Museo virtuale o museo reale?

Nel clima di reclusione forzata che ha investito il nostro paese in seguito al diffondersi del Covid-19, abbiamo assistito al verificarsi di tendenze sostitutive al tradizionale stile di vita cui eravamo abituati.

La cosiddetta digitalizzazione dei servizi e dei prodotti ha repentinamente cambiato  le abitudini permettendo anche a chi non l’aveva mai fatto di immergersi nella realtà  virtuale per compiere viaggi e approdare poi alla visita dei musei dove, in una dimensione quasi onirica, inizia il viaggio tra le opere d’arte gelosamente custodite.

Le situazioni di crisi modificano le abitudini comportamentali e anche i più impreparati si sforzano di apprendere i rudimenti di internet per poter affrontare viaggi virtuali. Chi non conosceva le più prestigiose opere d’arte si può avvicinare con cautela a rimirarle.

Ma dobbiamo chiederci in che cosa si diversifica un’emozione esperita mentre osservi un qualcosa dal vivo rispetto ad un oggetto che immagini possa vivere e lo vedi filtrato da uno schermo.

L’oggetto virtuale è freddo, il tuo sguardo lo ammira ma non ne nota quei giochi di luce che lo esaltano nella sua eleganza artistica dal vivo.

Chi ha visitato solo i musei oggi disponibili virtualmente, a differenza di chi li ha visitati dal vivo, non potrà esprimere il vissuto di emozioni fissate in quei momenti  di estasi in cui la visita reale permetteva allo sguardo di perdersi nell’opera.

Basta andare su internet ed ecco che si apre la maschera delle disponibilità.

Un’offerta sicuramente appetibile: Pinacoteca di Brera, Galleria degli  Uffizi, Musei Vaticani e molti altri ancora. E poi possiamo trasferirci anche all’estero: Museo Archeologico di Atene, Prado, Louvre, British Museum, Metropolitan Museum, Heremitage, National Gallery of Art. Certamente l’essere in quarantena favorisce il desiderio di evasione e stacco da una realtà percepita come angosciante.

Dalla prigionia imposta dal  Covid-19 si può evadere e iniziare il nostro viaggio forse più concentrati che in una normale visita da turisti. Prevale nell’approccio digitale al museo un reale desiderio di  apprendere; si tratta di una scelta che aumenterà il bagaglio culturale del nostro  turista on line.

Ci chiediamo quanto venga però frustrato il desiderio di ammirazione  e contemplazione dal vivo.

Se ripensiamo alle teorie delle neuroscienze e prendiamo  come riferimento gli studi di Gallese, che ha ipotizzato che lo stesso meccanismo  dell’empatia che favorisce la sinergia con l’altro sta alla base del nostro provare un’emozione guardando dal vivo un’opera d’arte, possiamo ritenere che questo processo sia falsato nel guardare tramite lo schermo di un computer.

Le visite al museo online sono efficaci nel momento in cui permettono al soggetto di poter promuovere un apprendimento preparatorio al contatto reale con l’opera d’arte. Mi avvicino all’ambiente, seleziono prima ciò che sarà rilevante da vedere, approfondisco le mie conoscenze a tal punto che potrò arrivare a vedere l’opera d’arte arricchito da un bagaglio di informazioni che mi faranno fruire della bellezza di quel prodotto artistico.

Si possono forse verificare emozioni intense in un luogo non reale come quello della visita al  museo online?

Di fronte ad un quadro di  Fontana, per fare un esempio, Gallese afferma che “I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela”; possiamo dunque ipotizzare che emozioni di tale portata si possano sperimentare solo in una visita reale.

Fortunatamente la decisione di riaprire i musei, rispettando le norme di sicurezza della distanza sociale, potrà permettere a molti visitatori online di potere affrontare l’emozione dal vivo nel contemplare l’opera d’arte.

 




ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

 

Moltissime cose vorrei chiedere ad un amico come Alex De Rosso e non tutte riguardano la musica, mi sono ripromesso però di farlo di fronte ad una birra ghiacciata.

Alex è uno degli artisti che con la sua musica ha incantato fin da giovanissimo la mia città, Padova, per poi volare sempre più in alto fino ad arrivare a calcare i palchi di molti Paesi d’Europa, degli States e del Canada.

Ho raggiunto Alex e gli ho posto alcune domande alle quali ha risposto con piacere.

PERTH: Ciao Spillo, voglio partire subito in quarta: i nostri lettori hanno imparato a conoscere bene cosa noi di Betapress intendiamo per Musica, quella con la “M” maiuscola. La differenza infatti tra il meccanismo competitivo e sterile delle performances canore degli “artisti da Talent” e la libera creatività dei cantautori e compositori è la stessa che c’è tra chi concorre ed è disposto a qualsiasi cosa per aver successo e chi scrive e fa Musica per far battere il cuore. Che ne pensi?

ALEX: Ahahahha ecco! Iniziamo con i soprannomi! Considero la Musica una forma d’arte, e quindi libera da competizioni… purtroppo il messaggio che ormai da tempo sta passando è quello che chi canta o suona meglio (tecnicamente) vince. Ad ogni modo c’è sempre stato chi fa le cose per farsi notare e chi le fa perché non riesce a farne a meno… nulla di sbagliato in ogni caso, solo due modalità diverse. Per quanto riguarda il “successo”, per me coincide con la possibilità di vivere facendo quello che mi piace con meno compromessi possibile.

PERTH: Sei un punto di riferimento per l’Hard Rock in Italia e ti sei fatto conoscere anche in molti Paesi del mondo. Secondo te… Rock is dead?

ALEX: Sicuramente come fenomeno di massa “Rock is dead”. Dovremmo ormai avere capito che tutto gira intorno al “$”, e quindi altre cose hanno molto più appeal da questo punto di vista. Resta una cosa per vecchi nostalgici come noi ahahahah! Fredde analisi a parte, c’è ancora un sentimento sincero che resta vivo in molte persone, ma mancano le occasioni per tenerlo in buona salute.

PERTH: In una recente video diretta on line hai parlato di produzioni e di nuove tecnologie negli studi di registrazione, focalizzandoti sulla differenza tra evoluzione e regressione nella qualità dei progetti discografici, dicendo che non si può oggi delineare con chiarezza il percorso che sta nel mezzo tra un punto iniziale A ed un punto finale B. Puoi chiarire meglio?

ALEX: Intendevo dire che ormai da diversi anni la tecnologia per effettuare e gestire una registrazione musicale, anche complessa, è facile da ottenere e quindi una vasta platea di musicisti ne può trarre vantaggio. La preparazione e l’esperienza per farlo secondo certi standard è però tutta un’altra cosa… ma è dura l’educazione in un ambiente dove tutti sanno fare tutto!

PERTH: Ci auguriamo tutti che i giovani diventino il perno di una società meno malata di quella in cui viviamo e mi riferisco innanzitutto al periodo drammatico di clausura forzata, ma anche agli attuali sistemi politico, economico, giuridico e sociale. Pensi che l’Arte e nello specifico la Musica possano in qualche modo sostenere una trasformazione indispensabile per il necessario cambiamento?

ALEX: Può funzionare solo se il sistema politico, economico, giuridico e sociale, sostengono a loro volta la cultura e l’arte. Certo che chi ha avuto la fortuna (e la bravura) di aver raggiunto ottimi livelli di presenza e di sopravvivenza continuerà ad andare avanti… ma gli altri come faranno? I nuovi artisti dovranno per forza sgomitare nei talent? Io spero di no.

PERTH: Parliamo di musica… suonata! Non ti nascondo che sei stato maestro per molti di noi e tra i chitarristi più amati in assoluto dal sottoscritto. Ci racconti quale strumentazione utilizzi in studio e nei live e quale importanza rivestono i set up nel tuo modo di esprimerti come chitarrista?

ALEX: Sostanzialmente la strumentazione che uso dal vivo e in studio è la stessa. Le variazioni sono in funzione della band con la quale suono live e del progetto che sto producendo in studio. Tutte le chitarre elettriche che uso nelle varie situazioni sono ESP, marchio del quale sono endorser da più di vent’anni. Per quanto riguarda amplificatori e cavi uso FROG, marchio italiano relativamente giovane, ma con produzione di altissima qualità. Anche le corde DOGAL che monto su tutte le chitarre sono un prodotto italiano di eccellenza. Inutile dire che anche per me, come per tutti i musicisti, è di fondamentale importanza usare strumenti e accessori di alta qualità che rispettino i propri gusti ed esigenze per sonorità, comodità, e affidabilità.

PERTH: Hai più volte detto che «fare musica non è per tutti» e «che un sacco di gente pensa che basti farsi vedere sui social per dire di essere bravo». Cosa deve avere secondo te un artista per poter essere indiscutibilmente riconosciuto come tale e come riuscire a coniugare scelta passionale e scelta commerciale?

ALEX: Cercherò di rispondere evitando di essere polemico a riguardo dell’argomento social… È difficile valutare cosa è giusto e cosa sbagliato, come lo è altrettanto valutare la bravura di un musicista. Direi che è la storia di ognuno di noi a parlare a chi ci guarda, e ovviamente il proprio gusto personale. Fare musica non è per tutti come anche fare vino non è per tutti, come anche fare il cuoco non è per tutti, e via così per tutte le arti professioni… uno dei punti deboli dei social è che permettono a tutti di essere qualsiasi cosa.

PERTH: Ho avuto l’onore di intervistare Andrea “Conte” Bacchini chitarrista dei Karma (vedi Betapress aprile 2018; n.d.a.), ed in quell’occasione mi consegnò questa riflessione: «Ultimamente ho una certa avversione per la chitarra. Un po’ devo dire che mi sento tradito. Le ho dedicato fin da giovane praticamente tutto (…). La musica è per me passione e la passione la puoi mettere in una cosa che hai scritto e che ti rappresenta, una sfera artistica e creativa che è un investimento emotivo per cui vale la pena suonare». Ti senti tradito anche tu dalla chitarra?

ALEX: Devo dire di essere in parte d’accordo con queste affermazioni, ma non mi sento per nulla tradito dalla chitarra o dalla musica più generale. Semplicemente non mi è mai piaciuto l’ambiente musicale, specialmente quello italiano, fondamentalmente perché ho trovato poche persone a pensarla veramente come me a proposito dei vari aspetti professionali della musica. Il mio rapporto con la chitarra è sicuramente cambiato negli anni… dal quasi fisico e morboso dei primi anni, fino ad arrivare a considerarla un semplice strumento per poter creare musica nelle diverse situazioni. E il divertimento è sempre tanto!

PERTH: Molti anni or sono (sigh!) venivo a sentire i concerti dei “tuoi” Dark Lord con la compagnia di amici che, pur non amando il Rock come il sottoscritto, erano entusiasti di vedere musica live. Pensi che si possa tornare a divertirci in modo genuino come ai Concerti di qualche tempo fa, oppure pensi che la cultura musicale abbia subito un profondo ed irreversibile mutamento?

ALEX: Questa sarà la mia risposta più breve: penso proprio di no! Anche a causa di tutto quello che è cambiato nel mondo della musica, compresa la troppa offerta a scopo commerciale.

PERTH: Poche voci “fuori dal coro” indicano le enormi differenze tra educazione musicale in Italia e negli USA. Per non parlare della differenza abissale tra le produzioni artistiche. Qual è la tua opinione?

ALEX: La differenza di background musicale è forse la causa principale di queste differenze specialmente nella musica Rock. In Italia la musica Rock non fa parte della nostra cultura di base, mentre negli USA ovviamente sì. Per quanto riguarda le produzioni artistiche vale lo stesso principio, considerando che qui da noi è molto difficile che un musicista venga valorizzato e riconosciuto. Quasi sempre abbiamo a che fare con cantanti che hanno una band, più che con una vera “Band”.

PERTH: Ripercorrendo la tua lunga carriera, in cui si evincono da un lato le esperienze compositive e dall’altro le celebri collaborazioni con il gotha mondiale della musica Hard Rock (http://www.alexderosso.com/bio), arriviamo a Lions & Lambs. Ascoltando le 10 tracks dell’album, peraltro farcite di collaborazioni di primo livello assoluto, si capisce come questo lavoro sia un documento della maturità artistica di Alex De Rosso. Ci racconti la genesi del disco?

ALEX: È una produzione che è arrivata dopo un lungo periodo passato a suonare, a scrivere e a produrre per altri artisti e progetti. Avevo semplicemente voglia finalmente di affrontare una produzione di alto livello anche coinvolgendo altri artisti fenomenali, con i quali avevo maturato negli ultimi anni un ottimo rapporto personale. Ho affrontato una preproduzione abbastanza impegnativa per essere sicuro che tutto funzionasse al meglio, pensando anche all’abbinamento stilistico musicale tra brano e special guest. Successivamente ho spedito le mie proposte a tutti e con grande soddisfazione ho ricevuto risposte entusiastiche da tutti gli invitati. Il resto lo trovate nel cd!

PERTH: C’è questa frase della bellissima seconda track, Resistance, di Lions & Lambs che mi ha colpito molto: I’m flying away / you’ll hit the ground / Anyone there / showing resistance / can’t get higher / not surrendering now. E’ una domanda di compimento artistico o una premonizione del periodo attuale?

ALEX: Devo fare una premessa: il mio rapporto con i testi delle canzoni non è poi così intimo… non mi sento un poeta. In questo caso è presente una scena di classiche difficoltà della vita e della nostra capacità di affrontare le avversità e di essere resilienti. Meglio non arrendersi insomma!

PERTH: Grazie Alex! Ci vediamo presto.

 

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PERTH

 

COMPAGNI DI VIAGGIO: OMAR PEDRINI

JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL




Arte: cura o espressione della follia?

Un tema spesso dibattuto è quello concernente il rapporto tra arte e follia ma l’arte può divenire anche cura nelle situazioni di disagio psicologico. Ci chiediamo come sia possibile che un qualcosa di distruttivo possa al tempo stesso  ricostruire.

Ci troviamo di fronte ad un’antitesi nei confronti della quale diviene difficile sostenere l’una tesi piuttosto che l’altra. Tutti abbiamo sentito parlare della follia che si esprime nei capolavori dell’arte.

Pensiamo ad esempio a Van Gogh con “Autoritratto con orecchio bendato”, a Munch con “L’urlo”, a Goya con “Il sonno della ragione genera mostri” e solo per citare alcuni  artisti noti anche ai meno esperti nel campo.

Molti artisti famosi hanno avuto  momenti di disagio psichico più o meno grave e spesso tale malessere ha accompagnato le loro produzioni più prestigiose.

Come affermava Freud “L’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio per cui sono rimaste per così dire vive le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva”.

Per Freud l’artista è dunque un soggetto che si distoglie dalla realtà per trovare una via di realizzazione nel mondo della fantasia, che si traduce però in una nuova realtà di cose interpretabili come preziose raffigurazioni del reale.

Se l’artista dunque spesso manifesta disturbi nevrotici o psicotici vale anche l’accezione che nel soggetto sofferente e spesso definito folle, anche se non ha mai  esercitato l’arte, possano essere presenti alte potenzialità in questa area.

Possiamo ritenere che l’arte scaturisca da tensioni emozionali di sofferenza quali la paura, la solitudine, la rabbia ed altro.

Lo stesso Aristotele affermava che “Gli uomini  eccezionali in filosofia, politica, poesia o arte sono manifestatamente malinconici e alcuni al punto da essere considerati matti a causa degli umori biliari”.

È proprio riconoscendo le potenzialità dell’arte che molti psichiatri, psicologi e psicoterapeuti hanno intravisto nell’arteterapia uno strumento utile per la riabilitazione dei loro pazienti.

L’arteterapia permette infatti al soggetto disfunzionale di entrare in contatto con il suo mondo emozionale e favorisce la comunicazione, che è spesso bloccata, attraverso un altro canale che è quello espressivo.

L’arteterapia può essere attivata sia a livello individuale che di gruppo e, per quanto  concerne il ricreare un sentimento sociale spesso smarrito dal paziente, è  preferibile quest’ultima forma.

La cura dei pazienti psichiatrici non può più privilegiare solo la  farmacologica e la psicoterapia ma deve valorizzare anche la possibilità di  applicazione di cure che rientrano nell’espressività quali la pittura, il teatro, la danza.

Possiamo dunque riflettere sulle enormi potenzialità dell’arte e un riconoscimento particolare alla diffusione di questo nuovo strumento di cura va a Margaret Naumburg, psicoanalista freudiana che introduce in America l’arteterapia, e a Edith Kramer, artista e docente austriaca che la applica sul campo con i bambini e gli adolescenti portatori di disagio psichico.

Perché è importante l’arteterapia nella cura?

L’arteterapia ha una valenza di tipo  educativo nel senso che aiuta il  soggetto a manifestare il suo vissuto di sofferenza.

Educare quindi come “tirare fuori”, tirare fuori dal tunnel ciò che impedisce di vivere serenamente la propria quotidianità.