Ogni cosa è fulminata…

Luciana Littizzetto a Novara.

Che tempo fa, a Novara, quando per le vie del centro passa Luciana Littizzetto, scortata dall’amico e collega scrittore Luca Bianchini?

Che cosa succede in una sonnolenta città di provincia, quando arriva lei per presentare il suo ultimo libro “Ogni cosa è fulminata?” edito Mondadori, nell’ Arengo del Broletto?

Succede che sia lei a dare la scossa, ad elettrizzare il pubblico, con quella passione, fatale, presa dal bisnonno materno, il gusto di prendere la scossa elettrica…

Facciamo ordine, però, se si può.

Il bisnonno è proprio morto fulminato, nel tentativo di recuperare un ombrello volato sui fili dell’alta tensione.

 E, lei cerca di stare lontana dalla corrente elettrica. Ma, in realtà, passa il tempo ad elettrizzare, con la sua verve, il pubblico.

Luciana è uno tsunami interattivo, mediatico ed umano al contempo. Arriva e non si siede sulla poltroncina rossa preparata, ma preferisce accovacciarsi sul muretto vicino al pubblico.

Legge il suo curriculum vitae, che conferma le competenze certificate per svolgere egregiamente il suo mestiere “di fare la scema”. Ad ogni diploma ed esperienza dichiarata, il pubblico la interrompe con un applauso, ed i suoi un metro e 58 centimetri, diventano davvero gli 1 metro ed 85 dichiarati.

Luciana istrionica entra ed esce da sé stessa e trascina il pubblico in quella che lei stessa definisce la bipolarità del palco.Dagli aneddoti di vita a quelli del libro e viceversa. Da come si riconosce un uomo che fà la pipì in mare, al mare del cuore, il luogo dove si sente a casa, la sua grande terrazza dove si dedica alla passione del giardinaggio.

E’ incredibile come Luciana riesca a passare dal problema ambientale del capodoglio spiaggiato, morto soffocato dalla plastica “Anziché mangiare bastoncini di pesce, adesso mangiamo pesce pieno di bastoncini”, alla storia della pulizia delle orecchie, con l’attuale uso ed abuso dei cotton-fiocc “Certo che se uno ha le orecchie come Berlusconi, i cotton- fiocc, li deve comprare a mazzi, come gli asparagi!”

E così non c’è ambito che sfugga alla sua disamina dei piccoli grandi fastidi quotidiani, dalle padelle che “si suicidano “ribaltandosi per via del manico troppo pesante”, all’inventario dei gel detergenti “al legno di rose, per le classiche fighe di legno”, oppure al mentolo, che è “come mettere il culo nel freezer o una manciata di vigorsol nelle mutande”.

La nevrosi della idropulizia del colon diventa il clistere con la piantana che campeggia nel bagno dell’amica che si era messa con uno stonato, malato di pulizia interna, “a tal punto che anziché andare a letto insieme, facevano il clistere insieme”.

Il thè con le amiche, diventa la teiera che piscia da tutte le parti, fuorché nella tazza “Figurarsi quello che succede ad un uomo che non riesce a pisciare neanche nella tazza del water “ed i tovagliolini del bar, per asciugare il disastro, che, invece di asciugare, pattinano sul tavolo.

Scegliere la pizza implica consultare un menù ciclopico, come una guida del telefono, per poi finire con l’ordinare una margherita. Ed assumere un badante si converte nel telefonare ad uno sconosciuto di nome Darwin ed iniziare la telefonata con “Ciao Darwin”.

Fare lo shampoo dalla parrucchiera significa spezzarsi l’osso del collo sul lavatesta e ritrovarsi con una fastidiosa cervicale.

Tutta la realtà diventa una rocambolesca avventura tragico comica. Persino il pedaggio del successo, è ridicolizzato.  Come quella volta del viaggio con le zie per andare alla fiera dei fiori a Genova. In autogrill, tutti guardavano lei e le zie che portavano lo stesso none che il nonno aveva voluto dare a tre galline. Bene lo sguardo degli sconosciuti è diventato tanto insistente, che una zia si è convinta che fosse per colpa della sottoveste che pendeva ad una di loro.

In famiglia, nessuno si è montato la testa. Una parente, quando si è diffusa la voce della sua presenza al festival di Sanremo le ha persino detto in faccia che “non era adatta”, che” a Sanremo ci vanno quelli bravi…”

Suo figlio, però, dopo solo due settimane che era stato dato in affido a Luciana, ha pensato bene di strappare degli angoli del diario, per vendere gli autografi della madre. Mica male il ragazzo, considerata l’età, in quarta elementare. “Uno zingaro” per i parenti. “Un genio “per la madre…

Ma, a proposito del dibattito sulle casa famiglia, la voce di Luciana si fa forte ed impassibile. Non si devono chiudere. Sono fondamentali per tutelare quei bambini riconosciuti dalla famiglia di origine e, dunque non adottabili. Ma soli, sostanzialmente non seguiti e curati per mille motivi dai loro genitori naturali. E, Dunque , ancor più bisognosi di supporto e di protezione nel limbo della non adozione, in attesa e a sostegno dell’ affido.

E qui, il pubblico, applaude, concorde al suo impegno come madre affidataria di due ragazzi, ormai grandi, per la sua coraggiosa testimonianza di donna a 360°

Antonella Ferrari

 

 




Il DPO: logiche e costo

  1. Il DPO non è un consulente: FALSO. Il DPO svolge principalmente un ruolo di informazione e sorveglianza  che è sostanzialmente affine alle attività tipiche della consulenza specialistica.
  2. Il DPO effettua le Valutazioni d’Impatto sulla Protezione dei Dati / PIA / DPIA (ex art. 35): FALSO. Il suo compito è quello di informare il Titolare della necessità di farle – o farle fare dal Privacy Officer – e poi eventualmente di controllarle, su richiesta, al fine di verificare che siano state fatte nel modo opportuno (il parere di cui al comma c di cui sopra).
  3. Il DPO compila il Registro dei Trattamenti (ex art. 30): FALSO. Vedi quanto detto sopra per le Valutazioni d’Impatto (punto 2).
  4. Il DPO è il principale punto di riferimento normativo dell’azienda in tema di Privacy. FALSO. Quel ruolo spetta in prima battuta al Privacy Officer, ovvero all’ufficio privacy e/o compliance aziendale. Il compito del DPO è semmai quello di fornire consulenza in merito ai punti non già adeguatamente coperti dalle procedure esistenti, con l’obiettivo di rendere queste ultime sempre più adeguate alle tipologie di dati trattati (e relativi oneri). Il DPO non è un tappabuchi: il suo compito è spingere l’azienda a imparare a tapparli da sola.
  5. Il DPO deve occuparsi di formazione dei dipendenti o del personale: FALSO. Vale lo stesso discorso fatto per il punto 4: al DPO non spettano le attività di formazione, il suo compito è assicurarsi che l’azienda provveda a organizzare i percorsi di formazione adeguati alle tipologie di dati trattati (e relativi oneri).
  6. Il DPO ha la responsabilità di come l’azienda opera e agisce in ambito Privacy: FALSO. La responsabilità ricade sempre e comunque in carico al Titolare del trattamento e, limitatamente al loro incarico, ai Responsabili da lui nominati; il DPO non ha responsabilità ulteriori a quelle direttamente connesse alle sue mansioni – come ad es. la comunicazione obbligatoria al garante in caso di Data Breach rilevante, anch’essa peraltro su impulso dell’azienda.

ma cosa può chiedere un DPO?

Una ipotesi verosimile da cui partire potrebbe essere la seguente:

  • Attività svolte in azienda 100 € + IVA / ora. Audit, sopralluoghi, controlli e verifiche on-site, interviste, riunioni et al.
  • Attività svolte da remoto : 50 € + IVA / ora. Revisione della documentazione, consulenza off-site, controlli delle informative, ricerche normative, comunicazioni al garante, conference-call et al.
  • spese di trasferta al pari di quelle pagate per i revisori

E’ superfluo sottolineare che il criterio di cui sopra è pensato per DPO esterni o per collaboratori assunti con partita IVA: del resto esiste un general consensus sul fatto che nominare un dipendente non sia una buona idea, stante l’oggettiva difficoltà di dimostrare i requisiti di indipendenza, autonomia e libertà previsti e richiesti dal GDPR.

Questo semplice metodo di calcolo non è ovviamente sufficiente per formulare un’offerta, ma può costituire una buona base di partenza se coadiuvato da un piano di audit adeguato e da una stima di un certo numero di attività standard, che è possibile pre-programmare e pre-calcolare: il tutto al netto di possibili attività ulteriori – rigorosamente da concordare e autorizzare nel corso dell’anno – che si renderanno eventualmente necessarie a seguito di eventi imprevedibili ovvero emergenziali, anche in conseguenza del possibile cambio delle normative o di nuovi provvedimenti attuativi emanati dal Garante: si pensi ad esempio al tanto atteso decreto di armonizzazione, previsto per agosto 2018, e alle novità che potrebbe introdurre – in positivo o in negativo – in merito agli oneri connessi alla figura del Titolare ovvero del DPO.

Volendo fare un esempio pratico, utilizzando i numeri di cui sopra sarebbe possibile ipotizzare un preventivo di questo tipo:

  • Analisi documentale (16 ore off-site): 800 €
  • 1 Audit annuali (4 ore on-site ciascuno): 400 €
  • Consulenza remota (8 ore off-site): 400 €

Per un totale di 1600 € / anno, al netto di ulteriori esigenze o necessità da valutare in corso d’opera: si tratta senz’altro di un compenso adeguato all’effort sostenuto in termini di servizio reso.

In linea generale, chiunque lavori o abbia lavorato nel ramo della consulenza sa perfettamente che l’adozione di un criterio di determinazione del pricing basato sulle ore di impiego effettivo ha l’enorme vantaggio di tutelare sia il committente (l’azienda) che il professionista (il DPO): il primo eviterà il rischio di pagare costi eccessivi rispetto ai servizi ricevuti, mentre il secondo non correrà mai il rischio di dover lavorare al di sotto del margine di guadagno previsto. Non serve una risk analysis per comprendere che si tratta di una riduzione considerevole del rischio di impresa per entrambe le parti, a tutto vantaggio della valorizzazione (e quindi, si spera, della qualità) del lavoro effettivamente svolto.

Al tempo stesso, non dubitiamo che ci saranno molti Titolari (e non pochi DPO) che non potranno fare a meno di storcere il naso di fronte a queste tariffe: i primi, perché si tratta di prendere seriamente in considerazione una “seccatura” che speravano di risolvere con una cifra modesta, nonché interamente stanziabile in sede di pre-consuntivo; i secondi, perché il pricing su base oraria e calcolato sulle attività effettivamente svolte è una doccia fredda per chi sogna compensi milionari a fronte di un lavoro che, per quanto specializzato e tutt’altro che semplice, non va sopravvalutato né a livello di complessità né tanto meno a livello di assunzioni di responsabilità, come abbiamo ampiamente dimostrato.

Ricordiamoci sempre che il compito principale del DPO è quello di aumentare il livello di consapevolezza del Titolare e della sua azienda in materia di Privacy, non certo quello di porsi come un misterioso, ineffabile e strapagato azzeccagarbugli: ne va della credibilità della sua stessa professione.