FOIBE: peso sull’anima dei giusti.

IL GIORNO DEL RICORDO

Il 10 Febbraio si celebra il Giorno del Ricordo: solennità civile italiana, che vuol mantenere vivo il ricordo dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata.

Venne istituita nel Marzo 2004, con l’intento di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale“.

Momenti di intensa commozione vengono vissuti dai parenti delle persone soppresse e infoibate in Istria, a Fiume, in Dalmazia o nelle provincie dell’attuale confine orientale.

Ma è anche un momento di profonda italianità, poiché tutta questa gente ha profondi vincoli con la propria Patria, al pari di quanti – pur ‘tagliati fuori’ da tuttora discutibili intese internazionali, e posti oltre il confine italiano – in cuor loro hanno mantenuto forti legami con la madre Patria.

Il giorno prescelto coincide con  il giorno in cui, nel lontano 1947, furono firmati i Trattati di Pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia; territori in precedenza facenti parte dell’Italia: e questo è bene evidenziarlo.       

Nell’imminenza della ricorrenza, ho intervistato in esclusiva per BETAPRESS il Dott. Antonio Ballarin – esule di seconda generazione nato al Villaggio Giuliano Dalmata di Roma, come lui ama precisare – già Presidente FederEsuli – Federazione delle Associazioni degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati

 

Dott. Ballarin, come ci si appresta a celebrare questo particolare Giorno?

Nell’approssimarsi del Giorno del Ricordo osserviamo, in questi ultimi anni, un crescendo di intemperanza da parte dei veterocomunisti, quelli che ancora oggi, tenacemente, continuano a giustificare i massacri perpetrati dalle milizie di Tito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale in Istria, Quarnaro e Dalmazia.

Quattro anni fa era uscito un articolo del Collettivo Nicoletta Bourbaki ripreso dall’ “Internazionale”, poi è stata la volta di Moni Ovadia su “il Manifesto”, poi Eric Gobetti con il libro “E allora le Foibe?”, poi il Prof. Montanari con le sue particolari dichiarazioni, e così via.

Obiettivo: giustificare l’odio anti-italiano perpetratosi ben oltre il 1945 e che ha portato all’uccisione (foibe, fucilazioni, annegamenti e deportazioni in lager) di circa 12.000 persone italofone.

 

Quindi, permane l’amarezza per il perdurare di un anti-storico ‘giustificazionismo’? 

Certo! Vuol sapere il teorema del giustificazionismo? Molto semplice… ‘Fascismo’: dunque, ‘Foibe come reazione’, dunque ‘Esodo come conseguenza’.

A fronte di ciò, sorgono due domande:

La prima: ma l’odio anti-italiano nell’Adriatico Orientale non era nato prima, con gli Asburgo?

La seconda: giustificare il crimine commesso da A nei confronti di B (A GUERRA FINITA), in quanto B conosceva/era parente/era assimilabile a C, nemico di A, non è come legittimare il concetto di faida?

In altre parole: Pippo era nemico giurato di Pluto, Paperino è amico di Pippo, Pluto ammazza Paperino.

 

Avete provato a stimolare un incontro chiarificatore, al fine di pervenire ad una Verità unica e condivisa?

Da questo orecchio i veterocomunisti non ci sentono, né intendono confrontarsi su di un piano squisitamente storico, fatti alla mano: così prediligendo una ‘storia’ ad usum.

Ed hanno talmente paura della verità – e, con essa, di noi: in grado di smentire TUTTE le loro assurde tesi con la nostra stessa vita – che evitano accuratamente – e, mi permetta, con testarda ostinazione – qualsiasi confronto con il Popolo dell’Esodo Giuliano-Dalmata.

È la classica tattica a loro tanto cara: seminare DIS-INFORMAZIONE senza possibilità di smentita (p.e.: ricordate Chernobyl? Diceva allora ‘la Pravda’ di Mosca: “Tutto ok! Tutto sotto controllo!”), ignorando, aggirando o mistificando le tragiche VERITA’.

 

Ma queste posizioni sono ovunque, in Italia?

Fortunatamente, no.

Ad esempio, la Regione Piemonte, con coraggio e con grande obiettività, ma anche affettuosità per il nostro mondo – così rispettandone le sofferenze, e per dare dignità alla Memoria storica di questa Nazione ‘scordarella’ – organizza eventi e pubblica un manifesto, di grande effetto, per la ricorrenza del Giorno del Ricordo.

I veterocomunisti si arrabbiano, strepitano e gridano allo scandalo. Forse, avrebbero preferito, nel manifesto della Regione Piemonte, vedere il Fascio Littorio al posto della Stella Rossa sui baschi dei soldati?

Le facce terrorizzate dei civili, invece, sono proprio quelle dei nostri cari a guerra finita.

Evidentemente, la Regione Piemonte ed il suo illuminato Assessorato all’Emigrazione hanno colpito nel segno.

Un grande plauso va al loro lavoro, alla loro onestà intellettuale, al loro sforzo nel proporre la narrazione corretta della Storia.

 

Nel ringraziarla per questa intervista, un’ultima domanda: ci sono ancora verità nascoste?

Al riguardo, una evidenza tra altre: Vergarolla… una pagina di intensa tragicità cui ancora non è stata data degna, chiara ed esaustiva lettura e quindi risposta. Ma noi esuli siamo tenaci: la ricerca della VERITA’ e un profondo desiderio di GIUSTIZIA sono uno sprone che è nel nostro DNA, di generazione in generazione.

 

 

Giuseppe Bellantonio

 

 




RisiKo Covid-19

Carnevale è arrivato in anticipo, quest’anno, almeno nella scuola…

Mettiamola sul ridere, perché, altrimenti, c’è da piangere…

Sono state approvate con il D.L. 5/2022 le Misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell’ambito del sistema educativo, scolastico e formativo”.

Entrano in vigore oggi, 7 febbraio, nel silenzio e nell’indifferenza di tutti, ma, soprattutto, dei sindacati.

Dall’oggi al domani, è stato deciso di mettere fine ad un modello di monitoraggio e di controllo del contagio nelle scuole, modello che ha dato prova di efficienza grazie all’azione di un sistema inclusivo, affidato alla responsabilità dei dirigenti scolastici e alla professionalità dei referenti scolastici per il covid19.

Come sempre, in Italia, quando qualcosa funziona, è ora di cambiarla…

Ecco, che da adesso (spacciata per ragioni di semplificazione) è prevalsa una scelta che scarica di responsabilità le autorità sanitarie preposte e assegna gran parte della gestione dell’emergenza alla scuola.

Come? Con un nuovo sistema di regole che di fatto, sulla base del principio dell’auto-sorveglianza individuale, sbilancia le responsabilità sugli operatori scolastici e sulle famiglie, dimenticandosi, per esempio, delle peculiarità degli istituti comprensivi che si ritrovano a dover affrontare la pandemia in contesti anagrafici disomogenei e con preoccupanti criticità.

  Ma perché, ancora una volta, nonostante l’emergenza tutt’ora     dichiarata, si limita il controllo sanitario lasciando però invariati gli obblighi per l’istituzione scolastica?!?

Come redazione di betapress, torniamo a dare voce alla protesta dei referenti scolastici covid19 di Ancodis che sono molto preoccupati per quanto potrebbe accadere a partire dal 7 febbraio e sono disorientati sulle ragioni di queste nuove regole.

Ne parliamo direttamente con Rosolino Cicero, Presidente Nazionale Ancodis.

Betapress- Professore, erano necessarie queste nuove norme scolastiche?

Cicero- No, non ha senso, riproporre, per l’ennesima volta, al personale e alle famiglie, un nuovo modello in TOTALE discontinuità con il precedente e che pone la scuola in una condizione di ancora più grave fragilità e insicurezza.

Avremo comunità scolastiche ancora più in tensione nelle relazioni scuola-famiglia e tra famiglie laddove si rilevassero uno o più casi di positività.

Betapress- Che posizione assumete come Ancodis?

Cicero- Ancodis ritiene questa scelta uno spericolato risiKo a danno di donne, uomini e alunni che invece dovrebbero essere protetti, rassicurati e sostenuti in questa emergenza che ci ha tolto la forza di un sorriso e la vicinanza di un abbraccio con i nostri piccoli e grandi alunni.

Siamo stanchi e sfiduciati.

Non possiamo accettare di continuare a lavorare in una condizione di insicurezza divenuta per certi aspetti cronica.

Betapress- Cosa chiedete ai sindacati?

Cicero- Chiediamo alle associazioni dei dirigenti e alle OO.SS. di far sentire la loro voce di disapprovazione di una scelta politica che lascia disorientate e nell’incertezza circa 8000 “cellule vitali” che hanno cercato in questi due anni di alzare un argine alla diffusione del coronavirus nonostante i gravi ritardi e le intollerabili negligenze degli altri anelli preposti alla sua tutela.

Betapress- Vi sentite almeno ascoltati?

Cicero- No, assolutamente no, di fronte a questo scenario sentiamo un silenzio assordante…

Ma in che paese viviamo? –

Bene, no, anzi male, aggiungiamo noi di betapress.

Noi, almeno noi, come redazione, continuiamo a stare dalla parte di chi nella scuola ci vive e ci lavora da decenni, non per diletto, propaganda politica o vezzo elettorale!

Vorremmo solo, un po’ di responsabilità, competenza e professionalità, anche da parte di chi comanda e si diletta a fare e disfare solo per il gusto di simulare un proprio (assurdo e contraddittorio) intervento politico.

E lasciamo ai posteri l’ardua sentenza “Ma è davvero così che si operano delle scelte responsabili apostrofate “Misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell’ambito del sistema educativo, scolastico e formativo”?!?

 




I Falsi Miti delle Iscrizioni.

Iscrizioni Scuole secondarie di II grado – a.s. 2022/23

Fonte Ministero dell’Istruzione, le iscrizioni ai licei calano e lentamente salgono la china gli istituti tecnici e professionali.

L’inversione di tendenza dovrebbe far bene sperare per il rilancio dell’istruzione tecnica e professionale prevista nel PNRR e per il rilancio del sistema economico dopo gli anni di pandemia.

I licei restano comunque la scelta preferita con il 56,6%, i tecnici salgono al 30,7% e l’interesse per i professionali cresce di quasi un punto con il 12,7%.

Sta di fatto che su 100 quattordicenni circa 57 frequenteranno nel 2022/23 un liceo, indirizzo di studio che si completerà in un percorso universitario.

Tuttavia, secondo Almalaurea, già al primo anno di università solo il 71,7% degli studenti decide di continuare gli studi.
E il restante 28,3%?

È un grande e bel problema! Il 28,3% abbandona a non riesce a conseguire nemmeno la “triennale”.

La maggior parte proviene da un percorso liceale di tipo generalista con nessuna competenza tecnico-professionale in uscita e spendibile nel mondo del lavoro.

Allora questa massa di ex liceali si tradurrà in una massa di giovani inoccupati con scarse prospettive di inserimento lavorativo, se non in settori lavorativi a basse skill.

Ben venga allora l’inversione di tendenza, seppur timida, registrata nella scelta della scuola superiore.

Occorre continuare per questa strada, orientando “lealmente” studenti e genitori, per lo più distratti dal mito del liceo.

 

Pio Mirra DS IISS Pavoncelli – Cerignola (FG)




Sharenting

Come docente referente cyberbullismo, giustamente, mi formo ed informo per la prevenzione e la gestione dei rischi in rete.

Come libero cittadino, dipendente pubblico, devo aggiornarmi sul regolamento europeo GDPR 679/2016 inerente la privacy.

Senza tanti fronzoli, per chi, come me, vive e lavora nella scuola da oltre trent’ anni, è sempre più evidente che non si può più fare niente, neanche la foto ricordo di fine anno scolastico, senza autorizzazione dei genitori.

Non parliamo poi, del supporto psicologico gratuito, per aiutare i minori in caso di disagio.

Ancora un po’, ci vuole “la bolla papale” per far sì che un alunno vada a fare una chiacchierata con la psicologa…

Poi, frequentando piattaforme social quali Instagram, Facebook e TikTok vedi che è facile imbattersi in post di mamme e papà (gli stessi che ti remano contro a scuola!) che scelgono di pubblicare foto e video dei propri figli in maniera compulsiva e senza alcun tipo di filtro, divulgando momenti appartenenti alla sfera più intima.

Immagini tenere e spesso divertenti che attirano i followers, (Fedez e Ferragni docet) ma che, pur scatenando una pioggia di like e apprezzamenti, suscitano perplessità e fanno emergere una serie di domande.

Prima di tutto i dati.

Secondo una ricerca condotta dalla Northumbria University, oltre l’80% dei bambini britannici sarebbe presente in rete già prima di compiere 2 anni, e prima di raggiungere i 5 anni ognuno di essi arriverebbe a possedere addirittura 1500 foto sul web.

Un ulteriore studio, promosso da ParentZone, sottolinea come il 32% dei genitori pubblichi dalle 11 alle 20 foto al mese dei propri figli.

Di questi, il 28% non si sarebbe mai posto il problema di richiedere il consenso ai ragazzi.

Gli effetti futuri.

Quando però, quelli che ora sono bambini cresceranno, potrebbero non apprezzare la presenza online, né la narrazione portata avanti dai genitori, destinata, nonostante le migliori intenzioni, a rimanere incollata ai “futuri adulti” come una spiacevole etichetta (vedi spiacevoli inconvenienti digitali emersi in sede di selezione del personale per un futuro impiego)

Insomma, creare un’identità digitale propria e utilizzare i social (in maniera libera e serena) potrebbe, successivamente, rivelarsi difficile per coloro che, da piccoli sono stati esposti alla rete forzatamente, ed in modo esibizionistico dai genitori.

Tutto questo identifica il fenomeno dello “sharenting”, sempre più diffuso e a tratti allarmante, complici i rischi legati alla privacy dei minori, tangibili e sicuramente da non sottovalutare.

Definizione di sharenting.

Con il termine “sharenting” si fa riferimento alla condivisione in rete da parte dei genitori di immagini e video riguardanti i propri figli.

Coniato negli Stati Uniti, il neologismo è la crasi delle parole “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità), anche se per precisione la pratica è meglio identificata come “over-sharenting”, ovvero l’eccessiva e protratta esposizione dei minori nel contesto web.

Nella maggior parte dei casi, tale esposizione avviene senza il consenso dei minori diretti interessati, proprio perché troppo piccoli (o non abbastanza grandi) da comprendere quali possano essere le implicazioni ed i rischi, così come l’importanza della tutela della privacy.

I rischi dello sharenting

Innumerevoli sono i rischi che comporta la pratica dello “sharenting”, tutti in grado di ledere seriamente la privacy del minore, esponendolo ai più comuni pericoli del web.

Il primo è rappresentato dalla violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali e sensibili.

La privacy è un diritto, non solo degli adulti, ma anche dei bambini, come sancito dalla Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

C’è poi la questione legata alla mancata tutela dell’immagine del minore, basti pensare alla concreta perdita di controllo relativa ai contenuti una volta pubblicati in rete.

L’identità digitale esercita un’influenza concreta e tangibile sul futuro dei minori, in questo modo esposti ai più comuni rischi legati al contesto telematico.

La relativa immagine appare dunque in balia di chiunque desideri sfruttare il materiale fotografico e video per scopi illeciti e denigratori, complice la relativa permanenza su web e l’impossibilità di eliminarne ogni traccia in un secondo momento.

Problema ancor più grave sono le ripercussioni psicologiche sul benessere del minore.

Quando i soggetti coinvolti inizieranno a navigare in rete in autonomia, dovranno inevitabilmente “pagare lo scotto” dell’essere (o dell’essere stati) esposti pubblicamente in maniera continua, col rischio di ritrovarsi a far fronte a un’identità digitale costituita anche da immagini intime per le quali non hanno prestato alcun consenso.

C’è poi il rischio di diffusione di materiali che potrebbero essere sfruttati in contesti pedopornografici.

Immagini o video, per quanto innocenti, possono essere condivisi liberamente da chiunque, sia attraverso semplici screenshot che mediante il download diretto, per poi venire pubblicati in altri contesti senza alcuna limitazione.

Non esiste dunque alcuna certezza circa l’utilizzo che ne verrà fatto da terzi, e occorre tenere ben presente che ad oggi, attraverso l’uso di semplici programmi di fotoritocco, è possibile manipolare il materiale personale con una certa facilità, rendendolo di carattere pedopornografico, con tutte le ripercussioni del caso.

Ultimo ma non meno importante il rischio di adescamento.

I dati dei minori, come le passioni, lo sport praticato, l’istituto frequentato e le abitudini degli stessi, se costantemente esposti online possono rappresentare terreno fertile per i malintenzionati che, dopo aver intrapreso una sorta di “percorso di avvicinamento”, possono praticare atti di adescamento online.

Sharenting e privacy

Tra le principali criticità che coinvolgono lo “sharenting” compaiono le ripercussioni che la condivisione – specie se compulsiva e ripetuta – ha sul minore.

Ad essere principalmente lesa è la privacy, poiché la pratica comporta la creazione di un vero e proprio archivio digitale, il più delle volte pubblico e fruibile da chiunque.

Spesso il minore non è in grado di capire cosa succede quando viene condivisa un’immagine che lo immortala, e ciò determina a tutti gli effetti una violazione della privacy, oltre che una lesione dell’individualità del soggetto.

Una volta cresciuti, i bambini sono costretti a “fare i conti” con una grande quantità di contenuti che li riguardano, con tutte le conseguenze e implicazioni psicologiche e sociali del caso.

In Italia non sono mancati proprio per questo casi in cui gli adolescenti coinvolti, una volta preso atto della quantità di contenuti online che li riguardavano, hanno scelto di rivolgersi ai tribunali, obbligando i genitori alla rimozione del materiale “incriminato” pubblicato sui social.

Ha acceso innumerevoli dibattiti l’ordinanza del 30 agosto 2021 emessa dal Tribunale di Trani, che ha condannato una madre a rimuovere i video della figlia, e a versare una somma di 50 euro sul conto corrente intestato alla bambina per ogni eventuale giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione, il tutto a fronte del disaccordo da parte del padre rispetto alla pratica dello “sharenting”.

Il considerando 38 del GDPR recita che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate, nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”.

Come ha ricordato lo stesso Tribunale di Trani nell’ordinanza, è fondamentale che il consenso alla pubblicazione online di immagini dei figli minori sia prestato dai genitori, che devono al contempo essere in grado di porre limiti che non ledano in alcun modo la privacy dei bambini e dei ragazzi.

Occorre tuttavia considerare che la pratica dello “sharenting” non si limita a creare dinamiche che possono semplicemente compromettere la riservatezza del minore.

Ancor più rischioso è infatti metterne a repentaglio la sicurezza mediante la condivisione di materiale video e fotografico che può potenzialmente diventare virale.

Dunque, per concludere, un genitore, in quanto tale, non deve mai sottovalutare l’entità del possibile problema che lo “sharenting”, per quanto divertente, può comportare.

E certi altri genitori, analfabeti digitali, prima di puntare il dito contro la scuola, dovrebbero staccare il loro dito dal tasto condividi del loro smartphone…

 




Bullismo fenomeno dilagante

La “Prima Giornata nazionale contro il bullismo a scuola” si è svolta il 7 febbraio 2017, in coincidenza con la Giornata Europea della Sicurezza in rete indetta dalla Commissione Europea (Safer Internet Day).

Cinque anni dopo, il fenomeno del cyberbullismo è in costante e rapida crescita, comparendo tra le minacce più temute dai ragazzi dopo droghe e violenza sessuale.

Secondo le ultime ricerche, infatti, colpirebbe addirittura il 61% degli adolescenti italiani, rappresentando pertanto un notevole rischio, a discapito della potenziale utilità delle tecnologie più innovative legate al contesto web.

Per far fronte a questa vera e propria emergenza, e tutelare giovani e giovanissimi che utilizzano quotidianamente gli strumenti informatici, il Garante della privacy ha provveduto a divulgare una scheda informativa nella quale spiega come difendersi dal cyberbullismo su social network e web.

Dunque, per arginare tale problematica in maniera concreta, è possibile avvalersi di quanto previsto dalla legge 71/2017 per il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in tutte le sue manifestazioni, richiedendo la rimozione gratuita dei contenuti a carattere denigratorio pubblicati in rete.

Cyberbullismo. Cosa dice la legge 71/2017

Come illustra la scheda informativa promossa dal Garante della privacy, la legge 71/2017 offre ai minori l’opportunità di richiedere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di contenuti a loro riferiti e diffusi per via telematica, qualora gli stessi vengano ritenuti a tutti gli effetti atti di cyberbullismo, (ad esempio immagini e video offensivi o che generino imbarazzo, pagine web o post social in cui si ritenga essere vittime di offese, minacce, insulti o vessazioni).

Le richieste di cancellazione dei contenuti ritenuti offensivi devono essere inoltrate al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media ove sono pubblicate le informazioni, le foto o i video ritenuti atti di cyberbullismo.

L’istanza può essere inviata direttamente dal minore, se di età superiore ai 14 anni, o in alternativa da chi esercita la responsabilità genitoriale.

Il titolare del trattamento, così come gestore del sito internet o del social media che ospita i contenuti ritenuti offensivi è tenuto a rispondere e a provvedere all’accoglimento della richiesta di eliminazione, il tutto nei tempi previsti dalla legge.

Qualora la richiesta non venga soddisfatta, è comunque possibile rivolgersi al Garante della privacy, che si attiverà entro 48 ore.

Per inoltrare le segnalazioni all’Autorità, è possibile utilizzare il modello preposto, che deve essere inviato via email all’indirizzo cyberbullismo@gpdp.it.

Cyberbullismo. Cosa dicono le statistiche.

Secondo un’indagine condotta, nel 2021, dall’Osservatorio Indifesa, portato avanti da “Terre des hommes” in collaborazione con “ScuolaZoo”, il 61% degli adolescenti italiani ha dichiarato di essere stato, almeno una volta, vittima di episodi di cyberbullismo.

Il 42,23% di ragazze e ragazzi intervistati, indifferentemente, evidenzia, mediante le risposte fornite, una palese sofferenza esercitata da episodi di violenza psicologica e verbale promossi da parte di coetanei.

Allo stesso tempo, un altro dato appare piuttosto chiaro: il 44,57% delle ragazze intervistate avrebbe manifestato un forte disagio causato dal ricevere commenti non graditi di carattere sessuale online.

L’8,02% delle ragazze ammette di aver compiuto atti di bullismo o cyberbullismo, percentuale in crescita fino al 14,76% tra i ragazzi.

Il 60% circa degli intervistati ha dichiarato inoltre di non sentirsi al sicuro online: sono in questo caso le ragazze (circa il 61,36% delle intervistate) ad avere più paura, soprattutto sui social network e sulle applicazioni per incontri.

I rischi percepiti in misura maggiore

Tra i rischi maggiori, sia per quanto concerne i maschi che le femmine, al primo posto compare proprio

il cyberbullismo in misura di circa il 66,34%,

seguito dalla perdita della privacy (49,32%),

dal “revenge porn” (41,63%),

dal rischio di adescamento da parte di malintenzionati (39,20%),

dallo stalking (36,56%)

e dalle molestie (33,78%).

Nella classifica dei peggiori incubi online, le ragazze pongono al secondo posto il “revenge porn” con una percentuale pari al 52,16%, unitamente al rischio di subire molestie online per il 51,24%.

A tali minacce seguono l’adescamento da parte di malintenzionati (49,03%) e la perdita della propria privacy (44,73%).

In particolare, lo stesso Osservatorio Indifesa ha evidenziato due novità di rilievo nell’indagine dedicata al 2020, sebbene nel 2021 il tutto sia ulteriormente incrementato: il “revenge porn” e il senso di isolamento percepito dai giovani.

Nel caso del “revenge porn”, un adolescente su tre ha infatti confermato di aver visto circolare foto intime personali o dei propri amici e conoscenti sui social network.

Quasi tutte le ragazze (circa il 95,17% delle intervistate) hanno consapevolmente preso atto che vedere le proprie foto o video hot circolare online senza il proprio consenso risulta grave al pari di subire una violenza fisica, percentuale in lieve discesa invece per i ragazzi, con cifre pari all’89,76%.

Non dimentichiamo, inoltre, che tendono a persistere i vecchi pregiudizi, legati soprattutto alle tradizioni famigliari e a contesti di degrado culturale.

Infatti, il 15,21% dei ragazzi considera una “ragazza facile” quella che sceglie liberamente di condividere foto o video a sfondo sessuale in compagnia del partner (per le ragazze tale asserzione risulta vera solo nell’8,39% dei casi).

Cyberbullismo, effetto covid e lockdown

Covid e locksown hanno peggiorato la situazione.

Infatti, forte e crescente è il senso di solitudine registrato dall’indagine, correlato quasi certamente alle misure precauzionali adottate durante il lockdown, al distanziamento sociale, e alla didattica a distanza.

Il 93% degli adolescenti ha infatti affermato di sentirsi solo, con un incremento del 10% rispetto a quella che era stata la rilevazione precedente.

Un aumento ancora più significativo se si pensa che la percentuale di chi ha indicato di provare solitudine “molto spesso” è cresciuta addirittura del 33%, giungendo rapidamente ad un drammatico quanto allarmante 48%.

Dati preoccupanti dunque quelli raccolti dall’Osservatorio Indifesa, che dovrebbero indurre a riflettere su come la tecnologia, per quanto all’avanguardia, implichi rischi di notevole entità, specie per gli adolescenti che non sempre accolgono con consapevolezza le innovazioni.

Concludendo, non aspettiamo il 7 febbraio per ricordarci dei rischi in rete.

Spegniamo il cellulare, accendiamo il cervello e controlliamo i nostri figli.

Noi, come redazione, non ci stancheremo mai di trattare questo fenomeno culturale, consapevoli che è un’emergenza sociale che, con effetto domino, si sta ribaltando su tutte le generazioni future.

La sola via utile da intraprendere è quella della tutela dei minori, messa in atto mediante una corretta e veritiera informazione (anche e soprattutto da parte delle istituzioni scolastiche, è vero, ma non basta).

La scuola, ma ancor prima la famiglia, devono formarsi ed informarsi in modo completo e responsabile.

Solo facendo rete, tutti insieme, genitori, professori, educatori, minori e fruitori possiamo prevenire tutti i rischi legati al cyberbullismo.

La parola d’ordine è EDUCAZIONE COME PREVENZIONE.

Perché, educando ed educandoci all’utilizzo delle nuove tecnologie web, con rigore, consapevolezza e maturità, forse, qualcosa di buono, da festeggiare, in futuro, ci sarà…

 




Parte la trasmissione “Donne che corrono con i lupi”

“Donne che corrono coi lupi” è quello che in francese si dice “livre de chevet” ovvero, libro da comodino.

Io lo considero un libro-talismano ed un libro-pronto soccorso per noi donne.

Per questo, lo tengo sempre lì, sul comodino, come un amico speciale, un’opera preziosa, che dona spunti di riflessione e di crescita interiore.

Attraverso fiabe antiche l’autrice, ci dà gli strumenti per connetterci con la nostra natura selvaggia e con la nostra forza intuitiva femminile.

Un inno alla meravigliosa parte profonda dell’animo femminile, quello che spesso viene dimenticato.

Donne che corrono coi lupi è un capolavoro di Clarissa Pinkola Estés pubblicato nel 1992.

Psicoanalista junghiana, Clarissa Pinkola Estés ha fondato un’analisi volta al femminile e che mira alla ricerca indiscussa della felicità.

Con la sola forza del passaparola, questo libro è riuscito ad avere un successo planetario ed un tale apprezzamento dalla critica, da rimanere nella classifica best seller del New York Times per i tre anni successivi alla sua pubblicazione.

La Donna Selvaggia è un prodigioso intuito dell’autrice.

La Donna Selvaggia è una forza potente che si basa sull’istinto, una lupa ferina, ma anche materna, soffocata da quelle paure, insicurezze e stereotipi di cui sono quasi sempre vittime le donne.

Attraverso fiabe e miti, culle senza dubbio di tutte le tradizioni culturali, l’artista ci racconta quali sono le trappole in cui cade la psiche femminile, deturpandola della sua bellezza creativa.

Troppe volte, noi donne, ci troviamo ad essere eccessivamente premurose verso altri e poco verso noi stesse, dimenticando la nostra vera natura.

Eppure c’è un fuoco, dentro di noi, da ascoltare: è quello che ci ricorda che il connubio tra donna e lupo non è solo una semplice metafora. Possiamo essere premurose, sì, ma mai senza avere la forza di accendere anche la più piccola fiamma della nostra natura selvaggia.

Proprio in quest’ottica, nasce la serie “DONNE CHE CORRONO COI LUPI”, Parliamone insieme, condotta da Antonella Ferrari, caporedattore scuola, docente e poetessa, autrice del libro “Solo gocce di vita”

In ogni puntata, in diretta streaming trasmessa, sul canale youtube di betapress TV, sarà ospite del nostro programma una donna speciale che ha fatto la differenza nel suo percorso di crescita umana e professionale attraverso una o più rinascite, dando prova di forza d’animo, intuito femminile, versatilità professionale e resilienza personale.

Un viaggio a puntate, attraverso storie di donne comuni, eppur speciali, donne che hanno avuto il coraggio di lanciare il loro cuore al di là dell’ostacolo e di “scrivere dritto su righe storte”.

Un confronto a 360°, dialogo al femminile destinato però anche ad un pubblico maschile, perché, non dimentichiamolo, in ognuno di noi, abitano l’anima e l’animus.

Perché, senza disturbare Jung, quante donne seguono il loro animus, come lato maschile inconscio, e quanti uomini ascoltano la loro anima come lato inconscio femminile.

Del resto, lo dice il titolo stesso del libro, le donne che corrono coi lupi, non corrono da sole, anzi…

 

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Adolescenti, social e suicidi

L’adolescenza, è un periodo di transizione dall’infanzia verso l’età adulta.

Durante l’adolescenza, i ragazzi attraversano numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, acquisiscono nuovi ruoli e responsabilità all’interno del contesto sociale e si trovano a dover strutturare una propria identità.

Ma, attenzione, tutti questi cambiamenti tipici dell’adolescenza, da sempre, vanno contestualizzati nelle coordinate spazio-temporali, variabili, in cui l’individuo vive.

Ecco perché, essere adolescenti, oggi, implica attraversare i compiti evolutivi dell’adolescenza declinandoli in un contesto, socio culturale, fortemente influenzato dai social.

A questo proposito, una ricerca interna di Facebook, del settembre 2021, ha evidenziato dei dati allarmanti, dati raccolti negli Stati Uniti e nel Regno Unito relativamente agli ultimi tre anni.

Tra i più rilevanti, emergerebbe che oltre il 40% dei soggetti presi in esame, che hanno dichiarato di sentirsi poco attraenti, avrebbe specificato come tale sensazione sarebbe stata amplificata dall’utilizzo di Instagram.

Ma, soprattutto, sarebbero soprattutto gli adolescenti ad incolpare Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione.

Non solo, la ricerca di Facebook avrebbe altresì rilevato che gli adolescenti che hanno manifestato intenti suicidi (il 6% negli Stati Uniti e il 13% in UK), ricondurrebbero tale atteggiamento proprio all’uso di Instagram.

La notizia, resa nota dal Wall Street Journal – l’unica testata ad essere entrata in possesso delle slide relative a quanto espresso dal colosso di Menlo Park – fa molto discutere, in virtù del fatto che a prendere coscienza del pericolo è proprio la stessa società che possiede la piattaforma Instagram, la più usata dai giovani al pari di TikTok.

Secondo questa ricerca, Instagram rischierebbe dunque di essere uno strumento di continuo “confronto sociale”, una sorta di paragone costante con modelli che utilizzano, come solo metro di conversazione, il confronto della propria immagine.

Praticamente, agli utenti di questa piattaforma, attraverso il meccanismo del photo sharing, verrebbe veicolato il messaggio che, nella vita, per avere “successo”, bisogna incarnare un dato modello di prestazione fisica e di perfezione estetica.

In effetti, Instagram vede il continuo bombardamento di immagini perfette che appaiono nei feed e nella sezione “Esplora”, ma veramente, gli effetti di questo meccanismo sono così pesantemente negativi sui giovani?

Da anni, ormai lo sappiamo, si è sviluppato un acceso dibattito sugli effetti dei social che– se utilizzati in maniera scorretta e poco sana – possono generare problematiche da non sottovalutare, specie a fronte del fatto che sono i giovani a risentirne in prima persona, spesso in maniera evidente.

Del resto, è evidente, il vero fulcro di queste piattaforme web sono gli algoritmi, creati con l’obiettivo di alimentare interesse verso determinate tendenze, che possono incidere pesantemente su alcune persone più fragili di altre.

Ma come e perchè sul piano cognitivo e comportamentale Instagram è uno strumento dannoso per gli adolescenti?

Ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Giulia Alleva Psicologa e Consulente sessuale, Specializzanda in psicoterapia cognitiva

Betapress- Dottoressa, partiamo dai dati, ovvero, una ricerca interna di Facebook, resa nota dal Wall Street Journal ha fatto emergere dati allarmanti su come l’utilizzo di Instagram possa risultare dannoso per gli adolescenti.

Cosa ci può dire in proposito?

Dott. Alleva- Instagram è una piattaforma nota per il photo sharing ed è molto popolare tra i giovani e non solo.

Basti pensare che, ad oggi conta oltre 500 milioni di utenti attivi, distribuiti in ogni parte del mondo.

Ma, attenzione, proprio per i più giovani, il photo sharing rappresenta uno strumento potenzialmente deleterio, in quanto causa un continuo confronto sociale che tende a generare ansia, stati depressivi e disagio tra i ragazzi.

Betapress- Perché, proprio gli adolescenti sono i più vulnerabili?

Dott. Alleva- Uno dei compiti evolutivi dell’adolescenza è la mentalizzazione del corpo. Cioè, proprio l’individuo in fase adolescenziale, prova ad affrontare e realizzare la costruzione di un’immagine corporea, ma anche la sua rappresentazione mentale.

Instagram rappresenta uno strumento dannoso per gli adolescenti perché peggiora i problemi di immagine corporea degli stessi.

Pensiamo che, proprio in una delle slide relative alla ricerca di Facebook, una ragazza su tre dichiara che Instagram peggiora l’idea di sé come corpo adeguato.

Vede, questo dato è molto significativo, perché, gli adolescenti presentano già problematiche legate all’aspetto fisico, all’ansia, alla depressione e ai disturbi alimentari a monte. Il continuo confrontare il proprio corpo reale, imperfetto, con l’altrui corpo virtuale, perfetto, aggrava il senso di inadeguatezza ed inferiorità. Viene da sé che, in un contesto di questo genere, Instagram appare tutt’altro che d’aiuto.

Betapress- Possiamo fare degli esempi?

Dott. Alleva- Certo! Proprio nell’inchiesta del Wall Street Journal è riportata la storia di un’adolescente, Anastasia Vlasova, che a soli 18 anni è in terapia per disturbi alimentari, attribuiti da lei stessa al tempo trascorso su Instagram.

La ragazza si era iscritta alla piattaforma a 13 anni, finendo per trascorrere addirittura tre ore al giorno sul social, incantata dalle vite e dai corpi apparentemente perfetti delle influencer di fitness.

“Quando sono andata su Instagram – ha raccontato la ragazza – tutto quello che ho visto erano immagini di corpi perfetti, addominali perfetti e donne che facevano 100 burpees in 10 minuti”.

Betapress- A quanto pare la storia di Anastasia è ormai piuttosto comune…

Ma ci sono stati degli interventi per arginare il problema?

Dott. Alleva- Sì, dal momento in cui gli stessi ricercatori di Instagram, nel 2019 hanno iniziato a studiare gli effetti indesiderati provocati dalla piattaforma, scoperchiando un vero e proprio vaso di pandora, gli stati hanno dovuto intervenire.

In particolare, ha fatto discutere qualche mese fa la decisione del Ministero per l’Infanzia e per la Famiglia in Norvegia, che ha reso obbligatoria all’interno di Instagram l’indicazione relativa a un’eventuale modifica digitale delle foto pubblicate.

Betapress- Secondo la sua esperienza, quest’intervento è adeguato a risolvere il problema.

Dott. Alleva- l’efficacia completa dell’intervento sarà misurabile nel tempo, certo è che questa indicazione rappresenta un intervento concreto.

Nei fatti, è stata presa una decisione d’obbligo, specie a fronte del dilagante fenomeno del dismorfismo corporeo, il pensiero continuo sui propri difetti fisici, percepiti come amplificati a causa di una visione distorta di sé e della propria fisicità.

Una situazione continuamente fomentata dalla ricerca di “like” e “vanity metric” che, come ampiamente espresso dalla ricerca, genera ansia in particolare negli adolescenti, accompagnata da depressione, frustrazione e bassa autostima, con tutte le conseguenze del caso.

Appare dunque più che opportuno informare su quanto Instagram possa risultare dannoso, specie per i soggetti potenzialmente più fragili, sensibili e insicuri.

L’intento non è certo quello di mettere in discussione una piattaforma in particolare, ma semplicemente di evidenziare quelle che possono essere le conseguenze che l’utilizzo e il format di molti social possono comportare sugli adolescenti e il relativo impatto, sia a livello psicologico che fisico.

Betapress- Ma Instagram stesso sta fronteggiando il problema?

Dott. Alleva- A fronte di quanto emerso, il vicepresidente per gli Affari globali di Facebook, Nick Clegg, ha spiegato in cosa consisteranno le misure per fronteggiare le problematiche relative a Instagram, sebbene per il momento sia ancora tutto in fase di progettazione e non sia stata resa nota alcuna data certa per il lancio di nuove funzionalità.

Entrando nel dettaglio, aggiungiamo noi, si parla di una nuova tecnologia in grado di permettere agli adolescenti di tenersi alla larga da contenuti potenzialmente dannosi per la loro salute mentale: “Quando i nostri sistemi vedranno che un teenager sta visualizzando un certo tipo di contenuto ripetutamente, ed è un contenuto che potrebbe nuocergli, lo spingeremo a guardare un contenuto diverso”.

Il manager avrebbe poi dichiarato momentaneamente sospeso il progetto “Instagram Kids”, piattaforma dedicata ai giovanissimi, per fare spazio alla nuova funzionalità “Take a break”, il cui obiettivo è quello di indurre ragazzi e ragazze a prendersi una pausa dal social dedicati al photo sharing.

Inoltre, ci limitiamo ad aggiungere che, come riportato da un articolo pubblicato su The Verge, si tratterebbe di una nuova feature la cui idea era stata presentata dal capo di Instagram lo scorso settembre, il quale ha ricordato anche l’impegno a sviluppare strumenti che consentano ai genitori di supervisionare gli account dei propri figli.

Certo è che un utilizzo più consapevole, informato e adeguato al proprio ideale di condivisione può sicuramente rappresentare un modello, anche e soprattutto per i più giovani.

Occorre quindi una maggiore attenzione, informazione e consapevolezza nell’utilizzo delle piattaforme social, rendendole non solo uno strumento ludico, ma anche e soprattutto di crescita e arricchimento personale.

 




Mattarella: ma non dovevamo vederci più?

Premesso che la figura di Mattarella ci piace molto, premesso che da vecchio democristiano è la figura giusta per svolgere il ruolo, premesso che questi passati sette anni è stato impeccabile, quindi ben venga la sua rielezione, ma le domande da porsi non sono Mattarella si o no, le domande da porsi sono: ma è davvero così desolato il panorama politico italiano da non avere un nome super partes? Ma davvero? Tutti fighi e strateghi per poi chiedere aiuto al povero Mattarella che era già con le valigie in mano?

Questa elezione, così sbandierata adesso come successo assoluto delle forze politiche, ci lascia davvero l’amaro in bocca; non c’era nessuno in Italia che potesse fare il Presidente della Repubblica, nemmeno Bisio, che l’aveva fatto così bene nel film Buongiorno Presidente?

E poi che ridicolaggine, la Casellati, si si una donna finalmente, addirittura ne stiamo pensando a tre con nomi e cognomi e pure foto, evviva finalmente … e poi Mattarella.

Con questa elezione del Presidente finalmente capiremo e ci conteremo anche politicamente … e poi Mattarella.

Mi raccomando, nulla contro Mattarella, ma con gli altri ci sarebbe da discutere.

Bene comunque, Draghi rimane, Mattarella anche, e questi almeno sono due bravi, ma rimangono anche tutti gli altri, un insieme di monelli che corrono dal Papà e dal Nonno per farsi correggere i compiti.

Ma questa non era la generazione dei politici che rinnovavano mettendo gente nuova perché il “vecchio” doveva andar a casa????

Quindi dobbiamo leggere questi fatti con un dietrofront! Il Vecchio è meglio …

Cari amici, ogni volta io che dirigo questa testata mi illudo e poi puntualmente cado dalle “nubi” facendomi pure male perché capisco che la classe politica italiana non ha classe e non sa far politica.

Ma quale caro prezzo paghiamo noi brava gente che ormai non ci interessiamo più della politica, perché la politica ha fatto sì di venirci a fastidio, se non quello di essere governati da gente peggio di noi.

Così la gravità della nostra situazione la sentiamo quando ci accorgiamo di non percepire più lo scadimento etico della politica come dannoso.

Credo fermamente che il danno più grave che un cittadino possa fare al suo paese è il silenzio, la rassegnazione, occorre comprendere che il silenzio aiuta solo il colpevole.

Oggi siamo contenti di avere ancora fra noi il presidente Mattarella, ma tacciamo sull’inconcludenza di questa classe politica che non è in grado di convergere su uomini validi nel paese.

Volete forse dirci che non ce ne sono?

Volete forse farci credere che l’unico cittadino che incarni i valori di stato degno di fare il presidente della repubblica era Mattarella, uno solo, in tutto il paese, ahimè, ahimè, ahimè…

O forse pensate che noi italiani siamo ormai talmente rimbecilliti da non accorgerci delle vostre incapacità?

Or dunque tremate signori miei, perché verrà un giorno!!!!!.

 




Anzio 78° anniversario, dimenticato?

Il 22 Gennaio 2022, ricorre il 78° Anniversario – 1944 / 2022 – dello “Sbarco di Anzio”: evento cruento con i suoi 30.000 caduti, che segnò una tappa importantissima nell’avvio delle imprese belliche che condussero poi alla Liberazione di Roma da parte degli Alleati e, via via, all’affrancamento dell’Italia.

l ricordo degli eventi, perché in realtà la Battaglia di Anzio si protrasse da quel 22 Gennaio del 1944, con lo sbarco a Nettunia, al 5 Giugno 1944, dopo la sconfitta tedesca a Montecassino il 17 Maggio 1944, riporta alla mente scontri, battaglie e l’orrore prepotente, affatto sopito, delle guerre.

Di tutte le guerre, ma ancor più di quei conflitti che coinvolgono Nazioni e Popoli, anche a livello mondiale.

Con il passare del tempo, certi fatti, anche se di elevato profilo storico, tendono a perdere il loro originario impatto, il loro smalto vivido, stemperandosi nella subentrata indifferenza di una collettività disattenta, distratta, forsanche ferita, i cui libri di Storia poco o niente recano di tali circostanze, e, soprattutto, di tutta quella trama sottostante, di quel substrato, che aiuta a meglio comprendere le cause e le origini delle guerre.

Come ogni anno, Anzio celebra tale data, soprattutto sotto il propulsivo impegno del ‘Centro di Ricerca e Documentazione sullo Sbarco e la Battaglia di Anzio / Anzio Beachhead Research And Documentation Center, e con il fattivo concorso del ‘Museo dello Sbarco di Anzio’ – presieduto da Dr. Patrizio Colantuono -, che, pur nell’angustia della possibilità di incontri e mobilità a causa del virus, hanno contribuito a una serie di manifestazioni, intese a conferire solennità alla Memoria di quei giorni terribili e cruenti e alla Memoria di tutti i Caduti.

Torna alla mente di chi scrive il motto che nel lontano 2015 caratterizzò il 71st Anzio Beachhead Anniversary: “Se Vuoi La Pace Prepara la Pace”, un motto che evidenzia ancora oggi la necessità di non perdere di vista questo obiettivo.

La PACE: una Pace che, specie a livello Internazionale, sembra oggi traballare fortemente, sovrastata com’è da interessi commerciali e finanziari oltre che dalla geopolitica.

Ho raggiunto telefonicamente il Dr. Patrizio Colantuono, che ben volentieri ha ricordato le iniziative intraprese e che lo hanno visto ancora una volta impegnato in prima persona.

Dopo aver ricordato che ancora oggi famigliari dei militari allora impegnati fanno pervenire dall’estero cimeli e ricordi appartenuti ai loro Cari, quasi sempre accompagnati da toccanti lettere, il Presidente si è detto rammaricato per il fatto che famigliari di vittime e rappresentanti delle Associazioni di Reduci abbiamo dovuto disdire la propria presenza alle cerimonie: nulla togliendo, in ogni caso, alla solennità dell’omaggio alla Memoria dei Caduti e alle Bandiere dei Corpi di appartenenza.

Momenti di raccoglimento, segneranno la deposizione di composizioni floreali al Cimitero Civile di Anzio, al Monumento ad Angelita, al Monumento ai Gordon Highlanders, al Cimitero Germanico e al Campo della Memoria di Nettuno: proprio a testimonianza che l’umana pietas deve sempre e comunque prevalere. Altri momenti significativi saranno dedicati al Ricordo di quanti persero la Vita, anche per aiutare il Popolo Italiano a ritrovarsi tale intorno ad un’unica Bandiera, finalmente libero.

Cerimonie, pur se ristrette all’essenziale, si susseguiranno al Beachhead Commonwealth Cemetery, al War Commonwealth Cemetery, al Sicily-Rome American Cemetery e presso i Monumenti ai Caduti di Anzio e Nettuno.

Momenti di raccoglimento anche ad Aprilia presso il monumento ‘Il Graffio della Vita’ – dedicato alle vittime del Conflitto – e presso il monumento dedicato al Tenente britannico Eric Flethcer Waters ed a tutti i Caduti dello Sbarco di Anzio rimasti senza sepoltura.

Il Covid sembra il nuovo nemico di una Celebrazione altrimenti intensa e partecipata, ma, assicurava il Presidente del ‘Museo dello Sbarco di Anzio’, il ricordo è sempre vivo e le vittime, tutti i partecipanti a quella fase della Seconda Guerra Mondiale, mai dimenticati e sempre onorati.

Quest’anno, il Presidente Dr. Colantuono con la collaborazione ed il contributo del Prof. Perugini, hanno organizzato un particolare evento: ‘Pedalando nella Storia’.

Un gruppo di ciclisti ha voluto sì ricordare lo Sbarco ma anche celebrare la memoria della ‘Freccia del Sud’, di quel grande e prestigioso sportivo che fu il barlettano Pietro Mennea: una pedalata di 550 km. – nel gruppo di ciclisti, anche un non-vedente – che da Barletta ha toccato varie tappe, arrivando ad Anzio, mentre nel pomeriggio i protagonisti saranno ricevuti a Roma, in Campidoglio, dal Sindaco Dr. Roberto Gualtieri.

Sono grato al Dr. Patrizio Colantuono per aver condiviso con me la Memoria di quei tragici eventi, come pure per le comuni riflessioni su fatti connessi all’attualità e al significato, al valore autentico della parola PACE.

Oggi, come nel 2015, sottolineo le mie considerazioni “Proprio il ricordo di quella guerra – di quel Secondo Conflitto Mondiale che costò milioni di vite e che si concluse nel folgorante quanto innaturale bagliore delle due esplosioni nucleari di Nagasaki e Hiroshima – ci deve spronare ad adoperarci in ogni modo e con ogni mezzo a tutelare questo bene prezioso, facendo sì che queste energie abbiano corretta ripercussione su quei teatri di guerra dove si combatte su scala internazionale, in quel (perenne) conflitto che si perpetua dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi“.

Il Mondo ha fame di PACE, non sete di SANGUE! Ma la dura lezione della Seconda Guerra Mondiale sembrerebbe oggi non essere più recepita nel giusto modo, con una propensione a essere persino trascurata nei salotti ovattati del mondo degli affari o della finanza o di certa sedicente politica

 

Giuseppe Bellantonio




SCUOLE SUPERIORI QUADRIENNALI, QUALI VANTAGGI?

Ad oggi ci sono 1000 classi che funzionano secondo un percorso quadriennale (Fonte: Anagrafe Nazionale Studenti agg. al 1/12/2021) e a queste il Decreto 344 del 3/12/2021 ne aggiunge altre 1000.

La sperimentazione permetterà agli studenti di conseguire il diploma a 18 anni, un anno prima rispetto a quanto previsto oggi con il vantaggio (?) di arrivare un anno prima all’Università o al mondo del lavoro, così come già accade in molti Paesi europei.

Intanto il CSPI ha espresso parere negativo perché il Decreto esplicita una prefigurazione della futura Riforma non suffragata dalla valutazione degli esiti della sperimentazione in atto.

Si sottolinea la necessità di una organica proposta metodologico-didattica, supportata da validi criteri di selezione del campione rappresentativo e di strumenti di verifica e valutazione condivisi.

Infatti per l’attualità gli studenti iscritti ai corsi quadriennali costituiscono un gruppo selezionato per capacità o background sociale e l’assenza di riscontri relativi alle esperienze effettuate e ancora in atto, non consente di utilizzare tali dati per analizzare la scelta di ampliare la sperimentazione.

Del resto per i più capaci la possibilità di completare il percorso in quattro anni è già prevista con “abbreviazione per merito”.

Tuttavia sembra questa la via tracciata dal Ministero, decisione che suscita qualche dubbio di metodo e di merito.

Innanzitutto non vi è alcun automatismo tra disponibilità di tempo e possibilità di occupazione, perché non sembra che ci siano reali vantaggi nel fare un anno di meno a scuola, visto che viviamo in media fino a 80-90 anni e che il mondo del lavoro è così variegato che non si può dire con certezza che un anno in meno a scuola comporterà un sicuro vantaggio competitivo.

Inoltre in un percorso ridotto è possibile che gli studenti soffrano di carenze organizzative, soprattutto se «la scuola non ha già avviato un rinnovamento del metodo didattico» e così un percorso di quattro anni invece di cinque rischia di essere troppo pesante per gli studenti, senza permettere loro una corretta assimilazione dei concetti.

Probabilmente sarebbe oggi più opportuno concentrarsi sulla perdita di apprendimenti causata della pandemia.

Il nodo è sempre quello, riemerso potentemente nel tempo della didattica a distanza: vogliamo più scuola perché crediamo nel ruolo della scuola nella crescita culturale, sociale e dunque anche economica del paese, o pensiamo di ridurre il tempo scuola solo per andare incontro ad un più rapido inserimento nel mondo del lavoro?

Certamente più tempo i ragazzi trascorrono in una scuola ricca di stimoli e proposte, più tempo avranno per studiare, ricercare, confrontarsi con la cultura, più libertà di scelta avranno nel costruire in autonomia e libertà il proprio futuro.

L’informazione è inutile se non si trasforma in conoscenza e la conoscenza per trasformarsi in competenza ha bisogno di tempo.

Avere più tempo a disposizione a scuola, mantenere le scuole aperte mattina e pomeriggio (e magari abolire la settimana corta) potrebbe realizzare più intrecci e scambi tra apprendimenti formali e informali.

Non si tratta solo di allungare il tempo scuola, ma di ripensare con flessibilità e intelligenza l’intera offerta formativa di una scuola aperta al territorio. Si potrebbero introdurre, infatti, accanto allo studio e alla ricerca intorno a saperi di base imprescindibili, proposte varie, anche opzionali, che valorizzino la conoscenza di sé e del mondo attraverso attività espressive come la musica, le arti plastiche, il teatro e la produzione di video, alimentando l’aspetto culturale e di ricerca di linguaggi largamente praticati dai più giovani.

Più si differenziano le proposte e meno studenti si perdono. Più si è capaci di coinvolgerli a partire dalle loro domande e inquietudini e più porte si aprono al futuro, arricchendo l’immaginario dei più giovani.

Solo in un contesto di ascolto capace di moltiplicare gli stimoli è infatti possibile sviluppare il rigore e l’impegno necessario a ogni vero apprendimento e contrastare sul nascere la dispersione scolastica.

Purtroppo la via sembra intrapresa e con un certo e unico vantaggio: il “Sole 24 Ore” ha calcolato che, se il percorso di quattro anni fosse adottato da tutte le scuole superiori, nelle casse dello Stato rientrerebbero circa 1,38 miliardi di euro con riduzione di personale docente e ata.

Allora, oltre al risparmio, quali i vantaggi del “biglietto ridotto” per accedere al diploma?

Pio Mirra DS IISS Pavoncelli, Cerignola (FG)