Caro ministro, stavolta hai ragione, almeno in parte…

Alle scuole del Sud non servono i soldi, ma l’impegno.

Questa la linea del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, finito al centro della polemica politica per le sue parole sulla scuola nel Mezzogiorno.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente di Caivano, Nano Tv, Bussetti ha risposto al cronista che gli chiedeva come possano fare le scuole del Sud a recuperare il gap con quelle del Nord.

Per il ministro “ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte. Più fondi? No, più impegno: lavoro, sacrificio, impegno, lavoro e sacrificio”.

Detta così, sembra la classica polemica sul Sud fannullone contro il Nord stakanovista.

Ma la frase incriminata era stata estrapolata da tutto un discorso più articolato. (Ancora una volta il triste gioco della strumentalizzazione della notizia e della manipolazione della verità!)  Complimenti a Bussetti che, l’indomani della boutade mediatica, ha spiegato su Facebook le motivazioni della sua visita in Campania: “Come ministero vogliamo far sentire la nostra presenza, essere vicini ai territori, in tutta Italia, al Nord come al Sud. Senza distinzioni.

Ma al Sud dico: non vi servono solo più fondi, che non mancheranno, dovete anche credere di più in voi stessi.

Nelle vostre eccellenze. Gli istituti che ho visitato oggi ad Afragola e Caivano dimostrano come l’impegno delle comunità, di dirigenti scolastici, docenti, studenti e famiglie insieme, possa produrre risultati straordinari. Saremo vicini alle istituzioni scolastiche e alle realtà formative del Sud.

Ma occorre che tutte le istituzioni del territorio facciano la loro parte. Ci vogliono impegno, lavoro, sacrificio e bisogna credere molto in quello che si fa.”

Al di là di tutte le strumentalizzazioni politiche e degli strascichi mediatici, l’intervento del Ministro Bussetti, nella sua interezza, e non estrapolando una sola frase, non fa una piega.

La scuola italiana, da nord a sud, presenta una serie di problemi oggettivi, non risolvibili con fondi, o, almeno non solo con quelli.

Primo problema: il personale già in servizio.

Tanto al Nord, quanto al Sud, accanto ad insegnanti preparati e motivati, ci sono insegnanti parassiti. Insegnanti, mantenuti dallo Stato, che squalificano la categoria, perché entrati nel mondo della scuola per caso e restatici per ripiego.

Insegnanti liberi professionisti che si destreggiano tra lo studio di architettura e le ore di arte ed immagine, tra lo studio di commercialista e le spiegazioni di economia aziendale.

Insegnanti con un doppio stipendio, un orario agevolato, il monopolio nelle scuole serali, (più facili da gestire con la doppia professione), ed il posto rubato ad un giovane, che non riesce mai a raggiungere il posto fisso. Insegnanti che si lamentano per la pensione sempre più lontana, ma che, non appena vanno in pensione, continuano a lavorare, stavolta in una scuola privata.

Insegnanti del Sud, che fanno domanda di supplenza al Nord, prendono servizio, firmano i documenti in segreteria e non entrano neanche in classe a vedere che faccia hanno i ragazzi. Perché, l’indomani, sono già in malattia, maternità anticipata o congedo parentale.

Arrivano già pronti, con in tasca il certificato medico, per rivendicare il loro diritto ad essere insegnanti virtuali.

Intanto nelle classi, ogni anno scolastico, la scuola inizia a singhiozzo.

Spesso è alla fine di ottobre, se va bene, che arriva un insegnante. Intendiamoci, è il supplente del supplente, che non ha mai insegnato, e gli alunni hanno di che divertirsi, e, le famiglie, hanno di che lamentarsi. Ma almeno, rimane…Poi però ci sono le vacanze di Natale, e qui piovono altri certificati migratori al Nord per coprire gli insegnanti che tornano al Sud. E che ci rimangono qualche giorno in più, perché il viaggio costa…

Poi ci sono gli insegnanti che sono regolarmente in servizio, ma che sono borderline, scoppiati, vittima di burnout.

I preferiti per lo scarico di aggressività fisica e verbale da parte di alunni disturbati e di genitori non adeguati.

Passiamo ai bidelli, tralasciamo quelli che lavorano all’uncinetto e fanno le parole crociate, in realtà io intendo quelli che puliscono i locali, senza poter utilizzare né ammoniaca, né candeggina, perché tossiche.

Provate voi a pulire le schifezze delle orde di barbari che ci sono in classe o a mensa e poi, ne parliamo!

Passiamo ai dirigenti scolastici, spremuti come un limone, tra scuole di titolarità e reggenze, sempre più burocrati, sempre meno ex-insegnanti.

Spazi, altro problema. O non ci sono, vedi problema delle classi pollaio. O ci sono e non sono a norma di legge, vedi problema della sicurezza.

Totale, i miei alunni fanno educazione fisica in un’aula, fintanto che la struttura sportiva d’avanguardia, adiacente alla scuola, non è certificata.

Strumenti: nelle scuole manca la carta per le fotocopie, perché ci sono maestre che passano la vita a fotocopiare schede da colorare e da completare per alunni disgrafici e discalculei.

E manca la carta igienica perché, come dicono i miei alunni, la scuola fa…

Mancano computer e lim (Lavagne multimediali interattive).

Per fortuna che ci sono la raccolta punti della Coop o della Conad, con cui, almeno, ogni tanto, otteniamo uno strumento…

Mancano libri e vocabolari, perché, le case editrici sono sempre più restie ad omaggiarti di strumenti cartacei, nell’epoca del virtuale.

Peccato che gli alunni testimonino sempre più il degrado sociale, l’impoverimento lessicale e l’annichilimento cognitivo, dovuto all’uso e all’abuso dei tablet e dei social.

Programmi: E qui viene il bello! E’ un classico della scuola italiana cambiare le carte in tavola, modificare gli esami senza prima rettificare i programmi. Invalsi sì, invalsi no.

Prima, dopo, durante, non so.

Alternanza sì, alternanza no. Vediamo al tuo stage che importanza do’. Intanto, caro maturando, pensa a studiare, che quest’anno non c’è più la terza prova scritta, ma il quiz si sposta all’orale.

Apri la busta e vediamo di che morte devi morire.

Ma per finta, perché, intanto con il nuovo punteggio è riconosciuto maggior peso al tuo percorso scolastico. Non più 25 punti su 100, ma 40 su 100. Ti basta presentarti agli scritti e dire qualcosa all’orale, che un 60/100 è garantito, perché basta fare i conti.

Dunque è vero, ci vuole tanto impegno, tanto lavoro. Ma da parte di tutti, però! E, non solo da parte degli insegnanti del sud! Non solo perché i problemi della scuola italiana sono presenti ovunque, in questa istituzione violentata a turno dagli ultimi governi. Ma anche perché, l’esempio, dovrebbe venire dall’alto!

In questo, almeno a parole, ha ragione Di Maio quando dice: “Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più. Soprattutto sulla scuola, che richiede interventi storici per le condizioni veramente indegne in cui versano tante strutture.

Ci sono genitori preoccupatissimi per lo stato degli edifici scolastici e ci sono studenti che fanno lezione in condizioni imbarazzanti. Siamo noi che dobbiamo fare di più e ogni cosa che faremo non sarà mai abbastanza.

Bisogna iniziare a eliminare le “classi pollaio”, quelle dove alunni e insegnanti sono costretti a fare lezione in 30 – a volte anche di più – in un’aula, una piaga in particolare del sud.

Questo è un modo anche per valorizzare le competenze degli insegnanti, oltre a fare stare meglio i ragazzi.

Ed è solo il primo dei disegni di legge che dobbiamo portare a casa nei prossimi mesi.

I miliardi di euro che abbiamo stanziato nel 2019 per l’edilizia scolastica devono essere solo l’inizio.

I fondi per nuovi laboratori devono almeno raddoppiare.

Quindi impegniamoci di più come Governo.

Tutto il Governo e tutto il Parlamento hanno solo da imparare da insegnanti, alunni, famiglie e tutto il mondo della scuola per come hanno resistito in questi anni a tutti i tagli e a tutti gli attacchi che hanno subito da parte dei vecchi Governi.

Ci sono insegnanti che si svegliano alle 5 del mattino per preparare la lezione, per studiare e aggiornarsi, per conciliare i tempi del lavoro con quelli per la famiglia”.

Dunque, anziché generalizzare e colpevolizzare, diamoci una mossa, un po’ tutti, dentro e fuori la scuola, nelle aule scolastiche, come in quelle della politica. Proviamo a credere nel valore della scuola, nella missione dell’insegnamento, nel riconoscimento del merito, nello spazio alla ricerca e nell’importanza del laboratorio.

Proviamo a lavorare di più e meglio.

Proviamo a trovare ed investire soldi nella scuola, nella ricerca e nell’università.

Ma proviamo anche a controllare che fine fanno i soldi che già girano nelle scuole e si perdono nei meandri della burocrazia, tanto per dirne una. Controlliamo le gare d’appalto dei PON e la distribuzione dei bonus per merito. Controlliamo il marketing dei corsi di aggiornamento e la competenza dei formatori.

Controlliamo le certificazioni alibi redatte da medici compiacenti, in un’epoca in cui l’ indolenza scolastica si maschera di disgrafìa e di discalculìa. Controlliamo che fine fanno i nostri soldi, quando i nostri migliori alunni devono migrare all’estero per trovare impiego.

Quando chi ha lavorato bene, con tanto sacrificio ed impegno, non riesce ad ottenere un lavoro adeguato e non sottopagato.

Insomma, caro ministro, grazie perché, le tue parole hanno scatenato l’ennesima polemica sulla scuola, ma anche dentro la scuola.

Perché di IMPEGNO, SACRIFICIO e LAVORO, c’è tanto bisogno, è vero.

Ma non solo al Sud, anche al Nord.

E non solo nella scuola, soprattutto nella politica!

 

Antonella Ferrari




Dislessia: un modo diverso di vedere le cose…

In Italia nel 2017 se ne contavano quasi 2 milioni.

Per fortuna è un esercito numeroso perché non sarebbe stato facile combattere in pochi contro tanti preconcetti.

Sono i ribelli della scrittura, i sovversivi della sillabazione, i disobbedienti delle cifre, al secolo noti come ragazzi con caratteristiche di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), sono i disgrafici, dislessici o discalculici.

Sono tanti ma rischiano di essere ancora di più i preconcetti sul loro conto:

  • Sono malati -> poverini
  • Sono dei geni -> sono incompresi
  • Sono pigri -> ci vogliono i ceffoni
  • Vanno aiutati -> poverini
  • Sono lenti -> poverini
  • Anche Einstein era dislessico -> sono tutti scienziati
  • Semplicemente non si impegnano abbastanza -> sono pigri
  • Adesso che esiste la malattia, sono tutti dislessici -> ci vogliono i ceffoni
  • Nelle prove orali sono più bravi che in quelle scritte -> poverini
  • Hanno la testa tra le nuvole -> sono pigri
  • Non potranno mai leggere -> poverini
  • Leggono ma non capiscono -> poverini
  • Confondono le lettere -> poverini
  • Confondono la destra con la sinistra -> poverini
  • Sono dislessici perché da bambini non giocavano abbastanza per terra -> colpa dei genitori

E avanti fino all’infinito.

A chiedere in giro a cosa viene da pensare quando si parla di dislessia, se ne sentono proprio di tutti i colori.

Quasi viene da pensare che questi ragazzi siano malati, eppure non ci sono i presupposti per definirli tali.

Questi piccoli eroi, ogni giorno, combattono delle guerre senza quartiere contro l’opinione comune e il diffuso “sotuttismo” (vogliamo togliere la possibilità di dire la propria anche a chi si occupa di tutt’altro?), contro madri ansiose, insegnanti superficiali, fratelli geniali, medici pressappochisti e scuole rigide.

Super eroi circondati da tante opinioni sulla dislessia ma poche su di loro.

Ovviamente quella che ho presentato non è l’unica realtà, ma è solo quella che mi disturba di più.

Di contro, naturalmente, esistono genitori pacificanti, insegnati competenti e professionali, fratelli che sono fratelli con i quali giocare e litigare e non poli di paragone, medici preparati e scuole all’avanguardia.

Esistono anche realtà di supporto molto belle ed è con una di queste che mi sono fermata a parlare.

Loro sono Alessandro Rocco, Paola Saba e Valentina Conte, sono i volti e le voci di W la Dislessia e io sono una fan del loro lavoro perché, a guardarli all’opera e a parlare con loro, sembrano felici e al posto giusto e queste, per me, sono qualità di valore.

Operano a Vicenza ma seguono ragazzi provenienti da tutta Italia.

All’interno della loro struttura, seguono ragazzi con riconosciuta dislessia insegnano loro tecniche di lettura e metodo di studio.

Secondo il loro metodo, non si parte dal problema ma dalle difficoltà dei ragazzi.

Se si va sul loro sito (il link tra i riferimenti) si legge che hanno seguito fino ad oggi 3756 ragazzi e formato attraverso i loro corsi 6034 genitori.

Mi spiegano Paola e Alessandro che il lavoro che fanno avviene su più livelli: si lavora coi ragazzi e coi genitori.

Spesso il primo incontro è con i genitori che li contattano perché sono preoccupanti per i loro figli ai quali o è stato diagnosticato una difficoltà di apprendimento; o accusano una difficoltà scolastica (spesso dovuta alla mancanza di un metodo di studi) più o meno circostanziale.

I ragazzi faranno una valutazione con Paola o Valentina mentre i genitori, che avranno portano tutte le documentazioni del caso, dovranno affrontare Alessandro che, di solito, un po’ li richiama all’ordine.

Spesso i genitori portano dai ragazzi di W la dislessia i propri figli per farli “curare” e alla fine può capitare che siano proprio i genitori i primi a dover cambiare certi atteggiamenti, abbattere certe ansie e farsi una sorta di esame di coscienza per le proprie pretese.

Non per cambiare la diagnosi specialistica ma per aiutare i propri figli a concentrarsi sui propri talenti.

Quello che cercano di fare i ragazzi di W la dislessia, è creare l’esigenza nelle persone di continuare ad avere voglia di imparare.

Per riassumere, i ragazzi, attraverso il gioco e la relazione (non facendo i compiti) valorizzano le loro doti compensando e mirando a colmare altre lacune; i genitori imparano a gestire la dislessia dei figli e, quando ci sono, la propria ansia o fragilità genitoriali.

W la dislessia entra anche nelle scuole grazie a giornate dedicate e a incontri specifici, un modo controintuitivo di affrontare delle realtà giovani (i DSA), numerosissime e che ancora   capita che non si sappia bene come prendere.

Ci auguriamo che venga un giorno in cui, come dicono Paola, Valentina e Alessandro, si decodifichi quella D dell’acronimo DSA non come Disturbi ma come Difficoltà perché “tuo figlio non è malato”.

Riferimenti

 

 

 

 

 

 

Per conoscere meglio il lavoro svolto da W La dislessia visita i link riportati cliccando sulle parole

On line 

?? Gruppo facebook

Canale you tube 

? Sito: www.wladislessia.com

Libri: 

? W la Dislessia – tuo figlio non è malato

W i Compiti – come dire definitivamente addio i pomeriggi di urla e litigi

 




Come le bugie manovrano la nostra vita

“C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. 

No, ragazzi, avete sbagliato. 

C’era una volta un pezzo di legno. 

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta… ”

Ci sono oggi tante persone fatte con quel povero ciocco di legno da catasta.

Ci sono oggi tante persone che, nonostante questo,

vengono amate… 

amate da un povero vecchio cuore che darebbe qualunque cosa per il bene di quei burattini di carne.

Questi moderni burattini, così come quello della favola, hanno una cosa che li accomuna: dicono le bugie.

Ma non parliamo di loro.

Parliamo del burattino famoso 

di quello del libro per bambini che tutti conoscono.

Parliamo di Pinocchio.

Le bugie lo tenevano prigioniero e non gli davano la possibilità di diventare un bambino vero.

Ma lui questo non lo sapeva.

Lui viveva di piccole bugie innocenti che lo aiutavano a non affrontare la realtà.

Di grosse bugie impegnative che lo rendevano prigioniero e gli facevano rischiare la morte.

La morte.

Bugie che riuscivano a portarlo così lontano da quello che era (con i suoi difetti ma anche con i suoi pregi) fino a trasformarlo in qualcosa di ancora peggiore e più pericoloso di un burattino: in un ciucchino in pericolo di vita.

Non era un bambino vero ma poteva morire.

Non era un burattino ma un animale da soma.

Tutto questo per colpa delle bugie.

Poi un giorno qualcosa cambia.

Pinocchio mette la testa a posto.

Capisce i suoi errori, impara ad affrontare la realtà con tutte le sue amarezze 

ed ecco che avviene la magia:

Pinocchio diventa un bambino vero.

La maschera di legno che credeva lo avrebbe salvato da qualunque cosa, cade e viene fuori l’essenza, la verità.

Ed è così che comincia il cammino di crescita dell’uomo.

————

Il fatto è che la verità fa paura.

La verità è quella parte del nostro animo che urla le nostre debolezze e per questo non la vogliamo vedere.

Ma la verità è ambrosia.

La verità è quell’aspetto del nostro essere che taglia i fili che ci rendono burattini e schiavi.

La verità ci rende divini.

In tutti i percorsi iniziatici (che mi vengono in mente in questo momento) è la verità a rendere liberi.

Ma probabilmente, come è successo a Pinocchio, è per questo che fa così paura.

——–

Dedicato a chi ha il coraggio di scoprire la verità

guardarla in faccia 

e abbracciarla.

E a chi prima o poi di stancherà di restare un ciuccio.




Lo scaffale delle cose vergognose

Grande subbuglio nella Casa dalle Finestre Rosse.
In questi giorni ho fatto ordine.

Sono stati giorni belli, di cornici appese e penne scariche buttate vie.
Mattonelle decorate e fogli strappati in modo da far scomparire i dati sensibili;
candele accese, tisane calde, gatti che correvano di qua e di là.
Vecchie foto ritrovate e tanto, tanto, tanto spazio in più.

In tutto questo mettere ordine ho creato un posto segreto, nascosto.
L’ho chiamato lo Scaffale delle Cose Vergognose.

È un posto che si trova a casa mia, che ha a che fare con me ma che ospita degli aspetti che in questo momento, non voglio che altri vedano perché stonano con il resto esposto.

Alcuni di questi aspetti sono sulla porta per andar via,
altri, chissà, potrebbero stare per entrare,
altri ancora sono segreti e basta.

Le cose che non hanno più a che fare con me le ho buttate o date via (credo molto nel regalare la roba che non ha più motivo di stare con me: abiti, oggetti ecc… perché così continueranno ad essere utili e a migliorare la vita di qualcun altro)
Gli oggetti dello Scaffale delle Cose Vergognose, invece, hanno bisogno di rimanere ancora perché, anche se in modo non ben definito, hanno a che fare con me ma non voglio che tutti lo sappiano.

Tutti noi abbiamo uno scaffale delle cose vergognose.
Si trova dentro un mobile o in bella vista nascosto dai libri.

Conserviamo quella roba dentro di noi come in alcune case si nascondono le bomboniere che non piacciono e che non si possono buttare perché chi ce le ha regalate viene spesso a farci visita.

Lo Scaffale delle Cose Vergognose lo abbiamo tutti,
è giusto che esista ed è giusto saperlo perché riusciamo a fare un ordine in questo scaffale e possiamo amarci.

In questo scaffale ci si può trovare di tutto.

C’è chi ci tiene i regali degli ex, chi le corrispondenze segrete, chi i diari, chi libri di cui si vergogna, chi i video privati, chi le maschere della propria vita segreta.

Sullo Scaffale delle Cose Vergognose trovi la pornografia, i diari, le foto, la collezione degli harmony e il libro di poesie dell’ex con la dedica scritta sopra, la Bibbia.

Cose di cui ci vergogniamo, un po’ perché non vogliamo accettarle come nostre,
un po’ perché in cuor nostro sappiamo che tra poco non saranno più nostre e usciranno da casa,
un po’ perché parlano di una nostra identità che non siamo ancora pronti a mettere sullo scaffale centrale o buttare.

Questo scaffale però esiste ed è dentro casa nostra.

Ed è importante sapere che ha a che fare con noi, amarlo e avere pazienza con lui.

Nel mio scaffale ci sono libri e video che stonano con il resto della mia nuova libreria; come precedentemente avevo tolto gli altri testi per far spazio a loro, ieri ho fatto un nuovo trasloco.

E sul vostro Scaffale delle Cose Vergognose cosa c’è?




ANCoDIS: ennesima presa in giro

Noi di Betapress abbiamo ormai da un anno segnalato in più riprese l’assurda situazione dei collaboratori dei Dirigenti Scolastici.

Ed in più occasioni abbiamo dato voce alle segnalazioni di ANCoDIS che strenuamente cerca di difendere una posizione che è fondamentale per la scuola italiana, vi rammentiamo alcune delle segnalazioni:

https://betapress.it/index.php/2017/06/18/ancodis-batte-miur-non-risponde/

 

https://betapress.it/index.php/2018/04/14/presidi-e-vicepresidi-tutti-in-ferie-per-protesta/

https://betapress.it/index.php/2018/07/14/ancodis-i-vicepresidi-lavorano-eccome/

https://betapress.it/index.php/2018/01/06/ancodis-basta-le-demagogie/

https://betapress.it/index.php/2018/02/11/ancodis-firmato-contratto-docenti-inadeguato/

https://betapress.it/index.php/2018/09/26/vicepresidi-e-chi-sono/

https://betapress.it/index.php/2018/07/17/dirigente-o-non-dirigente-questo-e-il-problema/

 

per l’ennesima volta lo Stato se ne frega altamente delle professionalità che ha sottomano e preferisce buttar via i soldi per far entrare nelle sue file persone a cui dovrà fare anni di formazione invece che agevolare chi questa formazione l’ha fatta sul campo per anni!!

riportiamo una segnalazione giustissima di ANCoDIS:

 

COMUNICATO STAMPA del 19 gennaio 2019

 

ANCoDiS: emendamento al D.L. 989 in merito alle procedure di semplificazione nella P.A..

Ennesima discriminazione dei Collaboratori dei DS.

 

E’ in corso nella 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato il confronto parlamentare sul DECRETO-LEGGE 14 dicembre 2018, n. 135 “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione”.

Da fonti di stampa leggiamo che – tra i temi della semplificazione – è stato proposto un emendamento unico che prevede una nuova modalità di selezione dei futuri Dirigenti Scolastici che di fatto supererà la procedura del corso-concorso previsto dalla Legge 107/2015 abbreviandone le fasi ed, in particolare, il percorso di formazione conclusivo.

Riteniamo ragionevole per i tempi ma non sufficiente tale iniziativa in quanto continua a non tenere conto delle professionalità presenti nella scuola italiana a partire dai Collaboratori del DS nominati ai sensi dell’art. 25, comma 5, del D.lgs. n. 165/2001.

La selezione per il ruolo di Dirigente Scolastico – oggi molto complesso proprio per le peculiarità di una autonoma Istituzione scolastica (funzioni organizzative, gestionali, di indirizzo, di promozione) – non può non tenere conto di quei docenti che in anni di servizio prestato alla collaborazione di DS titolari e reggenti hanno acquisito indubbie competenze in ordine ai temi della governance di una scuola.

Si tratta di donne e uomini (insegnanti in primis) che investono tempo ed energie in servizio dedicato anche alla gestione ed all’organizzazione della propria scuola, nella formazione specifica, consapevoli di un ruolo che, seppur non riconosciuto dallo Stato, è oggi più che mai necessario in ogni Istituzione scolastica.

Nell’espletamento del concorso che è in fase di svolgimento non si è voluto riconoscere tutto questo!

Ci era sembrato allora uno “schiaffo morale” per quei docenti professionisti (con esperienza professionale di insegnamento con un certo numero di anni di servizio nella funzione docente) che non chiedono facili scorciatoie ma giusti riconoscimenti in considerazione del fatto che hanno acquisito competenze e professionalità che – indiscutibilmente – sono sotto gli occhi di tutti.

In merito alla specifica formazione possiamo affermare senza dubbio alcuno che, grazie alla attività di collaborazione, essa è per noi “esperienza formativa” sul campo (esperienza professionale gestionale, nel diritto scolastico ed amministrativo, nel coordinamento, nella sicurezza, nella programmazione), acquisita   attraverso il confronto quotidiano con i DS, con i DSGA, con i colleghi, con gli alunni, con le famiglie.

Per queste ragioni Ancodis chiede al Legislatore di prendere atto di questa iniqua condizione e di riconoscerne formalmente la loro professionalità anche nelle fasi concorsuali che invece li hanno visti nel passato completamente discriminati.

Occorre procedere ad un riconoscimento di tale servizio nella carriera docente ed anche nel concorso per la selezione dei futuri DS (in diversi paesi europei per concorrere si deve certificare un’esperienza almeno triennale nella governance della scuola).

E’ un “risarcimento morale” per chi – in tanti anni scolastici – ha servito la Scuola Italiana senza nulla ricevere in cambio!

Chiediamo, dunque, l’integrazione dell’Art. 10 Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135 prevedendo per i Collaboratori in possesso dei titoli richiesti per l’accesso alla carriera dirigenziale nella P.A. il riconoscimento del servizio reso (almeno 36 mesi di incarico in analogia a quanto già previsto dagli organi europei), la riserva di posti (una percentuale dei posti vacanti e disponibili), la formazione riconosciuta e certificata, un adeguato punteggio aggiuntivo nella graduatoria di merito sulla base degli anni di servizio espletato nell’incarico di Collaboratori dei DS.

Non vogliamo ancora essere “vittime” di una ennesima ingiustizia perpetrata ai nostri danni NON riconoscendone il RUOLO svolto nei tanti anni scolastici, il LAVORO quotidianamente espletato, le COMPETENZE faticosamente acquisite sul campo, il TEMPO dedicato alla governance.

Chiediamo ai rappresentanti delle Istituzioni ed alle OO.SS. di dare attenzione a questi professionisti che sono importanti figure del moderno sistema scolastico italiano.

E’ il caso di ricordare che nella maggior parte dei paesi europei, la governance della scuola è condivisa da un gruppo/staff riconosciuto formalmente negli ordinamenti scolastici.

Se così avvenisse in Italia, potremmo dire di essere a pieno titolo in Europa…

 

Prof. Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo




SSSS: tutto legato allo sport.

Studio, Sport, Sacrifico e Successo iniziano tutte con la stessa lettera “S”.

Le prime due sono legate, grazie alle seconde, da un rapporto di amore ed odio.

Lo studio e lo sport tendono ad avvicinarsi perché in fondo sono due facce della stessa medaglia, la persona umana che naturalmente vuole tendere a migliorarsi.

Queste hanno un grande nemico che si chiama “tempo”, il tempo che abbiamo a disposizione che, purtroppo, è sempre limitato, è proprio lui che cerca sempre di escludere lo Studio dallo Sport e viceversa.

Per ottenere successo bisogna applicarsi, allenarsi, migliorarsi e questo richiede tempo sia nello Studio che nello Sport. Per potersi cimentare in entrambi è necessario il sacrificio che significa organizzare al meglio il proprio tempo e rinunciare a molte delle attività ludiche che normalmente si presentano ai ragazzi.

Io sono sempre stato un privilegiato in questo senso, non per meriti particolari ma per un mix di fortuna ed intuizione dei miei genitori. Nella scuola dove ho frequentato le elementari e le medie, la Laura Sanvitale di Parma, la mia attività sportiva e soprattutto i risultati positivi che ne conseguivano, è sempre stata supportata.

All’ingresso della scuola c’era una bacheca dove venivano affisse notizie ed avvisi riguardanti la scuola. Un giorno, entrando, ho visto appeso un articolo che parlava dell’ultima gara che avevo vinto e questo mi ha riempito di orgoglio.

Molto simile è stata la situazione al liceo, lo scientifico “San Benedetto”, sempre a Parma, dove, anche se le giornate di assenza da scuola inevitabilmente aumentavano perché le trasferte erano sempre più lontane, ho trovato sempre professori che vedevano di buon occhio la pratica sportiva.

Importante è stato instaurare, fin da subito, un rapporto di estrema trasparenza e in questo sono stato facilitato dal fatto che il Prof. di Educazione Artistica, Antonio Figna, giocava a golf e quindi poteva comprendere la lunghezza delle trasferte e il Prof. di matematica, Gino Passigatti, è un appassionato nuotatore, oltre che un tifosissimo della Roma. Il clima di comprensione dello Sport unito a risultati mediamente buoni hanno sicuramente aiutato il mio percorso scolastico.

Dopo il liceo ho proseguito alla facoltà di Ingegneria, dell’Università degli Studi di Parma. Anche in quel caso sono stato molto fortunato e ho trovato professori disponibili come la prof di disegno o quello di informatica. Tuttavia seguire le lezioni ed essere presente ed attivo agli allenamenti non era certamente facile. Ad un certo punto, considerando le normali sessioni d’esame diventava particolarmente difficile.

Nel 2008, con l’infortunio, temevo che lo studio avesse perso ogni speranza di continuare a far parte della mia vita. Gli allenamenti dovevano essere doppi, inizialmente per riabilitarmi poi per recuperare uno stato di forma accettabile. Ho sempre mantenuto attiva la mia iscrizione universitaria, con la speranza che prima o poi sarei stato in grado di fare qualcosa di più.

Sulla porta della mia stanza in casa ho una frase che racconta la vita di Abraham Lincoln e dice così:

He failed in business in ’31. He was defeated for state legislator in ’32. He tried another business in ’33. It failed. His fiancee died in ’35. He had a nervous breakdown in ’36. In ’43 he ran for congress and was defeated. He tried again in ’48 and was defeated again. He tried running for the Senate in ’55. He lost. The next year he ran for Vice President and lost. In ’59 he ran for the Senate again and was defeated. In 1860, the man who signed his name A. Lincoln, was elected the 16th President of the United States. The difference between history’s boldest accomplishments and its most staggering failures is often, simply, the diligent will to persevere.

Ecco che forse la voglia di perseverare ha avuto ragione anche questa volta.

L’occasione è arrivata nel 2014 quando, per la mia passione politica ho iniziato a seguire un corso intitolato la Politica 2.0 all’Università Telematica Pegaso. Ero veramente felice quando ho scoperto di poter studiare nuovamente e da li ho ripreso il mio percorso di studi passando da ingegneria a giurisprudenza.

Non so se nel 2003, quando i Ministri Moratti e Stanca vollero aprire la possibilità anche in Italia alle Università Telematiche o nel 2006 quando il dott. Danilo Iervolino, l’ideatore e presidente di UniPegaso, avessero o meno in mente il mondo dello Sport.

Sta di fatto che, anche se ancora troppo poco pubblicizzato e con qualche luogo comune di troppo, hanno creato dal punto legislativo i primi, da quello imprenditoriale pratico il secondo uno strumento che potrà cambiare drasticamente il rapporto tra gli sportivi e l’Università.

In occasione di una delle lunghe e proficue chiacchierate con il dott. Roberto Ghiretti, titolare dell’omonimo studio che si occupa di sport advisoring, ho ricevuto in regalo un libretto intitolato “secondo tempo” commissionato dalla Associazione Italiana Calciatori ed incentrato sulle prospettive che si presentano ai calciatori che terminano la loro attività professionistica.

La lettura, come prevedibile, mi ha coinvolto particolarmente sia per la mia passione per i libri, sia per la materia sportiva. Tuttavia, ho dovuto rileggere più volte la pagina dove si parlava della percentuale di atleti che conseguivano una laurea, circa il 3%*.

Secondo i dati ISTAT del 2017, pubblicati nel 2018, la percentuale di laureati in Italia si attesta al 15,7% e ci posiziona al penultimo posto in Europa.

Il mondo del Calcio in Italia è, per numeri, il più rappresentativo e constatare quanto nei suoi principali atleti, quelli che raggiungono il professionismo, il dato sia un quinto di quello nazionale è emblematico.

Premesso che sono fermamente convinto che la laurea non sia indice di intelligenza, anzi molte delle persone che hanno dimostrato di avere capacità oltre la media non sono laureate a partire da William Henry Gates III (Bill Gates) che grazie alle sue intuizioni ha di fatto rivoluzionato il mondo.

Tuttavia, preso con le dovute cautele, il dato è quasi drammatico perché non tutti sono Bill Gates, o Steve Jobs anche perché molti degli atleti in questione sono già stati “fuori dalla norma” nella loro disciplina.

La formula telematica per lo studio può diventare una soluzione ottimale per gli sportivi. Questo si può verificare spiegandone le potenzialità per quanto riguarda il tempo.

Nella mia esperienza all’UniPegaso, ho potuto visualizzare le lezioni comodamente dal computer in casa o in una camera d’albergo durante le gare, ho potuto scegliere fra le molte opzioni di date e sedi per sostenere gli esami e, forse una cosa ancora più importante, ho avuto degli insegnanti straordinari.

Un altro punto a favore delle università telematiche è proprio quello di poter avere dei docenti di altissimo livello, in quanto anch’essi non sarebbero più obbligati alla presenza in aula ad ogni lezione ma possono comodamente registrarla e lo studente, come detto, può visualizzarla quando è più opportuno.

Ritengo questo punto estremamente accattivante per gli sportivi in quanto uno atleta è abituato a competere e vuole vincere per questo cerca di circondarsi sempre del meglio: dal tecnico al preparatore atletico, dal caddie nel golf al procuratore nel calcio e sapere anche nell’università di poter apprendere dal meglio sicuramente gli consente di sentirsi soddisfatto.

Non intendo dire che nelle università convenzionali i professori siano meno capaci. Sicuramente quanto detto è un valore aggiunto per l’attrattiva delle telematiche verso il mondo sportivo.

Non tutto è “rose e fiori”. Naturalmente si contrae il rapporto ed il confronto con gli altri studenti che, così come alcune attività laboratoriali, possono essere dei momenti estremamente formativi che, per ora, sono riservati alle Tradizionali.

Spero tuttavia che ci possa essere più sinergia tra entrambe le modalità per agevolare gli sportivi, non certo per i profitti, quanto per concedere la possibilità di proseguire gli studi a tutti quelli che hanno anche altre attività, in particolare quelle sportive che hanno in media una continuità molto ridotta nel tempo ma che richiedono il massimo della dedizione.

 

*3,8% riferito ai calciatori professionisti nella stagione sportiva 1992/1993

 

 

 

 

 

Andrea Vaccaro




L’indipendenza di Stampa

La libertà di stampa viaggia a braccetto con quella che, mi permetto di chiamare, è l’indipendenza di stampa.

Mi rendo conto che i puristi storceranno il naso alla frase “indipendenza di stampa”, ma certamente è una frase che diviene sempre più significativa al giorno d’oggi.

Essere indipendenti quando si è giornalisti è un dovere nonché diritto fondamentale per svolgere al meglio il mestiere di giornalista, infatti un giornalista indipendente è portato a tutelare la notizia che racconta ed il lettore che la legge, e nessun altro.

Oggi è fin troppo facile ammantarsi la bocca con la parola libertà di stampa, ma è l’inevitabile abbinamento di libertà con indipendenza che oggi dovrebbe essere elemento di attenzione da parte dei lettori.

Forse oggi la stampa è libera, ma di sicuro non è indipendente!

Ovviamente quando parliamo di stampa intendiamo anche le televisioni, le radio etc. etc., insomma tutti quei mezzi di diffusione dell’informazione a livello di massa.

Ma quali sono le vere dipendenze che oggi vincolano la stampa italiana?

Prima fra tutte la “morbosità” del lettore, il piacere quasi tranquillante di vedere che qualcuno è peggio di noi, o sta peggio di noi, o vive peggio di noi, o alla via così avete capito benissimo; questa “morbosità” porta i giornalisti a fare delle domande idiote come ad esempio alla mamma che ha perso il bambino “signora come si sente?”, o cose similari che normalmente al sentirle mi fanno personalmente andare in bestia ma che purtroppo vedo far alzare gli indici di ascolto.

La seconda non meno significativa è la dipendenza da un editore; ma non è detto che sia lo stesso del giornale o della tv,  a volte è quell’editore che sui suoi mezzi di comunicazione di massa apre spazi assoluti ai vari direttori di giornale dando credibilità e visibilità alla testata da loro diretta.

Se ci fate caso in quasi tutte le trasmissioni televisive ci sono direttori di giornale / giornalisti che commentano i fatti del giorno!

Una volta in tv i direttori di giornale andavano per intervistare i politici e non per fare i politici.

Questa seconda dipendenza diventa gravissima quando riesce a distogliere l’attenzione, di chi svolge il ruolo di giornalista, dai fatti.

E poi c’è la terza dipendenza, la legge del click, la mortale dipendenza dagli sponsor, dagli inserzionisti, che oggi obbliga i giornalisti a diventare dei “marchettari” pur di raccogliere sponsorizzazioni / Pubblicità.

Infine c’è il finanziamento pubblico all’editoria!

Non fraintendetemi questo istituto nasce con un buon intento, proprio quello di togliere la carta stampata dall’influenza degli sponsor, ma inevitabilmente l’ha messa sotto lo scacco dell’influenza politica.

In pratica impossibile parlare di stampa indipendente, cosa grave anche solo perché oggi ci sono troppi canali di diffusione delle informazioni, e di tutti questi nessuno risulta affidabile.

Libertà, Indipendenza, Affidabilità, questi sono i principali vocaboli che identificano, o che dovrebbero identificare, una fonte di informazioni, che sia essa un giornale, una tv, una radio, ma anche solo il singolo giornalista che scrive.

Troppe volte vediamo un uso distorto dell’informazione, piegata a necessità differenti da quelle del servizio al lettore, troppe volte uccidiamo un poco di noi stessi per poter aumentare la visibilità.

Tutto questo mina alla radice il rapporto con il lettore, distruggendo un altro valore importante, ovvero la credibilità.

Ormai nessuna fonte gode più della credibilità assoluta, ma tutte sono soggette al maleficio del dubbio da parte del lettore, ovvero quella sottile sfiducia che ci guida nella lettura di ogni notizia su qualsiasi fonte.

Una situazione insostenibile che, se non sanata nel breve, potrebbe portare ad una incolmabile frattura fra lettore e giornale, portando qualsiasi notizia a livello di fake news.

Quali sono le soluzioni?

Questa la mia ricetta che offro sempre ai miei giornalisti quando iniziano a scrivere per betapress:

  1. Intanto riflettere su quello che si scrive!
  2. Anche a rischio di non essere i primi ad uscire con la notizia, sarebbe bello se il ragionamento fosse: “meglio una notizia vera che una notizia subito”.
  3. Magari verificare le fonti, anche con una telefonata di approfondimento in più, piuttosto che fidarsi di un riporto da altra testata.
  4. Scrivere dopo essersi informati sul fatto e su tutto quello legato al fatto: troppo spesso chi scrive non approfondisce la tematica che tratta, il tutto a danno del lettore.

Viene una facile considerazione: se si facesse davvero il mestiere del giornalista, oggi non uscirebbe più una notizia in tempo reale, ma viene anche da dire che forse sarebbe meglio.

Libertà, Indipendenza, Affidabilità, Credibilità, difficile trovarle tutte in una fonte.

Alla fine mi rendo conto che oggi è diventato un mestiere anche quello del lettore, se viene fatto bene, perché scegliere a chi dare la propria fiducia, scegliere a chi regalare il proprio tempo è importante tanto quanto scrivere con onestà.

La mia convinzione è che per fare un buon giornale non occorre scrivere tanto, ma scrivere bene.

 

Corrado Faletti

Direttore

 

 

 

 

 

 

 




Genocidio Culturale

Le ruspe della politica contro gli ulivi secolari della cultura.

E’una triste storia, quella che vi stiamo raccontando. E, nessuno, sinora, ha deciso di raccontarla, perché scomoda, molto scomoda.

Siamo a Foggia, precisamente a Cerignola. C’è un Istituto Agrario, il Pavoncelli, con una fiorente azienda agricola annessa. Ogni anno aumenta il numero degli iscritti dell’Istituto. Ed i ragazzi dell’azienda agricola fanno ricerca e sperimentazione su nuove forme di “cultivar” autoctone, straniere ed ibridi genetici, oggi introvabili. Arrivano a produrre persino un olio certificato d’eccellenza seguendo ed amando, quotidianamente, 1650 piante di ulivo. I terreni su cui coltivano sono un lascito testamentario del 1868. Il patrimonio immobiliare rimanda infatti ad una benefattrice. Anna Maria Raffaella Manfredi, vedova Pignatari, che nel suo testamento lasciò i suoi terreni affinché fosse costituita l’Opera Pia Manfredi–Pignatari. Lungimirante e generosa donna d’altri tempi che volle un Ente morale per realizzare la Scuola pratica di agricoltura, col fine di “accogliere e mantenere dei giovanetti poveri e di educarli avviandoli principalmente nell’agricoltura”.

Dunque, da più di un secolo, generazioni di allievi dell’Istituto agrario Pavoncelli continuano a studiare la teoria, ed applicare la pratica, sui terreni dell’azienda agricola annessa. Terreni che non sono del Comune, ma fondi rustici aziendali di proprietà del Pavoncelli.

Fino a che, un brutto giorno, arrivano le ruspe.

Di chi? Del Comune. Per fare cosa? Distruggere tutto.

Bisogna fare spazio e costruire un Palazzetto dello sport ed un centro commerciale. Con quali soldi? Con quelli ottenuti dalla vendita dei terreni dell’azienda agricola.

Tutto a norma di legge, dice il Comune.

Un po’ meno, per noi, che siamo andati ad informarci.

Il Tribunale di Foggia con Sentenza n.1039 del 19/10/1991, passata in giudicato, nella causa civile tra Istituto Tecnico Agrario Pavoncelli C/ Comune di Cerignola, ha dichiarato il Comune di Cerignola proprietario del fabbricato adibito a scuola e possessore a titolo enfiteutico dei fondi rustici dell’azienda agraria.

Nella richiamata Sentenza è effettuata un’analitica ricostruzione delle vicende.

I fondi rustici, costituenti l’azienda agraria, appartenevano alla Fondazione Opera Pia Manfredi-Pignatari, fondata nel 1872.

Due anni dopo, la Fondazione diventa “Istituto Agricolo” e gestisce la distinta “Scuola pratica di agricoltura”, originariamente istituita dalla stessa testatrice.

Nel 1933, la Scuola pratica di agricoltura si trasforma in “Regia Scuola Tecnica a indirizzo agrario”. Ed infine, la Regia scuola Tecnica è rinominata Istituto Tecnico Agrario Statale “Giuseppe Pavoncelli”.  Si tratta di soggetto giuridico distinto dall’originaria fondazione Opera Pia Manfredi-Pignatari, che era stata sciolta alla fine del 1923, individuando, nell’Ospedale civile di Cerignola, il successore e gestore della cessata Opera Pia.

Fatto molto importante, tra l’Opera Pia e il Comune di Cerignola, ai fini degli scopi della fondazione, è stato stipulato in data 4/07/1889 e 13/07/1889 un ATTO ISTITUTIVO DI ENFITEUSI PERPETUA, avente ad oggetto i fondi costituenti l’attuale azienda.

Cioè il Comune, dal 1889, gode di un diritto reale di godimento su un fondo altrui, però s’impegna a migliorarlo. In tal senso, il Comune di Cerignola si è impegnato a destinare gli stessi fondi agli scopi della Scuola pratica di agricoltura.

Stante gli obblighi derivanti dalla Legge n.889/1931 (che poneva a carico degli enti locali i mezzi necessari per l’espletamento dell’attività didattica delle scuole e degli istituti di istruzione), il Comune ha poi destinato i fondi posseduti sempre a titolo di enfiteusi con vincolo di destinazione all’ITAS Pavoncelli;

Infine, Il Comune di Cerignola nel mese di agosto 1889, ha acquistato dall’Opera Pia il fabbricato destinato a sede dell’Istituto con impegno a mantenere ferma la destinazione scolastica.

Fin qui tutto bene.

Purtroppo, con la Legge n.23 del 1996, gli immobili utilizzati come sede delle istituzioni scolastiche, sono trasferiti, in uso gratuito con vincolo di destinazione ad uso scolastico, alle province.

Le province, si assumono gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché gli oneri dei necessari interventi di ristrutturazione, ampliamento e adeguamento alle norme vigenti. I relativi rapporti sono disciplinati mediante convenzione.

Ebbene, con Atto di Convenzione del 17.09.1999 il Comune di Cerignola ha trasferito alla Provincia di Foggia gli immobili scolastici, fabbricati e fondi rustici, in forza di quanto previsto dall’art. 8, comma 1 della Legge n.23/96.

Praticamente, cosa è successo?

il Comune di Cerignola, enfiteuta, cioè locatario perpetuo dei terreni, si è comportato da proprietario.

  • con D.G.C. n.54 del 27/02/2017 ha inserito nel “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” il suolo, facente parte dell’azienda agraria, una superficie di 10.000 mq. (Peraltro, nella stessa delibera è precisato che il Comune ha il titolo di livellario e non di proprietario!).
  • con D.G.C. n.98 del 12/04/2017 ha approvato il progetto esecutivo per la realizzazione del palazzetto dello sport sull’area individuata al foglio 276, p.lla 579 (parte ex95), facente parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto Agrario Pavoncelli.

E come se non bastasse, si legge nella delibera: “…  si procederà ai sensi dell’art.191 del D.Lgs 50/2016, a finanziare l’opera, in toto, con la permuta di un’area di proprietà comunale, prevista nel Piano di alienazione e valorizzazione dei Beni comunali, giusta deliberazione n.54 del 27/02/2017, individuata nel Foglio 276 particella 94 (parte) di circa 10.000 mq. Zona F2 di Prg, per un importo pari a € 1.830.000,00 …”.

Cioè si finanzieranno i lavori di costruzione con l’esproprio dei terreni!!! Infatti, la particella da permutare fa anch’essa parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto.

E per non aver problemi, il Comune di Cerignola, con Delibera del Consiglio n.55 del 25/07/2017 ha inserito nel Piano delle Alienazioni e Valorizzazioni dei Beni Comunali il suolo facente parte dell’azienda agraria dell’Istituto, come livellario.

Giusto per intendersi, il “livello” non ha una definizione normativa, tuttavia la giurisprudenza di legittimità lo considera un istituto corrispondente di fatto all’enfiteusi e quindi ad esso applicabili le relative norme del codice civile.

Allora il “livellario” gode di un diritto reale che esercita su fondo appartenente ad altri, detto concedente. Quindi il Comune di Cerignola ha disposto liberamente di un bene, ma, come enfiteuta, non può liberamente disporre e tanto meno alienarlo!!!

Ma, la vergogna nella vergogna, è che il fondo rustico permutato (foglio 276, p.lla 94) era investito a oliveto super intensivo con 1650 piante di varietà nazionali ed estere, impianto sperimentale realizzato con il contributo della Regione Puglia e la partecipazione attiva dell’Università di Bari (vedi relazione tecnica del Direttore del Dipartimento di Scienze agroambientali e territoriali Università di Bari).

L’oliveto sperimentale rientrava tra le strutture messe a disposizione per la realizzazione del Laboratorio di Occupabilità, in rete con altre scuole cittadine e pugliesi, università, enti pubblici e privati, associazioni e aziende, capofila IISS “R. Lotti – Umberto I” di Andria, risultato beneficiario del finanziamento di 500.000,00 euro per il laboratorio denominato “Oligreen tech lab”, previsto nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale di cui alla Legge n.107/15, la cd Buona Scuola.

A tutela dell’IISS Pavoncelli è stata presentata interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Umberto D’Ottavio,  e dalla senatrice Angelica Saggese, in ordine all’alienazione dei fondi aziendali.

In risposta alle interrogazioni, l’allora Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha assicurato di continuare a seguire la vicenda al fine di salvaguardare l’offerta formativa dell’Istituto “Pavoncelli” di Cerignola. (ci sembra che il risultato sia stato ottimo. NdR)

L’Avvocatura Distrettuale di Bari ha presentato in data 26/07/2016 ricorso al TAR Puglia contro la Determina del Dirigente Settore Patrimonio del Comune di Cerignola n.434/22 del 07/06/2016, in esecuzione della D.G.C. n.29 del 5/02/2016, che concedeva in comodato d’uso gratuito per la durata di anni 9 (nove) all’Associazione “Gli Amici di Balto” la superficie di 10.000 mq – foglio 276, particella 446 (ex 9) – facente parte dei fondi rustici dell’azienda di istituto.

Nella stessa Determina si legge a pagina 2 “il Comune di Cerignola è proprietario del fabbricato adibito a scuola dell’Istituto Tecnico Agrario Statale “G. Pavoncelli” nonché possessore a titolo enfiteutico di appezzamenti di terreni dell’estensione di circa ha 25 e che costituiscono l’azienda agraria di cui il detto Istituto è titolare”.

Con Ordinanza n.434/2016 il TAR Puglia rigettava la domanda cautelare per insussistenza di “periculum in mora” e per l’attualità si è ancora in attesa del giudizio di merito.

L’Avvocatura distrettuale ha presentato anche azione di manutenzione in possesso presso il Tribunale Civile di Bari, che ha rigettato la domanda così motivando: “La declaratoria del difetto di giurisdizione preclude l’esame del merito della vicenda …”.

Praticamente, nulla di fatto a tutela dei diritti del Pavoncelli.

Ora, dopo aver tediato i nostri lettori con questa dovizia di particolari, ci limitiamo a segnalare che le azioni realizzate dal  Comune di Cerignola sono palesemente fuori legge.

E vi spieghiamo come.

  • violazione artt. 957 c.c. e seguenti per effetto dei quali non appartiene all’enfiteuta il diritto di vendere o permutare un fondo;
  • violazione Legge n.23 del 1996, art.8, comma 1 – trasferimento degli immobili utilizzati come sede delle istituzioni scolastiche alle province.
  • violazione D.Lgs 50/2016, l’art.191 prevede la permuta quale corrispettivo qualora il bene da cedere non assolva più, secondo motivata valutazione, funzione di pubblico interesse, funzione che permane visto il vincolo di destinazione scolastica.

Per effetto delle azioni poste in essere è stato operato dal Comune di Cerignola spoglio violento, privando l’IISS Pavoncelli del possesso dei beni, così catastalmente individuati al foglio n.276:

  • lla n.604 (ex 94 parte) di Ha 1.05.62;
  • lla n.446 (ex 9 parte) di Ha 1.00,00;
  • lla n.579 (ex 95 parte) di Ha 1.00,00.

Non abbiamo altro da aggiungere, se non questo.

Cerignola ha bisogno di una moderna struttura sportiva, dove realizzarla?

Sui fondi rustici dell’Istituto Agrario Pavoncelli.

Quale la fonte di finanziamento per la nuova struttura?

L’oliveto sperimentale dell’Istituto Agrario Pavoncelli.

La miopia dei nostri amministratori ha sottratto alle ordinarie esercitazioni agrarie 30.000 mq di superficie aziendale.

“Il nove agosto 2018- è il preside Pio Mirra che parla- abbiamo assistito all’estirpazione di 1650 piante di olivo con le ruspe, trattando le piante come mattoni. Eppure in quel campo sperimentale si faceva ricerca, sperimentando nuove forme di allevamento di cultivar autoctone, straniere e ibridi genetici, oggi introvabili. Le ruspe senza fare alcuna distinzione non hanno avuto alcun riguardo e annullato anni di ricerca. La logica del cemento sta affossando il nostro paese e i toni del dibattito non di rado ci autorizzano a pensare che la cultura, la scuola non siano più la bandiera dei nostri governanti. Nelle nostre terre i genitori contadini si spezzavano la schiena pur di fare studiare i figli e assicurare loro un futuro migliore. Oggi sono diventati “eletti” coloro che magari a scuola occupavano l’ultimo banco e si è convinti che sport e ipermercati siano più importanti della scuola, rovesciata dalla cultura del danaro. Chi, prima di stare in mezzo alla gente, si è fatto un giro in mezzo alle pagine dei libri, dovrebbe saperlo, ma a guidare il paese ci mandiamo quelli dell’ultimo banco”.

Non possiamo che condividere, pienamente ed amaramente, la posizione del dirigente scolastico e di tutto il personale del Pavoncelli.

Siamo convinti che anche altri cittadini, fuori dal mondo della scuola, vedano, in questo scempio, un’assurda manovra politica contro la proprietà, ma soprattutto la libertà di chiunque di noi.

E’ vergognoso che venga violata la volontà di una benefattrice che più di un secolo fa, ha creduto nella cultura come riscatto sociale. E’ inammissibile che, con dei giochetti politici, ci si appropri indebitamente di terreni di proprietà inalienabile di un Istituto scolastico. Ed è anticostituzionale che lo Stato avvalli il sopruso di compromettere il diritto alla cultura, oltre che alla coltura, per assecondare delle logiche consumistiche.

Altro che insegnare che la cultura è libertà! Gli alunni del Pavoncelli, e noi con loro, cosa vediamo?

L’abuso di potere politico, la connivenza delle Istituzioni con degli interessi economici consumistici di parte, e l’asservimento del diritto all’istruzione al connubio politica-marketing.

Il sogno proposto per le future generazioni non è più il riscatto sociale con la cultura, lo studiare per capire e l’imparare per migliorare. Il sogno, anzi l’incubo proposto alle nuove generazioni, è crescere per diventare un popolo ignorante, che consuma prodotti fittizi, secondo bisogni indotti.

E, magari, l’ha già imparato vedendo cos’è successo a scuola, vota per chi è ricco, potente, famoso e pure mafioso.

Un popolo complice, lentamente, ma inesorabilmente complice, di chi gli ha tolto la libertà di ribellarsi, convincendolo pure che è per il suo bene!

 

Antonella Ferrari

 




L’umile fioraia, la figlia talentuosa e il seme della presunzione

C’era una volta una umile fioraia.

Nel villaggio tutti conoscevano l’umile fioraia e tutti andavano a comprare i fiori da lei.

Era brava nel suo lavoro e tutti le volevano bene.

La fioraia aveva una figlia che cresceva nella sua bottega.

La bambina aveva molta passione per i fiori e osservava con fame di sapere tutto quello che faceva e diceva la madre.

La madre insegnò alla figlia tutto quello che sapeva.

Poiché l’umile fioraia sapeva che il talento va nutrito per diventare virtù,
quando capì che la figlia era migliore di lei e lei non aveva più nulla da insegnarle, cercò in giro a chi poter affidare la figlia talentuosa.

Cercò e cercò
Chiese e chiese
Verificò e verificò.

Fu così che seppe che in un villaggio lontano viveva la regina dei fiori.
Una coltivatrice di fiori con grande esperienza e tanto da insegnare.

L’umile fioraia prese la figlia talentuosa e la accompagnò, attraverso valli, fiumi e montagne, dalla regina dei fiori affinché imparasse da lei.

La regina dei fiori prese in simpatia la figlia talentuosa tanto che desiderò farla diventare coltivatrice.

Ogni volta la regina dei fiori insegnava qualcosa alla figlia talentuosa e la rimandava a casa affinché applicasse la regola sul suo piccolo e nascente giardino.

La figlia talentuosa era diventata così brava e famosa che nel villaggio e dai villaggi vicini altre figlie volevano imparare la virtù.

Così chiesero aiuto all’umile fioraia che, di buon grado, insegnava loro tutto ciò che sapeva per coltivare il talento e poi le mandava a imparare la virtù dalla regina dei fiori.

Fu un periodo bellissimo:

Nel villaggio e nei villaggi vicini era tutto un fiorire di nuovi bellissimi giardini e l’aria era piena di inebrianti profumi.

Un giorno accadde una cosa.
Un seme nero e sconosciuto germogliò nel cuore della fioraia e fece sbocciare un pensiero triste nella sua mente:

“Ormai sono anni che accompagno la mia virtuosa figlia dalla regina dei fiori.
Ho ascoltato ogni sua parola e visto mettere in pratica ogni suo insegnamento.
Cosa ha oggi la regina dei fiori da insegnare alle mie allieve che io non sappia già?”

Quello fu l’inizio della fine.

Purtroppo una fioraia, a differenza di una coltivatrice, non conosce la natura dei semi e non sa come estirpare le piante maligne.

E così il triste fiore divenne, nel cuore della fioraia, una robusta pianta infestante.

Da allora, a poco a poco, l’arida fioraia dissuase le sue giovani giardiniere dall’affrontare tutti quei viaggi e quei disagi dicendo che avrebbe lei insegnato quello che c’era da imparare.

Sua figlia, d’altronde, era la prova della sua bravura.

Le giovani giardiniere si fidarono della loro maestra e si affidarono a lei per i loro giardini.

Ma una fioraia non è una coltivatrice.

La fioraia sa scegliere i fiori e farne belle confezioni,
sa insegnare come migliorare la vita delle piante
ma non sa nulla di come si prepara la terra e di quante stagioni cattive bisogna aspettare per averne una buona.

Né come fronteggiare le condizioni avverse per trasformarle in propizie.

La fioraia sa curare ma non conosce la pazienza della coltivatrice.

È facile allora immaginare quello che accadde:

nel giro di poco la bellezza cominciò a venir meno e i profumi si affievolirono.

Per colpa della presunzione della fioraia i giardini cominciarono a seccare.

Alcuni mantennero qualcosa di bello, ma molti altri andarono perduti.

Tra chi scelse di continuare a fidarsi della fioraia presuntuosa, chi aveva talento lo mantenne ma tutta la virtù andò perduta.

Delle altre non sappiamo in questa fiaba.

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Dedicato ai delicati animi che hanno trovato il loro talento e lo vogliono trasformare e consolidare ogni giorno in virtù.

Che nessuno pensi mai che la conquista delle virtù possa essere fatta e mantenuta con la comodità.




Il docente invisibile

Leggo sui siti dedicata alla scuola che vi è una proposta del Ministero della Pubblica Istruzione per limitare i passaggi a cattedra dei docenti di sostegno, che sono pochi e tendono, dopo i 5 anni di obbligatorietà, a  ritornare su cattedra e per questo sono disposti a lasciare sedi “comode” e conosciute per sedi magari lontane o in montagna con conseguente disagio.

Il Ministero, come sempre, risponde con divieti e norme volte a penalizzare i docenti, invece di chiedersi come risolvere il problema alla fonte.

Perché i docenti di sostegno decidono di tornare in cattedra?

La risposta è abbastanza semplice: perché non sono considerati docenti, né dai colleghi, che li vedono come degli scansafatiche, privilegiati, perché” non hanno le classi”, “non fanno niente”, “ hanno pochi alunni” , “ non sarebbero in grado di insegnare”, e dai genitori degli alunni della classe come “quelli incapaci di insegnare, perciò puniti  con questo ruolo”.

IL docente di sostegno è in realtà docente pluri specializzato, poiché ha almeno due specializzazioni, talvolta anche più di due; è un docente della classe che deve favorire l’integrazione dell’alunno disabile, ma non è un precettore privato per un solo ragazzino; il docente di sostegno è una risorsa, poiché è chiamato a provare e trovare altre strategie per insegnare contenuti complessi.

Tutto questo è un docente di sostegno, ma molto spesso non si sente così, sente di aver perso qualcosa, di non avere un ruolo definito e si trova a fronteggiare da solo situazioni complesse, che non sono prese in carico dagli altri docenti, ma solo da lui, perché non viene consultato talvolta neppure per quanto riguarda il “suo alunno”, perché sente di non avere un ruolo definito, di non godere della stima degli altri professori, di essere in altre parole invisibile, se non addirittura il capro espiatorio del gruppo docente.

Quale potrebbe dunque essere la soluzione? Poiché no ho fiducia che cambi la percezione sociale del ruolo docente, tanto meno di quello di sostegno, ritengo che sarebbe utile intanto , come alcuni dirigenti illuminati hanno già pensato e fanno, fare in modo che i docenti di sostegno siano chiamati a tenere lezioni su argomenti , ovviamente della propria materia, alla classe nella quale esercitano, in modo che i ragazzi possano percepire il docente di sostegno come un docente effettivo e i colleghi possano confrontarsi nel proprio modo di insegnare con altre strategie  e metodi; ovviamente ciò dovrebbe essere imposto dall’alto, poiché i docenti sono spesso gelosi della propria classe e refrattari a ogni confronto costruttivo ( generalizzando, si intende, poiché esistono molti insegnanti disposti al cambiamento e alla autocritica).

Ne lungo periodo suggerirei al Ministero di operare in modo che ogni docente debba fornire una parte di orario da dedicare al sostegno, in altre parole, che, per ogni insegnante curricolare, almeno una porzione di orario ( 4 /5 ore settimanali) sia dedicata ai ragazzi diversamente abili, in modo che imparino a conoscerli, a comprenderne le difficoltà e a capire quali strategie utilizzare.

Ovviamente ciò non sarà e quindi diaspora sia !!

 

Paola Delibra