlo perché riusciamo a fare un ordine in questo scaffale e possiamo amarci.

In questo scaffale ci si può trovare di tutto.

C’è chi ci tiene i regali degli ex, chi le corrispondenze segrete, chi i diari, chi libri di cui si vergogna, chi i video privati, chi le maschere della propria vita segreta.

Sullo Scaffale delle Cose Vergognose trovi la pornografia, i diari, le foto, la collezione degli harmony e il libro di poesie dell’ex con la dedica scritta sopra, la Bibbia.

Cose di cui ci vergogniamo, un po’ perché non vogliamo accettarle come nostre,
un po’ perché in cuor nostro sappiamo che tra poco non saranno più nostre e usciranno da casa,
un po’ perché parlano di una nostra identità che non siamo ancora pronti a mettere sullo scaffale centrale o buttare.

Questo scaffale però esiste ed è dentro casa nostra.

Ed è importante sapere che ha a che fare con noi, amarlo e avere pazienza con lui.

Nel mio scaffale ci sono libri e video che stonano con il resto della mia nuova libreria; come precedentemente avevo tolto gli altri testi per far spazio a loro, ieri ho fatto un nuovo trasloco.

E sul vostro Scaffale delle Cose Vergognose cosa c’è?