Dimmi cosa compri e ti dirò chi sei …

Nuovo identikit del consumatore medio ai tempi del Covid 19

Da più di un mese è scattata l’emergenza coronavirus.

E così, giorno dopo giorno, passo dopo passo, decreto dopo decreto, ci siamo trovati a percorrere un tunnel.

Nostro malgrado, sempre più coinvolti e sconvolti, abbiamo dovuto agire e reagire.

Perdere abitudini personali, ritmi sociali e profili comportamentali.

Prova ne è, tra l’altro, la nascita di un nuovo modo di fare la spesa, la definizione di un nuovo identikit di consumatore, completamente diverso da quello precedente, a suo tempo studiato e manipolato da strategie di marketing decennali.

Questo nuovo prototipo di cliente, dai tratti compulsivi e dalle pulsioni schizofreniche, sta mettendo in tilt tutti gli studi di marketing, a suo tempo collaudati da studi di mercato, e comprovati da anni di consumismo sfrenato.

Consumismo che è sempre stato compulsivo per il consumatore, ma calcolato, diciamo così pianificato, previsto dal produttore.

Ma, tutto questo, fino all’altro ieri, ora non più.

Prima, ciascuno di noi, chi più, chi meno, era un consumatore indotto da bisogni fittizi, un acquirente pilotato da leggi di mercato, una pedina manovrata da profitti globali.

Ora, non più, basta vedere, quanto è avvenuto in Italia, ed ora all’estero.

Prima fase, l’assalto ai supermercati.

Non appena è scattata l’emergenza, nelle zone rosse, solo in quelle coinvolte nel maggior rischio di diffusione del virus, i consumatori hanno letteralmente preso d’ assalto i supermercati.

Ma comprando solo determinati articoli.

Alcool, amuchina e pasta, sono andati subito esauriti.

Il meccanismo inconscio che ha pilotato questi primi acquisti, è stata la paura, la paura di morire di malattia o di fame.

Due bisogni primari, legati all’istinto di sopravvivenza, vale a dire il neutralizzare il virus ed il riempire la pancia, hanno dominato e vinto ogni strategia di marchio pubblicitario o di fidelizzazione del cliente.

Sono andati esaurite tutte le marche di pasta, dalla Barilla a quella del discount, indipendentemente dalla pubblicità della famigliola del Mulino Bianco.

Una reazione impulsiva, quella dell’accaparramento, in particolare di cibi a lunga scadenza, che ha fatto saltare tutte le previsioni di vendita in vigore fino al giorno prima.

Parola chiave di questa prima fase, è stata fare la scorta.

Basta considerare l’incremento esponenziale della vendita di riso (28,8%), pasta (+ 29,6%), conserve animali (+19,9%) e conserve di pomodoro (+ 32,7%) verificatosi nella prima settimana di marzo.

Sono saltate le previsioni di consumo medio sia di quantità che di qualità pro capite.

Il ragionamento dei consumatori è stato chiaro, ma solo dopo che era già avvenuto.

Il consumatore non ha seguito un percorso previsto, ma l’ha ribaltato con il suo comportamento fuori ogni schema.

Nel timore di restare costretto a casa per lungo tempo, il consumatore tipo ha pensato che era meglio stipare il più possibile la dispensa.

Come minimo 5 kg di pasta a testa, anche se in famiglia, di solito, non se ne mangia più di un etto al giorno, perché non si sa mai!…

Al bando la dieta!

Ed in effetti la paura di morire di fame ha dominato il rischio di ingrassare.

Così, il consumatore medio ai tempi del covid19, ha invertito la tendenza salutista e dietetica precedente.

Niente più calcolo delle calorie, dieta proteica per mantenere il peso.

Il nuovo consumatore ha scelto di fare l’esatto contrario, di ingrassare, a forza di mangiare carboidrati senza poter più fare attività fisica.

E poi, al bando la gestione dello spazio! Altro che mania dello space cleaning!

Anche se si abita in un bilocale, dove manca lo spazio materiale per tutte queste scorte, il nuovo consumatore, rinuncia allo spazio vitale, pur di accumulare, perché, adesso, siamo in tempo di guerra!

Un altro effetto imprevisto delle vendite di quest’ultimo mese, è stata la brusca riduzione di prodotti freschi, vuoi per il rischio di trasmissione del virus sui banchi del mercato, vuoi perché si esce sempre meno per fare la spesa.

Così, per esempio, adesso, si preferisce il latte a lunga scadenza o la frutta sciroppata rispetto a quella fresca.

Poi, però, basta che scatti la news degli indubbi benefici della vitamina C per aumentare le difese immunitarie, che, dall’oggi al domani, va esaurito il Cebion o il Vivinc in farmacia, e ritorna la richiesta di agrumi e di succo d’arancia al supermercato.

Poi, con le restrizioni per raggiungere l’ipermercato fuori comune, ecco che, di necessità in virtù, si riscoprono i negozi sotto casa, i sapori locali, i prodotti a km zero.

Cavalca l’onda, anche la Confagricoltura, che, in tal senso promuove i prodotti italiani. «Gli agricoltori italiani –dice Massimiliano Giansanti, presidente dell’organizzazione – nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza per i lavoratori, stanno lavorando e continueranno a farlo per il Paese, per produrre e fornire, con regolarità, prodotti freschi e materie prime, indispensabili per l’industria agroalimentare».

Altro nuovo effetto dello stare tutti a casa, è la riscoperta della buona cucina casalinga.

Un po’ per passione, un po’per passatempo, molti consumatori si dedicano alla preparazione delle pietanze. Basta dare un’occhiata a Instagram dove si susseguono immagini di torte, lasagne e pizze con una gara culinaria che attraversa tutta l’Italia.

In questa fase, avviene così, un incremento esponenziale degli ingredienti base per cucinare. Farina, uova, zucchero, ma, soprattutto lievito, diventato, all’improvviso, prezioso come l’oro.

Un simpatico post virale di questi tempi, è infatti quello di uno scambio di droga tra due loschi individui incappucciati, con il sottotitolo “Dammi due panetti…di lievito!”

Altro boom delle vendite è stato quello degli integratori.

Dimenticati quelli per rallentare il metabolismo e per tonificare la massa muscolare, il consumatore medio ai tempi del covid 19 ha fatto scorta solo di quelli per aumentare le difese immunitarie.

Altra idiosincrasia, dettata dal timore di contrarre il virus.

Nonostante la crisi economica, il consumatore medio è disposto a spendere.

E per di più in modo irrazionale, scegliendo un prodotto chimico, costoso ed artificiale, piuttosto che un prodotto fresco, frutta e verdura di stagione, di sicuro molto più sane ed economiche.

Questo perché attribuisce al prodotto creato in laboratorio un potere miracoloso di vittoria sul virus.

Infine, altro exploit: le salviettine umidificate, diventate dall’oggi al domani un bene di lusso.

Fino all’altro ieri, le salviettine umidificate erano destinate a pulire il culetto di un bimbo in viaggio o a struccare il volto di sua mamma alla sera.

Nell’ultima settimana, le vendite di tutte le salviettine, detergenti, disinfettanti, emollienti, e chi più ne ha, più ne metta, sono aumentate del 216%.

Ma perché comperare le salviette quando, in concreto, si resta quasi sempre a casa?!? Meglio optare per il sapone per le mani (liquido o solido), il cui prezzo è, peraltro, mediamente inferiore rispetto a quello delle salviette.

Ma questo è un altro mistero occulto di questo periodo…

Infine, la vendita di detergenti per le superfici domestiche. Anche qui un balzo in avanti (+ 37,8%).

Ma, attenzione, a differenza di quanto avveniva prima, il consumatore medio seleziona prodotti disinfettanti. Lysoform, candeggina, alcool…

Insomma, in questo momento, la profumazione passa in secondo piano, l’importante è l’efficacia.

E, dulcis in fundo, la carta igienica.

Avete fatto caso che, neanche qui si riesce a resistere alla tentazione della scorta?

Però, sono andate subito esaurite le confezioni salvaspazio, perché l’abbiamo detto prima, lo spazio in casa, è quello che è, però, male che vada, c’ è sempre la cantina ed il garage!…

 




Se lo dice Lui …

Si ritorna tutti a scuola! Parola di Renzi…

Matteo Renzi, il leader di Italia Viva, nella sua newsletter Enews e in una diretta Facebook, ha annunciato il ritorno a scuola.

Riportiamo direttamente le sue parole, lasciando a voi lettori, il piacere o il dispiacere di tale lettura.

Se conteniamo l’onda di piena di queste ore e aumentiamo la forza negli ospedali, avremo vinto una battaglia contro il Covid 19 Ma non la guerra. Perché per vincere la guerra occorre il vaccino. E il vaccino purtroppo ha bisogno di tempo. Quindi ci sarà un periodo di convivenza. Un anno? Due? Non lo sappiamo, dobbiamo seguire la scienza. È chiaro che non possiamo stare chiusi in casa per tutto questo tempo. Dobbiamo ripartire. Piano piano ma ripartire “, ha detto Renzi.

C’è chi mi critica senza neanche avermi letto ma bisogna programmare d’accordo con la comunità scientifica una graduale ripartenza. Bisogna gradualmente iniziare a pensare a ripartire: questo dico. Gradualmente, a macchia di leopardo. Ma siccome non avremo la normalità di prima per due anni, dovremo inventarci una nuova normalità. Servono test a tutti, innanzitutto. Dovremo abituarci a fare i controlli della febbre per andare al supermercato e a scuola o – un domani – al cinema e a teatro. Dovremo gestire con cura la tecnologia e la privacy. Dovremo cambiare la vita nelle fabbriche e negli uffici “.

I giovani potranno uscire prima degli anziani. Brutto dirlo ma è così. Il Covid 19 uccide molto più gli anziani che i giovani. Ci sono alcuni settori che oggi possono partire. Si pensi a tutto il settore dei lavori pubblici e degli investimenti con il Piano Shock. Le scuole sono chiuse? Bene, autorizziamo lavori in emergenza per metterle in sicurezza. Adesso. Con procedure super semplificate. Nel mese di aprile possiamo spendere centinaia di milioni per rimettere a posto le nostre scuole consentendo ai ragazzi di vivere in posti più sicuri. Poi pensiamo che piano piano bisogna riaprire anche le scuole. Bisogna fare l’esame del sangue a tutti i nostri studenti o almeno il test sierologico. Potremmo scoprire che molti dei nostri figli hanno già contratto il virus Covid 19 che nei ragazzi sotto i 20 anni nella quasi totalità dei casi non dà sintomi. Fatti gli esami medici, dobbiamo pensare di riaprire gradualmente le scuole magari iniziando da chi deve fare la maturità o l’esame di terza media. Naturalmente con tutte le verifiche sanitarie del caso”. 

Da qui la proposta del rientro a scuola per il 4 maggio

Infatti, nel corso di un’intervista al quotidiano Avvenire, Renzi ha addirittura proposto di ritornare a scuola il 4 maggio.

Peccato, che tale idea, non sia piaciuta per niente affatto, né agli addetti ai lavori del mondo scolastico, né, soprattutto, agli esperti del mondo medico.

Del resto, già in passato, in altre occasioni, Renzi era stato paragonato al Pinocchio della politica italiana, vista la sua proverbiale abitudine a promettere qualcosa che, immancabilmente, poi non manteneva.

Come dicevamo, Per Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza coronavirus, ha subito definito folle ed illusorio tale proposito, dichiarando che “Pensare di riaprire le scuole il 4 maggio è una follia e fare proclami in questo momento è sbagliato. Dobbiamo essere cauti come facciamo a riaprire le scuole se non abbiamo dati né certezze? Non diamo false illusioni e speranze

Anche il virologo Roberto Burioni ha spiegato su Twitter: “Dobbiamo cominciare a pensare a una ripresa delle nostre vite: non possiamo pensare di stare in casa al fine di rimanere in casa per sempre. Però in questo momento la situazione è ancora talmente grave da rendere irrealistico qualunque progetto di riapertura a breve “.

Infine, anche il virologo Fabrizio Pregliasco, ha sottolineato che è prematuro e rischioso promettere il ritorno a scuola con una data precisa.

Pensare di riaprire le scuole è prematuro. E’giusto pensare al futuro ma serve molta attenzione”.

Per ultimo, altrettanto duro contro Renzi anche Calenda, leader di Azione: “Caro Matteo Renzi, la tua dichiarazione è poco seria. Potremo riaprire quando la curva inizierà a flettere seriamente. Altrimenti il lockdown sarà stato inutile e dovremo riapplicarlo al primo riaccendersi di un focolaio “.

L’unica osservazione che ci permettiamo di aggiungere è che, mai come in questo periodo di emergenza sanitaria e di stress collettivo, i nostri cari politici, dovrebbero soppesare le dichiarazioni e misurare le parole, anche solo per non peggiorare ulteriormente il disagio personale di ognuno di noi, nonché la fatica di vivere del nostro Paese, già, visibilmente, provato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

 

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.




Coronavirus: epidemia massmediologica

La corrente pandemia di coronavirus fa risaltare alcuni aspetti sociologici e comunicativi molto importanti: primo, la polarizzazione dell’informazione mediatica sulla pandemia, che porta ad avere da un lato una enorme risonanza in termini di informazione quantitativa (dati cifre, numeri) dall’altro un forte impatto sulle emozioni degli utenti (televisivi e della stampa in genere).

Secondo, i servizi video-giornalistici enfatizzano per lo più i lati negativi della pandemia, quali il forte tasso di morbilità (contagio) e la sostanziale difficoltà nel contrastarla.

La combinazione di questi due fattori genera nel largo pubblico un senso di scoraggiamento, di esasperazione, di turbamento profondo e non giovano né alla risoluzione della pandemia né al sistema psico-neuro-immuno-endocrinologico di chi passa da un notiziario all’altro.

Questa polarizzazione, poi, sembra essere orientata solo alla reiterazione del problema in sé e non alla ricerca o alla divulgazione di soluzioni effettive, cioè sostanzialmente dà per scontato quanto di efficace vi sia ancora all’opera per sostenere il sistema nazionale (per esempio l’azione encomiabile del volontariato, senza il quale lo Stato collasserebbe in pochi giorni) e perciò appare evidente una corsa verso l’aggravamento e non verso la soluzione del problema.

Dispiace non avere notizie più trasparenti ed incoraggianti sull’impegno e sulle risorse messe a disposizione di chi rischia la vita per gli altri, dai volontari fino ai medici, alle forze dell’ordine e ai semplici impiegati di banca, tabaccai, edicolanti, farmacisti e cassieri dei supermercati che, ricordiamoci, rischiano la vita ogni giorno nel silenzio, in attesa del consueto “bollettino di guerra” serale, un conteggio freddo, burocratico, quasi asettico, di morti e guariti, ma senza quel calore, quella partecipazione sociale e quell’infusione di coraggio che tutti avrebbero bisogno di sentire.

Preoccupa poi soprattutto il fenomeno della parcellizzazione sociale: le persone separate dai nuclei famigliari perché sole o lontane, chi non può muoversi e soprattutto gli anziani, le vittime silenziose di questa tragedia. Eh si, perché, come si sente dire spesso “le case di riposo sono piene di coronavirus”, quasi che fossero dei lazzaretti dove l’anziano malato può solo tacere … e morire.

L’anziano, colui che ha costruito l’Italia, colui che ha sostenuto la sua famiglia fino ad oggi, anche attraverso la sua pensione, pilastro della famiglia, diventa così la vittima silenziosa di un sistema che non gli appartiene più e dal quale può solo uscire in sordina, in punta di piedi, dalla porta posteriore di una casa di riposo, mezzo vivo o mezzo morto, manipolato della freddezza dei guanti in latice, senza dire una parola e nemmeno vedere i volti dei suoi soccorritori, avvolti delle mascherine protettive.

Condotto in ospedale o direttamente ai luoghi di raccolta dei feretri, che poi vengono trasportati dall’esercito, sotto i riflettori impietosi di una stampa che sa valorizzare e spettacolarizzare l’audience, gli indici di ascolto, la notizia a tutti i costi, quella che “buca lo schermo” ma che purtroppo, spezza anche il cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.

 

Il primo bene di un popolo è la sua dignità

 

La libertà di stampa