Il momento benedetto

Benedetto è quel momento della nostra vita durante il quale abbracciamo il silenzio e lasciamo fiorire un sorriso indulgente passando oltre la superficie.

Quel momento in cui riconosciamo il nostro errore passato nell’errore presente di un altro.

Quel momento in cui riconosciamo in una disobbedienza un eccesso di zelo e comprendiamo quanto una persona ci tenga a fare bella figura non accorgendosi di sbagliare.

Quel momento in cui capiamo che una persona è molesta solo perché vuol dare il meglio di sé;
quello in cui riconosciamo l’errore che fanno tutti, fatto solo perché non si sapeva in quale altro modo fare quella cosa.
Benedetto il momento in cui riconosciamo nell’aggressività la paura di una aggressione e sappiamo placarla.

Benedetti siamo noi quando abbiamo accumulato sufficiente esperienza da non giudicare e sufficiente successo da non deridere.

Quando vediamo ben oltre le apparenze e siamo in grado di cogliere la vera essenza delle persone nel bene e nel male (che sono fratello e sorella) e possiamo così godere di tanti aspetti della altrimenti invisibili.

Benedetta la vita che ci cambia e ci migliora fino a farci diventare indulgenti
e continua a metterci alla prova finché restiamo aspri.




L’indemoniato dentro le nostre identità

Le scritture sacre nascondo spunti psicologici profondi.

immaginiamo una rivisitazione del brano riportato in Matteo 8; 28-34

 

Tu non sei quello che credi,

tu non sei quello che racconti, 

e, alla fine, non mi interessa neppure sapere chi sei.

Nel senso che ognuno di noi, a meno che non sia una eccezione, è  naturalmente composto da una infinità di “io”.

Per questo non dobbiamo parlare di noi in prima persona: perché sappiamo che un secondo dopo avremo mentito.

E per questo motivo quello che scriviamo adesso, tra un secondo non sarà più valido.

Ecco il nostro aspetto diabolico.

Ecco da cosa siamo separati: da noi stessi.

 

Un giorno Gesù attraversava la Giordania e gli venne incontro un uomo posseduto dal demonio.

Quest’uomo  viveva nei sepolcri, spaccava catene, spezzava ceppi, era indomabile, urlava e i percuoteva con pietre.

E lui si chiamava Legione “perché erano tanti” e dichiarava di non voler aver nulla a che fare con Gesù che rappresentava la totalità, ovvero l’unità tra il dire e il fare.

La storia finisce con Gesù che scaccia i demoni nel corpo di porci suicidi che si lanciano da un dirupo.

Ed è la stessa fine che facciamo noi quando le nostre parole non combaciano con le nostre azioni: diventiamo dei porci suicidi.

Suicidi perché prima o poi, correndo all’impazzata tra le nostre incoerenze, ci tufferemo nel burrone.

Gurdjeff diceva che l’uomo è una pluralità e il suo nome è Legione.

“Ad ogni attimo, 

ad ogni momento

l’uomo dice e pensa “io”.

Ed ogni volta il suo “io” è differente

[…]

è la tragedia dell’essere umano, che qualunque piccolo “io” abbia così il potere di firmare assegni e cambiali e che sia in seguito l’uomo, ossia la totalità, che debba farvi fronte”

 

Per questo non dobbiamo parlare o promettere, impariamo a non prendere impegni che altri migliori di noi dovranno saldare.




Sensuability – la prima volta siamo tutti disabili

Vi è mai capitato di entrare in un posto e capire di aver sbagliato sala?

Di posizionare la sedia con fare disinvolto, convinto che da quel punto vedrai bene lo spettacolo ma poi ti siedi, si alza il sipario, capisci che hai sbagliato posto.

E allora ti alzi, riposizioni la sedia, chiedi scusa ai vicini, ti risiedi e ancora non va bene e continui a cercare il posto comodo mentre tutti ti guardano con disappunto.

Quel misto di vergogna e disagio che ti fanno sentire un pesce fuor d’acqua e hai anche un po’ di sensi di colpa per la tua goffaggine.

Se non vi è capitato mai, beati voi; se vi è capitato, sappiate che per tutta la durata dell’intervista alla cara Armanda Salvucci, io mi sono sentita così.

Ma non per colpa sua, ma per pregressa superficialità mia.

Per tutto il tempo, mentre lei mi parlava e ridevamo, io pensavo “ma com’è possibile che io sia talmente tanto fuori dal mondo?”

“Quando è successo che ho perso un pezzo così importante e grave della società?”

Armanda è una di quelle persone che cambieranno il mondo, di quelle che fanno la differenza e non accolgono passivamente la vita con le sue assurdità.

Lei è un passo avanti a tutti.

Nella mia esperienza personale, è sempre stata un passo avanti a me:

quando io studiavo fundraising, lei lavorava nel fundraising;

io disfo l’albero di Natale per san Valentino, lei per Pasqua;

io divento scema al pensiero di avere gli operai in casa per una settimana, lei se li tiene dentro per 5 mesi;

io sono ironica e intelligente lei … uguale;

io sono modesta … lei di più… 😉

Armanda mi ha spiegato e mi ha fatto rendere conto che c’è molta paura nei confronti della disabilità, molta ignoranza e molta strumentalizzazione e a lei non va bene: così ha creato, con Giovanni Lupi e Roberto Campile, il progetto Sensuability – la prima volta siamo tutti disabili.

 

Tutto ha inizio poco più di due anni fa, a Roma, quando sui giornali esce un infelice annuncio per un casting:: si cercava, mi spiega Armanda, un “nano che facesse tenerezza”.

 

Quello che salta agli occhi è che ancora oggi ci sono nei confronti di persone con una disabilità quei preconcetti e stereotipi che un tempo in America erano legati agli schiavi neri.

A quanto pare, ancora oggi ci piace prendere gruppi eterogenei di persone, riunirle sotto una nomenclatura e appioppare loro una serie di qualità morali ed etiche.

 

A viverlo da dentro deve essere molto fastidioso, a viverlo da fuori fa infuriare con sé stessi perché speravamo, come società, di essere migliori di così.

 

Molto male Coscienza Collettiva, molto male.

 

Ma torniamo a Sensuability.

Dalla riflessione nata dall’annuncio pubblicato, Armanda decide di “riposizionare” (si direbbe in termini di marketing) l’immagine del disabile ovvero desidera distanziarlo dall’immagine della pena, della paura e della diffidenza; parte così dall’aspetto più trasversale dell’essere umano: la sessualità.

E lo fa con un’ironia eccellente.

 

Il suo progetto è girare un film (mockumentary) che parli, con l’ironia e l’intelligenza che la contraddistingue, di sessualità e disabilità (non è vero il suo progetto è molto più ampio e ambizioso ma per ora parleremo solo del film).

Ovviamente per fare un film servono tanti soldi (per l’esattezza circa 200.000,00 euro escludendo il compenso degli attori), così Armanda, che ha lavorato per tanto tempo nel settore del fundraising, divide gli obiettivi e fa partire una campagna di crowdfunding (raccolta fondi).

 

Ecco le fasi del progetto Sensuability.

Come già detto, la prima tappa del progetto è partita un anno fa con la realizzazione del corto Sensuability, con la regia di Giovanni Lupi e Roberto Campili: una campagna di raccolta fondi che porta in proiezione il corto Sensuability, tagliente e divertente alla visione ma amaramente vero.

Vi consiglio caldamente di vederlo attraverso ai link in calce all’articolo.

Grazie alla campagna di crowdfunding, sono stati sono stati raccolti poco più di 10.000,00 euro.

Capite bene che siamo ancora lontani; ma Armanda non si scoraggia: nel suo obiettivo, non vede la grande cifra ma il trampolino di lancio del suo progetto.

 

Dopo la produzione del corto, ed è la fase attuale, è partita la tappa del fumetto.

In questo caso abbiamo due attività:

  • una mostra alla quale hanno scelto di contribuire grandi artisti come Milo Manara, Fabio Magnasciutti, Frida Castelli, Stefania Infante, Andy Ventura, Stefano Tartarotti e tanti altri.
  • Il concorso Sensuability & Comics per giovani fumettisti del quale, il primo premio, sarà la pubblicazione del proprio lavoro su un libro in cui compatiranno anche le opere della mostra.

 

L’invito che faccio a chi legge è: visitate il sito, date una occhiata al corto realizzato, ridete tanto perché fa ridere, però pensate che, dove le storie raccontate hanno una causa e un effetto, l’effetto è divertente e la causa è vera.

 

Ho promesso ad Armanda che faremo altre interviste per le quali io sarò più idonea, perché mi sono vergognata della mia superficialità di aver ritenuto la mia normalità la norma.

La nostra miopia ci porta a pensare che i nostri preconcetti e le nostre esperienze dirette sono tutto il mondo, grazie Armanda e a tutti i ragazzi del progetto Sensuability per essere più acuti di molti di noi, voler sollevare i problema e provare a cambiare il mondo.

 

Link utili

Progetto Sensuability -> clicca qui

Corto Sensuability -> clicca qui

Concorso Sensuability & Comics -> clicca qui

 

 




Uno, nessuno, settemila…

Storia di Massimiliano

Massimiliano Titone è il classico utente di facebook.

È un tipo gioviale e allegro, ha un bel viso, scrive bene in italiano e si diverte a fare tante foto da solo o con i nipotini per pubblicarle poi sul suo profilo assieme a qualche frase simpatica.

Lavora nel campo della formazione e le pubbliche relazioni e l’essere social (come si suol dire per indicare una persona presente e attiva sui social network) sono parte integrante del suo lavoro. Ha sempre avuto una vita movimentata come nella norma.

Bello, simpatico ed estroverso come tanti altri uomini sul web, Massimiliano conduceva tranquillamente la sua vita virtuale in modo spensierato e ordinario.

Poi un giorno di tre anni fa, le cose iniziano a cambiare, iniziano ad accadere delle cose strane a cui – in principio – Massimiliano non dà troppa importanza ma che presto si trasformeranno in una situazione paradossale e, ad oggi, senza soluzione.

Un giorno Massimiliano riceve e accetta una strana richiesta di amicizia: una persona col suo stesso nome e cognome; sul momento Massimiliano non ci fa caso più di tanto, gli sembra una cosa curiosa ma non si allarma, nel giro di poco tempo , però, la situazione esplode.

All’improvviso inizia a ricevere messaggi privati da parte di donne che non conosce; messaggi minacciosi e inquietanti “so chi sei” gli scrive un giorno una donna.

Nel giro di un mese quei messaggi diventano decine e sono sempre più aggressivi.

Nessuno capisce cosa può essere successo tanto è fuori dalla normalità né ci si immagina cosa sarebbe diventato.
In forma precauzionale Massimiliano va alla polizia postale, ha capito che qualcuno potrebbe aver rubato la sua identità, prova a denunciare il crimine ma ai tempi nessuno era preparato ad accogliere una denuncia di questo tipo; tre anni fa, non esistevano ancora né giurisprudenza né precedenti per questo reato.

Solo che il problema c’era e diventava sempre più grande.

Nel giro di poco tempo, grazie ai consigli di amici poliziotti e avvocati, Massimiliano raccoglie le prove di 2000 (duemila) profili fake presentandoli come allegati alla denuncia.

È allora che inizia la battaglia dei fake, dei profili falsi che in una lotta di segnalazioni e ricerche oggi sono stati censiti in 7000 (settemila).

Il problema e aggravante è che per una serie infinita di ragioni, tutti i dati personali di Massimiliano sono on line e le donne raggirate ci mettono molto poco a trovare l’originale (scambiandolo per il fake) e conoscere oltre al numero di telefono privato, perfino l’indirizzo di casa.

Piano piano, essendo comunque un uomo intelligente e per bene, parlando con le donne offese, Massimiliano riesce a ricostruire la storia che, grosso modo, è sempre più o meno la stessa.

Storia del fake e sua strategia.

Lui (il fake) è vedovo e ha due figli (nella realtà i figli sono interpretati in foto dai due nipoti minorenni), caduto in disgrazia per qualche motivo, riesce poi a risollevarsi grazie al commercio di auto, torna ad essere un uomo ricco e va in Costa d’Avorio.

Purtroppo mentre è lì con i due figli, ha avuto un imprevisto (un furto, un sequestro…) fatto sta che si trova in pericolo e senza soldi e chiede aiuto per comprare il biglietto aereo per sé e per i suoi figli o per pagare chi lo tiene sotto scacco o una certa ludoteca.

Una storia da film che appassiona donne sensibili e di buon cuore che cercano un uomo di cui innamorarsi.

Donne che passano del tempo con uno dei 7000 falsi Massimiliano che le fa sentire importanti, amate, apprezzate, fondamentali e che chiede loro soldi, sempre più soldi.

I contatti avvengono tramite messenger, addirittura vengono fatte anche video chiamate per le quali, i malfattori, mettono sù un sistema ingegnosissimo: durante la chiamata mandano l’immagine in movimento senza audio di uno dei tanti video pubblicati da Massimiliano e, con la scusa che in Costa d’Avorio la connessione non è gran ché, tolgono il video e tengono solo l’audio.

Chi legge si chiederà “ma per le chiamate vocali, chi parlava?” Ivoriani (probabilmente) che conoscono l’italiano.

Ma chi ascoltava non si rendeva conto che non era il modo di parlare di un italiano?

No.

Perché una persona che vuole credere in qualcosa, non aprirà mai gli occhi di fronte a nessuna evidenza.

Queste donne affamate di attenzioni e affetto decidono di denunciare la truffa solo quando finiscono i soldi e, la cosa più inverosimile è che la denuncia per truffa non può essere accolta perché le donne hanno dato spontaneamente i soldi senza ricevere alcuna minaccia.

Ma come è possibile gestire e coordinare 7000 profili finti, completi di fotografie, storie, invio di messaggi, telefonate e interazioni di vario tipo?
Di certo non è una sola persona.

Si tratta di una organizzazione ben strutturata che individua il profilo ideale (composto da foto, video, informazioni facilmente utilizzabili e ri manipolabili, un viso attraente…) da utilizzare, ne prende le prime informazioni e le distribuisce a una rete fittissima di operatori della mala vita che, lavorando on line, e accrescono

Massimiliano ha scoperto anche questo perché, ad un certo punto, perfino alcuno dei suoi fake lo hanno contattato per avere ulteriori materiali da utilizzare argomentando che alla fine era il loro lavoro e che avevano bisogno di guadagnare.

Insomma, quello che ne viene fuori è che la delinquenza si sposta on line e crea dei mostri.

Riflessioni finali sul senso di ingiustizia.

La storia di Massimiliano Titone forse qualcuno di voi la conosceva già, perché una storia così bizzarra ha trovato spazio, soprattutto in un primo momento, in numerose trasmissioni televisive come Chi l’ha visto o la trasmissione di Barbara d’Urso…

Purtroppo presto anche il sistema di informazione televisivo che si proponeva di aiutarlo a risolvere questo nonsenso si è presto trasformato in una forma di sciacallaggio per avere più audience, così Massimiliano ha rifiutato i vari inviti se non seguito direttamente dal suo avvocato Andrea Caristi.

Massimiliano al telefono si rivela una persona simpatica e forte, che non ha nessuna intenzione di farsi piegare da questa ingiustizia anche se vive una condizione impossibile per tanti; ma la sua storia è triste perché racconta di tante ingiustizie.

L’ingiustizia patita da un uomo che non è più padrone della sua identità, che riceve ogni giorno telefonate e messaggi di donne che pretendono che sia quello che non è.

L’ingiustizia strutturale tenuta sù da persone che guadagnano rubando l’identità di una persona per estorcere soldi a donne fragili.

L’ingiustizia patita da donne emotivamente analfabetizzate, saccheggiate sentimentalmente che cercano amore nel posto sbagliato perché, spesso, non sono in grado di cercarlo in quello giusto.

L’ingiustizia istituzionale di una giurisprudenza impreparata che non riesce a fare giustizia su un reato quasi inesistente.

L’ingiustizia mediatica di un sistema televisivo che approfitta delle vittime per esserne a loro volta anch’essi carnefici.

È amara la chiusura di questo articolo ma non ne troviamo altre.

Auguriamo al protagonista e a tutti personaggi di questa storia una fine felice che saremo ben lieti di raccontare.

Restiamo in attesa facendo il tifo per Massimiliano e non ce la sentiamo di dare nessun consiglio sulla prudenza sui social sulla condivisione delle informazioni personali perché al posto di Massimiliano poteva benissimo esserci ciascuno di noi.

 




DP World Tour Championship

Si è disputato a Dubai dal 21 al 24 novembre il DP World Tour Championship, la gara conclusiva dell’European Tour, stagione 2019. Per un professionista di golf, così come per un appassionato, il modo più efficace per trovare ispirazione ed imparare è quello di copiare, cercando di rubare qualcosa dai quei giocatori che hanno dimostrato di essere i migliori in questa stagione sul circuito maggiore.  Per farlo, devi seguirli da vicino e per il resto è un po’ come a scuola: puoi studiare imparando a memoria oppure cercando di capire il concetto.

Neanche a dirlo il risultato è molto simile anche se, sul campo da golf, riprodurre esattamente i colpi dei grandi campioni è praticamente impossibile, si può invece cercare di comprendere le loro scelte tecniche e strategiche per fare proprio il concetto e riprodurlo secondo le proprie capacità.

Quale migliore occasione quella del DP World Tour Championship, che si disputa ormai da più di dieci anni a Dubai sullo splendido percorso dell’Earth Course al Jumeirah Golf Estates. Con me in campo c’erano dei giornalisti di alto livello come l’amico Michele Gallerani, Stefano Cazzetta, Gianni Piva e Prisca Taruffi quindi non farò una cronaca della gara perché farei solo una brutta, bruttissima, figura. Vorrei invece condividere alcune pillole che, secondo me, possono essere utili a tutti gli appassionati di golf.

La prima riguarda il percorso: appena entrato al golf ho mi sono trovato di fronte alla buca, 16 vista dal green verso il tee. Dieci anni di professionismo e qualche migliaia di buche giocate non mi hanno impedito di stupirmi quando la buca che mi ero prefigurato un par 4 dritto con un green relativamente facile se non fosse per un bunker al centro del fairway che richiedeva un tee shot preciso, ma che probabilmente non necessitava un driver, rimaneva nella mia immaginazione per lasciare spazio ad una buca completamente diversa; sempre un par4, ma con un pronunciato dog-leg verso destra. Necessario, o quasi, il driver dal tee, con conseguente aumento della difficoltà per evitare il bunker in mezzo al fairway, ed un secondo colpo che, a causa del dislivello e dell’acqua che circondava il green per tre lati, soprattutto quello lungo, non lasciava certamente tranquilli anche gli ottimi giocatori in campo. Insomma tutt’altra buca. Qualche volta converrebbe sempre girarsi indietro per vedere come sono le buche al contrario e magari scoprire come giocarle al meglio.

La seconda è sugli italiani in gara. Francesco Molinari e Guido Migliozzioltre ad Andrea Pavan erano i tre italiani in campo. Il primo, arrivava come defending champion della Race to Dubai, anche se in uno stato di forma non ottimale. Sta lavorando tantissimo e anche dal campo pratica ho potuto notare un piccolo particolare dello swing che non stava funzionando e che ci accomuna… la speranza non muore mai! Tuttavia mi ha impressionato il colpo che ha fatto alla buca 15, un corto par 4 con una distesa di bunker in mezzo al fairway. Finito sulla sinistra con un colpo di partenza molto aggressivo, Francesco, dalla zona desertica che contorna il campo, ha fatto un colpo basso a giro (da destra a sinistra), veramente straordinario. Un colpo che non ti aspetti da un giocatore come lui che viene dipinto come il “regolarista” per eccellenza, fino addirittura a diventare monotono. Che sia sintomo di cambiamento verso un gioco più estroso? Quanto a Milgiozzi è ammirevole la sua capacità di ambientarsi sul Tour in cosi poco tempo, certo l’esperienza del suo coach, Alberto Binaghi e le due vittorie aiutano, ma era la prima volta che lo vedevo sul massimo circuito e sembrava fosse un veterano.

La terza riguarda uno dei più longevi giocatori sul circuito, l’inglese Lee Westwood, che secondo me è un esempio straordinario per l’atteggiamento sul percorso. Per descrivere quello che sta facendo mi passano per la mente le parole del capitano dell’ultima Ryder Cup, Thomas Bjorn quando nel Rolex Media Day, intervistato da Dough Connelly ha detto che non smetterà di giocare fin quando gli piacerà viaggiare e continuare ad impegnarsi. Ecco, Lee, sembra avere una tranquillità sul percorso totale che gli consente di esprimersi ancora al meglio e non fare una smorfia quando lui, noto per tirare i ferri i modo eccellente, colleziona 3 flappe consecutive tra le buche 3, 5, 6, per poi concludere comunque un buon giro.

L’ultima pillola sembra quasi doverosa, non c’erano dubbi su chi fosse l’uomo da battere, la star della settimana: Rory McIlroy, il più forte al mondo tra gli esseri umani perché sono molti i dubbi sulla natura umana di Tiger Woods, forse il più forte golfista di tutti i tempi. Rory impressiona per la naturalezza sul campo da golf, per la sua pratica pre-round dove effettua serie di tre colpi; uno con il draw (lieve effetto da destra a sinistra), uno dritto ed uno con il fade(lieve effetto da sinistra a destra). Padroneggia appieno il suo gioco e l’eagle alla 18 del primo giro ne è la riprova. Impressiona anche per la qualità e la potenza sul drive, forse alcuni tireranno più lungo o più dritto ma guardandolo da vicino ed ascoltando il sibilo della pallina nell’aria appena parte si capisce subito che è una spanna sopra tutti.

Alla fine però a vincere è stato uno spagnolo Jon Rahm che ha dimostrato di essere il più affamato e determinato giocando una 72esima buca di altissimo livello ed intelligenza tattica. Recuperato proprio qualche minuto prima dall’inglese Tommy Fleetwod e consapevole che gli sarebbe servito un birdie (4 colpi) all’ultima buca per vincere ha piazzato il primo colpo in fairway ed il secondo si è protetto sul bunker di destra per evitare il ruscello che taglia a metà tutta la buca e precludersi la vittoria. Dal bunker ha fatto un colpo ottimo che ha dimostrato anche la sua confidenza con il gioco corto. La pallina ha rimbalzato ad inizio green per poi rotolare dolcemente verso la buca e si è fermata a meno di un metro dall’obiettivo. Da li non si è lasciato sfuggire il putt per la vittoria e la gloria… oltre che a ben 5 milioni di euro! Il tutto davanti a decine di migliaia di spettatori presenti sul percorso e a quasi 500 milioni davanti alle televisioni di tutto il mondo. Numeri che ci fanno sognare, ad occhi bene aperti, quando toccherà a noi con la Ryder del 2022!

 




Il rischio del suicidio e la risposta di Leopardi

Il suicidio è un rischio invisibile e inquietante.

Le anime sensibili possono sentirsi smarrite di fronte la crudezza del mondo.

Ecco come Giacomo Leopardi ha affrontato questo tema.

 

Plotino era un po’ in pensiero per l’amico Porfirio.

Porfirio, anche se non lo diceva chiaramente, aveva fatto intendere che stava passando uno di quei momenti brutti che passiamo tutti,

qualcosa tipo le paranoie adolescenziali che dovrebbero essere finite passati i 17 anni ma che tornano periodicamente a tradimento anche in età adulta:

tutto sembra contro di noi,

tutto è difficile da gestire,

tutto è complicato.

Magari, a guardarlo con logica, non è neanche tutto proprio malissimo, 

ma siamo stanchi.

Stanchi di lottare e di continuare ad essere più forti e superiore ad ogni cosa

Stanchi di essere sempre all’altezza della situazione.

Quando Plotino è andato a cercare l’amico,

Porfirio stava meditando di mollare tutto:

gli amici,

gli interessi,

la quotidianità,

tutto ciò per cui aveva lottato,

la vita.

Insomma, come ho già detto, un periodaccio di quelli che capitano.

Che poi, se ci facciamo caso, capita spesso che questi “periodacci” siano “collettivi”.

Deve essere per via di strane congiunzioni astrali, del tempo o di quello che mangiamo…

In questi giorni, per esempio,

persone a me care si sono sentite così,

per fortuna me lo hanno detto e così sono stata un po’ Plotino.

Nelle stesse ore, però, è capitato anche a me di sentirmi Porfirio,

mi sono sentita svuotata e annientata

ma, per fortuna, il mio amico Plotino se ne è accorto, mi ha chiamata e mi ha tenuta al telefono imponendomi di farmi forza.

Se sei anche tu un po’ Porfirio e vuoi essere lasciato in pace, chiudi bene la porta perché quasi sicuramente arriverà Plotino a spaccarti le balle e a dirti:

“Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme 

[…] 

andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; 

per compiere nel miglior modo questa fatica della vita”

Questa parte un po’ mi fa pensare.

Tutto però per dire che i periodi difficili capitano anche dopo l’adolescenza e e noi dobbiamo saper chiedere aiuto e saperlo accogliere.

I momentacci capitano e, comunque, l’amicizia è l’unica cosa che ci salverà.

[da Le Operetta Morali di Giacomo Leopardi – dialogo di Plotino e Porfirio]




Giù le mani dallo Sport, noi stiamo con il CONI!

Lo guardiamo in TV, leggiamo di lui sui giornali, a volte ci appassiona, altre volte ci fa arrabbiare, altre volte ancora ci fa litigare o abbracciarci.

Lo giudichiamo, lo condanniamo e alla fine lo salviamo perché spesso lui salva noi.

È lo sport.

Lo sport è una grande famiglia fatta di tennis, pallavolo, golf, ping pong, curling, nuoto, calcio, boxe, basket, surf…

Lo sport fa parte delle nostre vite, ci ha formati ed emozionati, a chi lo ha praticato, ha dato un imprimatur di vita; dietro lo sport ci sono gli atleti, gli eroi i semi dei.

Le storie di sport sono storie di eroi.

Persone che spostano di continuo la banda dei propri limiti personali, danno l’esempio e toccano i cuori.

Questo patrimonio culturale e formativo è talmente importante che in Italia, quando non ha avuto un ministero dedicato, ha sempre goduto almeno di un ufficio all’interno dei ministeri di governo.

 Chi è appassionato di sport o lo vive attivamente, in questo periodo è particolarmente in fibrillazione per via dell’articolo 48 del DEF (Documento Economia e Finanza) che vorrebbe rimodulare la gestione dei fondi dedicati allo sport e la loro destinazione d’uso.

 Per capirci qualcosa, visto che l’articolo 48 sull’argomento non conta più di 50 righe e che per capire la vera portata di una azione così importante serve qualcuno che da queste poche righe sappia tirar fuori tomi di storia dello sport, ho chiesto ad un collega di redazione di aiutarmi a capire.

Lui fa parte del CONI, è un golfista professionista e sta scrivendo una tesi di laurea sulla storia dello sport, si chiama Andrea Vaccaro e in questo articolo vi racconterò cosa ho imparato da lui dopo più di un’ora di conversazione.

 Ovviamente non entrerò nello specifico tecnico – a quello ci penserà Andrea nei modi e tempi per lui più congeniali – io condividerò un pezzettino di quanto mi ha concesso lui dandomi modo di capire e riflettere perché, lo confesso, non mi ero resa conto dell’importanza di questo argomento.

Prima di parlare con Andrea, nonostante il mio passato da agonista, non avevo considerato quanto lo sport fosse importante, dal punto di vista storico, culturale, politico e imprenditoriale.

Chi tocca lo sport, tocca delicatissimi equilibri e si prende grandissime responsabilità.

 Il punto della questione sollevato dal DEF è “chi gestirà lo sport?”

 Oggi il settore dello sport è gestito e coordinato dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) che segue le federazioni, distribuisce i fondi e si occupa delle attività ed iniziative a livello nazionale e nei rapporti internazionali.

Il CONI si occupa solo di sport ed è una istituzione stabile e affidabile.

Per spiegare cosa si intende con questi due aggettivi, basterà dire che, tra gli enti pubblici, il CONI è uno dei pochi che chiude l’anno con un bilancio attivo.

In più, nella storia giudiziale dei presidenti del CONI non si contano condannati e lo stesso dicasi per la maggior parte dei presidenti di federazione.

In poche parole – mi spiega Andrea – il CONI ha fatto quello che avrebbe dovuto fare la politica: mettere l’onestà come condizione essenziale e non come motivo di vanto.

 Ecco perché, dopo tanta fatica, spostare il piano di azione del CONI alla politica fa paura: perché, improvvisamente, quello che fino ad oggi è stato un punto di riferimento stabile (con tutte le sue dinamiche interne) con il nuovo DEF diventa incerto.

Ed è proprio questo il punto che mette inquietudine nel mondo degli sportivi: l’incertezza.

L’incertezza della nuova gestione, della riorganizzazione delle responsabilità e dei criteri e modalità di erogazione dei fondi, perché da tutto questo dipende la possibilità di allenamento ottimale degli atleti.

Una preparazione atletica è fatta di pianificazione, gradualità e continuità; la federazione si preoccupa di fare in modo che le sue condizioni di allenamento sia ottimale, ovvero che le strutture siano adeguate e le risorse disponibili.

Un atleta che si allena per quattro anni in vista delle Olimpiadi, deve sapere che può conquistare con le proprie forze il diritto di andare alle Olimpiadi e che le federazioni faranno di tutto per garantirgli le migliori condizioni di allenamento.

In Italia lo sport è legato alle decine di federazioni e migliaia di società sportive che formano, allevano e migliorano persone che diventeranno atleti, campioni o anche semplici praticanti.

Queste federazioni, al di là delle quote associative dei loro atleti, hanno bisogno di fondi.

Fondi per le strutture, innanzitutto, per le gare, per le trasferte, per la cura degli atleti.

Questi fondi hanno bisogno di essere erogati in fretta e bene.

 Oggi il CONI grazie al 40% degli incassi che lo sport genera per lo stato, si occupa anche della cansulenza sulle infrastrutture e di alcuni progetti nella scuola nonostante questo sia dovere del Ministero dello Sport che gestisce il restante 60%.

La nuova proposta però, prevedrebbe che al CONI restasse solo il 10% dei fondi e che sia il governo, assieme a tutti gli altri incarichi, a gestire direttamente nomine, distribuzioni dei fondi e azioni.

 Quando chiedo ad Andrea quale potrebbe essere una buona gestione dei fondi per lo sport, mi risponde che lo sport dovrebbe essere come la magistratura: completamente indipendente, il presidente del CONI dovrebbe essere Ministro dello sport senza diritto di voto.

In più, in una gestione ideale, il CONI non dovrebbe avere il 40% ma il 100% dei fondi per lo sport, dovrebbe potersi occupare anche dell’educazione fisica nelle scuole e la gestione degli impianti sportivi, inclusa la ricostruzione e la manutenzione.

Lo sport – mi spiega – si può benissimo gestire da solo attraverso i suoi proventi: scommesse, gare ecc… e crea altri indotti, come la vendita di oggetti e attrezzature, creazione di villaggi sportivi e movimentazione di atleti da tutto il mondo; insomma quello dello sport è oggi uno dei possibili  e innovativi sbocchi imprenditoriali.

Dopo tutto questo, ho chiesto al mio collega se la paura che viene vissuta in questo momento, è relativa a un rischio reale.

La risposta mi è piaciuta molto e mi ha fatto molto riflettere.

Lo sport storicamente è più forte di qualunque avversità.

Il rischio è a breve tempo non a lungo.

Il problema contingente è che il breve tempo interessa e incide sul periodo di preparazione di un atleta olimpionico; ma sul lungo tempo, lo sport vince sempre.

Un esempio per tutti è quanto è successo nel 1450 in Scozia, quando il parlamento aveva bandito la pratica del calcio e del golf; nel breve periodo il parlamento è riuscito a imporre il proprio volere ma il presente ci dice che nel lungo periodo lo sport ha avuto la meglio.

E questo non solo perché gli atleti hanno a che fare con eroi e semi dei ma perché lo sport porta ricchezza, crescita, coesione e miglioramento; lo sport è il simbolo del miglioramento inarrestabile.

Lo sport porta inevitabilmente emulazione e per questo ha una forza migliorativa che altre realtà non hanno.

 Ovviamente quella del DEF è solo una proposta di legge e prima di poter parlare veramente di quello che accadrà, ci saranno tante riunioni, tanti confronti, tanti studi che porteranno solo alla fine a un decreto attuativo del quale, in realtà, adesso, non si riesce ancora a vedere la forma.

A noi resta l’insegnamento che lo sport vince contro ogni avversità e per una volta non faremo il tifo per una squadra ma per lo sport tutto.

 

 




Sibaldi: si nasce per cambiare il mondo!

Igor Sibaldi è definito scrittore studioso di teologia, filologia, filosofia, autore di decine di libri e traduzioni di opere letterarie, se avete voglia di cercare on line qualcosa in più su di lui, più che ai testi di wikipedia affidatevi ai video su YouTube e ascoltate qualche suo intervento.

A me di lui hanno colpito le riflessioni sul concetto di ombra, quelle su Abele e Caino, su Jeova e Jahve, amo la sua lettura di Pinocchio e, grazie a lui, ho rivisto la mia posizione sul tema dell’obbedienza del tempo e dello spazio.

Se avete voglia di scoprire il mondo dei desideri, guardate il video in cui spiega la tecnica dei 101 desideri (trovate il link in calce) credo di averlo conosciuto in questo video.

Se siete particolarmente avventurosi, potrete anche farvi delle domande sui maestri invisibili, sugli angeli e fare qualche calcolo sulle epoche, valutate voi la vostra resistenza, curiosità e il vostro coraggio.

Oltre che leggere i libri o guardare i video, è possibile seguire Sibaldi dal vivo nel corso di uno dei suoi numerosi eventi in giro per l’Italia.

Io ho partecipato a uno di questi e ne ho approfittato per chiedergli un’intervista.

Il titolo dell’evento era “L’essere umano dopo la Speciazione 2.0” organizzato da Life-Strategies.

Personalmente posso solo ringraziarlo per la disponibilità e la gentilezza che ha dimostrato, non aggiungerò altro e farò finalmente parlare lui attraverso le  pazienti risposte alle mie domande.Igor, tu sei uno scrittore che affronta temi di grande profondità e impatto; è improbabile che un tuo lettore legga un tuo libro solo per il piacere di leggere e non si faccia poi delle domande. Chi ti guarda da fuori vede che tu, con i tuoi libri cambi il mondo.

Dal tuo punto di vista, ne sei cosciente? 

Come si può cambiare il mondo scrivendo libri?

 

Ne sono ben cosciente.

E non posso esprimermi altrimenti: da sempre ho avuto la sensazione, molto forte, che ognuno nasca per cambiare il mondo che c’è, per tentare di farlo diventare più bello e più sorprendente.

La ragione è semplice: un io non è il mondo. E finché è un io, è diverso dal mondo.

Quindi, appena dice o fa qualcosa di suo, non può non entrare in conflitto con tutto il resto: o lui cambia il mondo, o il mondo cambia lui.

O lui esprime quel che ha dire e da dare, o il mondo si esprime attraverso di lui.

Come si cambia il mondo?

A domandarlo così, sembra la richiesta di un metodo sicuro.

Un metodo già sicuro, io non l’ho.

Come scrittore e conferenziere ho fatto così:

ho cominciato a inventarmi un pubblico che si interessasse alle cose che avevo da dire e le capisse, e libro dopo libro, conferenza dopo conferenza, ho provato a concretare questo pubblico.

Un po’ ci sto riuscendo. Vediamo come va avanti.

 

L’autore che pubblica un libro continua ad esserne l’autore (finché il lettore ricorderà il suo nome) ma smette di esserne il padrone.

Un libro pubblicato acquista vita propria ed entra nelle vite (nel tuo caso) di migliaia di persone che lo accolgono e ne assimilano quello che in quel particolare momento della loro vita sono in grado di assimilare.

Quali sentimenti nutri quando pubblichi un tuo libro?

Hai mai paura che il lettore fraintenda? 

Sei fiducioso? Insicuro? Felice? Indifferente?

 

Quando scrivo un libro, e soprattutto quando lo correggo, faccio tutto il possibile perché non sia frainteso.

L’impegno che ciò richiede mi tiene al riparo da sensi di insicurezza e da sensi di soddisfazione: sia l’una sia l’altra sono molto dannose, mentre si lavora.

E, quando il libro è pubblicato e lo rileggo, mi accorgo sempre di non essere io l’autore: chi lo ha scritto non è quel mio io che conosco ogni giorno, ma un altro mio io, molto più intelligente di me.

A volte, leggendo un mio libro, mi capita addirittura di sottolineare, come se stessi imparando.

Nei tuoi libri e durante le tue conferenze, parli anche di scoprire ciò che ciascuno davvero desidera ed è chiamato a fare al di là dei desideri degli altri e dell’educazione ricevuta; come si fa a riconoscere ciò che si vuole, ciò che si è chiamati a fare se non lo si conosce ancora? 

Come si riconosce il proprio futuro se si sa (perché si sente) che esiste qualcosa ma forse non ne esiste ancora l’esistenza?

 

Non lo si riconosce, lo si scopre. E il sensore è la gioia: se ti dà gioia (non contentezza, non orgoglio ecc…) allora è proprio tuo.

 

Hai detto che più lingue si conoscono, più strumenti si hanno per conoscere sé stessi.

Pensi che la stessa cosa possa valere anche per le religioni, ovvero più religioni si conoscono più possibilità ci sono di conoscere ciò che molti chiamano Dio?

 

No. Più lingue si conoscono, e più ci si accorge che nessuna lingua basta a esprimere con precisione quello che senti e pensi e speri.

Ma le religioni sono il contrario: sono apparati secolari, millenari il cui scopo principale è sempre impedirti di sapere che cosa pensi e senti e speri tu.

Hanno plasmato, ciascuna, uno o più Dèi, tutti diversi l’uno dall’altro, rispondenti alle problematiche di ciascun popolo.

Purtroppo ogni religione sostiene che il suo Dio supremo è l’unico che esista davvero.

E questo induce le persone religiose a credere che tutte le religioni parlino di un unico Dio.

Ma è come credere che tutti i frutti siano aspetti di un unico frutto,

o tutte le donne siano aspetti di un’unica donna.

A ragionare in questo modo, si fa molto torto a ciascun frutto e a ciascuna donna.

E si fa un favore alle religioni, che possono dire, a propria giustificazione: be’, almeno un aspetto dell’unico Dio sono riuscita a descriverlo.

 

Durante il Tour “L’essere umano dopo la Speciazione 2.0” hai parlato della specie Speciata che rappresenta la porzione di società che decide di staccarsi dalla massa ascoltando i propri bisogni piuttosto che seguire quelli della specie in generale.

Se lo speciato rappresenta una minoranza, come può cambiare il mondo all’interno di un sistema democratico?

 

I sistemi democratici sono sempre stati cambiati, in meglio o in peggio, da minoranze.

Fin dai tempi in cui una minoranza di sobillatori, agenti del Sinedrio, spinse la gente a preferire democraticamente Barabba a Gesù.

Ma durante una speciazione culturale, la specie nuova non ha alcuna intenzione di cambiare un sistema, democratico o no.

Non lo cambia: lo fa apparire improvvisamente obsoleto, e perciò dannoso.

Se ne allontana, o geograficamente, o anche solo esistenzialmente (a seconda che si tratti di una speciazione culturale allopatrica o simpatrica) e pensa a quello che dice Pinocchio alla fine della sua storia:

«Com’ero buffo quando ero burattino!»

 

Link di interesse

Eventi di Igor Sibaldi:sito

Tecnica dei 101 desideri: video

Pinocchio: video

L’essere umano dopo la Seciazione 2.0: sito

 




La Spesa che ti Educa.

I cataloghi di raccolta punti sono quei volumi affascinanti che, finché sono chiusi, ci fanno immaginare come sarà bella la nostra vita quando otterremo uno dei regali e, quando poi li apriamo, ci troviamo davanti la solita sfilata di abbonamenti, spremiagrumi, pentole e pupazzi più o meno inutili.

C’è chi però non cancella questo sogno addirittura migliorandolo e, al posto di farci accumulare utensili e riviste, ci permette di fare del bene, di migliorare l’esperienza di studio e sportiva dei nostri figli e nipoti.

Non so se chi legge ha già sentito parlare di fund raising: si tratta di una espressione inglese che indica delle azioni più o meno complesse di raccolta fondi per scopi benefici.

Spesso scuole, biblioteche, musei, associazioni e enti non profit attivano delle azioni di raccolta fondi per compiere uno o più progetti.
Azioni comuni di fund raising sono le cene, le lotterie, la vendita di prodotti caratteristici (come per esempio panettoni e uova di Pasqua) o anche la devoluzione di una quota dell’IRPEFF (il famoso 5 per mille, per intenderci).

Le attività di fund raising in genere sono attivate grazie all’aiuto di specialisti (i fundraisers) oppure con la buona volontà dei membri delle associazioni.

Ovviamente, più è ambizioso l’obiettivo, più è articolata l’azione di fundraising, più serve un professionista per il buon esito della raccolta.

Credo che la più organizzata azione di fundraising per le scuole e le associazioni sportive sia stata effettuata da Coro Marketing, una azienda che si occupa di far incontrare le offerte delle aziende con le esigenze del consumatore.

Per soddisfare il costante fabbisogno di scuole e associazioni sportive di strutture e materiali, Coro ha pensato (e ci è riuscita) di rendere la spesa quotidiana una possibilità di miglioramento dell’esperienza formativa di chi studia o fa sport.

Le strutture che ospitano i nostri figli o i nostri nipoti, per quanto facciano il possibile per far quadrare i conti e offrire il massimo del supporto didattico, hanno sempre bisogno di qualcosa: dalle sedie ai colori, dai percorsi di psicomotricità ai microscopi…
Ovviamente non possono sempre chiedere soldi o aiuto extra alle famiglie che, bisogna però riconoscerlo, quando possono, sono sempre molto generose di fronte all’emergenza.

Per questo azioni come quella di Coro Marketing sono sempre più fondamentali nel panorama del fund raising per scuole e associazioni sportive.

Le adesioni ai progetti sono a titolo gratuito quindi scuole, associazioni sportive e le stesse famiglie dei ragazzi, hanno sono da guadagnare da una azione simile.

La professionalità di Coro e la bellezza dei suoi progetti non sta solo in questo.

Chi si occupa di raccolta fondi, sa che l’azione deve essere semplice per il donatore, ha quindi legato l’attività di fund raising alla più comune delle azioni quotidiane di ogni famiglia: la spesa ma, ancora di più, la spesa dove la si fa normalmente.
Sì perché il donatore offre spesso con piacere ma, sul lungo tempo, la scomodità non aiuta la costanza del lavoro.

Lo splendido lavoro a monte fatto da Coro è stato, dunque, non solo quello di contattare le principali aziende di distribuzione organizzata e stringere con loro un accordo per portare le raccolte punti a vantaggio delle scuole e delle associazioni sportive che, nonostante il loro elevato valore sociale, spesso si trovano in carenza di fondi ma anche a individuare, coinvolgere e indicare i punti vendita vicino alla struttura che desidera aderire all’azione di fund raising.

Come funziona l’adesione ai progetti?

L’ente interessato contatta Coro Marketing ai contatti indicati in calce di questo articolo e loro attivano la convenzione con i supermercati della rete.

Per chi invece desidera partecipare alla raccolta fondi, il meccanismo di donazione è semplice e familiare.

Tutti noi conosciamo e aderiamo alle raccolte punti al supermercato, ecco grazie ali progetti di Coro, si smette di raccogliere bollini da attaccare su fogli incasellati e numerati a vantaggio della raccolta di bolloni che verranno consegnati alla scuola o alla società sportiva.

La scuola o le associazioni sportive condivideranno con le famiglie l’obiettivo da raggiungere e il tempo di azione a disposizione, dopo di che, una volta indicati i supermercati affiliati che, come abbiamo detto, saranno nello stesso quartiere o nei quartieri subito vicini, basterà solo, quando si andrà a fare la normale spesa, farsi consegnare il bollone.

Famiglie e amici potranno consegnare i bolloni raccolti allo studente che li consegnerà alla scuola.
Nel giro di poco tempo la struttura sarà arricchita degli strumenti tanto utili alla struttura.

La cosa bella è che può dare il proprio contributo chiunque senza modificare le proprie abitudini: basterà andare a fare la spesa e farsi consegnare il bollone che verrà poi dato a chi lo porterà a scuola.

Ecco qui i contatti dei progetti di fund raising per le scuole e le associazioni sportive di Coro Marketing

Amiamo la Scuola, fund raising per le scuole;
Arrivano i buoni, fund raising per le scuole e le società sportive.
Voglio Crescere qui, fund raising per le scuole e le società sportive.




Distruggere i templi per andare avanti

Un giorno Gesù entrò nel tempio di Gerusalemme e lo mise a soqquadro.

Ovviamente questo suscitò un certo sgomento in tutti i presenti (e anche negli assenti che vennero poi a conoscenza della cosa).

Spettacolo senza dubbio suggestivo e d’impatto: banchi che cadevano, piccioni che volavano, gente cacciata via con un frustino, buoi e pecore che correvano di qua e di là, denaro per terra, urla… e chi più ne ha più ne metta.

… Ah, se fossi stata presente, mi sarei divertita un sacco…

Chi era davvero presente e voleva voler bene a Gesù, passato il divertimento, chiedeva un segno che quella cosa fuori dalla razionalità avesse senso e verità e così gli chiesero l’unica cosa logica: un segno, una prova, possibilmente concreta e razionale, che quello che stava facendo fosse giusto.

“Ma certo – rispose Gesù – smontate (in greco “luo” e in latino “solvo”) questo tempio e in tre giorni lo risveglierò (“ex-cito” in latino ed “egheiro” in greco)”

 


 

Ma il tempio non è il tempio….

Chissà se il Tempio di Gerusalemme non siano le nostre vite prefabbricate da altri.

Chissà se ogni giorno non ci adattiamo ad architetture e frequentazioni scelte da altri per avere una vita serena e facile da giustificare?

Luoghi belli, per carità, se no non ci staremmo con tanto piacere:

luoghi di grande socievolezza, con una architettura precisa e determinata, luoghi saldi che da sempre sono stati a quel modo, dove ci sono mercanti, animali, dove passa un sacco di gente, dove sono gli amici e i colleghi… bei luoghi dove passare le giornate, luoghi dove non può accadere nulla di brutto o di peggio di quello che sono…

Salvo se non si decide un giorno di buttare giù i banchi e far scappare gli animali in gabbia… ma quello poi è un altro discorso…

Sì perché se si ascolta la parte di noi che non ha paura, sarebbe anche bello abitare degli spazi scelti da noi.

Luoghi nei quali entrare da dove piace a noi: dall’alto, dal basso, da metà…

Arricchite dai nostri desideri: chissà se quel quadro che ci piace tanto parla davvero di noi o di un architetto molto informato e alla moda?

Chissà se le persone con cui usciamo ci piacciono davvero o sono solo socialmente convenienti?

Chissà se l’oggetto che desideriamo ha davvero a che fare con noi o vuole solo creare una immagine di noi?

Chissà se i viaggi che facciamo ci portano davvero nei luoghi che desideriamo conoscere?

Chissà se la ricerca del nostro fine ultimo può salvare noi o arricchire qualcun altro…

Chissà se la mia vita è davvero la mia o quella di qualcun altro,

chissà se i miei desideri sono i miei o quelli di qualcun altro,

chissà se i miei comportamenti sono i miei o quelli di qualcun altro,

se il mio modo di pensare, di scrivere, di farmi domande siano i miei o no.

Chissà se il tempio di Gerusalemme non debba davvero essere distrutto e fatto risorgere dalle nostre coscienze?
Un po’ come Adamo che deve mangiare la mela,

come Lucio che deve spiare attraverso la porta (cfr. l’Asino d’oro di Apuleio)

come la giovane sposa di Barbablù che deve usare la chiave

come Osiride che doveva essere smembrato per guadagnare la nuova signoria

Chi vuol progredire, distrugge i templi.

I templi sono i nostri luoghi, le nostre vite, quelle che non ci somigliano più e alle quali, spesso ci siamo adattati.