2024: le Olimpiadi di Parigi sono state la propaganda di Macron, inclusione LGTBQ? 1936: le Olimpiadi di Berlino, furono propaganda di Hitler, leggi razziali? La Storia si ripete?

 

Si sono appena concluse quelle che possiamo definire “particolari” Olimpiadi di Parigi del 2024, volute da Macron, che fin dalla loro apertura hanno suscitato polemiche, assai gravi, divisive e poco chiare, anche se la “propaganda” mediatica ha cercato in tutti i modi di sminuire, contrastare o addurre valutazioni “scientifiche” non condivise dal mondo scientifico, e senza alcun dibattito, come dal tempo della pandemia ci hanno “abituato”.

Si è cercato di “imporre” giustificazioni “aleatorie” insostenibili, in alcuni casi forzate, forse sapendo che avrebbero potuto innescare ripercussioni complesse, ed in alcuni casi, anche problemi per la salute degli Atleti e dei loro Capi di Stato intervenuti, che sembrano essersi assoggettati.

Ma, pur di difendere fatti, che danno spunto a serie e preoccupanti riflessioni, voluti da chi ha gestito questa edizione, imponendo regole, principi ed altro assai diversi dallo spirito originale delle Olimpiadi, riprese nel 1906 da Pierre de Coubertin, sono tanti i media che hanno preferito svolgere il ruolo di propaganda, favorendo quella strana “Ideologia”, che sembra voler emergere sempre più con prepotenza, e con la complicità di vari Governi delle Nazioni partecipanti.

L’elenco dei fatti è abbastanza lungo, per cui ci scusiamo con il lettore se ne evidenziamo solo i più salienti, che ci porteranno a fare una riflessione ed una comparazione con le Olimpiadi del 1936 che si svolsero a Berlino, con le quali non si possono che riscontrare delle analogie.

Iniziando proprio dalla scelta delle drag queen francesi nel portare la Fiamma Olimpica a Parigi, per l’edizione di Parigi del 2024.

Miss Martini, Nicky Doll e Minima Gestè, sono state fortemente sostenuti dal Sindaco Socialista di Parigi, Anne Holdago, promotrice della “dubbia” selezione, che non ha esitato a rivolgersi alla giustizia contro coloro che dissentivano sui social per questa scelta, assai dubbiosa, fortemente divisiva, giustificata da un volere ben preciso ed indentificato come “inclusione”, ma che sembra avere il valore di “Imposizione”.

Questa scelta non può che far tornare in mente la scelta che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 che cadde su Fritz Schilgen, scelto dagli organizzatori come “simbolo della gioventù sportiva tedesca”. Accensione allora della fiamma, all’interno dello stadio Olimpico, che venne immortalato in Olympia, film di propaganda nazista sui giochi olimpici realizzato da Leny Riefenstahl.

Fu quindi Propaganda della Razza Ariana?

Altro momento divisivo e di fortissima polemica, la giornata di apertura, dove, sempre attraverso drag queen, viene rappresentato il celebre dipinto di Leonardo, che raffigura l’Ultima Cena di Gesù con i suoi Apostoli.

Qualcuno ha voluto in un primo momento definire questa offensiva, per il mondo Cristiano, rappresentazione blasfema come “parodistica”, per poi cercare di sviare adducendo il fatto che non vi erano collegamenti.

La solidarietà espressa al Cristianesimo da diverse entità religiose, compreso la forte protesta dei vescovi appartenente alla Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da Mons. Marcel Lefebvre, non lascia dubbi alla gravità dell’oltraggio alla Religione Cristiana.

Ci stupisce la fievole “protesta” del Vaticano, che avrebbe avuto il dovere di difendere con forza il cattolicesimo, vilmente profanato, e che è avvenuta dopo circa una settimana.

Anche qui un raffronto con il periodo assolutamente buio, quando il Vaticano disse nulla o poco, sulla promulgazione delle leggi raziali, promulgate in Germania il 7 aprile 1933, qualche anno prima delle olimpiadi di Berlino del 1936, volute dal Hitler per esaltare la “razza Ariana”, e dove tutti gli Stati partecipanti, piuttosto che boicottarle, parteciparono…

Sorvoliamo sulla incomprensibile propaganda “GREEN” che ha registrato numerose proteste dei vari Atleti e quasi sempre la mancanza di supporto a loro, dei vari delegati Nazionali.

L’assenza di condizionatori d’aria nelle camere dei vari atleti presso il villaggio olimpico, dei letti di cartone, tanto da costringere qualcuno a riposare per terra nel prato, l’alimentazione, che a detta di tanti, assai discutibile, sono esempi non attribuibili ad una cattiva organizzazione, come si vorrebbe far credere, ma forse ad altro che ha un nome ben preciso: GREEN…

Come riportato “nell’Enciclopedia dell’Olocausto”, i tedeschi nel 1936 prepararono meticolosamente i Giochi, che si sarebbero svolti dal primo al sedici agosto. Fu costruito un enorme complesso sportivo e le bandiere olimpiche, insieme a quelle nazionali con la svastica, tappezzarono i monumenti e gli edifici di una Berlino affollata e festante.

Anche in questo caso non si può fare a meno di osservare la “strana “similitudine.

Certo, Berlino non ebbe nel 1936 il “battesimo” di Iuppiter Pluvius, noto come Giove Pluvio, come invece Parigi 2024, per cui i più alti rappresentanti degli Stati, non furono “snobbati” e lasciati ad inzupparsi di acqua, come il Presidente della Repubblica Italiano, mentre il Presidente Macron era al riparo …

A parte il discutibile senso di ospitalità che la Francia ha riservato al Nostro Capo di Stato, ci chiediamo cosa sarebbe accaduto se fosse successo in Italia.

Tralasciamo le incomprensibili e discutibili decisioni arbitrarie, in quanto oramai frequenti in tutte le competizioni sportive, sia esse nazionali che internazionali.

Discutibile imposizione quella di fare svolgere alcune competizioni ed alcuni allenamenti sportivi nella Senna il cui inquinamento è noto.

Il risultato di questa decisione ha messo a rischio la salute di numerosi atleti, alcuni dei quali costretti addirittura al ricovero ospedaliero.

Bene ha fatto una delle delegazioni che ha preferito ritirare i propri atleti tutelandoli, al contrario di tutte le altre, che in barba all’incolumità delle proprie squadre, ha preferito continuare.

Hanno destato invece parecchia attenzione, anche se i media hanno scelto di parlarne in maniera propagandistica ed a senso unico tipico delle propagande di regime che non ha nulla di sportivo, due episodi di estrema gravità.

Fatti che favoriscono ulteriormente la comparazione dei Giochi Olimpici di Parigi 2024 con i Giochi Olimpici di Berlino 1936.

– L’incontro di pugilato di un uomo, o presunto tale, forzatamente imposto nel combattimento nella categoria donne, nonostante tutte le perplessità scientifiche, che non sembrano trovare una sintesi se non nella più discutibile ideologia dei “gender”

Ricordiamo che anche la Chiesa, secondo alcune leggende, difficili da confermare, istituì la “sedia dei testicoli”, dove qualcuno aveva il compito di constatare la mascolinità del futuro Papa, per evitare che potesse essere “Eletto” Papa una donna, come nel film la Papessa Giovanna, personaggio, che sembra non trovare riscontro nella realtà.

E, se per la chiesa possa trattarsi di una fantasia popolare, diverso è il caso di ciò che è accaduto in queste olimpiadi….

Combattimento assai poco sportivo e molto propagandistico, perfettamente in linea con lo spirito non olimpico che questi giochi hanno svolto fin dal loro esordio francese del 2024.

Espressione di ideologie minoritarie che pretendono di avere il sopravvento, così come accadde a Berlino nel 1936, e che impongono di essere accettate da tutti ad ogni costo, pur se contrari alla stessa natura cui le leggi umane non dovrebbero stravolgere.

-La squalifica dell’atleta Afghana, della squadra olimpica dei rifugiati, Manizha Talash per aver mostrato, durante la gara di Breakdance un chiaro messaggio, “Free Afghan Women” di cui la comunità internazionale sembra voler nascondere.

Due pesi e due misure, messaggi politici diversi di cui uno ideologico; per questo favorito da una minoranza che vuole il sopravvento ed è sostenuta da governi “complici” e da federazioni sportive che appaiono conniventi e miopi, come a Berlino nel 1936; l’altro umanitario, che incontra la resistenza, l’ipocrisia, l’indifferenza di tutti, che il Comitato Olimpico, rispolverando solo in questo caso la regola 50 della “Carta Olimpica”, vieta agli atleti di esprimere le proprie opinioni politiche durante i giochi.

Ritenere opinione politica la precisa denuncia al resto del Mondo di Manizha Talash, la dice lunga sullo strumento propagandistico cui sono scadute queste Olimpiadi che in origine avevano ben altri obiettivi di elevato spessore.

Non a caso quando le Olimpiadi erano tali, si sospendevano tutti i conflitti, lasciando il posto alla competizione sportiva che magari vedeva due Paesi belligeranti tra loro, scambiarsi segnali di pace e rispetto, anche con una stretta di mano.

L’assenza della Russia a questa edizione Parigina del 2024 e le invettive contro le delegazioni di Israele, oltre a lasciare una grande amarezza, devono indurci a serie riflessioni.

La storia ci dice che dopo le Olimpiadi di Berlino del 1934, dove parteciparono numerose nazioni, vi furono dittature feroci, in Europa ed in Russia, che portarono alla seconda guerra mondiale.

Cosa accadrà con le Olimpiadi di Parigi del 2024 viste l’ “indifferenza” dei vari Stati che hanno partecipato e che hanno tacitamente avallato certe scelte impositive francesi?

Si apriranno le porte ad una dittatura Europea in contrapposizione al resto del mondo, sul sostegno di ideologie supportate e finanziate da alcune amministrazioni che fanno anche capo a governi Americani, attualmente in carica e che si definiscono democrazie?

Ettore Lembo




Fascismo: Nessuno è Perfetto

https://amzn.eu/d/eQGWX85

 

Betapress: Buongiorno, Dott. Faletti. Grazie per aver accettato questa intervista. Il vostro, suo e dell’avvocato Migliaccio, libro “Fascismo: Nessuno è Perfetto” suscita molto interesse e anche qualche dibattito. Cominciamo con una domanda diretta: qual è stata la sua motivazione principale nel voler affrontare un tema così delicato come il fascismo con un approccio revisionista ed esegetico?

Corrado Faletti: Buongiorno, e grazie a voi per l’opportunità. La motivazione principale è stata la volontà di contribuire a una comprensione più completa e sfumata della storia italiana. Il fascismo è stato troppo spesso trattato in modo unilaterale, sia come una condanna totale sia, in rari casi, come una glorificazione fuori luogo. Ho sentito la necessità di analizzare il fascismo in modo più equilibrato, riconoscendone i difetti, certamente, ma anche quegli aspetti positivi che hanno avuto un impatto sulla società italiana. Questo non per giustificare il regime, ma per offrirne una valutazione storica oggettiva.

Betapress: Nel vostro libro, lei esplora i successi infrastrutturali e sociali del regime fascista, ma senza tralasciare le sue colpe. Come è riuscito a mantenere questo equilibrio nel trattare un argomento così controverso?

Corrado Faletti: Mantenere l’equilibrio è stato uno degli aspetti più impegnativi del nostro lavoro. Ho approcciato il fascismo come un fenomeno storico complesso, che va compreso nel suo contesto. Ho cercato di adottare un metodo esegetico, analizzando i testi, i discorsi e le politiche del tempo, per distillare i fatti dalle ideologie. Era importante per me non cadere né nella demonizzazione totale né in una pericolosa apologia. L’obiettivo era offrire ai lettori gli strumenti per comprendere il fascismo in tutte le sue sfaccettature, lasciando a loro il compito di trarre le conclusioni.

Betapress: Il termine “revisionista” spesso porta con sé connotazioni negative. In che modo il vostro lavoro si inserisce in questo contesto e come difende la necessità di una revisione storica?

Corrado Faletti: È vero, il termine “revisionista” può avere connotazioni controverse, ma nel campo della storia, la revisione è essenziale. La storia non è mai statica; le nostre interpretazioni cambiano man mano che emergono nuove fonti o quando la società evolve. Il mio lavoro si colloca in questo contesto di revisione critica. Non si tratta di riscrivere la storia, ma di riesaminarla alla luce di nuove prospettive e, soprattutto, di promuovere una discussione aperta e informata. La revisione storica è fondamentale per evitare che la storia venga ridotta a un semplice strumento politico.

Betapress: Il titolo del libro, “Fascismo: Nessuno è Perfetto”, è piuttosto provocatorio. Qual è il messaggio che vuole trasmettere attraverso questo titolo?

Corrado Faletti: Il titolo vuole sottolineare l’idea che nessun movimento o ideologia sia esente da difetti, ma allo stesso tempo, nessuno è privo di qualche merito o almeno di elementi degni di analisi. “Nessuno è Perfetto” è un invito a guardare il fascismo non come un monolite di male assoluto, ma come un fenomeno che, pur con tutte le sue colpe, ha lasciato un segno nella storia che deve essere compreso e studiato. È un richiamo alla complessità della storia umana.

Betapress: Nel libro, lei affronta anche il tema della memoria storica e dell’uso politico del passato. Come vede la situazione attuale in Italia riguardo al fascismo?

Corrado Faletti: La memoria storica del fascismo in Italia è ancora un campo di battaglia ideologico. Da un lato, c’è un giusto rifiuto delle ideologie autoritarie e delle loro tragiche conseguenze, dall’altro, c’è un rischio di semplificazione e di utilizzo strumentale della storia per fini politici. Il mio auspicio è che si possa giungere a una maggiore maturità nel trattare il fascismo, riconoscendo che la storia va studiata, non solo condannata o esaltata. La comprensione profonda del passato è essenziale per evitare di ripeterne gli errori.

Betapress: Buongiorno, Avv. Migliaccio. Lei ha curato gli aspetti giuridici del libro “Fascismo: Nessuno è Perfetto”, in particolare la parte relativa alla legge sull’apologia del fascismo. Può spiegare ai lettori come si inserisce questa legge nel contesto della libertà di espressione in Italia e quali sono le sue implicazioni?

Lupo Migliaccio: Buongiorno. La legge sull’apologia del fascismo, introdotta nel 1952 con la cosiddetta “Legge Scelba,” è stata creata per impedire la ricostituzione di un partito fascista e per contrastare ogni forma di propaganda o esaltazione delle ideologie fasciste. Come abbiamo ben illustrato nel libro la norma n.645 del 1952 detta, appunto, “legge Scelba” riporta nel titolo che essa rappresenta il regolamento di attuazione della xii disposizione transitoria della Costituzione. Questa recita: ” È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma. del disciolto partito fascista”, con ciò indicando che quello che si intende proibire è la ricostituzione di un partito che abbia gli stessi propositi del Partito Nazionale Fascista che fu sciolto il 2 agosto del 1943 con il decreto n.704 dal 1° Governo Badoglio. Il Partito Nazionale Fascista aveva come finalità quelle indicate nell’art.3 del suo statuto, cioè “La difesa ed il potenziamento della rivoluzione fascista; l’educazione politica degli italiani”.

Quindi solo a questi due aspetti avrebbe dovuto limitarsi la legge Scelba, che però prevede di perseguirne anche altri pur se non indicati dalla xii Disposizione.

Questi sono: l’apologia di fascismo e tutti i comportamenti tendenti ad esaltare i capi politici che ebbero ad operare nel Ventennio. Come si vede pure e semplici opinioni che però sono tutelate dagli artt. 3 e 21 della Costituzione. Questo comprova che la legge Scelba poggia su delle basi non del tutto legittime almeno nei suoi aspetti formali.

Nel contesto della libertà di espressione, questa legge rappresenta un delicato equilibrio. Da un lato, l’Italia, come democrazia, protegge la libertà di espressione, ma dall’altro, riconosce che vi sono limiti quando tale espressione minaccia i valori fondamentali della Costituzione, nata dalla Resistenza antifascista. Le implicazioni della legge sono quindi significative: essa non solo punisce atti di esaltazione del fascismo, ma serve anche come monito che la democrazia italiana deve essere difesa da ideologie che ne minerebbero i fondamenti. Tuttavia, l’applicazione di questa legge richiede sempre un’attenta valutazione per evitare che sia usata in modo sproporzionato o, ceme sempre più spesso accade, per scopi politici.

Betapress: Nel libro, si discute dell’importanza di una revisione storica obiettiva. Come si concilia questa necessità con la legge sull’apologia del fascismo? Esiste un rischio che l’applicazione di questa legge possa ostacolare un dibattito storico critico e accademico sul fascismo?

Lupo Migliaccio: Questa è una questione cruciale. La revisione storica è un pilastro fondamentale della ricerca accademica e del progresso della conoscenza. Il rischio che l’applicazione della legge sull’apologia del fascismo possa ostacolare un dibattito storico critico è molto reale, ma deve essere mitigato attraverso un’interpretazione equilibrata e responsabile della legge. È importante che le autorità giudiziarie distinguano chiaramente tra un’analisi storica critica e un tentativo di riabilitazione o glorificazione del regime fascista. In altre parole, la legge non dovrebbe essere usata per censurare o reprimere studi storici che, pur trattando del fascismo, non ne promuovono l’ideologia. Dobbiamo garantire che la ricerca accademica resti libera di esplorare anche i capitoli più oscuri della nostra storia, mantenendo però sempre un chiaro confine tra analisi critica e apologia.

Betapress: Avv. Migliaccio, nel libro “Fascismo: Nessuno è Perfetto,” la prefazione è stata scritta da Orsola Mussolini. Può spiegare ai lettori il significato di questa prefazione e come Orsola Mussolini abbia cercato di bilanciare la realtà storica con la storia della sua famiglia, navigando tra luci e ombre sempre più confuse? In che modo questo libro le ha permesso di trovare una chiave di lettura che consenta un corretto bilanciamento tra storia e cattive interpretazioni?

Lupo Migliaccio: La prefazione di Orsola Mussolini è un elemento di grande importanza nel contesto del libro. Orsola ha sempre dovuto affrontare il difficile compito di conciliare la complessa eredità storica del fascismo con la sua appartenenza alla famiglia Mussolini. Questa sfida si è sempre svolta in un contesto dove le luci e le ombre del passato si intrecciano in modo spesso confuso e conflittuale. Nella sua prefazione, Orsola riesce a esprimere questa tensione personale e storica, ma lo fa con una lucidità che emerge chiaramente nel suo tentativo di offrire una lettura equilibrata del fascismo.

Orsola sottolinea come sia stato difficile per lei crescere con il peso di un nome così carico di significato storico e come abbia sempre cercato di evitare le semplici categorizzazioni, sia in senso positivo che negativo. Tuttavia, è proprio attraverso il lavoro svolto in questo libro che ha trovato una chiave di lettura che le permette di bilanciare la realtà storica con la necessità di non cadere in cattive interpretazioni o revisionismi superficiali. In altre parole, il libro le ha offerto un quadro interpretativo che riconosce gli aspetti complessi e contraddittori del fascismo, senza sminuirne né esaltarne i contenuti.

Questa prefazione è quindi più di un semplice prologo al testo; è una riflessione personale e storica che accompagna il lettore in un percorso di comprensione più profondo, dove la storia è trattata con il rigore che merita, senza però dimenticare l’umanità e la complessità di chi l’ha vissuta.

Betapress: Quale messaggio spera che i lettori traggano dal vostro libro?

Corrado Faletti: Spero che i lettori possano avvicinarsi alla storia con maggiore curiosità e spirito critico. Il mio libro non vuole offrire risposte definitive, ma piuttosto sollevare domande e promuovere una riflessione più approfondita. Il fascismo è stato un capitolo doloroso e complesso della nostra storia, e solo affrontandolo in tutta la sua complessità possiamo veramente imparare da esso. Mi auguro che i lettori comprendano che la storia è fatta di luci e ombre, e che è nostro dovere esplorarle entrambe con onestà intellettuale.

 




Graffi di spiaggia …

L’AriacheTira–>”””Tommaso Cerno (Direttore de Il Tempo): ‘In Europa, come in tutto il mondo libero, i grandi gruppi stanno comprando tutto. Quello che hanno fatto i balneari sulle nostre spiagge demaniali è costruire stabilimenti e marchi, facendo investimenti’ “””.
Quindi, se ho ben capito, ai nostri balneari – in nome di un simile alibi – vanno tolte le concessioni.
Queste, con delle ‘aste’ discutibili cui i nostri balneari non potranno partecipare, per ‘impraticabilità dei prezzi’, verranno messe in vendita.
Prevedibilmente, saranno aggiudicate a ‘mani forti’ presumibilmente straniere che le sfrutteranno secondo altri criteri, a loro vantaggio.
Questa è l’Europa?
Mi sottrai un bene sul quale ho investito e che offre lavoro e indotto, per poi darlo ad altri?
Che strani Robin Hood, in questa strana Europa…




Paolo Battaglia La Terra Borgese, Il palco di Renoir è un inno alla bellezza femminile

II palco di Renoir è un inno alla bellezza femminile, una immagine di salute, una idealizzazione dell’amore, spiega il critico d’arte

Eseguito nel 1874, oggi conservato alla Courtauld Gallery di Londra, questo dipinto di Pierre-Auguste Renoir, che misura cm. 78,5 x 63,5 – precisa il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese -, rivela una certa indipendenza dai principi dell’Impressionismo solo per quanto riguarda la forma, che qui appare solidamente composta e costruita.

Per quanto concerne invece lo spirito, è un’opera tipicamente impressionista, colta cioè dalla realtà del suo tempo, come volevano i nuovi pittori in polemica con la pittura accademica dell’Ottocento. Il teatro, infatti, – rileva il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese -era uno dei ritrovi classici della buona società di quell’epoca, e furono molti gli artisti che vi s’ispirarono per le loro opere.

II palco di Renoir è un inno alla bellezza femminile – sentenzia il Critico -, un’immagine di salute, un’idealizzazione dell’amore. L’uomo che sta alle spalle della dama – la giovane modella Nini Gueule de Raie, che incarnava l’ideale femminile di Renoir, pieno di piaceri e felicità di vivere -, intento a osservare il teatro con il binocolo, è il fratello del pittore, Edmond. Questa figura serve di sfondo alla bella signora, sulla quale si concentra tutta l’attenzione dello spettatore del quadro: il volto, il corpo, le vesti sono più freschi degli stessi fiori che lei porta tra i capelli e sul petto.

Ogni elemento della composizione contribuisce al piacere visivo di chi la guarda – ci fa notare Paolo Battaglia La Terra Borgese – un piacere ottenuto in gran parte attraverso le corrispondenze dei colori. Basta osservare II palco con un po’ di attenzione. Vi sono doppi accostamenti di oro, rosa, nero; le mani inguantate di lei, il fiore e la mano in alto; il rosa del volto e dei fiori sul petto, e cosi via.

Il nero è il tono dominante di questa armonia di tinte, ordinato e nello stesso tempo sbrigliato nell’irraggiarsi dalle righe dell’abito: effetto molto raro nella pittura dell’Impressionismo, che tendeva invece a risolvere i contrasti di colore senza ricorrere al nero puro.

Comunque – finisce il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese -, il tema del palco, che s’incontra spesso nelle opere degli Impressionisti, offre un’occasione pittorica in più, per le preziose sete delle vesti femminili e i contrasti tra ombra e luce.




L’incredibile “leggerezza” dei “dotti e dei sapienti”

 

Che cosa è la “vita”?

Egualmente cos’è la “malattia” e la “sofferenza”?

In che misura la scienza può e deve interagire con esse?

Addirittura prenderne il sopravvento.

Eutanasia e genetica sono temi assai presenti, purtroppo assai spesso in modo poco competente, sui nostri media.

Questo causa domande fra noi persone che amiamo la libertà di ragionare, amiamo il dubbio, cerchiamo ed aneliamo il diritto al “comprendere”, vorremmo poter avere l’opportunità di formare in noi stessi un pensiero basato sul nostro libero raggiungimento di una “convinzione”.

Pur se, banale essere fintamente modesti, so di poter annoverare la mia piccola persona fra coloro i quali un poeta moderno ridicolizzava definendoli “dotti e sapienti”, al contrario di molti miei “colleghi” sono ancora ancorato alla terra che mi circonda e “so di non sapere”.

Mai come su questi temi, ogni qual volta cerco di approfondirli, cerco delle sintesi, raggiungo l’angoscia tipica di colui che comprende quanto questi argomenti, su cui cerco di formare una mia libera convinzione, mi annichiliscano a causa della complessità e degli innumerevoli punti di vista che contengono.

Punti di vista, elementi di approfondimento, che rendono l’uomo, l’essere umano, almeno la mia persona, inadeguato a raggiungere una sintesi.

Di fronte a questo mio “limite” si contrappone il mondo di coloro che, con immensa “semplicità”, probabilmente senza una reale consapevolezza del loro essere altrettanto limitati di chi scrive, sentono di poter “insegnare”, in alcuni casi “imporre”, le proprie certezze agli altri.

Non nascondo che provo profonda invidia nel sentirli così “sicuri” delle loro “certezze”.

Certezze scevre da momenti di “timore di commettere errori”.

Persone “fortunate”, non capendo la drammatica forza del dubbio socratico vivono con “leggerezza”.

Questa “leggerezza” sia da parte di troppi “intellettuali” sia da parte di gran parte del sistema dei media impatta sulla consapevolezza di tanti e, conseguentemente, sul senso dell’etica comune in ordine a detti temi.

Temi che meriterebbero assai maggiore attenzione nell’uso della parola e assai maggiore rispetto della intrinseca complessità in essi racchiusa.

Proprio mentre tanti sentono di possedere detti temi così in profondità da poterne parlare erga omnes, la Pontificia Accademia per la Vita sente l’esigenza di produrre un documento che, almeno, dia definizioni condivise sulle singole parole garantendo, in questo modo, un lessico comune che permetta un dialogo fra posizioni diverse.

Da un lato la posizione del credente – sia esso cristiano, di religione ebraica , mussulmano o professi la sua fede verso altre forme religiose più presenti in continenti lontani dal nostro – dall’altro la posizione laica che lo Stato ha il dovere di assumere attraverso norme che rappresentino la mediazione fra le diverse culture presenti nello stesso.

Stato, però, che non può imporre posizioni di una minoranza ad una maggioranza esclusivamente per il fatto che la seconda è meno organizzata e più silente.

Quella storicamente famosa “maggioranza silenziosa”.

Anche per queste ragioni il documento della Pontificia Accademia per la Vita che affronta l’ostico tema del “fine vita” attraverso un vademecum dal titolo ‘Piccolo lessico del fine vita’ è particolarmente interessante.

È un “metodo” che sarebbe assai costruttivo se fosse una linea guida.

Linea guida, metodo, che andrebbe applicata ben oltre il tema in oggetto.

In esso si ribadisce la posizione cristiana che esclude il diritto del singolo all’eutanasia, ma riconosce allo stesso sia il diritto alle cure palliative che quello di non voler continuare in percorsi terapeutici ritenuti dal paziente oramai inutili.

È, questo approccio della chiesa Cattolica, un atto di rispetto della cultura laica che deve essere alla base di uno Stato occidentale moderno.

Un “laicismo” orizzontale non solo alle fedi religiose ma a tutte le “fedi” che inondano il nostro Occidente oggi.

La stessa Accademia Pontificia parla di uno “spazio per la ricerca di mediazioni sul piano legislativo”.

Ecco quello che manca ai “dotti e sapienti” che ci inondano quotidianamente con il loro “sapere”, con le loro “certezze”.

Assente in loro l’umiltà del saper mediare, spesso anche del saper “ascoltare”.

In fondo il “mediare” non è altro che saper “rispettare” il pensiero altrui senza abdicare dal proprio punto di vista.

La cultura del “individuo” sta distruggendo quella del “rispetto dell’altro”.

Gli esseri umani torneranno alla felicità ed alla prosperità, soprattutto nella nostra Europa, esclusivamente se sapranno usare il “noi”.

Un “noi”, quello sì, veramente “inclusivo” se saprà sedersi a dialogare con chi è portatore di un pensiero diverso, finanche opposto, e, con questi, trovare una “mediazione”.

Ignoto Uno




Giovani in Cattedra: La Svolta Necessaria per Rinnovare l’Istruzione

 

L’educazione è uno dei pilastri fondamentali della società, poiché attraverso di essa si trasmettono conoscenze, valori e competenze che preparano gli individui a diventare cittadini attivi e responsabili.

In questo contesto, la figura dell’educatore (chiunque docente, professore, maestro) riveste un ruolo cruciale, poiché è colui che, con dedizione e competenza, guida gli studenti nel loro percorso di crescita personale ed accademica.

Sebbene la saggezza e l’esperienza degli educatori anziani siano indubbiamente preziose, vi sono numerosi vantaggi nel promuovere la maggior presenza di educatori giovani all’interno delle istituzioni educative.

Uno dei principali vantaggi dei giovani educatori è la loro energia e vitalità.

L’insegnamento richiede un impegno fisico e mentale notevole, che può essere meglio sostenuto da persone più giovani.

Le lunghe giornate scolastiche, le attività extracurriculari e la gestione di classi numerose sono tutte sfide che richiedono un alto livello di resistenza e dinamismo. I giovani educatori, grazie alla loro maggiore energia, sono spesso in grado di affrontare queste sfide con entusiasmo e proattività, creando un ambiente di apprendimento vivace e stimolante per gli studenti.

La vicinanza di età tra giovani educatori e studenti può favorire una maggiore empatia e comprensione reciproca. I giovani educatori possono ricordare più facilmente le sfide e le preoccupazioni tipiche dell’età degli studenti, il che li rende più capaci di entrare in sintonia con loro e di rispondere alle loro esigenze in modo efficace.

Questa empatia può tradursi in relazioni educative più forti e significative, che sono fondamentali per il successo educativo. Gli studenti tendono a rispondere positivamente quando si sentono compresi e sostenuti, e i giovani educatori sono spesso in una posizione privilegiata per offrire questo tipo di supporto.

La presenza di giovani educatori può anche portare un soffio di innovazione nelle pratiche educative. Cresciuti in un’era di rapide trasformazioni tecnologiche e sociali, i giovani educatori sono generalmente più a loro agio con le nuove tecnologie e metodologie didattiche.

Questa familiarità con le innovazioni può tradursi in approcci didattici più creativi e adattabili, che possono rendere l’apprendimento più coinvolgente e rilevante per gli studenti.

L’uso efficace della tecnologia in classe, ad esempio, può migliorare l’interattività e la personalizzazione dell’insegnamento, facilitando un apprendimento più profondo e duraturo.

La passione per l’insegnamento è spesso particolarmente viva nei giovani educatori, che si trovano all’inizio della loro carriera e sono motivati a fare la differenza. Questa passione può essere contagiosa e ispirare gli studenti a sviluppare un amore per l’apprendimento e una curiosità intellettuale.

La motivazione dei giovani educatori può anche portarli a investire tempo ed energie extra per migliorare le loro competenze e a cercare costantemente modi per rendere le lezioni più efficaci e coinvolgenti.

È importante sottolineare che la presenza di giovani educatori non deve essere vista come un’alternativa alla saggezza e all’esperienza degli educatori più anziani, ma piuttosto come un complemento. Un sistema educativo ideale dovrebbe bilanciare la freschezza e l’energia dei giovani con la profondità di conoscenza e l’esperienza dei più anziani.

I mentori più anziani possono offrire guida e supporto ai giovani educatori, condividendo con loro le migliori pratiche e aiutandoli a crescere professionalmente.

Ecco perché sarebbe necessario rivedere il sistema di insegnamento nel nostro paese dando ai giovani più spazio e permettendo ai docenti più maturi di dare il loro contributo nella crescita dei colleghi più giovani.

Proposta di Riforma del Sistema Scolastico

Obiettivo

L’obiettivo di questa riforma è migliorare l’efficacia del sistema educativo, ottimizzando l’uso delle risorse umane attraverso una struttura che sfrutta le diverse competenze ed energie dei docenti in base alla loro età e esperienza.

Struttura del Sistema Scolastico

  1. Docenti Giovani (sotto i 50 anni)
    • Ruolo: Front End sugli alunni
    • Compiti:
      • Insegnamento diretto in aula
      • Gestione delle attività didattiche quotidiane
      • Utilizzo di tecnologie didattiche innovative
      • Partecipazione attiva in attività extracurriculari
    • Requisiti:
      • Laurea in Pedagogia o simili
      • Specializzazione nella materia di insegnamento
      • Aggiornamento continuo con corsi di formazione specifici
    • Approfondimenti: Metodologie didattiche specifiche per il grado di scuola (elementare, media, superiore)
  2. Docenti Esperti (50-60 anni)
    • Ruolo: Tutor dei giovani docenti, nessuna attività d’aula
    • Compiti:
      • Mentoring e supporto per i docenti giovani
      • Supervisione e valutazione delle attività didattiche
      • Condivisione di esperienze e migliori pratiche
      • Coordinamento di progetti educativi e curriculari
      •  
  3. Pensione (dopo i 60 anni)
    • Ruolo:
      • Pensionamento con possibilità di contributo come consulenti o formatori esterni
    • Compiti:
      • Collaborazione occasionale in progetti speciali
      • Partecipazione come formatori in corsi di aggiornamento per docenti
    • Requisiti:
      • Contributi significativi durante la carriera
      • Disponibilità a partecipare a programmi di mentoring su base volontaria

Implementazione Progressiva

  1. Fase 1: Analisi e Pianificazione (Anno 1-2)
    • Valutazione delle risorse attuali
    • Definizione dei criteri di selezione e delle procedure di transizione
    • Pianificazione dei corsi di aggiornamento per i docenti esistenti
  2. Fase 2: Formazione e Transizione Iniziale (Anno 3-5)
    • Inizio dei programmi di formazione per i docenti giovani e tutor
    • Implementazione graduale dei nuovi ruoli nelle scuole pilota
    • Monitoraggio e valutazione dei risultati
  3. Fase 3: Espansione e Consolidamento (Anno 6-10)
    • Estensione del modello a livello regionale e nazionale
    • Aggiornamento continuo delle pratiche formative
    • Rafforzamento dei programmi di mentoring e supporto
  4. Fase 4: Revisione e Ottimizzazione (Anno 11 in poi)
    • Valutazione complessiva del sistema
    • Aggiornamento delle politiche e delle pratiche basato sui feedback raccolti
    • Continuo adattamento alle esigenze educative emergenti

Benefici Attesi

  • Maggiore Energia e Innovazione: I docenti giovani, essendo più vicini in età agli studenti e più aggiornati sulle nuove tecnologie, possono introdurre metodi didattici innovativi e coinvolgenti.
  • Supporto e Sviluppo Professionale: I docenti esperti offrono un prezioso supporto ai colleghi più giovani, garantendo un passaggio fluido di conoscenze e competenze.
  • Qualità dell’Insegnamento: La combinazione di docenti giovani energici e docenti esperti saggi migliora la qualità complessiva dell’insegnamento.
  • Transizione Serena alla Pensione: La struttura consente ai docenti anziani di contribuire ancora al sistema educativo, pur godendo di un meritato riposo.

Questo nuovo modello scolastico mira a creare un ambiente educativo dinamico, sostenibile e orientato al futuro, in grado di rispondere efficacemente alle sfide educative del XXI secolo.

In conclusione, la presenza di giovani educatori nel sistema educativo è di fondamentale importanza per garantire un ambiente di apprendimento dinamico, empatico e innovativo. La loro energia, capacità di relazionarsi con gli studenti, familiarità con le nuove tecnologie e passione per l’insegnamento sono tutte qualità che contribuiscono a migliorare l’efficacia dell’educazione.

Tuttavia, è essenziale che vi sia un equilibrio tra giovani e anziani educatori, affinché l’energia dei primi e la saggezza dei secondi possano combinarsi per offrire agli studenti il miglior percorso educativo possibile.

In ogni caso dobbiamo prenderci del tempo per rinnovare tutta la scuola italiana e smetterla di fare interventi ad minchiam come togliere le ore di laboratorio, filiere 3+6, 5+7, 4+2, o fesserie simili, tutor di chissà quale schieramento, e astropanzanate simili, che durano uno o due anni e di cui poi nessuno verifica i danni fatti.

La vogliamo finire di assumere in maniera indiscriminata, di parlare di inclusione quando non c’è, di affidarci solo alla buona volontà dei docenti che comunque nuotano in un mare in tempesta?

Vogliamo rifarla seriamente questa scuola?

Vogliamo finalmente creare una macchina da guerra seria in grado di affrontare il prossimo difficilissimo futuro per i nostri giovani?

Vogliamo creare scuole con strutture organizzative serie, con una gerarchia seria fatta da vicepresidi ufficiali e non farlocchi, da staff veri e non a preferenza, da segreterie scolastiche professionali e non da Cayenne dimenticate nel tempo??

Non si offenda nessuno, ma occorre intervenire.

 

Non vogliamo dire che questa proposta per i ruoli dell’insegnamento sia la migliore del mondo, ma sarebbe il caso da partire da qualcosa invece che trascinare la scuola italiana nell’abisso più oscuro del qualunquismo o in riforme senza capo ne coda con il solo intento di azzerare la capacità critica nei giovani, di renderli sempre più IGNORANTI (da ignoro latino ovviamente), di spegnere i loro sogni o peggio di farli allontanare da questo paese. .

 




Il famoso Cristo di Dalì a Roma

Verso il Giubileo: Salvator Dalì e il Crocifisso di Port Lligat

Si è conclusa il 23 giugno 2024 l’esposizione, a Roma, nella chiesa di San Marcello al Corso, dell’ opera di Salvator Dalì “Cristo di San Giovanni della Croce”.

La famosa tela,  detta Il Crocifisso di Port Lligat, è stata dipinta nel 1951 da Salvador Dalì.

La mostra è stata inaugurata il 13 maggio nell’ambito della terza esposizione della Rassegna artistica ‘I Cieli Aperti’.

È stata inserita nel percorso culturale verso l’Anno Santo, il Giubileo 2025.

Il celebre dipinto di Dalì a Roma

Si è conclusa pochi giorni fa  l’esposizione a Roma, nella Chiesa di San Marcello al Corso, della tela di Salvator Dalì “Cristo di San Giovanni della Croce”.

Il celebre dipinto ‘Cristo di San Giovanni della Croce’, anche detto ‘Il Cristo di Port Iligat’, è stato realizzato dall’artista spagnolo Salvator Dali, nel 1951.

Il Cristo di Salvator Dalì
Il Cristo di Salvator Dalì

La novità è che, per la prima volta, a Roma, nella chiesa di San Marcello al Corso, non è stato esposto solo il capolavoro di Salvador Dalì.

Accostato ai piedi della grande tela del famoso pittore surrealista si notava, quasi con sorpresa, il piccolissimo disegno-reliquia del santo carmelitano San Giovanni della Croce.

Si tratta del disegno reliquia che ha ispirato il celebre Cristo di Dalì.

La reliquia - disegno di San Giovanni della Croce
La reliquia – disegno di San Giovanni

La reliquia – disegno del Santo carmelitano spagnolo Giovanni della Croce

La reliquia consiste in un minuscolo disegno del mistico carmelitano.

Fu realizzato tra il 1574 e il 1577 in seguito ad un’estasi nella quale il santo vide il Crocifisso.

Si tratta dell’unico disegno dal santo carmelitano spagnolo giunto fino a noi.

Il mistico rappresenta in quel minuscolo disegno, la visione cui ha assistito, ciò che gli fu mostrato dal Signore.

Contestuale esposizione di due opere straordinarie

Si è trattato di un’occasione irripetibile per ammirare da vicino le due opere straordinarie.

La prima  molto grande, la seconda minuscola.

Un connubio che ci conduce nella più profonda contemplazione spirituale. 

La chiesa di San Marcello al Corso

La Chiesa di San Marcello al Corso ha fatto da cornice ad un evento eccezionale che si colloca nell’ambito delle celebrazioni del Giubileo del 2025.

Chiesa di San Marcello al Corso, Roma
Chiesa di San Marcello al
Corso, Roma

Si tratta di una sede inusuale, ma molto pertinente.

È stata certamente una occasione unica per poter vedere per la prima volta il  capolavoro di Dalì a Roma.

Ma ancora di più per poterlo ammirare accanto al disegno che lo ha ispirato, il disegno-reliquia di san Giovanni della Croce, il Santo carmelitano.

Da Glasgow a Roma, il successo della mostra 

La famosa opera di Salvator Dalì è conservata alla Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow. Eccezionalmente è stata esposta a Roma nella Chiesa di San Marcello in via del Corso.

La mostra ha riscosso un successo straordinario tra i numerosi turisti provenienti da ogni parte del mondo. Naturalmente non sono mancati innumerevoli romani curiosi e ammirati.

Un capolavoro e la sua opera ispiratrice

Il capolavoro di Dali è stato per la prima volta nella storia dell’arte presentato contestualmente all’opera che lo ha ispirato.

Si tratta del disegno che tanto ha colpito il celebre pittore, ossia il disegno-reliquia di san Giovanni della Croce.

Nel disegno il Santo Carmelitano rappresenta la sua estasi mistica.

Si tratta di un inedito nella storia dell’arte.

Il Cristo di San Giovanni della Croce è dunque indissolubilmente legato, come lo stesso titolo suggerisce, al mistico san Giovanni della Croce e alla reliquia, conservata nel Monasterio de La Encarnación ad Ávila.

Due opere così diverse eppure così intimamente legate dalla ricerca del Dio Onnipotente.

Chi era San Giovanni della Croce

Giovanni della Croce, al secolo Juan de Yepes Álvarez, nacque il 24 giugno 1542, figlio di una coppia poverissima della vecchia Castiglia, vicino ad Avila.

Usciva diciottenne nel 1563 dal Collegio dei Gesuiti di Medina del Campo, dove aveva studiato scienze umane, retorica e lingue classiche.

L’incontro con Santa Teresa d’Avila

Subito dopo avvenne l’incontro con Teresa di Gesù che cambiò la vita ad entrambi.

Giovanni la conobbe da sacerdote e subito fu coinvolto e affascinato dal suo piano di riforma del Carmelo, anche nel ramo maschile dell’Ordine.

Lavorarono insieme condividendo ideali e proposte e insieme inaugurarono la prima casa di Carmelitani Scalzi, nel 1568 a Duruelo, nella provincia di Avila.

Come San Giovanni divenne “della Croce”

Fu in quella occasione che, formando insieme ad altri la prima comunità maschile riformata, san Giovanni adottò il nuovo nome, “della Croce”, con il quale sarà in seguito universalmente conosciuto.

Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, Giovanni della Croce divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora.

Ma non tutto fu facile: l’adesione alla riforma comportò al santo la carcerazione per diversi mesi a seguito di accuse ingiuste.

Riuscito a scappare in modo avventuroso, grazie all’aiuto di santa Teresa, dopo aver recuperato le forze iniziò un lungo cammino di incarichi, fino alla morte in seguito ad una lunga malattia e a sofferenze enormi.

Le ultime parole del Santo

San Giovanni si congedò dai confratelli mentre recitavano l’Ufficio mattutino in un convento vicino a Jaén, tra il 13 e il 14 dicembre 1591.

Le sue ultime parole furono: “Oggi vado a cantare l’Ufficio in cielo”.

Il cammino verso Dio , il santo spagnolo lo immaginava come la salita ad una montagna lungo la quale l’uomo deve affrontare con coraggio e pazienza una “purificazione” profonda dei sensi e dello spirito.

“Per giungere a possedere tutto, non voler possedere niente”.

Dalì e il Natale del 1948

La vita e l’estasi del santo carmelitano impressionò il pittore surrealista.

Erano i giorni dopo il Natale 1948, di ritorno dall’Italia, quando Dalì volle fare un viaggio nella Castilla proprio per visitare quel monastero.

In quel famoso monastero  oltre a san Giovanni della Croce, anche santa Teresa di Gesù aveva vissuto esperienze mistiche.

Come nasce un’opera d’arte

Dali fu così impressionato, che a Parigi cercó l’amicizia del frate carmelitano Padre Bruno de Jésus-Marie.

Si mise a studiare i testi del Santo.

Lo colpì la descrizione della via della Notte Oscura d’amore.

San Giovanni della Croce la descrive come la via più diretta che un anima può seguire per giungere alla perfetta unione con Dio.

Un capolavoro spirituale

Il Cristo di Salvador Dalí, del 1951, è uno dei capolavori più importanti di tutti i tempi.

Questo dipinto ad olio colloca il pittore in un momento molto speciale della sua carriera artistica, alla fine degli anni Quaranta, nel bel mezzo di una riformulazione del suo pensiero.

Segna l’inizio di un nuovo periodo, quello della mistica nucleare, in cui Dalí combina il suo interesse per la fisica e il Rinascimento italiano con la religione e la spiritualità cattolica, e il cui testo fondativo è il Manifesto Mistico dello stesso 1951.

Tutto ciò accade dopo che l’artista si era allontanato dalla fede ricevuta attraverso la madre.

Gli avvenimenti della Guerra Civile in Spagna, insieme alle scoperte della fisica quantistica e ad una valutazione critica della deriva espressionistica e tragica di molta arte contemporanea, portarono Dalí a riaprire il cuore a Gesù Cristo e al Cattolicesimo.

Stavolta con la certezza che la nuova scienza manifesta l’intelligenza del Creatore e la tensione della materia fisica verso la vita dello Spirito, ma che solo in Cristo è dato all’uomo naufrago un porto di salvezza.

La Cesta del Pane di Dalì e il realismo della fede

Nella Chiesa, accanto al Cristo e al disegno reliquia, un pannello espositivo riproduce il dipinto di Dalì “La Cesta del Pane”, del 1945.

La Cesta di pane, di Salvator Dalì, 1945, (periodo classico)
La Cesta di pane, di Salvator Dalì, 1945, (periodo classico)

“La Cesta di pane” è un ottimo esempio del periodo classico di Dalì, che ebbe inizio nel 1941.

Questo dipinto può essere idealmente accostato al Cristo, in un dialogo che va ben oltre le questioni di tecnica pittorica.

Come spiegò l’artista nel 1952: «Dal punto di vista dello stile e della tecnica artistica, ho dipinto il mio Cristo di San Giovanni della Croce nella maniera in cui dipinsi la mia Cesta di pane, che già allora, più o meno inconsciamente, rappresentava per me l’Eucaristia».

Il simbolismo dell’opera

Nel dipinto di Dalì ritroviamo, inconfondibile, il paesaggio di Port Lligat, in basso, con le rocce suggestive di Cap de Creus e con la tonalità delle acque e del cielo di un blu così intenso da contrastare con il buio sovrastante, accentuando l’atmosfera drammatica dell’opera.

Sono evocate, simbolicamente, le tenebre che avvolsero Gerusalemme alla morte di Cristo e il buio originario dell’inizio della Creazione del mondo, quando, secondo il libro biblico della Genesi, lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque.

Port Lligat in Spagna e il mare di Galilea

Il mondo intero diventa Port Lligat, nell’ovest della Spagna, dove Salvator Dalì soggiornava per lunghi periodi.

E al tempo stesso, quello è il Mare di Galilea, dove l’avventura di Gesù di Nazareth iniziò con la chiamata dei suoi primi apostoli, rintracciati presso le loro due barche ormeggiate.

Un’isola in lontananza disegna nelle sue frastagliate creste il profilo di Dalí, che contempla il Cristo.

Un senso di mistero ci è comunicato dalla prospettiva scelta per il Crocifisso, inscritto in un triangolo equilatero e rappresentato dallo zenith.

Così, il volto di Cristo è oltre ogni immaginazione, tanto da non poter nemmeno sapere se sul legno di quella croce egli sia ancora vivo o già spirato.

Nella chiesa di San Marcello al Corso, sull’altare maggiore, campeggia un grande drappo con le parole che Dio disse a san Giovanni della Croce proprio in quell’occasione: “Se vuoi una parola di speranza, fissa lo sguardo in Lui solo. Vi troverai più di quanto desideri”.

E attraverso l’invito a contemplare il Crocifisso, anche l’esperienza giubilare diventa compiuta, accoglie la dimensione più profonda.

Verso il Giubileo

L’iniziativa si colloca nel solco della preparazione al prossimo Giubileo.

Don Alessio Geretti è il curatore della mostra.

L’intento è quello di andare oltre l’opera d’arte per coglierne i significati spirituali, di “vedere oltre” l’opera d’arte e decifrarne i significati spirituali.

Le due opere pur profondamente diverse, in apparenza, sono infatti unite dalla stessa sete di Dio.

 




Ne dice di più un pelo di marmotta che …

Una marmotta ci spiega il cambiamento climatico

Nel museo di Scienze naturali situato presso il castello di Saint Pierre in Val d’Aosta è da pochi giorni esposta al pubblico una mummia di una marmotta di cui gli scienziati datano la nascita 6.600 anni fa.

Si tratta della più antica mummia mai rinvenuta in Italia.

È stata ritrovata due anni fa sul ghiacciaio del Lyskamm a circa 4.300 metri di altezza e solo ora, dopo tutte le ricerche del caso, viene esposta al pubblico.

Al netto degli aspetti puramente scientifici, di questa marmotta è importante notare che è stata ritrovata ad una altitudine ove, oggi, questi magnifici animali non vivono,ne sono in grado di vivere, essendo essi erbivori ed essendo da tempo presenti a quelle altitudini dei ghiacciai perenni.

Questo ritrovamento, avvenuto a causa di una riduzione dello spessore del ghiacciaio, è stato assai “urlato” dai cultori dell’economia “green” proprio al fine di segnalare, ovviamente con toni allarmistici, lo scioglimento dei ghiacciai perenni e dare colpa di questo all’inquinamento globale.

Questo ritrovamento ci racconta che 6.600 anni fa, a quelle altitudini, erano presenti prati ed arbusti che garantivano ad una marmotta di poter vivere. Non vi erano ghiacciai perenni ne enormi ne in via di riduzione.

Facile comprendere che al tempo i motori a scoppio non erano stati ancora inventati e, conseguenza ovvia e diretta, non esistendo non potevano inquinare l’atmosfera della nostra amata terra. Altrettanto accadeva con le centrali a carbone.

Nulla che inquinasse e causasse il cambiamento climatico a causa delle scoperte scientifiche dell’uomo esisteva al tempo, solo il normale evolvere dei cicli del nostro sistema solare, l’eruttare dei vulcani e gli incendi delle aree boschive.

Al tempo, palesemente, non erano presenti, tempi semplici e certamente più etici quelli, neanche i tanti “affaristi” che oggi ritengono di poter cavalcare gli stessi cicli al fine di causare bisogni di mercato.

Corrado Gaspard, questo il nome della guida alpina che nell’agosto del 2022, durante un’escursione sulla parete est del Lyskamm, ghiacciaio appartenente al gruppo del Monte Rosa, ha trovato casualmente la mummia di questa marmotta rannicchiata su una roccia, ha involontariamente fornito un elemento che permette a noi tutti di ragionare sulla “tesi” che dette l’opportunità ad una adolescente svedese di nome Greta Thunberg di parlare e discernere, finanche insegnare agli scienziati, di fisica e climatologia.

La giovane, in varie occasioni, fu messa in condizione di incontrare da pari i grandi della terra portando loro, a nome di tutti, giovani e meno giovani, la richiesta di fermare l’inquinamento globale da CO2.

La giovane, ritenuta da molti intellettuali e giornalisti un novello “premio Nobel”, dichiarava, ovviamente in assenza di alcun contraddittorio, l’inquinamento come unico colpevole, primaria causa, del “riscaldamento globale”.

Riscaldamento globale, oltretutto, assai poco condiviso da molti scienziati che, ragionando sui cicli solari, dichiarano che la nostra amata terra abbia di fronte una nuova era di glaciazioni.

Tutto questo nell’ambito dei “cicli terresti” e non dei “mesi”.

Un ritrovamento eccezionale da molti punti di vista quello di Corrado Gaspard.

Certamente un ritrovamento che porta noi tutti a dover scindere il tema dell’inquinamento globale dovuto ai comportamenti umani da quello del riscaldamento, o raffreddamento, globale.

Un ritrovamento che porta noi tutti a porci serie ed, in alcuni casi sgradevoli, domande.

Per esempio porta a chiederci se i cultori dei pannelli solari e delle pale eoliche siano più paladini della difesa della qualità dell’aria della nostra terra o di altri interessi più profani.

La guida alpina, per fortuna e qualità professionale, avendo constatato di trovarsi al cospetto di un evento estremamente rilevante, ha immediatamente coinvolto le autorità competenti impedendo, in questo modo, che venisse negata la veridicità della stessa scoperta da parte di coloro che in essa avrebbero potuto trovare elementi di problematicità per la narrazione sulla “crisi climatica” che tanto aiuta alcuni a diventar benestanti a discapito di altri.

Narrazione che tanto aiuta, fatto che definirei strategico, a spostare, con l’aiuto di un ceto dirigente occidentale probabilmente cointeressato, i flussi macroeconomici globali a favore del cosiddetto “far east”.

Questo a discapito delle aziende occidentali, del PIL e della occupazione, in pratica del benessere sociale, soprattutto della nostra Europa, della nostra Italia.

Oggi le marmotte sul Monte Rosa le possiamo osservare molto più in basso proprio a causa di quei ghiacciai perenni, gli stessi che oggi si stanno riducendo, gli stessi che ai tempi di quella marmotta non esistevano e lasciavano spazio ad una rigogliosa vegetazione indispensabile alla vita di quel animale.

Quanto sarebbe serio ed utile imparare da questa storia legata ad una mummificata marmotta a pensare attraverso la maieutica socratica.

L’inquinamento esiste ed è colpa degli esseri umani, tutti gli esseri umani, non solo degli europei.

L’inquinamento globale va ridotto, tutto!

Non esclusivamente quello da CO2 che, forse, è addirittura assai meno invasivo di altri, per esempio quello da litio.

Le “furbizie” di chi vuol strumentalizzare ogni cosa per il proprio vantaggio economico a discapito del benessere complessivo vanno, anche assai velocemente, estirpate per permettere alle famiglie di continuare a pensare che il futuro dei propri figli possa essere migliore del loro presente.

Anche per questo le elezioni statunitensi di novembre sono importanti per tutti, non solo per i cittadini americani.

Certe volte, infatti, i “cattivoni” sono assai più interessati alla qualità della vita delle famiglie, del ceto medio, delle piccole imprese private, di quelli che rappresentano “il potere dei più buoni”, come li narrava quel grande poeta che si chiamava Giorgio Gaber.

Un uomo di sinistra vero lui, non un affarista al soldo del globalismo gender e green.

Ignoto Uno




Valditara filiera 4+2, qualcosa non va.

Con la nuova filiera tecnico-professionale  il ministro  dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara dichiara  “Ad oggi la metà delle aziende fa fatica a coprire i posti disponibili, questa è la realtà. Un mismatch drammatico tra offerta e domanda di lavoro. Noi ce ne siamo fatti carico.”

 In realtà non è vero che la nuova filiera 4+2  riduce il mismatch offerta formativa / mercato del lavoro perché la programmazione dell’offerta formativa integrata istruzione / formazione professionale (formalmente in capo alle Regioni ma in realtà gestita dagli Uffici Scolastici Regionali del Ministero Istruzione) continua a prevedere un numero posti alunni disponibili in tutte le tipologie e relativi indirizzi di gran lunga superiore al numero degli alunni , mancando un paradigma programmatico traguardato sul mercato del lavoro e continuando  a imperare le logiche sindacali finalizzate a salvaguardare (quando non incrementare) gli organici per istituzione scolastica.

Non a caso nel sistema 4+2 diminuiscono le ore cattedra ma aumentano i posti per anno nello stesso istituto e nelle medesime classi di concorso dei docenti presenti in organico (a cui si aggiungono i docenti esterni con contratto a termine introdotti dalla norma).

È vero che la nuova filiera potrebbe adeguare alle esigenze del mercato del lavoro i contenuti del percorso formativo, ma questo è un dato qualitativo non quantitativo.

La riduzione del mismatch con contestuale incremento del  tasso di occupabilità dei percorsi di istruzione e formazione,  è determinato dalla coerenza del n. di figure professionali in uscita e loro competenze, con la richiesta del mercato del lavoro. Tutte le figure professionali in uscita dai percorsi liceali, tecnici, professionali ….dovrebbero avere un analogo tasso di occupabilità, attesa comunque per tutte la formazione dello studente come persona integrale.

Così sarebbe se la programmazione dell’offerta formativa integrata fosse coerente (quantomeno tendenzialmente) nei numeri e contenuti con le richieste del mercato del lavoro anziché subordinata all’esigenze autoreferenziali del sistema d’istruzione, che influiscono altresì sull’orientamento scolastico.

Fermo restando che l’orientamento scolastico deve essere traguardato sulla programmazione dell’offerta formativa e non il contrario, la fonte del mismatch sta’ quindi nel processo  programmatico dell’offerta formativa, declinato da una pluralità di centri decisionali (istituzioni scolastiche, Uffici Scolastici Regionali USR-Uffici d’ambito territoriale UAT, MIM-MEF, Regione, Provincie, Comuni, OO.SS.) disorganici oltreché ciascuno portatore d’interessi particolari confliggenti tra loro, in carenza di criteri e parametri certi ed univoci per l’organizzazione della rete scolastica (art. 50 d.lgs 30 luglio 1999 n.300)  e relativa tempistica.  

Per aggredire effettivamente il mismatch è pertanto  necessario in primo luogo ridefinire  la declinazione della programmazione della rete scolastica, specie in relazione alle funzioni amministrative statali svolte da USR nelle materie che potrebbero costituire oggetto di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, avvalendosi della recente Legge  26 giugno 2024 n. 86                           

 

             DG Marco Filisetti       




ibridità, nuova frontiera

Stanchi dell’ibrido

 

 

Ogni uomo che sa cosa voglia dire essere un “uomo” vive con la certezza che non si “picchiano le donne”.

 

Non si “tocca una donna nemmeno con una rosa”, questo noi padri insegniamo ai nostri figli.

 

Nei tempi recenti è stato istituito il reato di “femminicidio”. Un omicidio che contiene in se l’aggravante che sia un uomo ad uccidere una donna per motivi di genere.

 

Queste “strane” Olimpiadi, ove si parla molto più di “altro” che di sport, hanno costretto tutti noi, anche i non appassionati di boxe come chi scrive, a vedere, con ribrezzo, una persona “non donna” massacrare con un solo pugno una atleta donna.

 

Questa la sintesi dal mio punto di vista.

 

Una sintesi che non mi piace.

 

Lo sport ha un solo ruolo, quello di insegnare valori positivi.

 

Una “non donna”, non sono io a dover scendere in valutazioni scientifiche sul suo “genere”, questo spetta agli scienziati, non agli intellettuali o ai politici, che gareggia con una “donna”.

 

Il risultato dello “scontro”, non del “incontro”, era tristemente, pateticamente, scontato.

 

La conseguenza è diretta. Perché far svolgere gli “incontri”?

 

Ovvio il fatto che, se l’atleta algerina non troverà sulla sua strada una altra “non donna”, questa atleta vincerà sempre.

 

Olimpiadi noiose queste di Francia.

 

Olimpiadi ove l’ideologia gender ha preso il sopravventò sullo sport.

 

Peccato.

 

Speriamo che, almeno nell’ultima parte, questa olimpiade sappia tornare, per quel che può, ad essere quello che una “olimpiade” deve essere.

 

Una sana e vera “Olimpiade” è il “tempio dello sport”.

 

Una nota di speranza per finire, fra quattro anni saremo in una nuova era, avremo una nuova Olimpiade, potremo tornare ad appassionarci alle gare, parlare da tifosi di sport olimpici, guardare in pace la televisione e commentare le medaglie vinte dagli atleti che rappresenteranno la nostra Patria.

 

Questo amano fare le madri ed i padri con i propri figli nella quiete di una estate olimpica con una bibita in mano ospitando degli amici nella propria dimora.

 

Questo è sempre stato il modo sano e tradizionale di “parlare di sport”.

 

Questa è la cultura della maggioranza degli esseri umani nel mondo.

 

Questo accadrà di nuovo, ne sono certo, fra quattro anni in California, a Los Angeles.

 

Quel giorno, infatti, la Presidenza in Stati Uniti sarà quella che per molti sarebbe già dovuta essere nel 2020.

 

Noi, madri e padri all’antica, non vediamo l’ora di dimenticare ogni forma di strumentalizzazione politica di qualsiasi “ibrido”, umano o ingegneristico che sia.

 

All’atleta algerina Khelif identica solidarietà che portiamo all’atleta italiana Angela Carini, due esseri umani che hanno pari dignità e che, entrambe, sono state strumentalizzate per motivi politici “globalisti” assai lontani dallo spirito olimpico.

 

Questo, non voglio nasconderlo, a tutti coloro che hanno il mio stesso sentire annoia molto più che un po’.

 

Ignoto Uno