Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.

Credo che nella scuola di oggi il docente sia sottoposto ad una sfida principale, riuscire a creare quell’indissolubile connubio tra la teoria e la pratica. E’ un dato di fatto che i libri siano la pietra miliare sul quale e dal quale iniziare, ma consegnare al discente gli strumenti per mettersi in gioco rappresenta il tangibile confronto.

In questo processo di ricerca tra le varie metodologie utilizzate dai docenti per far fronte a questo processo è balzato davanti ai miei occhi un progetto sperimentale di scrittura, successivamente sfociato con la pubblicazione di un libro di fiabe e favole a cura dei Currenti Calamo- gruppo editoriale CCEditore.

I protagonisti sono giovanissimi alunni.

Sebbene il mio ruolo debba essere quello di accurato imparziale ascolto, ciò che mi ha colpito e che voglio rilevare, nell’intervista successivamente riportata, è la preparazione e la dedizione per il loro lavoro di due dei protagonisti di questa vicenda: il preside Giorgio Foti e la professoressa Monica Cerrina, ma tutto il progetto è stato realizzato con l’importante supporto di Giancarlo Motta, Marco Strati e Francesca Doni.

Ciò che mi entusiasma di un’ intervista è il modo in cui gli intervistati, in tutta spontaneità mi espongono; si tratta di semplici nessi essenzialmente considerevoli, è il caso di una connessione effettuato dal preside Giorgio Foti che da musicologo e da eccellente insegnante di musica afferma:

“John Cage era un musicista sperimentalista, in una delle sue esibizioni realizzò un concerto di venti minuti in cui schiacciava un si bemolle. Un ragazzino di una primaria sarebbe anche in grado di farlo. L’elemento di fondo è la consapevolezza, è quello che distingue il prodotto dall’opera d’arte. D’accordo sull’opera d’arte ma lavoriamo prima sul prodotto; questo implica un processo in cui i docenti devono mettere in campo tutte le loro capacità e io non posso che ammettere di avere questi docenti.”

Da qui inizia il nostro viaggio all’interno della scrittura creativa …

SAIA: Sappiamo bene che la scrittura creativa, in maniera differente rispetto ad altre forme di stesura, deve possedere quel quid in più affinché il manoscritto possa essere considerato un’opera letteraria. Stando a ciò qual è stato il punto di partenza che ha orientato alla realizzazione di un libro di favole e fiabe a cura di giovanissimi narratori?

CERRINA: il punto di partenza per me sono stati semplicemente i bambini, sono loro l’effettivo inizio. La possibilità di dar loro un percorso che serva da stimolo affinché siano accompagnati in un processo di cognizione.  Questo progetto è stato, per loro, ma anche per noi docenti, una vera e propria scoperta. Bisogna permettere ai bambini di poter esprimere la loro creatività, in tette le sfumature, per trovarsi di fronte a delle menti particolarmente ingegnose.

SAIA: Partendo da semplici discussioni in classe, i discenti si sono cimentati nella stesura di piccoli scritti, che hanno poi condotto alla realizzazione di elaborati personali. Attraverso un’accurata analisi potremmo definire questa metodologia da voi impiegata intrisa di innovazione in campo scolastico perché  tesa alla fusione non solo di basi teoriche quanto piuttosto pratiche. Proprio per questo porgo questa domanda: come hanno reagito  gli studenti?

CERRINA: devo ammettere che hanno reagito molto bene. La scuola primaria a volte può correre il rischio di cadere nella banalità, ci si rifà al sussidiario, al libro di lettura, credo che il riuscire a distaccarsi  dall’ordinario sia la vera sfida che il docente deve porsi. Mettersi attorno ad un tavolo: creare, smontare fiabe tradizionali, per altro non solo italiane, costruirle, rivisitarle è diventato motivo di forte interesse per i nostri giovanissimi discenti. Al di la del prodotto è questa la grande soddisfazione per il docente: partire da zero e vedere i propri alunni mettersi in gioco con quella voglia di apprendere e quella semplicità nel farlo che è tipica dei bambini.

FOTI:  in un percorso complesso, come quello appunto della creatività, che implica un approccio alla cognitività, alla relazionalità e soprattutto alla motivazione è lì che si riconosce  l’importanza del ruolo che il docente deve avere.  In questo caso l’importanza dell’educatore riveste un ruolo fondamentale, tutt’al più nell’essere capace di guidare il bambino nelle difficoltose strade della creatività.

SAIA: Per migliorare la scrittura di romanzi e racconti bisogna avere costanza, scrivere regolarmente, leggere moltissimo, conoscere e studiare le tecniche narrative, smontare e rimontare testi di altri scrittori. Questi giovanissimi studente hanno dimostrato di saperlo fare. Crede che questo progetto possa evolversi su tutto il territorio? Se è si come?

FOTI: le scuole non sono più considerate come istituti singoli ma scuole di rete e quindi noi pensiamo che questo progetto possa avere una maggiore risonanza  su tutto il territorio proprio perché è una necessità tanto da un punto di vista prettamente esperienziale quanto di reale confronto che implica uno scambio culturale autentico ed incessante.

SAIA: Alla fine delle mie interviste riservo sempre un ultimo invito ai ringraziamenti finali.

FOTI: non voglio essere convenzionale in questi ringraziamenti quanto piuttosto spontaneo: alla casa editrice, Currenti Calamo- gruppo editoriale CCEditore, per aver creduto in questo progetto; ci tengo a precisare che si crede ad un progetto quando il medesimo è attendibile, ma per essere attendibile il progetto  lo devono essere anche i docenti, ed io non posso che ringraziare tutto il corpo docente per la passione e l’ etica che li contraddistingue.

CERRINA: dobbiamo anche ringraziare l’Università Bicocca per la collaborazione, infatti in questo progetto è stata inserita una tirocinante appartenente alla nota Università che ha dato un notevole contributo a questa realizzazione.

 




Tutto il mio folle amore

Tutto il mio amore folle, l’ultimo film di Gabriele Salvatores è la coraggiosa ed intensa versione cinematografica del libro di Fulvio Ervas. La storia è quella di un padre con un figlio autistico, un ragazzo stupendo nella realtà e nella finzione cinematografica.

Nel libro, padre e figlio attraversano insieme l’America, in un viaggio in moto durato tre mesi.

Nel film, padre e figlio attraversano i Balcani in un viaggio a cavallo, a piedi, in pick-up, ed infine in moto.

Ma il filo conduttore della storia romanzata o cinematografica è la difesa del cuore e dell’istinto. Tutto il film è un “racconto dell’istinto” e naturalmente dell’amore. L’amore, all’inizio, non riesce ad uscire dall’anima dei personaggi, ma poi fluisce libero.

Willi, il padre interpretato da Claudio Santamaria e Vincent, il figlio, magistralmente interpretato dal giovane Giulio Pranno, riescono a comunicare grazie al loro amore primordiale e folle.

Ma anche, Elena, la madre (Valeria Golino) e Mario (Diego Abantatuono) marito di Elena e padre adottivo di Vincent, riescono finalmente a comunicare, oltre la malattia del figlio. Proprio loro, che la malattia di Vincent l’hanno sempre affrontata con timore misto a rassegnazione, lui rifugiandosi nella letteratura e lei nell’acqua di una piscina, quasi alla ricerca di un liquido amniotico in cui sentirsi protetta ed essere ancora figlia e non ancora madre.

Il regista, sin dall’inizio, prende di petto il disturbo mentale, senza buonismi. Gabriele Salvatores, infatti non nega gli aspetti “disturbanti” e imbarazzanti dell’autismo. La prima scena, quella in cui, per dispetto il ragazzo evacua sotto la doccia e ci gioca per dipingere i vetri, è un pugno allo stomaco.

E, noi spettatori, capiamo subito che con un ragazzo autistico non serve tentare di comunicare in modo razionale.

Vincent si calma solo quando arriva Mario che ha imparato a volergli bene e che glielo dimostra raccontandogli delle storie visionarie…

Ma procediamo con calma. La storia è quella di Vincent, un ragazzo autistico che vive a Trieste con la madre Elena e con Mario, il marito che però non è il padre naturale del ragazzo.

Mentre la madre è incapace di reggere la malattia del figlio, Mario ha imparato a voler bene al ragazzo, decifrando il suo strano modo di comunicare.

La loro vita è però in equilibrio precario. E’ la vita di una famiglia straricca, che pur con tutte le possibilità economiche non è riuscita a gestire e digerire la malattia del ragazzo.

Anzi una vita che, nonostante villa, piscina e maneggio, sta implodendo, avviluppandosi sempre più sulla malattia del figlio Vincent.

All’improvviso, una notte, arriva Willy (Claudio Santamaria), e qui la situazione esplode.

Willy è il padre naturale del ragazzo, che ha abbandonato Elena quando era incinta.

Willy è sempre stato un padre latitante, che ha avuto paura del suo ruolo genitoriale ed ha sfogato i suoi sensi di colpa nell’alcool.

Non sa niente del ragazzo, men che meno della sua malattia, ma la canzone che, a suo tempo aveva dedicato ad Elena, lo richiama al suo ruolo.

Allo stesso modo, Elena, ragazza madre abbandonata, che aveva deciso di non abortire ed aveva dato al figlio il nome della canzone (sulle cui note si era innamorata di Willy), si risveglia al suo ruolo di madre, risentendo e poi cantando quella canzone.

E sono proprio le note della canzone di Don McLean che riuniranno questi due genitori naturali, accomunati da un figlio malato, ma anche da una vena di pazzia, come il loro folle amore.

Del resto, sono le note di questa canzone che diventano la colonna sonora del film. Il musicista aveva dedicato il brano “Vincent” al pittore Vincent Van Gogh.

E l’amore e la follia ritornano nel film “Tutto il mio folle amore”.

“Vincent”, il brano musicale di Don Mc Lean, parlava del quadro “Notte stellata” di Van Gogh, e nel dipinto le stelle erano grandi, e più che stelle sembravano luci.

Ma anche il film di Gabriele Salvatores, è giocato sulla rivelazione del personaggio attraverso le luci.

Sono luci quelle dei lumi di carta di una gara di ballo, in cui Vincent s’ innamora per la prima volta di una ragazzina. Sono luci quelle delle lampadine di una festa di matrimonio in cui Vincent subisce una traumatica iniziazione sessuale.

E sono luci blu quelle di un locale di lap dance, dove Vincent scopre il richiamo di una donna.

E qui esplode il valore del film e l’abilità del regista. L’iniziale baratto di un orologio di valore per ottenere la prestazione sessuale, si converte nella scena della delicatezza dell’amore atavico del ragazzo e della ballerina sul pick-up.

Scena di amore sbocciato, di affetto condiviso e di sesso suggerito.

Come detto all’inzio, magistrale è l’interpretazione del giovane attore Giulio Pranno, coadiuvato da un ottimo cast.  Ma notevoli sono anche la fotografia di Italo Petriccione, la scenografia di Rita Rabassini, la sceneggiatura di Umberto Contarello e Sara Mosetti, il montaggio di Massimo Fiocchi, nonché le musiche di Mauro Pagani.

E sempre per continuare nel gioco della sinestesia dei linguaggi musicale, pittorico e cinematografico, in nome di Vincent canzone, il Vincent ragazzo folle ed un po’ visionario, accenderà le luci nella coscienza-consapevolezza di tutti coloro che lo amano.

Sono infatti luci metaforiche quelle che si accendono dentro ai tre protagonisti adulti. Attraverso il folle viaggio nella vita e nella malattia di Vincent, Willy, si assumerà il coraggio di essere padre.

Elena si riconoscerà nella vena di follia del figlio, finalmente amato ed accolto come parte di sé. E Mario, il padre adottivo, amerà in modo sublime entrambi, moglie e figlio adottivo, lasciandoli infine liberi di rivelarsi l’un all’altra senza la sua mediazione contenitiva e di supporto per tutti e due.

Ed infine, mentre il ragazzo biondo sparge pezzetti di carta come fosse Pollicino, lo spettatore trova la strada di casa dopo l’esodo del viaggio, riconoscendo che “La felicità purtroppo non è un diritto, è un colpo di culo”, ed anche una vena di follia, diciamo noi spettatori, sposando la tesi del regista.

 

Antonella Ferrari




Rispetto dell’Ecosistema e lineamenti di ecosofia

Ecosofia – Intervento di Chiara Sparacio all’interno della “Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze”: Protezione Nazionale Boschi e Foreste – Riduzione del Global Warming ROMA, 25 Ottobre 2019 ore 15.30  e MILANO, 26 Ottobre 2019 ore 15.30

(leggi qui il comunicato stampa dell’evento: Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming)

Parlare di Ecosofia all’interno di una conferenza che parla di prevenzione delle Emergenze ambientali vuol dire guardare lo stesso argomento da un punto di vista differente.

È un po’ come quando si guarda un giardino da tante prospettive differenti: alcuni lo guardano dall’interno, altri si affacciano dalla casa di fonte, altri ancora confrontano guardando altri giardini vicini.

Il mio intervento è una finestrella un po’ più distante, aperta da una casetta a Tavertet, vicino Barcellona, una casetta in mezzo ai boschi, molto difficile da raggiungere che non è neppure mia ma di un uomo di nome Raimundo Panikkar.

chiara sparacio

Raimundo Panikkar è stato un uomo dal “multiforme ingegno” classificato come pensatore, scrittore, filosofo, professore e tanto altro ancora… è morto nel 2010 e ha lasciato una vastissima bibliografia.

Anche se il rischio è quello di semplificare troppo, potremmo dire che ha sviluppato il suo pensiero nel rapporto generativo tra gli uomini, la Terra e il senso del divino.

A questo proposito ha coniato il termine Cosmotheandrico: κόσμος, θεός, ἀνδρός (kosmos, theos, andros).

Panikkar ha ipotizzato una sorta di triangolo di relazione, senza vertice principale né basi fisse che, per funzionare, richiede la piena collaborazione e il completo scambio tra i tre vertici.

Questo vuol dire che l’uomo, per essere veramente sé stesso e vivere bene con sé e con gli altri, ha bisogno anche della relazione con la terra e l’ambiente.

Viceversa: l’ecosistema per sopravvivere, ha bisogno dell’uomo e di essere riconosciuto non solo come flora, come oggetto, ma anche come fenomeno (da φαίνω – faino– : manifestazione).

Il rapporto tra l’uomo, la terra e il sovrasensibile altrimenti indicato come Divino e il presupposto fondamentale di questo articolo.chiara sparacio

Tra i cardini del pensiero di Raimundo Panikkar c’è quella che lui aveva chiamato EcoSofia, ovvero una riflessione profonda sull’ambiente.

Tra i cardini del pensiero di Raimundo Panikkar l’EcoSofia, ovvero una riflessione profonda sull’ambiente.

Eco-sofia è una parola di etimologia greca composta da Eco (in greco οἶκος) e sofia (in greco σοφία).

Sofia non è solo sapienza, come la traduciamo concettualmente in epoca moderna, in realtà questo è l’ultimo dei suoi significati, prima ci sono l’abilità, la scienza, il senno

Οἶκος (oikos), che troviamo come suffisso di numerosissime parole: eco-logia, eco-sistema, eco-sfera, contrariamente a quanto possa sembrare per via della usura scriteriata delle parole, non indica semplicisticamente l’ambiente esterno ma vuol dire casa, abitazione, dimora…

Andando ancora più a fondo, è un luogo sacro: tempio, curia, stanza per gli atleti… (ricordiamo che, presso i greci, l’atleta era considerato un semidio).

Ecco quindi che il termine οἶκος riacquista in questa prospettiva una importanza cruciale per l’esistenza umana: non è solo un ambiente che viene abitato in modo passivo e che può essere sfruttato indiscriminatamente ma è un ambiente attivo che influisce sulla persona, formandola, arricchendola e migliorandola.

Ricordiamoci che ciò che è sacro, se toccato, rende sacri.

Ecco quindi che, mentre siamo qui a parlare di problemi ecologici, quello che dobbiamo avere chiaro è che, quando si parla di ecologia, si tocca una sfera sacrale.

Attenzione: con sacro non intendiamo il dio.

La radice del latino “sacrum” è di etimologia incerta, probabilmente ha a che fare con la radice indo europea sac-, sak-, sag –  che ha a che fare con l’attaccamento, l’avvinghiamento… che poi abbiamo riferito alla divinità ma sappiamo bene che il concetto di divinità non è propriamente universale nei suoi dettagli.

Per cercare di essere un po’ più universali potremmo dire che il divino ha a che fare con una realtà superiore rispetto quella umana comune, ma non sappiamo esattamente dove sia geograficamente dislocata questa parte. 

Non stiamo parlando di religioni o spiritualità o di qualunque cosa possa apparirci come distante da noi e messa chissà dove ma di aspetti profondi dell’anima.

Eco-logia, dicevamo. 

Loghia ha che fare con il λόγος che tende a segnare la dimensione pratica dell’esperienza.

Logos non la semplice parola astratta, come si può pensare, ma la parola concreta, quella che crea: “in principio era il logos”

L’ecologia moderna, affronta i problemi dello sfruttamento della terra e si sforza di combatterli.

Ma non dobbiamo farci prendere né dalla foga delle parole né dalla foga delle idee.

Fare dell’attivismo ambientale oggi, con il vocabolario che abbiamo a disposizione ci fa correre il rischio di non capire bene cosa facciamo, di scappare dalla realtà che c’è dietro, di non scoprire l’origine del problema.

Abbiamo detto poco fa che Panikkar, nello sviluppo del suo pensiero ha creato una sorta di triangolo di relazione: uomo, natura, sovrasensibile.

Ecco: quando Raimundo Panikkar parla di ecosofia, sposta l’uomo dal vertice della gerarchia terrestre e lo pone sulla terra insegnandogli che non esiste un triangolo di gerarchia ma di relazione: 

“l’ecosofia adempie una funzione rivelatrice. Ci rivela che la terra – come noi stessi – è limitata, finita e che abbiamo con lei dei legami stretti, dei legami costitutivi e quindi reciproci. (cit.R. Panikkar)

Per sperimentare l’ecosofia, per avere coscienza della terra, dobbiamo prima avere coscienza di noi stessi.

Per capire la saggezza della terra dobbiamo prendere coscienza del nostro sé e scoprire che non è una cosa differente e separata da ciò che ci circonda: 

“una coltivazione di me stesso che non sia anche coltura della natura […] non è coltura dell’uomo”.  (cit.R. Panikkar)

Panikkar, occidentale per parte di madre spagnola e orientale per parte di padre indiano, amava osservare differenze e punti di contatto tra la cultura occidentale e la cultura orientale.

Egli sottolinea come la “cultura occidentale” esaspera una cultura della contrapposizione piuttosto che della mediazione e, in un certo senso, della contaminazione e dell’arricchimento.

Questo perché voler separare nettamente ogni cosa dall’altra, anche se condividono la stessa natura, comporta la tragica creazione di realtà separate e inconciliabili. 

La conseguenza inevitabile di questa impostazione culturale è stata ed è l’allontanamento dell’uomo dalla natura.

Quando l’uomo non si sente parte completante e complementare della natura, allora ne prende le distanze e genera un rapporto di passività o dominio.

È chiaro che una relazione di questo tipo causa disagio e il prezzo sono le calamità ecologiche: le piogge acide, l’inquinamento che oscura il cielo sottrae giorni di sole, i cedimenti del terreno, l’estinzione di molte specie animali e vegetali, le malattie del feto e le alterazioni genetiche.

Ma conferenze come quella a cui stiamo partecipando oggi, le parole che ci stiamo dicendo e stiamo ascoltando, tutte le mobilitazioni di questo tipo che stiamo vedendo agire in questi mesi, sono i segni di come l’uomo si sia accorto del ritorno del boomerang lanciato e voglia trovare una soluzione.

Pare che l’uomo stia capendo che, sempre come dice Panikkar, “l’uomo è terra, ma la terra è anche noi”.⁠5 

Alla luce di tutto questo, quindi l’ecosofia, diventa il dialogo con la terra.

Prima della cultura capitalistica (o, come usa dire Panikkar, prima della cultura monetocratica) il rapporto cosmotheandrico era chiarissimo: l’uomo si rivolgeva al dio tramite la natura, offrendo sacrifici. 

Questo accadeva perché la percezione che queste tre verità – la terra, il Dio e l’uomo – erano in completa relazione e partecipazione era vivissima.

Purtroppo la monetocrazia, l’idolatria del denaro, ha sbilanciato questo equilibrio.

L’ecosofia vuole ristabilire il rapporto triadico tra Dio, l’uomo e la natura e questo può avvenire solo dal nuovo ascolto di sé stessi e dall’accettazione del nuovo rapporto con la natura; nuovo non perché non è mai stato sperimentato dall’uomo (tutt’altro) ma perché non è stato ancora sperimentato dall’uomo moderno.

Il nostro atteggiamento deve essere quello del dialogo sincero che intercorre tra chi non intende prevaricare sull’altro ma cerca uno scambio reciproco e sincero: 

“se ascoltiamo, la terra stessa può rivelare […] la volontà di Dio riguardo al compito dell’uomo su questo pianeta. […] se non avviene un vero incontro religioso (religioso ovvero che crei un legame: religere) tra noi e la terra, finiremo per annichilire la vita sulla stessa terra”. (cit.R. Panikkar)

 

Sito dell’ente organizzatore: www.itpc-commission.org

Dichiarazione alberi patrimonio dell’umanità https://www.itpc-commission.org/dichiarazione-globale-alberi-patrimonio-dell-umanita/ firma anche tu




Studio, non chatto…

Quando la scuola ti toglie lo smartphone e ti restituisce te stesso.

A Palermo la prima scuola senza telefonino.

 

Tu hai il coraggio, uscendo da casa per fare una commissione veloce e accorgendoti di aver lasciato il telefono a casa, di non tornare a prenderlo?

E sei così impavido da non guardare il tuo telefono per tutto il tempo (primo e secondo tempo) di un film al cinema?

E come ti sentiresti se ti dicessero che per tutto il tempo che trascorri a lavoro, ore e ore, devi lasciare nel cassetto il tuo telefono?

Ci pensi mai alla tua vita senza la tua appendice telefonica?

Mentre osservi l’effetto che fanno su di te queste domande, pensa che a Palermo, all’Istituto Gonzaga, dall’inizio dell’anno scolastico, ogni giorno, qualche centinaio di ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori lasciano il loro telefono in un mobile comune alle 8,00 del mattino e lo riprendono alla fine delle lezioni alle 15,00.

Detta così, se le prime righe di questo articolo ti hanno fatto rabbrividire, pensare a restare per 7 ore ogni giorno senza telefono, potrebbe farti paura.

La cosa che non ti aspetti (anche se una parte di te lo sa) è che, ad oggi, la vita di questi ragazzi, sembra velocemente migliorata.

Per sapere di più di questa scelta, ho incontrato il preside dell’Istituto Gonzaga padre Eraldo Cacchione S.J. (Societas Jesus).

Il preside, infatti, non è un vecchio disinformatizzato, ma un giovane gesuita che ha studiato la tecnologia, la usa e in questa vede una opportunità.

La decisione di allontanare la distrazione dello smartphone dalla quotidianità scolastica è nata da un processo iniziato lo scorso anno, quando le classi superiori del liceo hanno iniziato un percorso di formazione e informazione su come le chat e l’utilizzo dei telefonini influenzino la nostra vita e personalità fino, anche, ad essere pericolosi.

I ragazzi del Gonzaga hanno fatto più incontri di intere giornate con uno psicologo, con un esperto di social e con il questore.

Alla fine di questo percorso si sono impegnati anche nella codifica di un documento di auto-disciplinamento dell’utilizzo degli smartphone ma, allora, i tempi non erano ancora maturi per portare una svolta, una presa di posizione tanto forte da causare un cambiamento endogeno, ovvero  stimolato già da loro.

E così, forte dell’esperienze dell’anno precedente e di un lungo discernimento su questo tema, all’inizio di quest’anno scolastico, padre Eraldo si è confrontato col collegio dei docenti e, assieme, hanno deciso di prendere in custodia i telefoni degli studenti riponendoli in uno spazio dedicato e riconsegnandoli alla fine delle lezioni.

A questo punto, anche se è passato poco tempo, ci si aspetterebbe una sommossa di popolo: studenti lesi nei propri diritti che reclamano la propria libertà di comunicare ed essere connessi.

E invece niente.

Gli studenti sembrano quasi sollevati dalla responsabilità di dover essere sempre “altrove” anziché nel loro “qui e ora”.

Ripeto che si tratta di una azione attivata da poco tempo, è quindi prematuro qualunque discorso sui risultati ottenuti o formulazioni moral-socio-filosofiche di sorta.

In pieno spirito ignaziano (il paradigma pedagogico ignaziano infatti, dato un obiettivo di apprendimento, prevede dei periodi di valutazione e meditazione intermedia) questo “esperimento” prevederà dei momenti intermedi di valutazione e discernimento, alla fine dell’anno, quindi, potremo trarre le prime valutazioni più corpose.

Fatte queste dovute considerazioni, ecco però, intanto, quali sono i primi risultati che io stessa ho potuto notare raggiungendo padre Eraldo in istituto e attraversando i giardini e i viali del Gonzaga durante la pausa del pranzo e parlando con lui.

  • I ragazzi stanno eretti: non piegati sulla propria mano a guardare un altro mondo più o meno reale.
  • Hanno riscoperto il piacere dell’abbraccio: probabilmente, trovandosi con una “mano libera” e scoprendo di avere delle persone in carne e ossa accanto, sono più portati a portare il braccio sulla spalla del compagno e a camminare così.
  • Sono più attenti: nonostante la moderna abitudine di ognuno di noi di auto definirci ed esigerci multitasking, questa non è che una illusione; se facciamo le cose una per volta, se dedichiamo la nostra attenzione ad una situazione per volta, riusciremo ad ottenere migliori risultati con molta meno fatica e, infine, la qualità del nostro tempo, migliorerà.
  • Sono più sereni: il fatto di essere esentati dal rispondere agli amici, ai genitori, ai like di conosciuti e sconosciuti, li tranquillizza e permette loro di non subire sbalzi di umore e conseguente stress.

Approfitto di questa ultima considerazione per sottolineare un aspetto notabile.

Capita che siano gli stessi genitori a mantenere il contatto con i figli durante le ore di scuola, scambi di messaggi e telefonate sulle interrogazioni e sui compiti in classe, gesti di presenza che, alla fine, rischiano di rendere i figli meno responsabili e concentrati.

A onor di cronaca, il mio lungo incontro con padre Eraldo è stato molto più ricco di  quanto posso esprimere con queste 1000 parole, mi ha portato tanti stimoli, lucide formulazioni e rimandi a situazioni di cronaca.

Ci siamo lasciati con l’impegno di rivederci e, per parte mia, partecipare agli incontri di riflessione intermedi durante l’anno.

E chissà se, intanto, come ha ipotizzato p. Eraldo durante la nostra conversazione, la sospensione del telefono durante l’orario scolastico non diventi presto legge.

 




Joker, un angelo demoniaco o un demone angelicato?

Joker, Leone d’oro alla scorsa Mostra del cinema di Venezia, è scritto e diretto da Todd Phillips (conosciuto al grande pubblico per Una notte da leoni) e magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix, attore quarantacinquenne di origini portoricane, già noto per aver interpretato il ruolo del figlio dell’imperatore nel Gladiatore.

Joker, personaggio del mondo dei fumetti, acerrimo nemico di Batman, è però solo il nome d’arte di Arthur Fleck, un personaggio in carne ed ossa (più ossa che carne considerato che Joaquin Phoenix ha dovuto dimagrire di 23 chili per interpretarlo!).

Il film racconta la storia del protagonista, Arthur, un uomo intriso di disagi fisici e psichici. Un uomo solo e malato, vittima di una società a sua volta malata, ma anche ipocrita e violenta.

Un uomo, Arthur, che purtroppo sfiora, nella finzione cinematografica, l’alienazione contemporanea dell’Uomo di sempre, ma soprattutto dell’uomo dei nostri giorni.

Solitudine, incomprensione e degrado incorniciano la quotidiana storia di un reietto, costretto a fare il clown di giorno, sognando però di diventare attore di cabaret, la notte.

Un tipo strano, un fumatore incallito, dalla risata compulsiva che lo isola ancor più dagli altri. Un uomo senza una donna vera, morbosamente legato alla madre, ma anche impegnato a scavare nel proprio disagio e nella propria fatica di vivere.

Sin dalle prime scene, il protagonista, Arthur/Joker, ci appare vittima delle azioni, violente, degli altri (la gang di bulli che gli ruba il cartello e lo massacra di calci e pugni).

Arthur si presenta come un uomo solo che non riesce a difendersi dalle accuse ingiuste del capo.

Ma anche come un figlio premuroso che subisce il disagio di una madre-bambina sempre bisognosa di cure.

E’ pure un uomo rassegnato, che si spegne giorno dopo giorno, risalendo la stessa scala, metafora della vita degradata che conduce.

Ed è pure spettatore di sé stesso, costretto com’è ad allontanarsi sempre più dai suoi sogni.

Però, Arthur (e qui sta l’abilità dello sceneggiatore Scott Silver), scena dopo scena, si propone allo spettatore come uno di noi, quando, in balìa delle circostanze avverse della vita, ci siamo sentiti soli, avvolti soltanto dal menefreghismo di chi ci sta intorno o dall’abbandono delle istituzioni apparentemente sociali.

Del resto, per lo spettatore è facile identificarsi con il protagonista.

Infatti, alzi la mano chi di noi, almeno una volta nella vita, non è stato incolpato ingiustamente, per qualcosa di cui non era responsabile?

O chi di noi non ha avuto un genitore manchevole, di cui ha dovuto farsi carico, in un’inversione di ruoli esistenziali? Oppure, chi non è stato ridicolizzato da un collega maligno o non si è sfogato nel fumo compulsivo?

Chi di noi, non si è mai sentito strano, incompreso, bisognoso di aiuto, obbligato ad indossare una maschera, recitando un ruolo, quello di uomo normale, a posto, quando invece, dentro sentiva ribollire un’anormalità ed un’estraneità dilaganti? 

La parabola discendente di Arthur Fleck, nodo essenziale di tutta la vicenda, diventa così, quella di un uomo, un reietto che, suo malgrado, si trasforma in killer spietato.

La sua vita diventa segno e simbolo dell’ineluttabilità del male, che spesso accompagna la nostra vita.

Del male subìto che abita dentro di noi, del male agìto come imprinting primordiale e del male vissuto nella quotidianità esistenziale.

Il male abita dentro di noi, ma si alimenta anche fuori ognuno di noi.

Il male è come nella Peste di Camus una città invasa dai topi, il male è la linfa di una società malata, degradata ed alienata che si alimenta di male ed amplifica il male.

Il film, più che drammatico, diventa così la tragedia di una vita dove il male di vivere non gestito diventa disagio psichico. Dove il disagio psichico si trasforma in follia.

Dove la follia diventa violenza, ma dove, paradossalmente, la violenza diventa libertà e riscatto.

Il percorso esistenziale del protagonista si articola come una metamorfosi, un’epifania interiore innescata dal dolore e dal rifiuto.

Il percorso esistenziale di Arthur nasce dalla violenza degli abusi infantili, si alimenta delle menzogne deliranti della madre, si carica dei soprusi perpetrati dagli altri, e diventa discesa all’inferno nella Gotham/ New Jork dei nostri giorni.

Ma il percorso di Arthur diviene anche viaggio alla scoperta della verità, indagine sul suo passato, nonché rivendicazione del diritto di esistere di Joker.

Ed entrambi, Arthur e Joker, riusciranno, nella violenta affermazione di sé, a diventare un tutt’uno.

Arthur e Joker riusciranno a fondersi, a diventare un tutt’uno, sintesi di entrambi, ad esistere, infine.

Ma procediamo con calma.

Arthur, inizialmente è in cura per un disturbo psichico. Nei colloqui iniziali con la psicologa, sembra essere ancora in bilico su quella linea sottile che separa la salute dalla malattia, il disagio dalla follia.

Ma poi, quando più ne ha bisogno, viene abbandonato a sé stesso, dimenticato dalle istituzioni che non si preoccupano più di tutelare lui, ma in generale i più fragili.

Arthur finisce così in balìa della sua malattia mentale e diventa la versione diabolica di sé. Solo che, nel frattempo Arthur è diventato uno di noi.

O, meglio, noi spettatori, siamo diventati Arthur. Perché, noi con lui e per lui, abbiamo finito col provare una rabbia atavica contro tutti.

In un rovesciamento prospettico dei valori etici, il film Joker, diventa una sorta di programma: il ribaltamento radicale, nel nostro immaginario, di quelli che sono gli archetipi del buono e del cattivo rappresentati dai personaggi.

I buoni del fumetto originale (Mr. Waine) sono malvagi dentro e i cattivi (Joker) non sono altro che buoni-vittime di un sistema corrotto su tutti i livelli.

Il giudizio dello spettatore-osservatore sui buoni (di cui fa parte, non solo Mr, Waine, ma anche il personaggio interpretato da De Niro) diventa così la condanna morale dei buoni in quanto essi si sono macchiati di ottusità, rigidità mentale, mancanza di comprensione degli altri, dove gli altri sono il resto del mondo, ma anche l’altro, l’altra parte di sé.

Così, il candidato politico così come il personaggio di successo mediatico, che si crogiolano tanto nei loro immotivati privilegi e sono eccessivamente inclini al giudizio selvaggio, sembrano quasi meritarsi la fine che li aspetta.

Infatti, questo film, dopo la fortissima identificazione (o quantomeno compassione) iniziale, dopo la rabbia e l’angoscia attraverso cui ci accompagna scena dopo scena, ci scaraventa all’improvviso nel desiderio di rivalsa.

E se la rivalsa necessita di violenza per realizzarsi, ecco che la violenza non è più tale, o quasi…

Inoltre, la voglia di vendicarsi coincide, nel protagonista, con il bisogno di rivelarsi.

E se Arthur, per conoscersi deve agire comportamenti criminali, devianti e pericolosamente scevri di sensi di colpa, anche noi, spettatori, siamo spinti a giustificare tutto questo.

Arriviamo a chiederci perché ci dovremmo sentire in colpa se stiamo rivendicando un diritto che ci è stato negato con violenza? Perché dovremmo evitare, impauriti, una vendetta che sa di giustizia, di meritata rivalsa?

Ecco perché, considerando questo aspetto possiamo capire alcune critiche fatte a questo film. Critiche che sostengono che la narrazione giustifichi atti criminali folli e violenti.

Fortunatamente, però, l’omicidio è solo un’espediente narrativo, commesso alla leggera, quasi poco credibile allo spettatore per come è chiamato in causa.

Per questo, non mi sento di condividere le critiche che vedono questo film come un giustificativo di atti criminali.

L’errore di fondo di queste critiche è stato quello di accostare la follia alla violenza, arrivando a confonderle.

Gli autori ci offrono solo uno spaccato di vita ipotetica, in una storia costruita in uno scenario parallelo alla realtà che gode di vita propria.

E’ narrazione pura. Forse la sensazione dominante che ci dà questo film è quello di entrare in un mondo a parte, un’entità a sé, che prende vita, si stacca dalla realtà, segue le sue regole, con la sua logica semi-oscura che dilaga e ti trascina con sé in un turbine di emozioni quasi tutte negative a cui non si riesce a dare un ordine.

Probabilmente era proprio questo che volevano ottenere gli autori: dare la sensazione di caos, far capire che esso esiste e non si controlla.

Però suggerire che il Caos è prevedibile, il Caos esiste come conseguenza di eventi traumatici precedenti. Il Caos è Joker, da sempre, dalla nascita del personaggio nel 1940. Ma il Caos è anche l’UOMO dalla sua nascita.

Quindi sono perfettamente riusciti sia il personaggio rinnovato che la sua storia universale, rivisitata e pericolosamente attraente.

Questo film non lascia scampo: attiva lo spettatore nel bene e nel male (più nel male), lo turba, gli fa provare qualcosa che non è buono e che non si aspetta.

Ma obbliga lo spettatore ad assumersi la responsabilità del male.

Con tali premesse, non poteva che essere così, ammettiamo infine.

Di certo questo film fa tutto eccetto che divertire.

Anzi, ci fa stare male per capire. Ma, alla fine capiamo.

Capiamo che se non invertiamo la rotta, possiamo finire male anche noi.

Anzi, la scena finale ci dà, visivamente, l’impressione che non esista possibilità di redenzione.

Ormai, siamo tutti Joker, impazziti, criminali, una folla scatenata che si ribella con violenza alle istituzioni. 

Ma ciò che fa il branco sembra assai poca cosa rispetto a ciò che ha fatto Joker.

Lui ha indicato la via, tutti gli altri l’hanno seguita volontariamente ma senza critica, come se non aspettassero altro. 

Un altro Dio forse? Che sia tutta una metafora della nascita di una nuova religione e di un profeta imperfetto, umano, peccatore?

La scena in cui Joker (o solo Arthur?) sembra morire in una posa che richiama la crocefissione cristiana per poi rialzarsi quasi come se resuscitasse, tirato su dai suoi seguaci, sembra profetizzare la vittoria di un angelo demoniaco o la resurrezione di un demone angelicato.

Tocca a noi scegliere da che parte stare…

 

Antonella Ferrari

 




Controllo dell’obiettivo

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PAUSA

fermati e guarda tutto quello che sei,
per un istante,
guarda dove sei arrivata,
dove tendi, dove vuoi arrivare.

Voltati e guarda la strada fatta e chiediti se è sempre stata coerente.

Dove è successo?
A quale punto la strada ha deviato?
quando è successo che quello che volevi tu, è diventato quello che volevano gli altri?

A quale chilometro hai sentito il bisogno di avere l’approvazione degli altri?

All’inizio non era così,
all’inizio avevi la tua mappa, il tuo piano e la tua dose di incognite che, però, eri sicura di saper controllare.

Adesso, se guardi il disegno di come doveva essere all’inizio e di come sei, le cose non quadrano: la strada ha deviato.

E allora?
Approfitta di questo istante per guardare cosa sei.
Cosa si aspettano le persone da te.
Quanto queste aspettative ti condizionano.

Sei libera e felice come ti aspettavi che saresti stata oggi, quando hai mosso il primo passo del tuo viaggio, oppure qualcosa non torna?
La strada ha deviato?

è un po’ come per quelle equazioni che facevi alle superiori: per avere il risultato corretto, dovevi fare perfettamente tutti i passaggi, se sbagliavi, dimenticavi, saltavi qualcosa, tutto andava a scatafascio.
E così tornavi indietro, ricontrollavi tutti i passaggi e ritentavi finché il risultato non combaciava con quello che ti aspettavi.

Anche oggi, alla fine, le regole importanti le hai imparate.
Gli errori che fai, non sono più quelli dell’ignoranza ma quelli della velocità, della disattenzione, dell’indolenza,

Adesso il risultato certo da controllare è la tua felicità.
Già che sei ferma e stai leggendo, chiediti se sei felice.
Se hai l’impressione che il risultato sia sbagliato, correggi il calcolo.




Infiltrazioni Mafiose nel comune di Cerignola, sciolta la giunta comunale!

Lo avevamo detto in tempi non sospetti ed unici fra i giornali italiani ad avere il coraggio di affiancare la scuola nel denunciare un abuso gravissimo e lo abbiamo fatto con un articolo durissimo, Il genocidio culturale e l’associazione a delinquere…

 E’ di questi giorni la notizia che il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, a seguito di accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali, ha deliberato lo scioglimento per diciotto mesi del Consiglio comunale di Cerignola (Foggia) e il contestuale affidamento dell’amministrazione dell’ente a una commissione di gestione straordinaria.

Cerignola…Ve ne avevamo parlato anche noi, il gennaio scorso, nell’ articolo sul genocidio culturale perpetrato ai danni dell’I.T.I.S. Agrario Pavoncelli.

Giusto per rispolverare la memoria ai lettori.

La storia.

A Foggia, precisamente a Cerignola, c’è un Istituto Agrario, il Pavoncelli, con una fiorente azienda agricola annessa.

Ogni anno aumenta il numero degli iscritti dell’Istituto.

Ed i ragazzi dell’azienda agricola fanno ricerca e sperimentazione su nuove forme di “cultivar” autoctone, straniere ed ibridi genetici, oggi introvabili. Arrivano a produrre persino un olio certificato d’eccellenza seguendo ed amando, quotidianamente, 1650 piante di ulivo.

I terreni su cui coltivano sono un lascito testamentario del 1868. Il patrimonio immobiliare rimanda infatti ad una benefattrice. Anna Maria Raffaella Manfredi, vedova Pignatari, che nel suo testamento aveva lasciato i suoi terreni affinché fosse costituita l’Opera Pia Manfredi–Pignatari.

Dunque, da più di un secolo, generazioni di allievi dell’Istituto agrario Pavoncelli hanno continuato a studiare la teoria, ed applicare la pratica, sui terreni dell’azienda agricola annessa.

Terreni che non erano del Comune, ma fondi rustici aziendali di proprietà del Pavoncelli.

Fino a che, un brutto giorno, sono arrivate le ruspe.

Di chi? Del Comune. Per fare cosa? Distruggere tutto.

L’imperativo categorico, a norma di legge, secondo l’amministrazione comunale vigente, è stato quello di fare spazio e costruire un Palazzetto dello sport ed un centro commerciale. Con quali soldi? Con quelli ottenuti dalla vendita dei terreni dell’azienda agricola.

Tutto a norma di legge, per il Comune.

Un po’ meno per noi che, più che perplessi, avevamo intervistato il Dirigente Scolastico dell’Agrario in questione, il Prof. Pio Mirra.

Ed è stato così che avevamo scoperto le violazioni di legge perpetrate dal Comune ai danni dell’Istituto.

Dalla testimonianza del Dirigente, avevamo verificato che il Comune di Cerignola, enfiteuta, cioè locatario perpetuo dei terreni, si era comportato da proprietario.

con D.G.C. n.54 del 27/02/2017 aveva inserito nel “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” il suolo, facente parte dell’azienda agraria, una superficie di 10.000 mq. (Peraltro, nella stessa delibera era precisato che il Comune ha il titolo di livellario e non di proprietario!).

con D.G.C. n.98 del 12/04/2017 aveva approvato il progetto esecutivo per la realizzazione del palazzetto dello sport sull’area individuata al foglio 276, p.lla 579 (parte ex95), facente parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto Agrario Pavoncelli.

E come se non bastasse, si leggeva nella delibera: “…  si procederà ai sensi dell’art.191 del D.Lgs 50/2016, a finanziare l’opera, in toto, con la permuta di un’area di proprietà comunale, prevista nel Piano di alienazione e valorizzazione dei Beni comunali, giusta deliberazione n.54 del 27/02/2017, individuata nel Foglio 276 particella 94 (parte) di circa 10.000 mq. Zona F2 di Prg, per un importo pari a € 1.830.000,00 …”.

Cioè aveva finanziato i lavori di costruzione con l’esproprio dei terreni!!!

Infatti, la particella da permutare faceva anch’essa parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto.

E per non aver problemi, il Comune di Cerignola, con Delibera del Consiglio n.55 del 25/07/2017 aveva inserito nel Piano delle Alienazioni e Valorizzazioni dei Beni Comunali il suolo facente parte dell’azienda agraria dell’Istituto, come livellario.

Bel giochetto!

Giusto per intendersi, il “livello” non ha una definizione normativa, tuttavia la giurisprudenza di legittimità lo considera un istituto corrispondente di fatto all’enfiteusi e quindi ad esso applicabili le relative norme del codice civile.

Allora il “livellario” gode di un diritto reale che esercita su fondo appartenente ad altri, detto concedente. Quindi il Comune di Cerignola aveva disposto liberamente di un bene, peccato che, come enfiteuta, non potesse farlo e tanto meno alienarlo!!!

Ma, la vergogna nella vergogna, è stata che il fondo rustico permutato (foglio 276, p.lla 94) era investito a oliveto super intensivo con 1650 piante di varietà nazionali ed estere, impianto sperimentale realizzato con il contributo della Regione Puglia e la partecipazione attiva dell’Università di Bari (vedi relazione tecnica del Direttore del Dipartimento di Scienze agroambientali e territoriali Università di Bari).

Il nove agosto 2018- era sempre il preside Pio Mirra che ci parlava- abbiamo assistito all’estirpazione di 1650 piante di olivo con le ruspe, trattando le piante come mattoni. 

Eppure in quel campo sperimentale si faceva ricerca, sperimentando nuove forme di allevamento di cultivar autoctone, straniere e ibridi genetici, oggi introvabili.

Le ruspe senza fare alcuna distinzione non hanno avuto alcun riguardo e annullato anni di ricerca. La logica del cemento sta affossando il nostro paese e i toni del dibattito non di rado ci autorizzano a pensare che la cultura, la scuola non siano più la bandiera dei nostri governanti. 

Nelle nostre terre i genitori contadini si spezzavano la schiena pur di fare studiare i figli e assicurare loro un futuro migliore. 

Oggi sono diventati “eletti” coloro che magari a scuola occupavano l’ultimo banco e si è convinti che sport e ipermercati siano più importanti della scuola, rovesciata dalla cultura del danaro. 

Chi, prima di stare in mezzo alla gente, si è fatto un giro in mezzo alle pagine dei libri, dovrebbe saperlo, ma a guidare il paese ci mandiamo quelli dell’ultimo banco”.

Non avevamo potuto che condividere, pienamente ed amaramente, la posizione del dirigente scolastico e di tutto il personale del Pavoncelli.

Ed ora la notizia. Il consiglio comunale di Cerignola è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.

Dopo 6 mesi di accertamenti da parte della commissione d’accesso, la relazione prefettizia giunta al ministero dell’Interno e portata in Consiglio dei ministri da Luciana Lamorgese ha stabilito che sono stati “accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali”. Per questo il comune foggiano, quasi 60mila abitanti, è stato commissariato per 18 mesi.

Cerignola diventa così il terzo Comune della provincia pugliese, il secondo nell’ultimo anno dopo Mattinata, ad essere sciolto per i condizionamenti della criminalità organizzata. E resta aperta la procedura per il comune di Manfredonia, che a breve verrà portata in Consiglio dei ministri.

Ma allora aveva ragione il Dirigente scolastico del Pavoncelli, e noi non avevamo dubbi.

 A questo punto le sue parole sono state davvero profetiche!

E siamo sempre stati convinti, anche noi di Betapress, che anche altri cittadini, fuori dal mondo della scuola, abbiano visto, nello scempio perpetrato contro questo istituto Agrario, un’assurda manovra politica contro la proprietà, ma soprattutto la libertà di chiunque di noi.

E’ vergognoso che sia stata violata la volontà di una benefattrice che più di un secolo fa, ha creduto nella cultura come riscatto sociale. E’ inammissibile che, con dei giochetti politici, ci si sia appropriati indebitamente di terreni di proprietà inalienabile di un Istituto scolastico. Ed è anticostituzionale che lo Stato abbia avvallato il sopruso di compromettere il diritto alla cultura, oltre che alla coltura, per assecondare delle logiche consumistiche.

Altro che insegnare che la cultura è libertà! Gli alunni del Pavoncelli, e noi con loro, cosa abbiamo visto?

L’abuso di potere politico, la connivenza delle Istituzioni con degli interessi economici consumistici di parte, e l’asservimento del diritto all’istruzione al connubio politica-marketing.

Il sogno proposto per le future generazioni non è più il riscatto sociale con la cultura, lo studiare per capire e l’imparare per migliorare. Il sogno, anzi l’incubo proposto alle nuove generazioni, è crescere per diventare un popolo ignorante, che consuma prodotti fittizi, secondo bisogni indotti.

E, magari, l’ha già imparato vedendo cos’è successo a scuola, vota per chi è ricco, potente, famoso e pure mafioso.

Un popolo complice, lentamente, ma inesorabilmente complice, di chi gli ha tolto la libertà di ribellarsi, convincendolo pure che è per il suo bene!

Perché, non dimentichiamoci che il Consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose, ma il palazzetto dello sport ed il centro commerciale sono lì, sotto gli occhi di tutti, alunni, professori, dirigente del Pavoncelli, e pure sotto gli occhi di tutti i nostri lettori, costruiti nella più assoluta illegalità ed oggi si spiega anche il perché.

Ma non si poteva intervenire prima per bloccare i lavori e la distruzione di 2000 ulivi di altissima produzione, visto che tutti sapevano grazie alle denunce del Dirigente Scolastico???

Cosa fare adesso che la Scuola ha perso un bene preziosissimo per essere mutilata da cemento peraltro di scarsa utilità.

Certo si potrebbe procedere abbattendo l’ingiusta costruzione, ma sicuramente non accadrà.

Sarebbe un sogno, anzi un’utopia!

Non dimentichiamoci che siamo in Italia, dove la Legge esiste. E si applica… mafia permettendo, però! …

 

Genocidio Culturale

 

https://tg24.sky.it/cronaca/2019/10/11/comune-cerignola-sciolto-mafia.html

 

 

Antonella Ferrari

 

 




Neuroscienze ed ipnosi: contro ogni dubbio.

Neuroscienze ed ipnosi

“Porta il tuo sguardo oltre i confini della tua mente” è l’affascinante provocazione del congresso di Neuroscienze ed Ipnosi che ha avuto luogo a Milano, il 28 ed il 29 settembre, organizzato da Universalmente e dall’ Associazione Italiana Ipnosi.

Un evento straordinario che ha riunito 15 relatori internazionali.

I migliori esperti nel campo dell’Ipnosi, Neuroscienze, Comunicazione, Emozioni, Apprendimento, Morfofisiognomica, Memoria, Benessere si sono alternati in un week end di informazione, dibattiti, conferenze e workshop.

“Tutti meritano di poter accedere alla conoscenza” è stato il filo conduttore di questo Mental Forum, pensato ed organizzato da PAOLA GRASSI, Ricercatrice, Coach professionista, Counselor ad Indirizzo Olistico, Filosofa e Scrittrice, Ipnotista, ma soprattutto Presidente e fondatrice, insieme a Ester Patricia Ceresa e Vincenzo D’Amato, dell’Associazione Italiana Ipnosi.

I lavori si sono aperti sabato 28 mattina presso il Novotel Milano Nord Ca’ Granda.

Ipnosi e verifica scientifica” è stato il tema dell’intervento di ANDREA FARINA che, con oltre 20 anni di esperienza attiva nel mondo della formazione e del coaching personale, è studioso ed innovatore in numerosi campi di applicazione delle neuroscienze. Un ricercatore in scienze olistiche, esoteriche e spirituali che ha sperimentato su sé stesso l’efficacia e la potenza degli strumenti di queste discipline per risolvere i nodi dell’anima, per esplorare i propri lati d’ombra e per raggiungere la pace interiore e la crescita di sé.

 “REICARNAZIONE, UN’IPOTESI DI SOPRAVVIVENZA” è stato invece l’affascinante intervento di MANUELA POMPAS, giornalista, scrittrice, ipnologa, che si occupa da molti anni di sviluppo del potenziale umano, ipotesi di sopravvivenza (ultimo libro “Oltre la vita, oltre la morte”) e regressione nelle vite passate, tematiche di cui è stata una pioniera e su cui ha scritto molti libri, ultimi dei quali “Reincarnazione, una vita, un destino” e “Storie di reincarnazione”.

FLAVIO BURGARELLA ha parlato invece del “TELETRASPORTO DELL’INFORMAZIONE ATTRAVERSO L’IPERCOMUNICAZIONE”.

Questo medico specialista in Cardiologia, Responsabile del Centro di Riabilitazione Cardiologica di San Pellegrino Terme (BG), nonché Iscritto all’ordine nazionale dei giornalisti, è anche Founder and Chairman di Burgarella Quantum Healing (BQH) (www.burgarellaqantumhealing.org) il cui scopo è quello di promuovere la relazione di aiuto tra scienza e coscienza.

SHAFIGULLIN MARAT RIFKATOVICH, psicoterapeuta professionista con oltre undici anni di esperienza nel campo della diagnosi e terapia dei disturbi mentali e psicosomatici, ha viceversa trattato dell’IPNOSI IN ONCOLOGIA.

FIAMMETTA TONELLI, artista, motivational speaker e counselor professionista, con “UNA PICCOLA FIAMMA CREA CONSAPEVOLEZZA”, ci ha fornito strategie utili per la gestione dello stress, dell’ansia, dei sensi di colpa e delle difficoltà relazionali.

La Dottoressa KATERINA KRATKA che si occupa di Medicina Tradizionale Cinese, Naturopatia applicata in Psico-neuro-endocrino-immunologia, Psicologia, Ipnosi regressiva e Psicoterapia Profonda, ci ha spiegato il METODO OTTOPROFILI che riunisce l’antica filosofia cinese e la moderna psicologia, come strumento concreto e pratico per ogni terapeuta.

“IPNOSI RAPIDA, MAGNETISMO E MORFOFISIOGNOMICA” sono stati invece proposti al pubblico da ESTER PATRICIA CERESA, esperta in Morfofisiognomica e da VINCENZO D’AMATO esperto in

Ipnosi Rapida e Fascinazione.

CERESA è ricercatrice, counselor hypnoterapist, life coach e master trainer in PNL e PNL, Comunicazione Non Verbale, Ipnosi Avanzata, Magnetismo e si è specializzata in materia di Psicologia Quantistica e Enneagramma, arrivando all’elaborazione della nuova Morfofisiognomica, una metodologia all’avanguardia nel campo delle discipline sul Linguaggio del Corpo.

VINCENZO D’AMATO, è invece Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche – Counselor Hypnoterapist- presso UNIVERSITE EUROPEENNE LLP di PNL ed autore del libro “Le chiavi della comunicazione” (Albatros 2017) in cui illustra alcune regole da applicare nella comunicazione in famiglia così come in una trattativa professionale. I due hanno coinvolto alcuni dei presenti nell’esperienza dell’ipnosi, fornendo la prova che questo stato alterato di coscienza offre degli immediati benefici in termini di equilibrio psico-fisico. I partecipanti, hanno convinto anche i più scettici, compreso la sottoscritta, che l’ipnosi, non è spettacolo, ma terapia.

I lavori sono continuati fino a tarda sera con un laboratorio sulle vite passate con Manuela POMPAS, per poi proseguire, l’indomani, domenica 29 settembre, con l’intervento del Dottore NICOLA RUOTOLO dell’équipe del Dott. SALVATORE IANNUZI. RUOTOLO, in qualità di neuroscienziato, ci ha parlato di IPNOSI E DI NEUROFEEDBACK per migliorare la performance cognitiva degli sportivi e dare testa all’atleta, superando l’ansia da prestazione.

JENNIE KITCHING, invece, ha trattato il tema di IPNOSI RAPIDA E DISTORSIONE TEMPORALE con un divertente workshop in cui dei volontari hanno sperimentato diversi stati ipnotici. La KITCHING è autrice di una raccolta di libri nel campo della comunicazione e della formazione inconscia, nonché ADPR (Advanced Practitioner with GHSC); AdvDipH (Diploma Avanzato in Ipnoterapia); SQHP (Senior Qualification in Hypnotherapy Practitioner); Scuola validata GHSC; Professional Trainer (D32 / 33) dal 1994; Ipnotizzatore Master certificato; Insegnante Louise Hay certificato; PNL Practitioner; Terapista certificato EMDR (Eyes Movement Desensitisation Reprocessing).

BRUNO RENZI ha continuato con KARMA ED IPNOSI REGRESSIVA

Questo medico chirurgo con specializzazione in Psichiatria e Master in PNL, Psicoterapeuta ad orientamento analitico transazionale, ha svolto otto anni di training evolutivo e didattico. Già docente AMIA (Associazione medici Italiani Antiaging) dal 2007, ha effettuato diverse Docenze in Strutture regionali e Parauniversitarie. Renzi ha pubblicato parecchi lavori scientifici, è stato relatore e coordinatore in più congressi Nazionali ed Internazionali, e qui ci ha parlato di Ipnosi Regressiva presentando un’ipotesi interpretativa. Una lettura integrata di natura filosofico-scientifica al fine di comprendere il substrato coscienziale nel quale si verificano quelle dinamiche che determinano il flusso esistenziale dell’individuo o della coscienza collettiva.

GIANLUCA RUGGERI con IL FASCINO IPNOTICO DELLA PSICOASTROLOGIA ci ha condotti in un magico viaggio nella psicologia dei 12 segni zodiacali, non per prevedere il futuro, ma per comprendere noi stessi nel presente. Gianluca Ruggeri è dottore magistrale. Laurea in Filosofia (indirizzo psicologico) all’Università di Bologna con tesi sull’interpretazione dei sogni. Mediatore Familiare (Master in psicologia di coppia Università di Verona), ha ricevuto il Diploma Honoris Causa in comunicazione ericksoniana dall’Ordine dei Medici del Friuli (sotto l’Alto Patrocinio dell’Unesco).

 E’stata poi la volta di IPPOLITO LAMEDICA che ha sviluppato il tema REGRESSIONI E REMOTE VIEWING

 

Già docente universitario, formatore e autore di numerose pubblicazioni sull’apprendimento esperienziale, è referente scientifico per i progetti con l’infanzia per l’Unicef nazionale e Internazionale; è stato inserito nel 2003 nella lista ONU dei migliori esperti europei nel settore dell’infanzia e delle tecniche partecipative. Ha conseguito numerosi attestati specialistici nelle tecniche mnemoniche, di public speaking, quantistiche, ipnotiche e di formazione. È fondatore di Mentalsuperpower e ha creato LUCEM, la Libera Università di Crescita ed Evoluzione della Mente, un’estensione di Mentalsuperpower in cui vengono divulgati i primi corsi di apprendimento rapido e di evoluzione delle proprie capacità attraverso l’Ipnosi, la PNL3 e le innovative Tecniche Quantistiche.

 Successivamente, ALEXANDRE MEZZORANA ha coinvolto il pubblico con IPNOMAGNETISMO-L’IPOTESI ENERGETICA

Il Dott. Alexandre Mezzorana è Naturopata, Osteopata e Ipnoterapista certificato NGH. L’ipnoMagnetismo praticato da Alexandre è sempre stato una base fondamentale di comprensione e azione terapeutica. Utilizza principi dell’ipnosi tradizionale, del magnetismo e della fascinazione che si completano a vicenda in modo sinergico formando un approccio terapeutico coerente ed efficace. Con questi metodi la guarigione di disturbi psichici, psicosomatici e funzionali è possibile, spesso con risultati inaspettati. Un approccio terapeutico completo e potente, che ruota attorno a diverse tecniche corporee, energetiche e psicologiche.

GENNARO PEPE ha infine chiuso il convegno con IPNOSI, UNA PORTA VERSO LA SUPERCOSCIENZA

 

Gennaro Pepe è un medico, ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia nel 1985 presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 1989 ha completato il suo percorso di formazione medica presso la S.M.I.P.I, Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi. Da trent’anni utilizza l’ipnosi come tecnica terapeutica, e nel corso di questo suo lavoro ha avuto modo di entrare in contatto con il fenomeno delle abductions, il rapimento di terrestri da parte di entità aliene. Questo lo ha portato nel corso degli anni ad incontrare persone “speciali” che lo hanno iniziato alla conoscenza e coscienza del fenomeno e della finalità di esso. Ha approntato il suo lavoro sulla ricerca della verità individuale e collettiva, sulla capacità di ognuno di essere “conoscenza” attraverso l’utilizzo dell’ipnosi per fa emergere la consapevolezza interiore al fine di raggiungere il proprio scopo di vita e arrivare al concetto di super coscienza.

Insomma, Neuroscienze ed Ipnosi, è stato un Mental Forum a 360° in cui il pubblico ha interagito con esperti di fama internazionale. Un avvincente viaggio nell’apprendimento, nella memoria, nel magnetismo e nell’ipnosi passando attraverso le emozioni pregresse, il benessere attuale e le comunicazioni verbali e non, per credere nel potere del cervello e per vincere la sfida di potenziare al massimo le sue prestazioni.

·         

Antonella Ferrari

 




Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming

 

Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste Riduzione del Global Warming

CON PATROCINIO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE

 

Il 25 e 26 Ottobre, rispettivamente a Roma e a Milano, si terranno le due giornate di studi della Conferenza Internazionale Prevenzione Emergenze: Protezione Nazionale Boschi e Foreste – Riduzione del Global Warming, promossa da IEMO (International Emergency Management Organization), in collaborazione con Accademia Costantiniana ONLUS e da Social Future Project Italia. La conferenza ospiterà relatori di rilevante spessore scientifico nel settore dell’Ambiente e del Clima.

 I lavori verranno aperti con la prefazione del Premio Nobel Werner Arber.

Scopo della Conferenza è dimostrare che la Direttiva Europea RED II ed il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (TUFF) italiano vanno emendati, disincentivando ulteriori disboschi e restringendo immediatamente il termine “biomasse” ai soli residui e scarti legnosi pena l’incoerenza alla neutralità sulle emissioni di gas serra (carbon neutrality) che sia l’Italia sia gli altri Stati Europei si sono obbligati a raggiungere per cercare di prevenire il collasso climatico. Tagliare alberi per farne legname chippato o energia elettrica emette il 150% in più di C02 (Anidride Carbonica) nell’atmosfera rispetto al Carbon fossile; questo è il motivo per cui bruciare alberi contravviene ai Protocolli di Kyoto: perché le “biomasse legnose” non sono vere energie rinnovabili e, anzi, accelerano il collasso climatico e, non potendo venire rimpiazzate in tempo utile per scongiurare il collasso ambientale previsto da qui a pochi anni dagli scienziati dell’IPCC (Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite).

In questa prospettiva, il taglio degli alberi è sicuramente da evitare, sia in ambito rurale sia urbano, in quanto gli sono gli unici difensori dell’ecosistema dal collasso globale. Anche le potature urbane vanno ripensate. Poco, infine, farebbe la riforestazione con nuove piantine, che impiegherebbero oltre 20 anni per sviluppare un’estensione fogliare sufficiente ad assorbire  quantità rilevanti di C02. Preservare  gli alberi esistenti, potenti assorbitori di CO2 é anche la soluzione pratica per  dare risposta alle richieste del movimento dei giovani dei “friday for future” di  Greta Thunberg. La conferenza è ad ingresso libero e prevede una larga partecipazione di oratori e di pubblico. Data la rilevanza dell’evento la stampa nazionale è invitata a partecipare numerosa, specialmente all’apertura dei lavori delle due sessioni, quando verranno fatte le prime dichiarazioni ufficiali supportate dai dati scientifici.

 

ULTERIORI PATROCINI  ISTITUZIONALI ESPRESSI ALLA CONFERENZA :

Senato della Repubblica  –   Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Roma Capitale, Regione Lombardia, Regione Emilia Romagna, Regione Liguria, Regione Puglia, Regione Trentino Alto Adige, Città Metropolitana di Bologna, Città Metropolitana di Catania, Città Metropolitana di Genova, Città Metropolitana di Messina, Città Metropolitana di Palermo, Città Metropolitana di Torino, Città Metropolitana di Roma, Provincia dell’Aquila, Provincia di Barletta Andria- Trani, Provincia di Arezzo, Provincia di Belluno, Provincia di Bergamo, Provincia di Brescia, Provincia di Brindisi, Provincia di Caserta, Provincia di Ferrara, Provincia di Forlì-Cesena, Provincia di Imperia, Provincia di Lecce, Provincia di Livorno, Provincia di Parma, Provincia di Pavia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Pescara, Provincia di Potenza, Provincia di Rimini Provincia di Rovigo, Provincia di Salerno, Provincia di Teramo, Provincia di Vercelli

 

Programma

PRIMA GIORNATA  e  CONFERENZA STAMPA – 25 Ottobre 2019 ore 15.30 –

Hotel dei Congressi – via William Shakespeare, 29 –Roma – EUR

 

Saluto delle Autorità

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Allocuzione d’ingresso – Prevenzione Integrata Emergenze con Lettura del Messaggio di adesione del Premio Nobel Prof Werner Arber

Prof. Dott. Ugo Corrieri, Coordinatore di ISDE per l’Italia Centrale: le biomasse legnose non sono vere energie rinnovabili e il loro uso causa gravi effetti sulla salute – evidenze scientifiche e documentali

16,20 conferenza stampa

Ing. Sabine Becker (in video) e Prof. François Rouillay, Co-Fondateur de l’Université Francophone de l’Autonomie Alimentaire: Dall’Albero alla Foresta: L’Importanza dell’Ecosistema

Dr. Alessandro de Aldisio, Vicepresidente SFP Italia: le implicazioni del Cambiamento Climatico

Prof. Dott. Bartolomeo Schirone, Membro ISDE dell’Università degli Studi della Tuscia (Società Internazionale Medici per l’Ambiente): quanti boschi servono? Analisi dati tecnici e il perseguimento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile

Dr. Leopoldo Rizzi, la gestione del territorio: risorse naturalistiche di sviluppo culturale 

Prof. Dott. Paolo Zavarella, Associazione Italiana di Medicina Forestale: La valorizzazione della biodiversità e la salute dell’uomo

Dott.ssa Chiara Sparacio, Cronista Betapress, Rispetto dell’Ecosistema e lineamenti di ecosofia. 

Dr. Arch. Mattero Sernesi: Progetti integrati come esempi di sostenibilità

Prof. Cav. Philip Bonn, Director-General, World of Hope International: Biodiversity Protection 

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Closing remarks

 

SECONDA GIORNATA  e CONFERENZA STAMPA – 26 Ottobre ore 15.30 – Hotel Michelangelo Milano (di fianco Stazione Centrale )

 

Saluto delle Autorità

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Allocuzione d’ingresso alla seconda giornata e Conferenza Stampa ai media presenti sulle tematiche affrontate nella sessione di Roma

Proiezione del Video “Burned” sugli effetti della deforestazione e cambiamento climatico

Dr. Alessandro de Aldisio, Vicepresidente SFP Italia: Le implicazioni del Cambiamento Climatico

Cav. Giulio Terzi, Segretario Generale IUIC: Le Convenzioni Internazionali di Protezione Ambientale 

Dott.ssa Carolina SalaLa prevenzione delle emergenze e la tutela dell’ aviofauna boschiva

Loris Chiovitto, Presidente MIPAD: esempi di sostenibilità

Dr.Arch. Mattero SernesiProgetti integrati come esempi di sostenibilità

Dott.ssa Bendetta Rosina: La riduzione del Global Warming, la tutela del patrimonio forestale primario e della qualità dell’aria

Dr. Alessandro Manini, Presidente IEMO – Closing remarks

 

 

 

UFFICIO STAMPA

DOTT.SSA MILENA SAIA

GRUPPO EDITORIALE CCEDITORE

BETAPRESS.IT

INFO@BETAPRESS.IT




Se lavoro pagami, altrimenti sei due volte disonesto…

Perché non riusciamo a farci pagare per il lavoro che abbiamo svolto?

Siamo a Palermo, ma questa è una storia che si ripete identica a Torino, a Milano, a Roma, a Napoli, a Bologna e per ogni città italiana potrei portarvi il nome di una persona che ha lo stesso problema.

Gente brava, in gamba, molto professionale, tendenzialmente con una pecca:

sono brave persone, di quelle che danno fiducia e che mettono il 100% di loro stessi in ciò che fanno.

In questi giorni su Facebook ho letto l’ennesimo post di un mio contatto che, dopo aver portato regolarmente a termine il suo lavoro, non riesce a farsi pagare dal suo committente.

La cosa paradossale ma comune è che chi non riesce a farsi pagare, nonostante il desiderio di sfogarsi e rivendicare l’ingiustizia subita, non rivela il nome del moroso e, sinceramente, ora che scrivo e inizio la mia riflessione, non so se dargli torto o ragione.

La Sicilia è una terra strana, in un modo o nell’altro noi tendiamo a non parlare anche se abbiamo ragione, è come se dentro di noi ci fosse una regola: non si accusa.

Ed è incredibile.

Una parte della nostra cultura non riesce a rivelare il nome di chi vuole estorcerci soldi non dovuti, un’altra parte non riesce a dire il nome di chi non vuol darci il dovuto.

La cosa surreale è che alla prima pratica, quella dell’estorsione, abbiamo dato un nome, ed è “pizzo”.

Alla seconda, quella della mora, non abbiamo ancora dato un nome, perché ancora non si dice, perché di fronte a un problema del genere, si deve stare zitti.

Come in quelle lingue in cui non esistono certe parole perché non sono nominabili, come in quelle culture in cui, per esempio, non esiste il corrispettivo di uxoricidio.

Non si parla, non si fanno nomi; perché potrebbero esserci delle ritorsioni, perché “certe cose non si fanno” (nel perfetto meccanismo per cui la vittima ha il sospetto di essere nel torto).

E infatti, in piena, assurda, coerenza con tutto questo, chi tace il nome è brava gente, gente per bene ed educata, con una forte etica, di quella che non dorme più per tutta la notte se, quando poggia la testa sul cuscino, si ricorda di non aver pagato il caffè al bar e che il giorno dopo, alle 6,00 del mattino, è davanti la saracinesca del bar con l’euro in mano mentre il barista lo guarda incredulo.

Chi invece pretende o non dà, ha tendenzialmente il profilo del malfattore, della persona marcia e profittatrice, sepolcri imbiancati con una vita sociale di ostentato benessere e una rete di amicizie che fanno la fila per stargli accanto e avvalorare il finto lustro.

Eppure, pensandoci questa sera, mi accorgo di una cosa sconcertante che, a prescindere da chi sia la parte lesa e la parte prevaricatrice, entrambe sono due aspetti della mentalità mafiosa: la vittima e il carnefice.

La prima è quella che subisce la mafia, la seconda, chi la pratica attivamente.

In sostanza, entrambi alimentano il meccanismo mafioso: senza l’uno, non ci sarebbe l’altro.

Senza chi tace, il malvivente non verrebbe nascosto.

E lo sappiamo bene in Sicilia, perché, ad un certo punto, quando i primi eroi hanno rotto il silenzio, lo hanno fatto per sempre e hanno insegnato a tutti che è normale parlare e hanno divelto il meccanismo.

Per molti aspetti, noi Siciliani, abbiamo imparato ad abbattere il tabù del silenzio e siamo stati bravi e siamo stati un esempio.

La mafia non ha a che fare con noi, c’è stato chi le ha dato un colpo mortale.

Ma la cultura radicata, presa da spirito di sopravvivenza, esce dalla porta e rientra dalla finestra.

Come nei miti, dalla ferita mortale di un demone schizza della materia marcia che si attacca agli esseri viventi e vuole infestarli.

Dalla mafia è schizzato via qualcosa che vuole corrompere in modo silente chi stava attorno: e questa è la mentalità mafiosa.

Non è stata una nostra scelta, si è trattato quasi di una circostanza, la mentalità mafiosa è rimasta un po’ attaccata ai nostri abiti perché eravamo lì, sul luogo ed è insidiosa, vuol esser seducente; mette gli abiti del comportamento comune e a volte ci vuole tempo per vederla.

La mentalità mafiosa ha uno scopo: desidera ristabilire l’equilibrio tra i genitori primordiali, la vittima e il carnefice.

Chi tace e chi prevarica.

Trova però un ostacolo: noi siamo contro la mentalità mafiosa e non intendiamo permetterle di germogliare.

In questo articolo ho parlato della mafia e della Sicilia perché noi siciliani siamo avvantaggiati, noi abbiamo avuto esperienza e per questo abbiamo una responsabilità in più nei confronti dei più deboli e inesperti.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo vista e, per questo, sappiamo riconoscerla e così, quando vediamo questi atteggiamenti mafiosi abbiamo la fortuna di accorgercene prima di altri e abbiamo il dovere morale di avvisare tutti gli altri.

A volte abbiamo bisogno di un secondo in più per vederla, perché a volte siamo addormentati anche noi, siamo presi dall’uso comune; ma poi, ad un tratto, qualcosa non ci torna e realizziamo che nell’aria c’è puzza di mentalità mafiosa e lo dobbiamo dire chiaramente e a voce alta perché molti, chi non ha avuto la fortuna di nascere in Sicilia, non lo sanno: sentono un odore strano nell’aria, storcono il naso, si guardano tra loro ma non riconoscono la puzza, pensano che sia qualcosa di passeggero o che sia un odore naturale, qualcosa che però non ha a che fare con loro, e si sbagliano.

Noi invece lo riconosciamo e possiamo dire “è puzza di mafia”.

E quindi, tornando a bomba sull’articolo, il punto non è più chiedersi perché non veniamo pagati per il nostro lavoro, non è tanto il fatto di attivare una serie di soluzioni come farsi pagare prima, scrivere contratti su contratti, provare la bontà del lavoro svolto, firmare accordi e stipulare fidejussioni…

Non è scomodare la psicologia da social network e dire che, se non riusciamo ad avere i nostri soldi, è perché non pensiamo veramente di meritarli.

Il punto è che chi non paga il lavoro svolto è un mafioso.

Chi vuole sfruttare il lavoro di professionisti capaci, è un mafioso.

Chi nega il vero e spergiura la propria stessa parola, è un mafioso.

E bisogna dirlo, e bisogna fare i nomi, perché senza vittime, non esistono carnefici.

Chi non paga per il lavoro svolto è un mafioso, chi lo difende rallenta il progresso e disonora gli eroi.

 


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