Concorso DSGA: diritti negati!!

Abbiamo già parlato del concorso dei DSGA e ne abbiamo già evidenziato le assurdità ed ogni giorno ne escono, specialmente ora con gli accessi agli atti dove i candidati bocciati si vedono mandare come risultato degli accessi agli atti compiti di altri…

AHAHAHAH da non credere…

Ma oggi abbiamo voluto vedere lo svolgimento degli orali (iniziati oggi presso l’I.C.S. Piazza Leonardo da Vinci,  Piazza Leonardo da Vinci, 2 – 20133 Milano, di persona quindi come Betapress ci siamo recati sul luogo per presenziare a qualche colloquio.

i Candidati erano presenti dalle 8,30 più qualche accompagnatore.

Prima delle 9 non si è mosso nulla, poi i collaboratori scolastici hanno iniziato a far entrare i candidati.

Ovviamente abbiamo fatto notare sin da subito che eravamo presenti in qualità di uditori e che avremmo voluto vedere i lavori della commissione, ma i candidati sono stati interrogati senza la presenza di pubblico, mentre gli uditori sono stati fatti entrare con mezz’ora di ritardo, ma, sorpresa delle sorprese quando dovevamo entrare noi, che ovviamente ci eravamo qualificati come giornalisti, la presidente di commissione è venuta a farci presente che potevamo entrare solo uno per volta rispetto ad ogni candidato, e per i protocolli covid presenti sul sito ad ogni candidato era permesso far entrare un solo accompagnatore.

Abbiamo fatto presente alla presidente di commissione che noi non accompagnavamo nessuno,  ma la stessa si è appellata al protocollo covid dicendo che saremmo potuti entrare solo se si liberava uno dei due posti degli accompagnatori dei candidati.

Quando abbiamo tentato di far notare alla presiedente di commissione che non era corretta questa modalità di azione se ne è andata spazientita senza nemmeno ascoltarci dicendo che non aveva tempo da perdere.

Anche noi non avevamo tempo da perdere e sopratutto l’evidenza del grave illecito perpetrato dalla commissione ci sbigottiva.

In ogni caso abbiamo aspettato pazientemente assieme ad altri uditori che avrebbero voluto, secondo il loro diritto di vedere i colloqui dei candidati, che si liberasse un posto.

Dopo circa venti minuti di attesa siamo riusciti ad entrare.

Nell’aula era presente il nostro giornalista ed un altro uditore che non era parente o accompagnatore di nessun candidato, mentre fuori dall’aula c’erano altre tre o quattro persone che avrebbero voluto sentire i colloqui ma che non venivano fatti entrare per questo supposto protocollo.

La presidente di commissione dopo cinque minuti di nostra presenza nell’aula in modo stizzito e molto scortese ci intima di mettere via il cellulare che il nostro giornalista usava per prendere appunti.

Nonostante la nostra segnalazione che non eravamo i candidati che facevano l’esame, la presidente in modo quasi offensivo e comunque al massimo della scortesia ci intima di mettere via il telefono e che lei non ama ripetere le cose.

Eppure tutta la commissione usava il telefono per mandare messaggini e guardare mail…

Dopo altri 5 minuti al nostro giornalista si avvicina la verbalizzante chiedendo il tesserino da giornalista.

Lo consegniamo senza polemica e quando ci viene restituito chiediamo il motivo di questa azione ai limiti della violazione di almeno tre leggi, anche perché eravamo già stati riconosciuti e registrati all’ingresso della scuola, la verbalizzante alza le spalle e ci dice: “ordini del presidente della commissione che vuole verbalizzare”.

Eppure all’altro uditore presente non è stato chiesto il documento e non è stata verbalizzata la sua presenza.

QUINDI IL PROBLEMA ERA CHE NOI ERAVAMO DEI GIORNALISTI????

Alla faccia della libertà e della trasparenza.

Questo lascia pensare che c’è del marcio in Danimarca!!!

In pratica in questa prima sessione di orali l’accesso agli uditori era praticamente precluso e sono state fatte tutte le azioni volte a intimidire ed a intralciare il libero accesso nonché la libera attività giornalistica.

Infatti nel famoso protocollo covid tanto caro alla presidente c’era scritto:

“I candidati, convocati secondo il calendario pubblicato sul sito dell’USR Lombardia, accederanno all’edificio dall’ingresso posto in Piazza Leonardo Da Vinci , 2 A e potranno farsi accompagnare da una persona da loro scelta”

Ma da nessuna parte era previsto l’accesso di eventuali uditori come invece dovrebbe esserci per legge.

L’art. 6, comma 4, del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, secondo il quale “le prove orali devono svolgersi in un’aula aperta al pubblico, di capienza idonea ad assicurare la massima partecipazione”, nonché gli artt. 7 comma 5 e 16 comma 2, del d.P.R. 27 marzo 2001 n. 220 secondo i quali la prova orale deve svolgersi in un’aula o sala aperta al pubblico.

E perché un’aula o sala sia aperta al pubblico, occorre che durante le prove orali sia assicurato il libero ingresso al locale ove esse si tengono, a chiunque voglia assistervi e quindi non soltanto a terzi estranei, ma anche e “soprattutto ai candidati, sia che abbiano già sostenuto il colloquio, sia che non vi siano stati ancora sottoposti “(Cons. Stato, Sez. III, 7 aprile 2014, n. 1722).

Or vogliamo pure dire che il covid ha imposto alcune restrizioni?

Va bene, ma il presidente di commissione deve garantire il massimo accesso al pubblico, quindi bastava sceglier un’aula più grande, ad esempio l’aula magna, e permettere l’accesso al pubblico in maniera corretta.

Poi occorre considerare che se noi fossimo restati nell’aula per tutto il tempo delle prove nessun altro sarebbe potuto entrare per vedere i colloqui!!!!

Alla faccia della trasparenza.

Ma d’altronde questo concorso ha più ombre che luci!!!

Altra cosa divertente è che la prova di informatica veniva fatta ad un pc che proiettava sul muro le attività del candidato, peccato che per i primi quattro candidati il proiettore è rimasto spento, quindi, anche qui, alla faccia della trasparenza.

Poi abbiamo sentito le risposte di alcuni candidati, paradossale, qualcuno non sapeva cosa è l’avanzo di amministrazione (in un concorso per direttore dei servizi generali ed amministrativi è abbastanza assurdo), ma prima di fare commenti aspettiamo che la commissione ci dica se sono stati promossi o bocciati.

Infine ad una domanda: “ma se avanzano dei soldi della gite scolastiche, ovvero quelli anticipati dai genitori, la scuola come deve considerare quell’avanzo?” premesso che il candidato non ha saputo rispondere, ma i commissari hanno detto che la scuola poteva riutilizzarli l’anno successivo!!!!

A noi risultava che la scuola era obbligata a ridarli ai genitori, ma come io pago per una gita la scuola non la realizza e si tiene i soldi per la gita dell’anno successivo che poi magari mio figlio manco c’è più???

 

Tutto questo concorso appare improvvisato e poco chiaro.

Per 400 posti sono stati ammessi solo 200 candidati all’orale, già solo questo lascia pensare.

Noi ce ne siamo usciti abbastanza straniti, poi, una volta fuori abbiamo pensato a quanta gente era stata bocciata agli scritti che probabilmente era molto più preparata di quella sentita oggi.

E è rimasto il dubbio sulla paura della presidente di commissione di avere in aula un giornalista…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!

 

 

 

 

 




L’arte del sogno

I sogni influenzano la nostra vita e numerose sono le teorie sui sogni. La psicologia del profondo, in modo particolare, si è interessata al mondo onirico.

È a tutti noto lo scalpore suscitato nel 1899 dal testo di Freud “L’interpretazione dei sogni” che ha segnato un’epoca e attraverso il metodo delle “associazioni libere” ha permesso a molte persone che vivevano situazioni di disagio di dare una lettura alla loro  modalità di affrontare la realtà.

Altri psicodinamici come Adler vedono nel sogno una sorta di arte interpretativa consistente nel filtrare dalle rappresentazioni oniriche cifrate le costanti relative alla personalità e ai sentimenti.

Jung, attraverso il  concetto di “inconscio collettivo”, propone invece il recupero degli archetipi che si  esprimono anche attraverso il sogno.

L’attività simbolica della mente umana non si  acquieta durante il sonno.

Già Schopenhauer riteneva il sogno un prodotto artistico e lo paragonava ad una rappresentazione teatrale, quindi possiamo parlare di “arte del sognare”.

Non ha importanza se chi sogna al risveglio dimentica o riesce a ricordare solo alcuni frammenti.

È però fondamentale che rimanga impressa la sensazione che animava il sogno per far si che si sviluppi la creatività.

Poiché la fantasia si può legare in maniera audace agli elementi della realtà, all’interno  dei  sogni si trovano  frequentemente somiglianze, allegorie e simboli.

Si sogna a colori o in bianco e nero, si  ricordano i profumi ed è dimostrato che soggetti particolarmente creativi selezionano, come in un film, non solo personaggi realistici ma anche personaggi dalle sembianze di cartoni animati.

Esiste un collegamento tra produzione artistica e sogno e questo è dimostrato dalla testimonianza delle opere di grandi artisti che, prendendo spunto dai loro sogni, hanno realizzato capolavori.

Partendo dal presupposto che i sogni favoriscono la creatività, ripensiamo al grande artista Salvador Dalí, influenzato da Freud ma da lui non totalmente corrisposto, che evidenzia l’importanza di ricordare i sogni per poter creare un’opera d’arte eccellente e ne parla nel testo “50 Secrets of Magic Craftsmanship”.

Dalí suggeriva di  fare anche brevissimi sonni tenendo in mano un oggetto pesante che, nel momento  dell’appisolamento, cadeva risvegliando il soggetto e stimolando in lui il riemergere delle visioni create nel sonno.

Le immagini del sogno potevano così essere tradotte in produzioni artistiche.

Interessanti risultano anche le esperienze collegate al sogno in René Magritte, il pittore belga surrealista che propone una tecnica definita “illusionismo onirico”.

Magritte, sviluppando gli spunti suggeriti da De Chirico, coltivò nelle sue opere il gusto per le associazioni inconsuete accostando in maniera inedita e solo apparentemente illogica oggetti, colori e forme. 

A questo proposito si parla di “oggetti spaesati” cioè dell’utilizzo di elementi, anche banali,  inseriti però in contesti non convenzionali, così da suggerire allo spettatore un nuovo significato nell’interpretarli.

È come se Magritte volesse aprire con le sue opere una nuova strada per penetrare nei misteri dell’inconscio dell’esistenza umana.

Il celebre quadro di Magritte “Le grazie naturali” è un esempio di processo di  “associazionismo libero” simile a quello che avviene nel sogno.

Nell’opera è rappresentata l’ibridazione tra foglie ed uccelli, cioè sono presenti  quattro foglie a forma di uccello che emergono da un cespuglio in primo piano posto davanti ad uno sfondo costituito da una catena montuosa e da un cielo azzurro con nuvole rosa.

L’aspetto geniale che ci ricollega alla dinamica del sogno risiede nella fusione di due elementi normalmente separati e ciò richiama la “condensazione” descritta da Freud nel processo onirico dove una stessa immagine può  rappresentare diverse catene associative ed un personaggio può essere costituito  dai lineamenti e dai caratteri di più personaggi ed un oggetto da più oggetti.

Tale processo creativo si ritrova anche alla base della realizzazione di alcuni prodotti artistici contemporanei che nascono dall’assemblaggio di più oggetti, solitamente riciclati, che danno vita ad un nuovo prodotto. Anche per quanto concerne l’ideazione di invenzioni si configura un processo analogo.

Si può sognare l’opera d’arte, produrla assemblando le immagini del sogno e renderla fruibile allo spettatore che si proietterà in essa e potrà a sua volta sognare.

L’estasi che si può vivere nel contemplare un quadro, in certi casi, crea uno  scollamento dalla realtà talmente intenso da provocare la cosiddetta “sindrome di  Stendhal” e a quel punto il sogno, per il troppo piacere, diventa “incubo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

https://betapress.it/il-museo-virtuale/

 




il buio oltre la siepe

Nel suo famoso romanzo Harper Lee collega il problema del razzismo all’ignoranza, alla paura generata dall’ignoto, dal buio, dall’ignoranza appunto (nel senso di non conoscenza).

Si teme quello che non si conosce:

“Quasi tutte le persone sono simpatiche quando si riescono a capire.” è un adagio del libro per darci un messaggio di chiarezza, la conoscenza toglie le paure, la conoscenza unisce, la conoscenza illumina il cammino di qualsiasi uomo.

Nella traduzione italiana del titolo si è proprio forzato il concetto, evidenziando come i due bambini protagonisti del volume temessero tutto ciò che c’era oltre la siepe di confine della loro casa, perché appunto non sapevano cosa c’era, oltre la siepe.

Il titolo originale invece to Kill a Mockingbird , che letteralmente significa uccidere un uccellino (tordo americano), voleva indicare l’inutile violenza sugli indifesi, ma a nostro avviso il titolo italiano rispecchia meglio la pesante eredità che il libro ci lascia.

La conoscenza è la chiave di volta per unire i popoli e le generazioni.

La conoscenza è il patrimonio vero di un popolo, la sua unica arma di difesa in un mondo ormai saturo di non verità, di apparenza ma sopratutto di urlatori.

Come costruire e preservare questo patrimonio?

Come renderlo immortale?

Come farne un centro di convivenza civile?

Molto semplice, con una scuola efficace.

Proprio quello che il nostro paese continua a non fare!!

E persevera, gravemente colpevole, verso un baratro che è sempre più vicino.

Inutile affondare il coltello nella piaga dicendo che siamo all’ultimo posto o quasi in tutte le classifiche mondiali, della scuola, della digitalizzazione, della banda larga, dei laureati…

Inutile perché lo sappiamo benissimo.

E così succede che una scuola che non genera conoscenza, e quindi non aiuta il paese ad essere paese, non serve.

Si trasforma tristemente in un grosso centro di babysitteraggio altamente qualificato perché tutte le TATE sono laureate.

Anche le ultime indicazioni sulla ripartenza di settembre dimostrano chiaramente la paura della non conoscenza, infatti sono talmente ed incredibilmente aliene che non si capisce come siano state scritte.

Gli alunni che stanno fermi immobili nei banchi mantenendo le distanze come i soldatini di piombo, edifici che dovrebbero avere aule di 100 metri quadri, il mondo del distopico.

Il Paese però continua perdere nella battaglia di crescita mondiale, rimane indietro arranca sempre di più.

Cosa fare?

Di sicuro sarebbe il caso di smetterla di usare la burocrazia parlando di scuola; sarebbe anche utile mandare tutte e persone che parlano di scuola a lavorare nelle scuole, forse potrebbero parlare con causae cognitio, e quindi smetterla di fare robe inutili quando non dannose.

Sarebbe anche utile rivedere la rete di servizio del MIUR (oggi MI) per evitare che questa sovrastruttura sia come oggi è, dannosa ed inutile.

Sarebbe anche utile alzare lo stipendio al personale scuola tutto, chiedendogli in cambio la massima professionalità possibile,

sarebbe anche utile rivedere gli organi collegiali delle scuole ad oggi veramente inutili ed inutilizzati,

sarebbe anche utile rafforzare le competenze delle segreterie per non lasciare le scuole in mano a fornitori disonesti o quantomeno troppo orientati esclusivamente al loro guadagno,

sarebbe anche utile dare un obiettivo ai nostri ragazzi, sarebbe anche utile riempire di valore i titoli che diamo ai ragazzi, dalla maturità alla laurea, che oggi servono poco o a nulla,

sarebbe utile parlare della scuola del futuro che non può essere meetchatroomteams o dad on line, ma deve contenere un percorso pedagogico, deve essere modulare nei contenuti, deve approcciare certamente le nuove tecnologie ma non essere guidata da esse,

sarebbe anche utile che il mondo scuola smettesse di votare degli incompetenti ogni volta.

Come il buio oltre la siepe ci ha aiutato a capire che l’ignoto ci divide e crea forme di razzismo da quello classico a quello mentale, così oggi dobbiamo capire che la nostra società ed il nostro paese potranno salvarsi solo conoscendo, imparando, educando.

Smettiamo di distruggere la scuola, ci facciamo solo del male, cerchiamo di tarare meglio il nostro futuro, cerchiamo di affidare il futuro della scuola a chi veramente è in grado di sapere di cosa parla.

Vent’anni di incapaci sono troppi da reggere per un paese come il nostro, siamo al limite, cerchiamo di mirare meglio i nostri interventi e ricordiamoci che il Ciclope non chiudeva mai gli occhi quando prendeva la mira.

 

 

 

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CORRADO FALETTI

DIRETTORE RESPONSABILE

 

sdidatticamente parlando e non solo

Lo scollamento




“Il Violinista sul Balcone”

L’imprevedibilità della vita 

Il 24 febbraio 2020, una decina di giorni prima dell’inizio del “lockdown” in tutta Italia, al Teatro alla Scala di Milano viene scoperto un caso di coronavirus.

Aldo Sebastian Cicchini, violinista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, proprio in quei giorni – in via del tutto eccezionale – si trova lì.

Ironia della sorte, il suo periodo di quarantena inizia proprio a “ChinaTown”, il quartiere cinese a Milano dove abita con la moglie Ana e le loro splendide bambine, Sol e Victoria.

Ma facciamo un passo indietro …

Nato nel 1988 a Montevideo – Uruguay in una famiglia che, riconoscendo il suo precocissimo talento – a due anni  chiedeva di poter ascoltare ogni giorno “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi – lo affida alle cure della Maestra di musica Ludmila Cavallaro, Aldo impara a suonare il violino “giocando”.

Intraprende quindi il suo percorso di Studi, contrassegnato da diplomi a pieni voti e importanti riconoscimenti, in varie parti del mondo.

La domanda più importante

La domanda più importante di tutte è racchiusa in una parola: “Perché”?

“Perché faccio quel che faccio?”

Per Aldo, più che suonare il violino, la cosa più importante è suscitare emozioni nei suoi ascoltatori e vederle riflesse sui loro volti.

Come gli mancava questo aspetto del suo lavoro, durante il lockdown! Come gli mancava il suo adorato pubblico!

“La cosa che più mi appaga non è il violino in sé – mi confida nel corso dell’intervista – ma è poter vedere gli sguardi della gente, vedere le emozioni nei loro volti mentre sentono la musica che produco o che faccio anche coi miei colleghi … Allora ho pensato: ok, la situazione è questa. Cosa posso fare per reinventarmi?”

Alla nostalgia si è presto aggiunto un senso di impotenza, stemperato subito in fiducia: “Non sono un medico e non posso salvare vite umane … Ma una cosa la posso fare: suonare il violino e, attraverso la musica, porgere un Messaggio di Incoraggiamento e di Speranza.”

Sincronicità

Venerdì 13 marzo 2020: Aldo decide di realizzare un concerto da casa alle 19:30, in diretta su Facebook e Instagram. Ha già preparato un tappeto sonoro di chitarra, che userà come sottofondo per suonare il violino.

Il giorno stesso, Aldo riceve l’invito a partecipare a un gigantesco flashmob da tenersi alle 18:00: dalle finestre e dai balconi di tutta Italia ogni musicista, alla stessa ora, suonerà per allietare i propri vicini di casa.

Aldo mette insieme le due idee: mentre partecipa al flash mob dal suo balcone, trasmette il suo concerto live sui social.    Così, può raggiungere i vicini di casa e i follower in rete, contemporaneamente.

La meraviglia dei vicini non si fa attendere: neppure sapevano che lui fosse un musicista!

In un batter d’occhio si sporgono dalle finestre e dai balconi, sorpresi da inattesa meraviglia.

Il successo strepitoso dell’evento, convince Aldo a ripetere l’esperienza. Quello che doveva essere un episodio speciale e isolato, sarà per lui il primo di ventitré concerti, uno ogni sera, fino alla fine del periodo di lockdown previsto per il tre di aprile.

La sua è un’avventura umana e mediatica che verrà ricordata a lungo. Tra notizie di cronaca non proprio felici, si narrerà la storia del violinista che, dal balcone di casa, ha consolato gli inquilini del suo condominio e quelli del palazzo dirimpetto: due stabili a forma di semicerchio, posti l’uno di fronte all’altro, a far cassa di risonanza in un teatro all’aperto.

Aldo realizza che il suo Dono, oltre a far bene agli ascoltatori, fa bene anche a lui: “Era il nostro appuntamento – ricorda – il nostro momento per dimenticare le brutte notizie, la morte … volare insieme in un mondo perfetto, senza sofferenza, senza paure … Si è formata una specie di squadra: c’erano i compleanni dei bambini e cantavamo tutti insieme “Tanti auguri”. Abbiamo cantato l’Inno insieme, abbiamo cantato “Nel blu dipinto di blu” … Tutti i vicini a squarciagola mentre io suonavo … Era bellissimo … Non potendo starci vicini, comunque ci abbracciavamo in questo modo ed era bellissimo.”

Anche la condivisione delle sue performance sui social viene presto premiata.

La vicina cinese di pianerottolo riprende un suo concerto col telefonino e gli chiede di poterlo postare su Weibo – l’equivalente di Facebook in Cina.

Il video diventa “virale” – mai metafora fu più azzeccata! – totalizzando in brevissimo tempo un incredibile numero di visualizzazioni.

Ironia della sorte: grazie ai social, le note di Aldo raggiungono gli estremi confini della terra. Specialmente la Cina, da cui tutto ha avuto inizio.

E, guarda caso, proprio da “China Town”: il quartiere cinese di Milano dove Aldo Sebastian Cicchini, violinista di fama internazionale, ha scelto di abitare con la sua bellissima famiglia.

Morale della storia

Com’è vero che il virus non conosce confini è altrettanto vero che la Musica, sorvolando le barriere del pregiudizio e delle differenze culturali, offre a ciascuno di noi il Pretesto per riconoscerci uguali, di fronte alla morte e alla Vita.

“La Musica è il Linguaggio Universale che ci unisce tutti” dice Aldo.

“Se la Musica è portatrice di un messaggio, il tuo è sicuramente un Messaggio d’Amore – aggiungo io – che tu ne sia consapevole o meno …

“Sì sì, lo sono, lo sono” … e si accende in un sorriso.

Se di questo importante periodo storico possiamo far tesoro di qualcosa, forse è proprio di questo: aldilà di fatti di cronaca e attribuzioni di responsabilità, al di sopra di opinioni, giudizi e pregiudizi, oltre la paura della morte c’è la Vita, con il suo irresistibile Richiamo a viverla per ciò che essa è, nella sua vera Essenza: Esperienza, Miracolo d’Amore, Opportunità per riscoprirci, dietro un velo di illusorie differenze, UNO.

Ondina Wavelet

Per guardare la video intervista clicca qui.

P.S.: grazie di cuore a Christian Gaston Illan e Maria Giulia Linfante, fondatori del fantastico Gruppo Smart Villag(g)e Cloud, per avermi dato la fantastica opportunità di conoscere Aldo e di apprezzare il suo bellissimo cuore.

Per conoscere questa splendida iniziativa, clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Il buio dietro il sole”: Franz Schubert

 

Stavo guardando ed ascoltando un breve video in cui Luca Ciammarughi veniva intervistato a Piano City Milano, quando mi è preso questo impulso di scrivere.

Luca ha, così, in tutta serenità e semplicità, dall’alto della sua disparata conoscenza musicale – schubertiana in particolare – espresso alcuni concetti e visioni che hanno perfettamente incontrato le stesse mie impressioni.

Impressioni e ipote­si che mi sono fatto a suo tempo, quando il mio percorso di studi musicali mi ha portato ad avvicinarmi “seriamente” alla figura di Schubert, affrontando la sua Sonata in La minore D784.

 

Non conosco molto della vita di Franz Schubert.

Senza vergogna aggiungo anche che credo di ricordare molto poco, e che quanto so è quel che si può trovare nei più comuni libri di storia della musica o affini.

Quel che ricordo sono bagliori isolati, concetti sparsi che, probabilmente, nel mio inconscio hanno un loro senso, seppur tratteggiato.

“Maestrino”, ricordo: un vezzeggiativo di cui tanti anni fa mi disse un mio maestro di pianoforte.

A quanto pare, così era spesso velatamente – ma neanche troppo – sbeffeggiato Schubert da certi suoi contemporanei: in un’epoca in cui il fantasma beethoveniano imperava ancora profondamente sul mondo musicale.

Ricordo di aver letto della “gavetta” di voce bianca di Schubert, della sua voce apprezzatissima e del suo amore per la vocalità, la quale, guarda caso, ha ispirato un numero a quattro cifre di lieder.

Ricordo che morì giovane, ahimè; ma come Mozart, lasciando a noi posteri una produzione disparata di musica di grandissima importanza.

 

Fino a una decina di anni fa del repertorio schubertiano – se si escludono le composizioni pianistiche arcinote come i due cicli di Impromptus, i Moments musicaux, la Wanderer-Phantasie, la Sonata D960 e i brani per duo a 4 mani come le Marce militari, la celebre Fantasia in Fa minore e il Divertimento all’ungherese – conoscevo più che altro la musica cameristica.

I quartetti d’archi primi su tutti, i cui i più noti Der Tod und das Madchen (La morte e la fanciulla) e Rosamunde non sono che due ovvi esempi.

Ma anche l’ultimo, pazzesco e meraviglioso, Quartetto in Sol maggiore D887 che, non mi si chieda il motivo, mi riporta spesso alle sfumature del Sestetto per archi n.2 Op.36 di Johannes Brahms (altro compositore di cui amo probabilmente più il lascito cameristico che di altro genere), specialmente nei momenti in cui il tono popolareggiante emerge più spiccatamente.

Conoscevo i due trii con pianoforte, opere monumentali dense e ricche di aspetti interessanti; l’incredibile Quintetto in Do maggiore, sempre per archi, e il ciclo liederistico Winterreise, un vero e proprio viaggio – appunto – non solo nel freddo dell’inverno, ma fuori dal tempo e dal corpo.

Ignoravo quasi tutte le sonate.

Ignoravo le sinfonie e ancor di più la musica sacra.

Ignoravo perché riconoscevo una mia personale fatica a entrare in vero contatto con l’autore, unita all’esiguità delle occasioni nelle quale poterlo ascoltare.

Come dicevo, è stato l’incontro-scontro con la Sonata in La minore D784 a dipanare alcune nebbie e avvicinarmi con un’altra disposizione d’animo alla figura poliedrica e alquanto misteriosa di Schubert.

La D784 non lo rese uno dei compositori più vicini al mio sentire, tantomeno mi fece innamorare perdutamente di tutto quel che ignoravo.

Ma, indubbiamente, creò uno spazio in più; mi diede un’ulteriore ricchezza che a sua volta mi regalò molto.

 

D’impatto potrei dire che Schubert, ben più di altri – per i quali sarebbe forse più ovvio o prevedibile dirlo – è un compositore con un non-so-ché di “inquietante”.

Anche quando ci propone una melodia dolce e pacifica, dalla fisionomia chiara, o un tema delicato e tranquillo, trasmette allo stesso tempo qualcosa di ombroso e sfuggente.

Non riferendo unicamente alla sonata della quale ho accennato, ma più in generale a tutta la sua musica.

Un po’ come Schumann, che di Chopin una volta disse “cannoni sotto i fiori”, di Schubert si potrebbe dire “il buio dietro il sole”: come un’ambigua smorfia di tensione che cerca di rannicchiarsi dietro un sorriso bonario, o una sorta di freddo alito dietro l’orecchio nel pieno di un momento di pace.

 

Mi torna alla mente una frase della cantante Björk: “la musica non è questione di stile, ma di sincerità”.

La musica schubertiana è non poco ambivalente: tanto schietta ed eloquente da un lato quanto metaforica ed “equivoca”, diciamo, dall’altro.

La rassegnazione che percepisco quando ascolto, ad esempio, l’apertura della Sonata D960 è qualcosa che non riesco ad ignorare: questo tema così morbido, semplice e pulito, mi restituisce anche un senso di accettazione “passiva”, di arresa, di abbandono a un triste destino forse già annunciato.

Schubert è capace di evocare, con lo stesso motivo, luoghi molto reali e terreni quanto piani molto più elevati e lontani.

La prima volta che ascoltai in disco la Sonata in La minore, interpretata dall’immenso Radu Lupu, rimasi sconvolto, nel primo movimento, dalla ripresa del secondo tema: quell’aura di semplicità popolare che lo rivestiva nell’esposizione si trasforma in qualcosa di ultraterreno, sognante ed elevato al suo richiamo, in La maggiore.

Questo canto rinasce estremamente timido, e dal punto più intimo dell’io; quasi di controvoglia, come se Schubert volesse tenerselo per sé ma si rendesse conto che ormai l’ha scritto e l’ha portato nel piano reale, e lo osservasse, da lontano, andare per la sua strada.

E’ quasi una preghiera, detta con unimi e semplici proprie parole, innocente come un bambino arrossato da un velo di vergogna.

 

E di nuovo nella D784 ho percepito un aspetto della musica di Schubert, aspetto che anche altri hanno sottolineato: il suo “camerismo”, se così si può dire, la vicinanza con la scrittura per quartetto d’archi o con quella dei lieder.

Spesso al limite della trascrizione.

Tale aspetto pone non di rado parecchi problemi e punti interrogativi con la tastiera, in quanto non sempre è possibile evocare pienamente certe sonorità con il pianoforte.

Diversi passi di questa sonata hanno immediatamente richiamato a me sonorità d’arco – lo stesso motivo iniziale, così essenziale e legato, enunciato con le mani all’ottava, ne è chiaro esempio – o anche di fiati e di voci.

Soltanto il finale può essere considerato un po’ più pianistico, seppure non manchino tessiture adatte a un possibile trio o a una linea di canto con accompagnamento.

 

Un’altra cosa di cui mi sono accorto, è che la musica pianistica di Schubert non cerca facili virtuosismi, non ama gli effetti strumentali fini a loro stessi, non ha del “biedermeier”.

In un contesto musicale come il primo romanticismo, dove i grandi dominatori della tastiera solcano gli orizzonti (e i palchi dei teatri, o i tappeti dei salotti più in voga), lui percorre e traccia una strada tutta sua, coraggiosamente.

Non ama le parafrasi, gli studi da concerto, le cascate di note vaporose e le scritture “di bravura”.

Trova il suo nutrimento in un terreno in cui l’eloquio narrativo è il fattore predominante.

Schubert si fa cantastorie di situazioni salottiere e di ritiri al limite dell’ascetico.

E’ qui che sento – almeno personalmente – quella sua profonda radice del canto, quella sua voce bianca.

E’ qui che mi accorgo dell’agilità melodica e della disinvoltura costruttiva e discorsiva di Schubert.

Cose che, un po’ più avanti, adotterà il già citato Brahms, il quale ripudierà i funambolismi dei lisztiani (al limite dell’addormentarsi ascoltandoli) e cercherà, nel riappropriarsi di forme più classiche e convenzionali o in un rievocato rigore contrappuntistico, i punti di forza della sua poetica musicale.

Così pare essere Schubert, che fra terra e cielo, inquietudine e riposo, rarefattezza e intensità, rinuncia a tutto ciò che sembra non essergli necessario, curandosi invece di portare avanti l’essenza, l’anima indispensabile della musica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi




L’amore in biblioteca

17 anni fa, in biblioteca, mi innamorai.

È successo nell’unico modo in cui è possibile innamorarsi in una biblioteca:

lui mi porse il vocabolario di latino,

io sollevai lo sguardo,

lo guardai

e vidi che brillava.

Non saprei dire se era bello o meno ma, di certo, ai miei occhi, brillava.

Da allora, ogni giorno, in biblioteca mi sorrideva

e andò avanti così finché una notte mi svegliai e mi resi conto che il limite era giunto,

non potevo continuare a quel modo

avevo bisogno di dormire

e così mi alzai dal letto e andai alla mia scrivania

presi carta e penna e iniziai a scrivere:

“Caro D… è notte e non riesco a dormire perché mi sono innamorata di te.

Mi sono innamorata di te perché…”

E giù una lista di 10 punti

A seguire, per argomentare, continuai:

“tu mi devi amare perché…”

In 22 punti…

Davvero c’erano un sacco di motivi per amarmi…

Chiusi la lettera in una busta e andai finalmente a dormire.

Il giorno dopo consegnai la lettera.

Il giorno dopo ancora mi disse che dovevamo parlare.

Accettai di seguirlo e, per sicurezza, portai con me il pacchetto di fazzolettini di carta perché mettevo in conto che avrei potuto piangere.

Ci sedemmo su un muretto uno di fronte all’altra davanti la biblioteca e mi parlò.

Lui era ancora innamorato della ex fidanzata e non se la sentiva di accettarmi.

Tornammo in biblioteca e continuammo a studiare vicini e lui continuò a passarmi il vocabolario di latino.

Ogni giorno.

Dopo poco lui tornò con la ex fidanzata e dopo qualche anno si sposarono.

In tutto questo non usai mai quel pacchetto di fazzolettini.

Quando mi alzai da quel muretto mi sentivo bene e sollevata

e da allora la notte avevo ripreso a dormire una meraviglia.

Quel rifiuto non mi aveva ferita perché il punto non era la risposta che avrei ricevuto ma il fatto che io potessi condividere la notizia di quel sentimento che aveva a che fare con me e non con lui.

Quando maturiamo dentro di noi un sentimento o una necessità, la cosa da fare è comunicarla

e non importa se l’altra persona è pronta o meno ad accogliere la nostra richiesta, in un certo senso non è affar nostro.

Si tratta solo di noi, del nostro cammino spirituale e umano.

Elaborare emozioni e sentimenti fa parte della nostra maturazione umana e spirituale.

Quando siamo sinceri, non dobbiamo temere i rifiuti perché non hanno a che fare con noi ma con la libertà dell’altra persona che va sempre rispettata.

La nascita delle nostre emozioni parla di noi e va condivisa.

Se cambiamo idea e opinione

se siamo innamorati quando prima non lo eravamo,

se siamo pronti a fare un figlio quando prima non ci pensavamo proprio,

se siamo pronti a sposarci quando prima il terrore ci immobilizzava,

diciamolo

e non abbiamo paura della reazione perché non ci riguarda.

Lo stesso al contrario:

se non amiamo più,

se a un passo dall’altare capiamo che non siamo pronti,

se sentiamo che essere genitori non è la nostra vocazione.

Dentro di noi sta avvenendo una rivoluzione talmente grande che quello che succede fuori non conta.

Ed è questa la bellezza della vita.

A volte si pensa che trattenere le proprie emozioni e i propri sentimenti sia un segno di forza (e a volte è proprio faticoso e doloroso, quasi contro natura).

Pare sia più semplice avere un cuore arido e farsi sopraffare dalle paure, tenere dentro di sé le passioni e farsi schiacciare dalle fobie per sempre, giusto per non sembrare delle banderuole.

Ma sono illusioni.

L’uomo libero ama senza paura e il punto non sta fuori da lui.


Dedicato a chi corre la propria crescita e lascia il suo “vecchio sé” indietro.

 




Scuola: numeri e sciocchezze

La stupidità è il motore del mondo.

I politici, gli uomini di marketing, i religiosi, i personaggi dello spettacolo, campano tutti, chi più chi meno, sulla stupidità umana.

(Luciano De Crescenzo)

Cadono le braccia nel leggere il documento partorito dal Comitato tecnico scientifico sulla scuola, Miur permettendo perché ormai viene da chiedersi se il MIUR sa cosa è la scuola.

Metà del testo ci informa su dati statistici e numerici che conoscevamo già.

L’altra metà è un articolato invito a lavarsi le mani e a tenere le distanze.

Non c’è alcun respiro futuro su cosa la scuola potrà essere, da settembre, dopo questa lunga claustrofobia.

Speravamo di più da dotti, medici e sapienti, ma non c’è stato nulla da fare.

Gli edifici scolastici di più recente costruzione sono 21mila.

Per recente, si intende edificati dal 1976 in poi, quasi cinquantanni, 23.800 invece sono stati tirati su tra il 1946 e il 1975.

Altri 3.800, infine, stanno in piedi dal 1920.

Siamo proprio sicuri che distanziamento sociale, ridefinizione della numerosità delle classi, differenziazione dell’inizio delle lezioni, rimodulazioni/riduzioni orarie, uso degli spazi esterni, distanziamento di due metri in palestra, e ci fermiamo qui, sia tutto possibile in scuole così vecchie, in moltissimi casi?

Qualcuno del Comitato tecnico scientifico ci ha messo piede (con i dovuti accorgimenti, non sia mai) nelle scuole di cui si parla?

Il tempo c’era, non solo per mettere insieme le carte.

I ragazzi devono stare a distanza di un metro e si parla di 4 metri quadrati per alunno.

Ma qualcuno si è preso la briga di moltiplicare i 4 m. per ogni alunno che frequenta e di verificare che metratura dovrebbero aver le scuole?!?

E se lo spazio, come è evidente, non c’è, che si fa?

Si usano i banchi con doppio posto mettendocene uno, ma a quel punto si deve ridurre la numerosità della classe di un terzo.

E dove i ragazzi stavano già stretti, come la mettiamo?

Si moltiplicano le sezioni, si ricomincia con classi da quindici, per cui, magari alle superiori, dove avevano iniziato in 25, dal prossimo anno si farà la seconda ginnasio A1 e A2?

E poi, come si riuscirà a rispettare l’indicazione del Cts quando dice che “nella prospettiva della riapertura delle attività didattiche in presenza la modalità a distanza potrà rappresentare un momento integrativo e non sostitutivo, diversamente applicato e commisurato alle fasce di età degli studenti”. 

Un modo per dire tutto e non dire niente, perché se è integrativo, non potrà essere prevalente, come sta accadendo ora.

Ma tornando un passo indietro: ai presidi che in questo momento stanno formando le classi prime, alle medie come alle superiori, qualcuno ha dato indicazioni dal ministero di viale Trastevere?

Perché si può dire come un mantra di voler eliminare le classi pollaio, ma se non si fa una legge i dirigenti scolastici devono attenersi a quella che c’è.

Per quanto dividono al fine di formare le classi?

Per 15, per 10, per 20 o per 25/28 come sono stati costretti a fare ormai da quasi vent’anni?

Quando la scuola ricomincerà, dal primo settembre (poi si vedrà regione per regione), i docenti dovranno occuparsi del recupero dei ragazzi con il debito e leggersi i Pai (Piani di apprendimento individuale) richiesti dalla ministra Azzolina per moltiplicare la burocrazia cartacea della scuola (Bes, Dsa, Pdp. Pei…).

E, nello stesso tempo, dovranno avviare, si presume, l’anno scolastico per le loro classi.

Il come, quanti a distanza, quanti in presenza, quante classi?

Boh. Quel che si capisce bene dal rapporto è che tutto dovrà essere pulito e continuamente ripulito: sanificazione, mani pulite, mascherine (che a questo punto qualche ragazzo se la terrà anche a distanza).

Dispenser sì, termoscanner no (farsi misurare la temperatura all’ingresso non è obbligatorio, come non sono obbligatorie le mascherine fino a sei anni di età se si va a scuola).

Quanto al rispetto della 626, siamo a posto?

Sa qualcosa il Cts?

Hanno chiesto al ministero se tutte le scuole sono a posto con i precedenti criteri di sicurezza e quante invece aprono ancora in deroga?

Quanti lavori di ristrutturazione sono stati appaltati, quanti iniziati, quanti ancora a livello progettuale?

Per tutto quello che di avveniristico si deve fare nella scuola futura viene da immaginare che, con la spinta del governo, finalmente risolto a decidere cosa sia prioritario o cosa no (la scuola è frequentata tra docenti e studenti da quasi 8 milioni e mezzo di persone), ci sia un brulicare di attività, di cantieri, di confronti in corso, che da questo momento in poi non si parli d’altro e non si faccia altro che quel che possa darci una certezza a settembre.

Ma, per caso voi vedete qualcosa in giro?

Se sì, ditecelo, dateci un segnale di speranza. 

Infine.

Si parla (ma anche qui siamo ancora alla chiacchiera da bar) di ore di lezione ridotte a quaranta minuti.

E’così? Sarà così?

I professori hanno un contratto di 18 ore.

Togliendo 20’ ogni ora rimarrebbero 360’ da recuperare dunque altre 6 ore da svolgere.

Avranno altre classi, quindi, un aggravio di consigli di classe, ricevimento genitori e quant’altro?

Qualcuno al Miur si sta occupando degli effetti della didattica a distanza (perché passato il momento del “quanto è bello stare a casa”, ci sono ricadute fisiche e mentali di cui tener conto, e questo vale per tutte le categorie in smart working, naturalmente).

Ci vorrà una normativa anche qui o facciamo un eterno stato di eccezione?

Adesso ci dovrà essere un documento della task force del ministero.

Qualcosa è già trapelato e non siamo molto lontani da quanto ha scritto il Cts.

Ma avere fiducia non costa niente…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo

 

Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…

 

 




DAD: conta ancora il fattore umano

dad

Finalmente, siamo arrivati alla fine di un rocambolesco anno scolastico.

L’emergenza Covid 19 ha imposto lezioni a distanza, verifiche on line ed esami finali di terza media ridotti ad un percorso inderdisciplinare caricato su una piattaforma digitale e presentato dietro uno schermo.

E come accaduto per la didattica, anche gli esami hanno risentito dei problemi dovuti alla difficoltà, per molti studenti, di accedere alla rete e di usare con regolarità il pc

Problemi di connessione e scarsità di strumenti, anche perché, magari l’unico computer di casa serviva al fratello liceale o ai genitori in smart-working.

Problemi di relazione, perché, a volte, è stato perfino impossibile interfacciarsi, seppur attraverso uno schermo, con docenti e compagni di classe.

Qualcuno di loro, proprio per questi motivi, ha anche rischiato di non poter sostenere il proprio esame di terza media.

Come un’alunna, la cui storia è diventata emblematica.

Emblematica del disagio di tanti alunni penalizzati dalla Dad, ma anche emblematica della responsabilità e della professionalità di tanti docenti che hanno fatto, di tutto e di più, per contenere e fronteggiare questo problema.

Come redazione di betapress, abbiamo intervistato il prof. FERNANDO BONESSIO, un professore di educazione fisica, ormai prossimo alla pensione.

Questo docente romano, più precisamente delle scuole medie dell’I.C. Poggiali-Spizzichino, è diventato protagonista, suo malgrado, come lui stesso ha dichiarato, di un coraggioso intervento per salvare l’esame di una sua alunna.

Alunna extracomunitaria disagiata che non riusciva ad accedere alla piattaforma per sostenere a distanza la presentazione dell’elaborato.

Betapress- Buongiorno, prof. Bonessio, innanzi tutto ci racconti cosa è successo…

Bonessio- Ieri, una 14enne originaria dell’Ecuador che frequenta l’ultimo anno delle medie all’istituto Poggiali-Spizzichino della Garbatella, doveva discutere l’elaborato finale.

Betapress- Per i nostri lettori, spieghiamo bene in cosa consiste quest’anno affrontare gli esami di terza media…

Bonessio- Come migliaia di alunni di tutta Italia, per la prima volta nella storia scolastica italiana, quest’ alunna doveva discutere l’elaborato finale on line.

Praticamente doveva presentare, dietro uno schermo, una tesina che raccordava diverse materie scolastiche, tesina imposta, come ultima prova dal ministero dell’Istruzione, per svolgere gli esami nelle scuole di I grado ai tempi del coronavirus. 

Betapress- Com’è andata? Ci sono stati problemi?

Bonessio-  Fin dal mattino, la mia alunna, che era in casa da sola poiché il padre era andato al lavoro, non riusciva a connettersi con la propria classe e con la commissione.

Betapress- Mi scusi, e la madre?

Bonessio- La ragazzina è arrivata due anni fa in Italia, solo con il padre, che fa il badante, e la madre è rimasta in Ecuador.

Purtroppo, sono sempre più frequenti dei casi simili in un contesto sociale come il nostro, con una forte presenza di alunni extra-comunitari.

Betapress- Ed allora, cosa è successo?

Bonessio- Nonostante tentativi su tentativi che sono durati l’intera giornata, la ragazza non è riuscita ad accedere alla piattaforma usata dalla scuola.

Betapress- Dunque, cosa avete fatto?

Bonessio– La commissione ha iniziato a ragionare su come permettere alla ragazzina di svolgere la prova, ma non se ne veniva a capo, anche il tentativo di cambiare piattaforma si è rivelato inadeguato, il problema era proprio la connessione insufficiente.

Betapress- Allora?

Bonessio– Quando, raggiunta telefonicamente dalla mia collega di musica, ho sentito che la mia alunna stava per crollare in una crisi di pianto, ho deciso di fare quello che normalmente si dovrebbe fare…

 Betapress- Cioè?

BonessioMettersi dalla parte degli alunni e garantire il loro diritto all’ istruzione, in questo caso il loro sacrosanto diritto a sostenere l’esame, anche ai tempi del Coronavirus.

Così, ho preso in mano la situazione: mi sono alzato, ho tirato fuori dallo zaino le chiavi della macchina e con la mia collega di musica da Garbatella sono arrivato al quartiere di San Giorgio ad Acilia.

Betapress- Perché così lontano?

Bonessio– Perché la ragazza abita in questo quartiere periferico verso Ostia, ma il padre l’aveva iscritta da noi, alla Garbatella, in quanto più comodo e vicino al suo posto di lavoro.

Betapress- Ed i suoi colleghi come hanno reagito alla sua iniziativa?

BonessioNon hanno avuto modo di dissentire, perché, scherzosamente, ma non troppo, li ho minacciati di denunciarli tutti per interruzione di pubblico servizio, nel caso in cui avessero abbandonato il collegamento on line.

Betapress- Dunque?

Bonessio– Ho citofonato alla nostra alunna che è scesa di casa e dal bar con il mio cellulare, connesso con la commissione d’esame, ha potuto discutere il suo elaborato. 

Una storia a lieto fine che tuttavia dimostra i limiti e le difficoltà che migliaia di docenti e alunni hanno dovuto affrontare in questi mesi di didattica a distanza. 

Allora, abbiamo voluto saper qualcosa di più, su questa benedetta, maledetta DAD…

Betapress- Ci dica sinceramente, prof. Bonessio, alla luce anche di questa storia, com’è andata la Dad?

BonessioLa Dad ha incrementato i cronici problemi dell’universo scuola, primo tra tutti la mancanza di formazione e di aggiornamento dei docenti.

E poi le enormi differenze nelle condizioni socio- economico- culturali degli alunni.

Betapress- Alla vigilia della pensione, dopo 43 anni di servizio, cosa non sopporta più della scuola dei nostri giorni?

Bonessio- La burocrazia. Pensi che, proprio per riprendere quanto ho appena raccontato, la commissione aveva anche suggerito di provare ad usare un’altra piattaforma, ma qualche docente si è opposto per motivi puramente burocratici.

Betapress- Cioè?

BonessioSecondo alcuni docenti, avremmo dovuto aspettare il beneplacito del Dirigente Scolastico, perché, se la classe aveva scelto fin dall’inizio della didattica a distanza una piattaforma, su quella bisognava svolgere l’esame…

Ma, io dico, l’alunna al telefono con la mia collega di musica, stava per piangere, e noi per un cavillo burocratico, dovevamo restare immobili?!?,

Mi sono detto, se l’alunna non viene da noi, andiamo noi da lei!

Ed allora, noi di betapress, diciamo “Averne di professori così!”

 

Perché, diciamola tutta:

In questi mesi di emergenza dovuta alla pandemia del coronavirus con le scuole chiuse e la didattica che è proseguita da remoto, l’impegno degli insegnanti e anche dei ragazzi, è stato enorme, ma molti insegnanti non hanno compreso come la didattica a distanza abbia sì, un valore formativo, ma non valutativo.

C’è una differenza sostanziale, perché il docente deve distribuire a tutti gli stessi apprendimenti e solo a quel punto valutare se i ragazzi hanno recepito oppure no.

Ma come in questo caso, come garantire questa consequenzialità quando le lezioni stesse non possono svolgersi con regolarità oppure non tutti gli studenti possono parteciparvi? 

Chiudiamo ancora con la testimonianza del prof. Bonessio, il “professore missionario” della nostra storia:

«C’è un tema anche di risorse – aggiunge il professore di educazione fisica – perché il non poter accedere alla rete, a una connessione, può nascondere a volte anche gravi problemi economici di molte famiglie.

Nel caso della mia alunna, ho capito che andarle incontro fisicamente, era l’unico modo per aiutarla».

Non potendo andare a scuola, la scuola è andata da lei.

Ma allora, perché quelli del Miur non riuscendo a risolvere i problemi della scuola italiana, non la smettono di partorire soluzioni burocratiche lontane anni luce dalla nostra vera realtà sociale?

Realtà sociale fatta di differenze economiche, problemi strutturali e deficit sistemici della nostra scuola…

Non ci stancheremo mai di dirlo, una vera riforma scolastica, deve partire dal basso, da un report come quello che vi abbiamo raccontato…

 

  

 

 

 

 

 

 

 

Riaprire la Scuola

La DAD non è sistema?

 




Testa: no ad alta tensione inutile

COMUNICATO STAMPA

TESTA (FI): DICE NO ALLE PALE EOLICHE 

 

Sarà per me un onere e un onore rappresentare il capofila di maggioranza nell’illustrazione dell’ordine del giorno “No alle pale eoliche, orizzonte libero” nel prossimo consiglio comunale. 

È mia premura innanzitutto ringraziare la maggioranza per l’opportunità concessami, affinché anche la figura di un giovane possa farsi portavoce di pratiche che assumono notevole rilevanza per tutta la comunità e non solo. 

La costruzione di un parco eolico off shore  rappresenta l’ennesima strumentalizzazione di una città a cui non viene data voce. 

Ora basta. 

In aggiunta al danno d’immagine, la centrale eolica off shore richiederebbe  l’installazione di migliaia di chilometri di nuove linee ad alta tensione altrimenti non necessarie, in aggiunta ad un costo capitale ed energetico eccessivo e senza previa valutazione di impatto ambientale. 

Per essere precisi, il progetto prevede la costruzione di 59 aerogeneratori, una rete elettrica a tensione nominale pari a 30 kV, 2 piattaforme marine, 2 condotte elettriche sottomarine, 2 giunti cavi terra-mare, 2 vasche, una condotta terrestre interrata a circa 1,70 m, una stazione utente di trasformazione 150/380 kV, un collegamento lungo circa 450 m e uno stallo di 380 kV. 

A riguardo, quello che in apparenza potrebbe sembrare una numerosa lista della spesa è invece la disastrosa portata di un progetto che, se posto in essere, rappresenterebbe l’inizio della fine del settore turistico riccionese da sempre parte fondamentale e integrante del più ampio turismo romagnolo.  

Noi non ci stiamo. 

A questo proposito, ci tengo a sottolineare che ho già provveduto a contattare il consigliere regionale Valentina Castaldini che oltre ad aver appoggiato la causa si farà promotrice congiuntamente al centro destra di una risoluzione da presentare dinanzi al consiglio regionale visto e considerata la pura follia ambientale e turistica che genera questa opera a livello di impatto sulla città. 

 

Testa Greta

consigliere comunale FI Riccione




“Tutto Andrà Bene”

“Tutto andrà bene”

“Metti in conto che ci sarà della solitudine sulla strada della libertà. Metti in conto che prima o poi, su quella strada, ci troverai tutta la gente con il tuo stesso coraggio, metti in conto che, trovando te stesso, non avrai più bisogno d’altro. Metti in conto di sentire tutta la ricchezza del mondo, vissuto da vivo. Metti in conto di accorgerti di… respirare. Metti in conto la disapprovazione degli obbedienti, l’incomprensione dei saccenti, il sospetto dei disamanti, il sorriso dei poeti. E la simpatia dei santi. Metti in conto l’amore. E tutto andrà bene.”

Luciana Landolfi – Brescia, 21 ottobre 2003

 

… anche oggi.

È ora di pranzo e suona il campanello. È il postino che suona una volta, con piglio deciso. Sembra voler dire: “Tanto lo so che sei in casa”. Anche se non ci sei. Così, se in un millisecondo non ti affacci alla finestra per urlare: “Eccomi! Arrivo!” lascia l’avviso nella cassetta delle lettere. Ed ecco che trovo, al mio ritorno, l’avviso di una raccomandata.

La descrizione dice “lettera”. Viene dall’Italia. Corro all’Ufficio Postale. È una busta gialla, di quelle rivestite di bollicine d’aria che se le premi schioccano. Adoro le buste gialle misteriose: contengono sempre bellissime sorprese. Mentre appongo la mia firma “digitale” esulto come quando, da bambina, pregustavo l’arrivo degli zii Inglesi che, ogni anno nel periodo di Natale, tornavano a casa.

Il mittente è la mia cara amica Luciana Landolfi. Mi aspetto di trovare il suo ultimo libro “Tutto andrà bene”, uno di quelli che metti in borsetta per tenerlo, ovunque tu vada, vicino al cuore. A casa penso a come sorprenderla a mia volta. Realizzo, emozionata, una diretta su Instagram. Inattesa come un treno in ritardo di un minuto alla stazione di Lugano, raggiungo tre spettatori. Ma va bene così: la diretta è terapeutica per me. Non dò il tempo alla mente di “prepararsi” le cose da dire. Così, è il mio cuore a parlare.

 

Le interviste

Ho incontrato Luciana di persona tre volte. Per parlare di “Respira come se fossi felice”, libro-intervista scritto con Paolo Borzacchiello (Autore del best seller “La Parola Magica”); in occasione della pubblicazione di “Dimmi Che Ti Amo”, raccolta di aforismi, pensieri, poesie, condivisi da Luciana sui social e raccolti per la prima volta in un libro da assumere a piccole dosi quotidiane, tanto è profondo e taumaturgico (anche aprendolo in una pagina a caso!); in pieno periodo “emergenza sanitaria” invece, in concomitanza con l’uscita del suo ultimo “Tutto Andrà bene”, ci siamo video-chiamate su Skype.

(Guarda il video corredato all’articolo)

 

Nonna Olivia

“Tutto Andrà Bene” – per chi si fosse imbattuto nello striscione arcobaleno a rallegrare il balcone di un simpatico dirimpettaio, nei post-it multiformi e coloratissimi appiccicati un po’ ovunque in città, in foto bene auguranti sui social o nelle catene di messaggi su whatsapp (l’elenco potrebbe continuare all’infinito) … è lo slogan del periodo di emergenza sanitaria, il “mantra” amuleto, la formula magica che, cacciata via la paura, ravviva la luce della Fede.

In realtà “Tutto Andrà Bene”, oltre a essere il titolo di svariate poesie di Luciana – la prima di esse, in apertura di articolo, è datata 2003 – riassume la filosofia di vita di nonna Olivia, “Essere Soprannaturale” stupendamente tratteggiato nel primo capitolo.

Donna-Medicina, Donna-Preghiera, Donna-Amore, nonna Olivia è Fonte di Ispirazione per la piccola Luciana, gloriosa incarnazione delle tre parole che, due generazioni più avanti, diverranno Atto Poetico personale e collettivo, Atto di insensata Bellezza, Modo di Vivere e di guardare gli Altri, ritenendoli in grado di affrontare gli eventi della vita. Anche e soprattutto quelli imprevisti, quelli che da un momento all’altro non è più lo stesso.

 

E il Verbo si fece carne

In principio era il Verbo. Come dire: in principio era il Suono. Il Suono prodotto da una Vibrazione. Musica creatrice.

A quanto pare due elementi preesistevano alla Creazione, così come ci viene descritta nel libro della Genesi: il Verbo ha assistito alla sua Creazione. (Anche l’acqua, a quanto pare, non è stata creata. Semplicemente, “c’era”)

Il Verbo si fa “carne” in chi Lo accoglie e ripone la sua fiducia in Esso. Risuona in chi si lascia attraversare dal suo atto Creativo,  vibrando alla stessa frequenza.

La Parola sostiene ciò che crea. È Promessa mantenuta, nell’eterno Presente.

Così, “Tutto Andrà Bene” è Atto Profetico che si fa Dono per l’Umanità. Varcando i confini di nazioni e continenti, culture e linguaggi, religioni e filosofie di vita, ci rende Uno.

 

Il Futuro ci salverà

Soprattutto, in un periodo storico importante come questo, “Tutto Andrà Bene” è il Messaggio che viene da un Futuro salvifico.

Se sapremo guardare tutti insieme verso di Esso – Porto di Quiete al riparo dai marosi della Vita, Rifugio sicuro nei momenti di incertezza, Giardino Sacro di Pace interiore – non temeremo più il Cambiamento: ritroveremo Noi Stessi e lo Scopo per cui siamo vivi, in questo splendido Universo.

Ondina Wavelet (JL)

 

http://https://youtu.be/qnyIpDtWbzs