Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

Didattica a distanza?!? Ma, per favore, non prendiamo in giro…

Premesso che sono nella scuola da 30 anni e che sono pure bergamasca, aggravante di questi tempi, lasciatemi dire perché la didattica a distanza non funziona, e men che meno, non funzionano le prime indicazioni operative del Miur.

Sul piano normativo, i sindacati (tutti, incredibilmente concordi) chiedono l’immediato ritiro della circolare, sottolineando che in questo momento straordinario in cui il Governo ha decretato la sospensione delle attività didattiche, l’attivazione della didattica a distanza non può limitarsi a replicare contenuti e modalità tipiche di una situazione di normalità”.

Io, mi limito a dire che non è menzionato, nel contratto nazionale, il fatto che io debba firmare il registro elettronico, men che meno, se non entro, materialmente, in classe.
Non tutti i miei alunni sono provvisti di connessione valida per la didattica a distanza.
L’adesione degli alunni è volontaria, il loro patto formativo non prevede attività a distanza e valutazioni a distanza obbligatorie.

Le valutazioni fatte al di fuori dall’aula scolastica ed in orari in cui non è prevista didattica sono illegali, come lo certificano innumerevoli sentenze del TAR.

E poi, la privacy, dove la mettiamo? L’impiego di video lezioni o comunque di strumenti che facciano uso dell’immagine fisica del docente e dei suoi studenti, non rispettano la privacy.

Se gli studenti, attraverso i genitori, possono fornire delle liberatorie in merito all’uso di immagini e filmati, come fa, invece, un docente a garantire la propria privacy? Come fa un docente ad essere certo che, mentre sta svolgendo una video lezione, non venga filmato da qualcuno e che questo video non finisca pure su you tube?

E poi, lasciando fare ai sindacati la loro parte, sul piano dell’esperienza, la didattica a distanza esaspera due mali della scuola italiana: il protagonismo ed il parassitismo.

Dal momento in cui hanno sospeso le lezioni, alcuni di noi si sono fiondati in una gara di competenze tecnologiche digitali trascinando con sé gli alunni e le loro famiglie in un vortice infernale di link, password, piattaforme digitali ed allegati virtuali.

Altri, dall’oggi al domani, sono spariti, su quel treno che li ha riportati a casa, oppure si sono defilati con la scusa dei problemi di connessione, o, magari, si sono dimenticati di essere gli animatori digitali tanto invocati dalla scuola che si fingeva d’avanguardia…

Ma, c’è anche chi, come la sottoscritta, in coscienza, sa di non appartenere a nessuna delle due categorie precedenti. Non mi sento né protagonista, né parassita.

Non mi sento più niente. Questa scuola non mi appartiene.
Per me, la didattica a distanza è una fatica immane.

Io da sempre vivo (e non semplicemente faccio) una didattica in presenza, una didattica di relazione e non di prestazione.

Io non offro un prodotto, ma stimolo un processo.

Io, quando entro in classe, scendo in campo. E la lezione reale è un gioco di squadra, per tutti.

La didattica digitale non è così, è altamente esclusiva. Sia per i docenti che per i discenti.
Lo sperimento ogni giorno.

Più il tempo passa più ci stiamo perdendo, tra di noi, docenti, ma, soprattutto perdiamo i nostri studenti.

È una catastrofe.

Non parlo della mancata presa visione dei compiti da parte delle famiglie.

Non parlo delle difficoltà nell’invio degli elaborati agli insegnanti.

Ci può stare…
Parlo dell’assurda pretesa di valutare i risultati dei nostri alunni, perché, ditemi voi, che senso ha valutare dei compiti svolti a distanza, senza nessun controllo?!?

Che senso ha chiedere loro delle competenze strumentali da nativi digitali che primo non esistono, e qualora ci fossero, confermano la mancanza di giudizio critico, di capacità di riflessione, di formulazione di ipotesi?

(Manco sanno costruirti una mappa concettuale in presenza, figurati on line?!?)

Lasciamo stare poi, i programmi, o meglio la programmazione didattica, come dicono loro, quelli del Miur.

La programmazione didattica va rimodulata, ci suggeriscono…

Bene, la programmazione didattica è saltata in aria, vi dico io, come le nostre vite.

Se mai, per grazia di Dio, dovessimo ritornare a scuola, giusto in tempo per fare gli esami, non penso proprio che chiederò ai miei alunni di parlarmi di un argomento di civiltà…

Perché la scuola è altro.

È il luogo dello stare.

Dove devono stare i ragazzi per imparare.

E’ il luogo dell’emozione e della relazione.

Dove si apprende insieme, costruendo la lezione non per gli alunni, ma con gli alunni.

La scuola è cura, è luogo di accoglienza, di incontro, di costruzione del sapere.

È un luogo pubblico in più. Gratuito o quasi.

È il LUOGO per eccellenza a fronte di tanti NON LUOGHI.

E poi, come se non bastasse tutto questo, guardiamo i fatti.

Cosa sta succedendo in questi giorni di lezioni on line e di classroom?

Spariscono gli alunni.

La didattica a distanza uccide la scuola, perché incrementa il suo abbandono.

Con le lezioni virtuali perdiamo gli studenti più fragili, quelli meno motivati, spesso già trascurati in famiglia.

Da che non sono più entrata in classe, di almeno 20, anche 25 studenti, io ho perso traccia.

E non parlo solo di stranieri, anche di ragazzi seguiti dai servizi sociali, di ragazzi borderline per gli addetti ai lavori… 25 alunni persi, scomparsi.

Il 10- 15% sul totale delle mie classi.
E mi direte voi… chi se ne frega!

E no! È il mio mandato istituzionale tenerli a scuola!

Non funziona così!

Ti mando i compiti.

Magari! Non funziona.
Non si tratta di compiti, fosse solo quello il problema!

E comunque chi ho perso: fra i tanti deboli, quelli ancora più deboli, per mille motivi; famiglia assente, nessun controllo, nessun strumento digitale, niente soldi per i giga, niente supporto di educatori comunali…

DSA, BES, stranieri, tutti quelli che arrancavano ora si sono persi.

Ed io con loro.

Ed allora, alla sera, quando non dormo, penso all’immunità di gregge, quella della scuola italiana del 2020, quella che vogliono quelli del ministero, quando ci parlano di didattica a distanza.

A loro, proprio a loro, vorrei dire “non vantatevi più tanto delle vostre scuole super tecnologiche, che tanto in Italia, non esistono.

Non inventate dei sondaggi docimologici per farci credere che siamo tutti bravi.

Voi che pensate di aprire le danze e di trovare noi che balliamo a tempo…

Io non ci sto, io continuo a pensare a chi resta indietro. A chi arranca, a chi brancola nel buio”.

Forse perché, mai come in questi giorni, mi sento una di loro…

 




Coronavirus: andrà tutto bene, parte seconda.

Andrà tutto bene? Ciak, si gira…

Altro giro, altro regalo…

Continuiamo il nostro viaggio nell’ universo lavorativo italiano,alla ricerca dell’effetto domino provocato dal covid 19 nell’economia del nostro paese.

Come detto ieri, noi di beta press, vogliamo sondare il disagio collettivo (senza filtri) delle diverse categorie di lavoratori coinvolti (e sconvolti!) dall’ impatto del coronavirussull’economia.

Oggi, passiamo al mondo dell’edilizia e dell’architettura. In particolare in due regioni, Piemonte e Lombardia.

Le stesse domande di ieri, le abbiamo poste ad un notoimpresario edile novarese.

E poi ad un altrettanto noto architetto libero professionistabergamasco.

In entrambi i casi, non mettiamo i loro nomi, perché, giustamente, in un momento in cui tutti fanno a gara ad apparire, i professionisti da noi intervistati, preferiscono parlare a nome della loro categoria, sapendo di farsi portavoce di opinioni condivise.

Betapress-Criticità specifiche del proprio lavoro in generale e, soprattutto adesso.

Impatto economico e problemi fiscali.

Decreto di marzo efficace o inadeguato?

Cosa è impellente in questo momento e nei prossimi mesi?

Soluzioni possibili o propaganda elettorale?

Focus sul mondo dell’edilizia.

“Le imprese edili come la mia, hanno a che fare con i privati che,chiaramente, al momento, preferiscono sospendere i lavori. E’tutto bloccato, non possiamo svolgere nessun lavoro, non solo all’interno, per legge è vietato, ma anche all’esterno, perché i clienti preferiscono non avere operai che transitano nel cortile.

Dunque, l’impatto economico è rilevante, se non lavori, nonporti a casa i soldi, non guadagni.

Stanno prorogando i pagamenti, buona cosa, ma poi dovranno essere effettuati, anzi, sappiamo benissimo che dovremo pagare a prescindere dai guadagni, questo è il vero problema.

Il decreto di marzo è parziale, perché in una società come la mia, agli impresari non danno nulla.

Danno ai liberi professionisti, cioè architetti, ingegneri…

Alle società non danno nulla, l’unico aspetto positivo è l’aver riconosciuto la cassa integrazione agli operai, ma ripeto, a noi impresari non danno nulla.

Capisco che a livello politico si stiano cercando delle soluzioni, sinceramente, non penso che sia propaganda politica, in questo momento non c’è tempo per quella, ma la situazione è davvero grave…”

Beta press- In che tempi prevedete una ripresa della vs attività?

L’accesso al credito e quindi un ulteriore indebitamento potrebbe risolvere?

E nel medio lungo periodo? Un finanziamento in quota capitale da parte dello stato potrebbe essere utile?

“Speriamo di riprendere l’attività entro una quindicina di giorni, un mese al massimo.

Tutto dipende dall’emergenza, fino a che la curva del contagio non inizia a decrescere è impensabile una ripresa delle attivitàedilizie.

Accesso al credito?!? No, non ho mai voluto dipendere dalle banche, ho sempre lavorato con i soldi della mia impresa. Non ho mai voluto indebitarmi con le banche e chiedere dei finanziamenti, dei prestiti proprio adesso sarebbe ancora più pericoloso, vorrebbe dire rischiare di chiudere del tutto.

E poi, non è solo un problema di soldi, ma di atteggiamento delle persone. Le imprese hanno il problema della committenza, dunque, bisognerà vedere, concretamente, come e quanto le persone risentiranno di tutta questa emergenza.

Bisognerà confrontarsi con la ricaduta economica, ma ancor piùcon il contraccolpo psicologico del coronavirus, bisognerà vedere se le persone avranno i soldi, ma ancor più la voglia di costruire,di restaurare, di progettare.

Focus sul mondo degli architetti, liberi professionistibergamaschi.

“È un decreto di emergenza che risolve la contingenza immediata, ma non propone soluzioni a medio ed a lungo termine.

Perché non è solo quando, ma anche come riprenderanno le attività. Chi ha già dei cantieri aperti, potrebbe anche riprendere, tra un mese. Ma, tutt’altra situazione si prospetta per chi è alla ricerca di nuovi clienti…

La crisi, la vera crisi economica, sarà visibile nei prossimi mesie allora sì che bisognerà investire su misure che possano dare carburante al paese.

Ci sarà una selezione naturale, un’immunità di gregge economica, dopo quella virale.

Le piccole imprese ed i liberi professionisti sono, come sempre,i più penalizzati e senza garanzie di liquidità a fine mese, saranno destinati a soccombere.

Non ci sentiamo tutelati, ci troviamo di fronte ad enormi difficoltà.

L’accesso al credito non è un problema ma, paradossalmente,andrebbe ad aumentare i costi già molto alti che un detentore di P.IVA deve adempiere …

Così come un finanziamento in quota capitale sarebbe sicuramente una soluzione tampone per un breve periodo di inattività.

Una soluzione concreta sarebbe, finalmente, valorizzare il made in Italy, rallentare (se non sospendere) la delocalizzazione spaziale della produzione all’estero, riportare in Italia la filiera produttiva dei nostri migliori marchi, incentivare le nostre esportazioni, e, viceversa, disincentivare le importazioni.

Tenere in casa i nostri talenti, tutelare i nostri giovani, altro che obbligarli a fuggire all’ estero per avere un po’ di riconoscimento del loro lavoro.

E poi, me lo lasci dire, dov’è la salvaguardia del merito se, in Italia, un clandestino vale 39 euro al giorno, un nullafacente 26 ed un libero professionista 19?!?”

Che dire? Pragmatismo, competenza e consapevolezza della propria forza lavoro, ma anche della miopia politica.

Noi di betapress non aggiungiamo altro, se non, ironicamente, chi vivrà, vedrà!