Trump is still alive. Ma la polizia sapeva del cecchino…

Alziamo il braccio come Trump

Una giornata storica segnata dalla fortuna quella appena vissuta in Pennsylvania.

Per chi, come il Presidente Trump, crede nell’Onnipotente, segnata dalla volontà Divina.

Una giornata che ha permesso al mondo tutto di comprendere la forza di un uomo che non si piega mai.

Una giornata segnata dall’immagine di un uomo a cui era stato sparato in testa da pochi secondi e che si è rialzato con il braccio alzato in segno di vittoria per dare forza al suo popolo scevro del pericolo che lo aveva appena colpito più che sfiorato.

Una immagine che entrerà nei libri di storia e segnerà in modo indelebile il futuro degli Stati Uniti e del mondo intero.

Con l’attentato al Presidente Donald Trump il mondo, non solo gli Stati Uniti, è entrato in una nuova era.

In quel preciso momento la speranza di chi non crede che alla base dei rapporti fra le persone, i singoli Stati, vi debba essere il valore del rispetto delle tradizioni culturali a favore di un appiattimento su una unica visione della vita indistinta e senza radici, chi crede nella cultura della menzogna politica e della inversione fra bugia e verità a favore della propria parte, chi crede nell’uso del sistema giudiziario come ricatto o clava contro il “nemico”, chi crede di poter gestire i popoli attraverso la propaganda mediatica, chi parla di “libertà di pensiero” ma annichilisce il diritto di pensare, chi propugna e crede in questi non valori sa di avere davanti un leader che non ha paura di loro ed un popolo che, ancor più da oggi, sa di potersi affidare a lui le proprie sorti.

Quel braccio alzato è già entrato nella storia dell’umanità.

Intorno a quel braccio alzato si sono compattati valori e popoli che urlano da tempo il desiderio di non essere sfruttati, usati, strumentalizzati, presi in giro, impoveriti, usati come cavie, spremuti come limoni per favorire una green economy che di “green” non ha niente ma che vuota le tasche dei semplici a favore di pochi.

Questi esseri umani, persone che chiedono che le proprie tradizioni e la propria cultura venga rispettata, cittadini onesti, padri e madri, lavoratori con sogni semplici desiderosi solo di poter dare un futuro migliore ai propri figli, sanno che possono tornare a sognare.

Sognare un mondo con leaders che pensano ai propri popoli prima che a se stessi.

Donald Trump, per molti “il vero Presidente”, ha pensato al suo popolo prima che alla propria vita.

Non è scappato, ha dato forza a coloro che hanno temuto di aver perso un punto di riferimento.

Così facendo è diventato, ancor più credibile, ancor più punto di riferimento.

Al momento dello sparo mancavano 114 giorni alle elezioni presidenziali americane.

Per molti mancavano 114 giorni all’alba di un nuovo sogno di pace e di prosperità.

Chi ha idee diverse da queste ne ha diritto, ma farà bene a iniziare a rispettare chi è portatore di valori diversi e ponga termine allo strumento del denigrare per mettere fuori gioco all’avversario prima culturale e, solo dopo, politico.

“God and Country” è lo slogan dei sovranisti.

Uno slogan antico che permette di sognare moderno.

Intorno ad un braccio alzato che nulla ha ne di destra né di sinistra….. è solo un segno di forza nelle proprie convinzioni

Ignoto Uno

NdR dalle prima testimonianze raccolte dall’FBI di spettatori presenti la polizia era stata informata della presenza del cecchino ma non si è mossa!!!

 

https://tg24.sky.it/mondo/2024/07/14/attentato-trump-pennsylvania




Dove va la chiesa?

Che strada prenderà la “Chiesa sinodale”

voluta da Papa Francesco?

 

Oggi nel mondo “progressista” l’imperativo culturale è di essere nell’ordine: ”inclusivi”, “resilienti”, “sostenibili”, “green”, “accoglienti”, “politically correct”, ovviamente “antifascisti” e – se vogliamo essere al top del progressismo – anche “democratici” con tanto di tessera. Un tocco di cultura “woke”, giusto per utilizzare un termine esterofilo, non guasterebbe, ma da noi in Italia è ancora poco conosciuta, anche se c’è da ritenere che arriverà presto.

Con una simile carta d’identità si può stare certi che si finisce sulle pagine dei principali quotidiani di sinistra, come pure nei dibattiti delle variegate reti televisive presenti sul mercato. Infatti, nel nostro incompiuto bipolarismo odierno abbiamo: da una parte coloro che si ritengono “progressisti”, cioè i depositari del futuro luminoso già intravvisto da Marx, Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot e da tutti gli epigoni delle svariate e sanguinarie rivoluzioni comuniste. Dall’altra i più modesti e moderati “conservatori”, alcuni dei quali non sempre sinceri, con le loro sfaccettature di centro, centro-destra e destra fino alle ali più estreme, ali che esistono del resto anche a sinistra.

Perché tutta questa premessa su destra-sinistra in un articolo che dovrebbe parlare del Papa? Perché legittimamente sempre più cattolici italiani, ma anche di tutto il mondo, si stanno interrogando se il pontefice attuale, Francesco, al secolo Jorge Maria Bergoglio, sia un po’ troppo “progressista” e se abbia intenzione di cambiare dall’interno, in maniera radicale, la Chiesa a lui affidata come successore dell’apostolo Pietro.

Non vorremmo essere irriverenti verso questo pontefice venuto “da molto lontano”, che nei fatti, sin dai primi giorni, si è dimostrato “rivoluzionario” se non addirittura eversore della tradizione apostolica cui eravamo abituati a conoscere con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI. Infatti ha concesso interviste al direttore di Repubblica, Scalfari, che non registrava ma mandava a memoria le sue risposte e poi le proponeva “molto liberamente” in lunghissime interviste non smentite dall’autore. Forse per questo sono iniziate a fare capolino affermazioni deflagranti che ci hanno stupito.

Saltando il “chi sono io per giudicare”, riferito a un gay “che cerca Dio”, Francesco non ha aggiunto che per evitare il peccato mortale e il rischio di “finire all’Inferno” sia opportuno che lo stesso gay smetta di compiere atti di amore omosessuale. Sembra del resto, non avere ricordato ai fedeli che la “castità” è un valore che si riferisce a tutti, eterosessuali e omosessuali, donne e uomini, sposati e single, consacrati o semplici credenti. Per lo più, il Papa evita di richiamarlo apertamente, così che sembra che la castità sia scomparsa dal “radar” ecclesiale. Ebbene, muovendo verso l’oggi dopo la follia della adorazione in Vaticano della Pachamama, una sorta di divinità delle tribù amazzoniche, davanti alla quale scandalosamente si sono inchinati preti e vescovi, prelati e semplici chierici. Nessuno si è dimenticato della “apertura” alle coppie irregolari, dove in pratica la situazione di evidente e aperto adulterio viene accettata e giustificata visto che possono prendere la comunione. Come anche la “benedizione delle coppie omosessuali” fatta di nascosto, senza ufficialità ma comunque fatta da un prete, una specie di preludio alla accettazione futura del matrimonio omosessuale perché “Dio accetta tutti tutti tutti, così come sono”,

Queste le parole spesso usate dal Numero uno in Vaticano verso gli LGBTQ+ …

E che dire della benedizione delle politiche green, come pure dei vaccini per il Covid definiti da Francesco un “atto d’amore”? Oppure del sostegno aperto alle tesi del World Economic Forum con le politiche antiumanistiche sul “grande reset”? E, andando avanti con le stranezze verso le quali Francesco ci ha abituato, come valutare le scelte accomodanti con la Cina tramite l’accordo bilaterale col quale, di fatto, il governo cinese mette becco sulla scelta di vescovi potendo imporre quelli “amici” del regime?

La novità più recente, e forse più importante, è quella odierna che riguarda la terza fase del Sinodo dei vescovi che si terrà in ottobre.

Orbene, anche qui la novità grossa è che Francesco sta imponendo una “agenda” ecclesiale basata sul concetto che la mentalità “sinodale” dovrebbe essere quella che regge e orienta la Chiesa del futuro, secondo la quale, il ruolo della gerarchia “Papa, Cardinali, Vescovi, Parroci ecc.” viene ridotto quasi a, e dove a imperare in una sorta di nuovo “parlamento ecclesiale” è appunto l’assemblea sinodale all’interno della quale tutti possono dire la loro. Curiosamente, quasi si arriva a utilizzare il principio grillino dell’ “uno vale uno”, nel senso che l’ultimo dei fedeli potrebbe essere portatore di una visione di valori e di istanze reputate equivalenti o superiori a quelli espressi dalla stessa gerarchia, la gestione dei fedeli potrebbe essere affidata a una sorta di assemblea di base all’insegna di un inedito “politically correct” ecclesiale.

Perché ci soffermiamo su questi aspetti? Perché la visione di Francesco, almeno ciò che si lascia intuire, è quella di spostare l’asse culturale e gerarchico della Chiesa cattolica verso una sorta di “progressismo inclusivo e resiliente”, dove si prefigurano senza dirlo apertamente, una nuova struttura ecclesiale in stile protestante, con il Papa non più apertamente considerato Vicario di Cristo in terra e coi pieni poteri a lui conferiti “Ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”, ma una sorta di primus inter pares, che dialoga con luterani, ortodossi, evangelici e similari quasi alla pari, rinunciando nei fatti all’autorità conferita a Pietro e ai suoi successori un paio di migliaia di anni fa da Gesù in persona.

Sarà giusta questa interpretazione progressista della Chiesa di Francesco? Oppure la sua “Chiesa sinodale” è una forzatura riduttiva e snaturante della Chiesa tradizionale che abbiamo sin qui conosciuto? Lo “strumento di lavoro” del Sinodo varato nei giorni scorsi lascia aperte molte domande su questioni quali ruolo della gerarchia, assemblee sinodali, ruolo delle donne, accoglienza e integrazione dei gay e di tutte le minoranze possibili e immaginabili. Nel frattempo con i riottosi che cercano di resistere alle sue novità, definite “processi”, Francesco ci va giù pesante e con chi non “si allinea”, è forse un esempio mons. Viganò e diversi istituti religiosi maschili e femminili “tradizionalisti”, arrivano scomuniche, espulsioni dallo stato religioso, confisca dei beni dei monasteri, riduzione sul lastrico di interi gruppi di suore o religiosi colpevoli di essere legati ai loro carismi all’ “antica”.

Per i credenti “normali”, come probabilmente molti di noi sono, il momento è molto preoccupante ma anche promettente.

O la Chiesa prende coscienza che qualcosa di profondo sta avvenendo, oppure c’è il rischio che fra qualche anno o decennio ci sveglieremo e scopriremo che quella istituzione spirituale voluta da Gesù si sia trasformata in una specie di gigantesca Ong, se non peggio ….

Molti lo temono, altri sono fiduciosi che non accadrà.

Non praevalebunt, ovvero le porte degli inferi non prevarranno.

Il Credente




“Cosa ti piace davvero?”

Se lo sai, hai un Destino!

Un “destino” di nome Roberta

“Din!” Tintinna la notifica di whatsapp all’arrivo di un nuovo messaggio. È un aggiornamento di Roberta Callegari, titolare della libreria Wälti e organizzatrice di eventi culturali a Lugano. Ho un tuffo al cuore. Le rispondo prontamente che ci sarò, e che mi piacerebbe intervistare lo Scrittore. Presto fatto. In pochi minuti mi conferma l’appuntamento per il giorno dopo. 

Igor Sibaldi ritorna in Città per presentare uno dei suoi ultimi libri, pubblicato a maggio di quest’anno per Mondadori: “Ribellarsi al destino – Impara a non rassegnarti e prendi sul serio i tuoi desideri”. Sono queste parole a risuonare in me, come accade fra diapason tarati alla stessa frequenza. Un “destino” di nome Roberta ci permette di incontrarci in una saletta del LAC, affacciata sul chiostro della Chiesa Santa Maria degli Angioli.

È la prima volta che lo incontro di persona e, seduta accanto a lui, non posso non notare il colore cangiante e rarissimo dei suoi occhi. 

“Perché Suor Soubrette?” Mi chiede con un sorriso. 

Gli rispondo porgendogli una copia del mio libro, che avevo portato con me completo di dedica personalizzata. “Igor”, così mi fa sapere di voler essere chiamato, è un uomo “down to earth”. Semplice e schietto. Mi sento a mio agio. Gli anticipo cosa ho pensato di scrivere a mo’ di introduzione all’articolo. È d’accordo. Ed ecco, in sintesi, di cosa parleremo. 

Sommario

Cos’è il Destino? Nel Sibaldi pensiero è una sorta di gabbia dorata – l’immagine è mia, nel tentativo di esprimervi il suo messaggio in metafora – posata su certezze assolute imposte da famiglia, società, sistema educativo, psicologia, morale, progresso… Le sbarre sono costituite da limitazioni sia interiori, sia collettive. Chiusi lì dentro, ci si è assuefatti a un linguaggio intriso di “Devi… Non devi… Puoi… Non puoi…” e il tremendissimo “bisogna”, con cui non ce la si può prendere perché non c’è nessuno con cui confrontarsi. Bisogna e basta. Ecco. Nella prigione dorata del Destino, definito dall’Autore come “sensazione che una qualche forza sconosciuta stia limitando la mia libertà”, vivono, anzi, sopravvivono gli “adeguati”. Questi ultimi sono, purtroppo, la maggioranza silenziosa di chi non osa farsi domande, né mettere alcunché in discussione.

Ed ecco che Igor porge una chiave a chiunque desideri rispondere al suo appello: “Puoi uscire di lì, a patto che tu risponda alla domanda: ‘Cosa ti piace DAVVERO?’”. 

E qui, la massa si divide in due gruppi: quelli che rispondono con certezza, in pochi secondi, hanno un destino, cioè avvertono una sensazione di limitatezza, accorgendosi di desiderare qualcosa che ancora non sono, non fanno, non hanno… Gli altri, quelli che ci pensano troppo, si chiedono se possano o non possano, debbano o non debbano, desiderare alcunché al di fuori della gabbia dei puoi, devi e bisogna.

La chiave comunque è stata offerta a chiunque voglia trovare, al di fuori del sistema, un’autentica libertà.

Ma c’è un prezzo da pagare: per intraprendere il suo viaggio dell’Eroe alla conquista del vero Sé e dei propri Desideri, il “disadeguante” deve trovare la forza per mollare tutto e, se necessario, ripartire da zero. E dove può ricavare questa energia? Secondo Igor nei suoi “difetti”, che assurgono al ruolo di Mentori.

Gli avversari invece sono sempre i suoi limiti, auto o etero imposti che siano.

Il premio finale, il “successus”, è dell’Eroe che rinuncia a chi era ed è, per lasciar posto a chi sarà. L’importante è che, durante il suo non facile percorso, impari a fidarsi di ciò che gli può accadere. E qui, Igor mette in evidenza come il verbo inglese “happen”, accadere appunto, condivida la sua radice con il sostantivo “happiness”, felicità. Come a dire: sei felice se non ti accontenti e ti fidi di ciò che ti può succedere.

Incontro con Igor Sibaldi

J.L.: Cosa vuol dire “desiderare”?

I.S.: Il contrario di “considerare”. Considerare vuol dire “tener conto delle autorità”. Desiderare vuol dire “non mi importano le autorità”. Le autorità possono essere i governi, la massa, la tradizione, i genitori. Considerare vuol dire “Io considero tutto, sono una persona prudente e attenta.” De-sidero, De-siderare: “Me ne vado via, ignoro le autorità e ragiono con la mia testa.” 

J.L.: Da dove vengono i desideri?

I.S.: Dal futuro. 

J.L.: Possiamo considerarli indizi di chi siamo realmente?

I.S.:. No. Di chi saremo. 

J.L.: In che modo hanno a che vedere con la nostra chiamata?

I.S.: La nostra chiamata è il futuro nostro che comincia a battere un po’ i piedi: “Insomma, arrivi o non arrivi?” Tutti pensano che il futuro non ci sia, ma il futuro c’è eccome! Ci sono tanti futuri. E il futuro più importante è quello che si chiama di solito “chiamata”, che ispira i desideri. 

J.L.: Che cosa intendi qui per difetti?

I.S.: I difetti sono, secondo me, le proteste all’adeguamento. La massa dice: “Bisogna fare questo e quest’altro sennò non vai bene, sennò non sei normale.” Difetto è dire: “No, io non sono normale e neppure voglio esserlo.”

J.L.: Chi ha stabilito siano difetti? 

I.S.:  La tradizione. E la morale. Morale nel senso: usi e costumi di una determinata epoca… Che naturalmente sono diversi dagli usi e costumi dell’epoca precedente e di un’epoca futura. 

J.L.: In base a quali parametri di riferimento?

I.S.: In base al criterio di adattamento. Quella che si chiama “pressione selettiva”. O sei così, o non ti prendo in considerazione. Se hai ancora il Nokia, non ti guardo neanche. È un difetto avere un Nokia, naturalmente. 

J.L.: (in un sospiro gli confido di averne uno, appena acquistato)

I.S.: (sorride)

J.L.: C’è chi ha fatto dei difetti un pretesto per inseguire un ideale di perfezione… Un’altra prigione?

I.S.: Purtroppo sì. Perché l’ideale di perfezione, se uno lo precisa prima di raggiungerlo, è ancora passato. C’è un passo bello della Bibbia, Genesi capitolo 12, in cui Dio si rivolge ad Abramo che è già anziano, e gli dice: “Cambia vita”. Gli dice: “Vieni e ti porterò in un paese che io ti indicherò quando sarai partito. Cioè, non partire per un programma già pronto, altrimenti non mi interessi.” Il problema degli ideali è che sono basati su quello che uno sa adesso, e sono delle preclusioni a tutte le possibilità future. 

J.L.: Chi e cosa sono gli avversari interiori?

I.S.: Sono numerosissimi. Tutti quelli che popolano il nostro passato. Quasi tutti, naturalmente. Possiamo benissimo elencare ai primi posti i nostri genitori. Gli amici, i fidanzati, gli insegnanti… E così via… Poi, naturalmente, tutte le persone che gli altri rispettano e che noi pensiamo di dover rispettare. Il peggiore di tutti, il più cattivo, non è una persona, non è una figura umana, ma è il senso di colpa. 

J.L.: Conviene affrontarli, combatterli e vincerli o conviene piuttosto ignorarli? 

I.S.: Ignorarli è impossibile. Bisogna per forza venirne a capo. Tanto per citare ancora la Bibbia, c’è questa interpretazione consueta della storia di Caino e Abele, che vuole che Caino sia un contadino e che Abele sia un pastore. Nel testo originale non è scritto così. Nel testo originale Caino è un esploratore, e Abele è un costruttore di recinti. E sono fratelli. E Caino non sopporta di avere come punto di riferimento, come personalità critica che lo giudica, un costruttore di recinti. E l’unica possibilità di disfarsene è, secondo la Bibbia, eliminarlo. Tanto non si elimina mai Abele. Ritorna sempre. La cosa curiosa è che, dopo l’assassinio di Abele, Caino non chiede scusa. (Ride) E Dio non lo punisce. 

J.L.: Non lo punisce?

I.S.: No. Anzi. “Vai via da qua”, gli dice. Caino ha preso dalla mamma, che è Eva. Che è quella che ha disobbedito. E quella volta Yahveh dice: “Fuori di qui.” E loro (Adamo ed Eva ndr) han detto: “Va bene. Non vedevamo l’ora di uscire. Non ne potevamo più di stare qui dentro, in questo giardino sbarrato…” E con Caino fa lo stesso, lo manda via. E poi Yahveh ci pensa e dice: “Speriamo che nessuno lo superi, Caino, perché se incontra uno più forte di lui, quello lì sarà ancora peggiore.” Allora spara un incantesimo su Caino, che nessuno può superare la disobbedienza di Caino perché sennò, diventa troppo preoccupante. “Che nessuno tocchi Caino!” Di solito si pensa che voglia dire: “Nessuno se la prenda con il criminale!” Non è questo, è un’altra cosa. La Bibbia è piena di sorprese. 

J.L.: Potremmo fare dei nostri avversari interiori dei mentori? Degli alleati, invece che dei nemici?

I.S.: No. Sono draghi. I draghi sono animali interessantissimi, nella mitologia. Talmente interessanti che sono gli unici animali fantastici che compaiono nelle leggende dei santi. Vedi San Giorgio… Non ci sono unicorni, non ci sono fate, non ci sono gnomi, elfi… I draghi ci sono. Sono veramente una grande scoperta dell’umanità, i draghi. Inspiegabile. La paleontologia è del diciottesimo, diciannovesimo secolo. Cioè fino a fine Settecento e inizio Ottocento non sapevamo come fossero i dinosauri. La paleontologia è recentissima, come scienza. I draghi, nel Medioevo, addirittura nell’età greca, erano già “dinosauri”. Li avevan già visti! Ma come han fatto gli antichi a immaginare un dinosauro se i dinosauri sono scomparsi decine di milioni di anni prima che comparisse l’uomo? Questo è un bel problema che nessuno ha risolto… Interessante dal punto di vista mitologico è che il drago rappresenta sempre il passato. Il passato che non vuole passare. L’eroe a un certo punto deve uccidere questo drago. E quando uccide il drago, trova i tesori. Un tesoro lo trova Sigfrido, subito, nell’invulnerabilità. Uccide il drago e diventa invulnerabile. Il drago di Tolkien è seduto su un tesoro. Se uno riesce a eliminare il passato, trova un tesoro. È difficilissimo d’altra parte…

J.L.: Quali sono gli avversari collettivi e come possiamo riconoscere, combattere e vincere anche loro? 

I.S.: I peggiori di tutti – è una cosa che nessuno conosce – ne parlo tanto, ma vedo che non prende, questo argomento, anche se secondo me è appassionantissimo – è il conscio collettivo. Si parla tanto di inconscio collettivo. In Svizzera c’era Jung, che scopre l’inconscio collettivo. Il conscio collettivo è peggio. Il conscio collettivo è quello che si pensa di solito. È quello che è bene sapere per essere presenti, contemporanei. Non solo sapere ma anche pensare, ragionare, considerare… Questo è il conscio collettivo. Il conscio collettivo è un nemico potentissimo. Il conscio collettivo è fatto di “noi”. Il noi ha una caratteristica come pronome culturale: ha un nemico che non può tollerare, un nemico mortale del noi, mortale nel senso che il noi lo fa sempre fuori, che è l’io. Cioè il noi non tollera l’io. Il conscio collettivo è un noi. E l’io deve fare i conti con questo noi. Di solito resiste un pochino durante l’adolescenza, e poi cede e diventa un noi. L’io diventa come loro. Cioè io non sono più io, ma io divento una parte di un noi, che può essere tradizionalista, contestatario, innovatore, ribelle, però è sempre un noi. È una mentalità plurale, in cui l’io non è sopportabile. Il noi è quello che fa le guerre… Ci sono grandi esempi. L’esempio principale è nei Vangeli di Gesù, che continua a ribadire l’importanza dell’io… I Vangeli sono un romanzo di lotta fra l’io e il voi. Gesù ha sempre qualcuno che chiama “voi”. Voi, voi, voi, voi… Poi è venuto San Paolo che è molto più politico: “Sì, ‘io’ fino a un certo punto, l’io deve formare una bella rete di ‘noi’, che io dirigo…” (ride)

J.L.: … E ha posto le basi della chiesa, come la conosciamo oggi.  

I.S.: “Trasumanar significar per verba non si poria” – dice Igor, citando Dante nel primo canto del Paradiso – “Trasumanare” non si può dire per parole. Ma se uno l’ha provato, capisce quello che sto dicendo. È bello quel passo del Paradiso. Dice: “Io non te lo posso spiegare. Ti dò l’idea. Però se non l’hai provato lasciamo stare, fai finta di niente. Se l’hai provato però, ci capiamo bene. Quello che non ti posso spiegare neanche tu puoi spiegarlo, ma se l’hai provato ci capiamo.” Si comunica sempre nonostante le parole. Prima speravo che si comunicasse attraverso le parole, adesso si comunica nonostante le parole. Si comunica sempre per una forma di telepatia. Durante le conferenze… In tutte le forme d’arte è così. Se uno legge un libro, sono una serie di parole messe su una pagina. Se non c’è un pochino di telepatia, se non c’è un contatto che passa non attraverso le parole, ma nonostante le parole, non c’è dialogo. 

J.L.: “Adeguàti”. Si nasce con questa predisposizione all’adeguamento, o ci si adegua nel tempo? 

I.S.: Nooo… Cinque anni di elementari. Tre anni di medie… Cinque anni di superiori… Sono tredici anni di addestramento. Nessun animale ha un addestramento così lungo. Il gatto dopo un anno sa già tutto quello che c’è da sapere. L’uomo ha bisogno di tredici anni di ammaestramento. Tredici anni, per farlo diventare “adeguato”. Evidentemente c’è una resistenza terribile. Altrimenti le scuole durerebbero due anni, tre anni al massimo…

J.L.: E ribelli, si nasce o si impara a esserlo?

I.S.: Si nasce, come dimostra qualsiasi conversazione con un bambino che abbia meno di tre anni, basata sul “perché”. L’adulto fa resistenza. Una persona ribelle o rivoltosa è una persona che chiede perché. Quelli che non chiedono, si sono adeguati. Un bambino chiede perché. Poi comincia ad adeguarsi quando si accorge che l’adulto non è che non risponde perché non sa, non risponde perché non capisce. Prima grande delusione verso i tre, quattro anni. Poi verso i cinque, sei anni un’altra scoperta triste è che le parole del linguaggio comune non sono sufficienti. Non sono sufficienti a dire tutto quello che si potrebbe dire. Il vocabolario attivo di una certa epoca, specialmente della nostra, è scarso. Quindi per descrivere certe sfumature di sentimento, certe sfumature di percezione, non basta. È una scoperta molto rattristante, molto triste, che vuol dire che non potrò mai esprimermi… A meno che non diventi un artista. Però non tutti sanno che c’è questa scappatoia. Dopo comincia l’addestramento della scuola, e tutto il resto.  

J.L.: Come possiamo imparare a ribellarci al nostro destino?

I.S.: Si tratta di imparare, perché nessuno dei corsi attualmente immaginabili, scolastici, universitari e così via, tratta di questo argomento. Sono tutti corsi che si basano sull’adeguamento a qualcosa. Il destino può essere il destino collettivo, che è quello della maggioranza delle persone, o può essere il destino personale. Ci sono sempre i limiti. Limiti condivisi o limiti non condivisi. Le persone per bene, le persone non disturbate diciamo, tendono ad adeguarsi, all’inizio, per evitare problemi. Poi bisogna per forza reimparare, da adulti, quello che si sapeva già da bambini. Che si può chiedere perché. E i perché più utili sono quelli che non hanno risposta. Il grosso problema sono le domande che hanno già risposta… A scuola ti fanno domande che hanno la risposta pronta, e lo stesso quando sei tu a fare domande. Questo, dal punto di vista intellettuale, è una sciagura… Uno vince, fa punti, quando trova domande che non hanno risposta. Per ora. E ci vuole qualche settimana, qualche mese… E durante qualche settimana, qualche mese uno cresce tantissimo, grazie al fatto che ha trovato la domanda che finalmente non ha risposta. I cosiddetti “ribelli” al proprio destino e al destino collettivo, sono quelli che trovano le domande migliori. Naturalmente hanno una trappola, che è una qualche ideologia già pronta, che strumentalizza i ribelli. Cioè, c’è gente che fa domande domande domande, e c’è chi dice: “Ti dò io le risposte… Ma tu devi votare me. Devi seguire me, comperare i miei libri e i miei gadget.”

J.L. Come possiamo imparare a fidarci di ciò che ci può succedere?

I.S.:  Difficilissimo. Fidarci di quello che i latini chiamavano “successus”, quello che gli Inglesi chiamano “happiness”: essere in buoni rapporti col verbo “happen”, il verbo succedere. Difficilissimo. Tutti gli animali lo sanno fare. Gli animali, avendo una memoria molto spaziosa e non facilmente offendibile, si fidano di quello che può succedere. Devono cacciare, non hanno il supermercato… L’uomo, l’umanità, specialmente oggi, teme tantissimo quello che può succedere. Solo che è bene sapere che la parola “fortuna” viene dal vocabolo “forse”, che è lasciare un’incertezza sul futuro. Se uno non lascia e non ama questa incertezza, di fortuna non ne ha. E poi naturalmente se non si fida di quello che può succedere gliene capitano di tutti i colori. Perché deve dimostrare a se stesso che ha ragione a non fidarsi. E allora mi fido, ed ecco che mi dimentico le chiavi della macchina da qualche parte. Mi sono fidato, ed ecco che mi fidanzo con quella là. Ma porca miseria, se non mi fossi fidato… E sono tutte strategie di auto delusione per dimostrarci che è vero il modo di dire che chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che perde, non sa quello che trova. 

J.L.: Come facciamo a capire se siamo autenticamente liberi?

I.S.: Se sorridiamo. Naturalmente, non per cortesia. C’è una contrazione dei muscoli involontari dei muscoli delle guance, che porta al sorriso. Quello lì è un riflesso fisiologico, un sintomo di libertà. 

J.L.: Successo e essere felici vanno di pari passo o può anche essere che la felicità non sia, necessariamente, inclusa nel pacchetto “successo”?

I.S.: Ma… Dipende, perché in Italiano essere felici è una forma di contentezza. La felicità non è contentezza. Filologicamente non c’entra niente. Contento è uno che decide di farsi contenere, nella sua situazione. E tanti si rassegnano a essere contenti e pensano di essere felici. Invece felice sarebbe una persona che non si rassegna, che non si lascia contenere, che vuole sempre molto, molto di più ed è entusiasta di volere questo molto di più. 

J.L.:  Qual è il ruolo della mente, in questo viaggio eroico di uscita dalla morsa del Destino?

I.S.: Consigliera. 

J.L.: Qual è il ruolo giocato dalla fede?

I.S.: Grande freno. 

J.L.: Ok. Mettiamola su questo piano. A me piace molto e mi ispira distinguere sempre la spiritualità dalla religiosità. La spiritualità, perlomeno nella mia sensazione, è qualcosa che puoi sperimentare se non ti sei adeguato. La religiosità, invece, è qualcosa alla quale ti attieni magari per non sentirti in colpa o per mille altri motivi, quando ti adegui. Quindi, parlando di fede spirituale e non religiosa, dici lo stesso che è un grande freno?

I.S.: Sì. La differenza tra spiritualità e religiosità è una differenza di concretezza. La religione è chiara. La parola è chiara. Il verbo “religare” vuol dire “legare” la vite al sostegno. Che cresca lì e non cresca altrove. Chiaro. Spiritualità è molto vago. Spiritualità è vaghissimo, come termine. Perché si basa sulla parola spirito e nessuno che io conosca conosce il significato della parola spirito, nessuno per esempio sa definire la differenza tra spirito e anima. Dire “spiritualità” è come dire “nuvolette”. Il termine è volutamente modesto per motivi editoriali. Perché dire “spiritualità” è più evocativo. In realtà quello che sarebbe spiritualità, sarebbe filosofia. Solo che se uno dice filosofia come genere letterario, i lettori si scoraggiano. E allora si chiama “spiritualità”. Spiritualità è un po’ più disimpegnato di religione, bisogna vedere che cosa intendono le persone per spiritualità. Spiritualità vuol dire, penso, interesse per realtà che una persona può sperimentare da sola, per conto suo, senza maestri o con maestri temporanei. Allora questo va bene. Naturalmente la fede diventa un’ancora, l’ancora è utile quando si vuole stare in porto. Quando uno vuole stare in porto la fede è utilissima. Quando una persona si stufa di stare in porto, allora la fede diventa un intralcio. 

J.L.: Quali sono, secondo te, i valori più importanti con i quali equipaggiarci per uscire dalla morsa del destino… Se credi che possano esserci d’aiuto… 

I.S.: Ce n’è uno solo. La scoperta.

J.L.: E il ruolo del coraggio e della paura, nel risvegliarsi e rendersi conto che qualcosa andrebbe cambiato? 

I.S.: Coraggio è una parola molto sopravvalutata. È un epifenomeno. La paura scatta quando uno si trattiene. Basta non trattenersi e non c’è neanche bisogno di coraggio. 

J.L.: Come possiamo trovare la forza – uso questo termine per evitare la parola “coraggio”, che mi hai appena smontato – di mollare tutto? Su cosa si può fare leva se si vuole offrire a un essere umano l’opportunità di conquistare questa autentica libertà di cui si è parlato all’inizio? 

I.S.: Una volta avevo un amico molto caro, che era un pittore, anziano. È molto interessante parlare coi pittori mentre dipingono. Sono intelligentissimi in quel momento. Così come sono ispirati nel pennello, sono ispirati nelle parole. E gli chiedo: “Ennio – si chiama Ennio Toniolo – perché non ho il coraggio di guardare le nuvole? A me piacciono tantissimo le nuvole, però se le guardo dopo qualche secondo abbasso lo sguardo. Come mai..?” “Perché non sei abbastanza. Nuvole sono, tu non sei abbastanza…Ovvio.” Mi dice. “E come si fa a essere?” Lui mi dice, dipingendo: “Non si fa. Si è.” (Ride). 

J.L.: E questo essere è in continuo divenire…”

I.S.: Sì, essere vuol dire sentire che ti manca qualcosa. Quando una persona “è”, qualsiasi cosa sia, non c’è dubbio che appena accetta l’idea di essere qualcosa, si accorge che è troppo poco. E quindi comincia a divenire. 

J.L.: Come sei riuscito tu, a ribellarti al tuo destino? Sei nato in un contesto che ti ha permesso più libertà in questo senso? 

I.S.: Un po’ sicuramente il contesto. Perché metà famiglia russa, metà famiglia italiana… Avere due patrie vuol dire non averne nessuna, per essere fatalmente diversi. E poi la noia. La grande amica. Appena arriva la noia, è un regalo. Se una persona è sensibile alla noia, è salva. 

 




I Patrioti

Gentile e Croce vs Schlein e Conte

Nel parlamento europeo si è formato un nuovo gruppo denominato “patrioti”.

Interessante notare l’immediato attacco da parte dei media italiani, una vera e propria azione di “Killeraggio” quella che alcune testate hanno intrapreso nei confronti di questa nuova e numericamente rilevante compagine politica.

“Camerati” sono stati definiti i suoi membri.

Questo atteggiamento mediatico porta chi scrive ad attuare una semplice azione di sillogismo.

Il ragionamento deduttivo della logica aristotelica è, di questo sono certo, un utile impegno della mente, peccato che sia sempre più sconosciuto sia ai cosiddetti intellettuali che a molti, quasi tutti, i leaders politici italiani.

La premessa è che i parlamentari appartenenti a questo gruppo sono stati eletti attraverso libere elezioni nelle loro nazioni. Certamente questo vale per i leghisti, partito che ha aderito ai Patrioti nel parlamento europeo.

L’affermazione maggiore, o “a contrasto”, di chi è ostile alle idee proposte da detto gruppo può essere ridotta a sintesi in queste parole: “sono camerati”.

Affermazione ad effetto e, almeno per chi scrive, calunniosa.

Solo per rispetto del lettore affermo di aver votato il generale, ora onorevole, Vannacci e di essere graniticamente antifascista.

Anzi di sentirmi fortemente calunniato se accostato al concetto di “camerata”.

Essere cristiano liberale, per i palati più fini direi Crociano, è assai vicino a molte delle posizioni dei Patrioti nel parlamento europeo ed assai lontano dai fascisti, neo o ante litteram che siano.

In fondo sono proprio dei membri della gioventù vicina al partito della Premier ad essere stati notati per atteggiamenti richiamanti il famoso ventennio è la Meloni parrebbe voler appoggiare la candidatura tanto amata dai ben pensanti della Von der Leyen. Fatto che rende la Premier poco attaccabile da molti.

Tornando, però, al sillogismo presente in questo mio ragionamento, la conclusione che ne deriva necessariamente è che gli elettori che hanno votato per i partiti che hanno aderito a questo gruppo, in Italia la Lega, sono dei “camerati”, cioè dei fascisti.

Fatto che nelle righe precedenti ho escluso per buona parte di coloro che si sentono rappresentati da chi propone quelle idee. Idee Crociane per l’appunto.

Furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile, infatti, i principali filosofi dell’idealismo italiano.

Impossibile non notare, almeno per chi ha la passione per Giovan Battista Vico e la sua teoria sui corsi e ricorsi storici, le similitudini fra il periodo in cui i due filosofi formarono il loro pensiero contrapposto al positivismo e quanto vediamo accadere oggi nel nostro occidente.

L’idealismo, infatti, si formò come reazione al positivismo agli inizi del ventesimo secolo esattamente per merito di Giovanni Gentile e Benedetto Croce.

Confronto che i due scienziati del sapere affrontavano anche pubblicamente attraverso i loro scritti sulla rivista La Critica.

Entrambi ritenevano che le teorie dominanti, al tempo il positivismo, fossero pericolose e deteriori.

Oggi per molti le ideologie gender e green causano la stessa reazione.

Proprio quel costruttivo confronto permise il formarsi di una teoria contrapposta a quella allora dominante.

Pensiero che, da follower direbbe gli esperti di marketing di oggi, divenne maggioritario e che i ben pensanti del tempo cercarono di reprimere.

Di nuovo chiare le analogie con l’oggi.

Il pensiero idealista di Gentile e Croce trovava origine nelle teorie filosofiche di Hegel, sarebbe stato saggio al tempo confrontarsi con le stesse e non cercare di minimizzarle, reprimerle.

Detto percorso intellettuale voleva contrapporsi al marxismo ed al materialismo, ne aveva lo spessore, la qualità intellettuale.

Ridurlo a “barzelletta da reprimere” ha permesso ai più esaltati di prendere il sopravvento sui più moderati, lo conseguenze le abbiamo subite tutti.

Croce e Gentile, proprio per questo elemento denigratorio, presero strade diverse.

Il primo fu mentore del pensiero liberale e conservatore, il secondo divenne parte del partito fascista pur se più orientato ad una idea di liberismo quasi mazziniano.

Ne scrivo oggi perché il tanto parlare a vanvera, si usa definirli slogan, oltre ad essere spesso calunnioso è, anche, assai privo di spessore . Inoltre assai pericoloso per la tenuta democratica di molti Stati occidentali.

Le parole vengono usate come “clave” da chi detiene il cosiddetto potere.

Essi ritengono le stesse strumento di denigrazione e di annichilamento di colui che è portatore di un pensiero opposto.

In fondo hanno solo paura di perdere i benefici del potere.

Tutto questo, ovviamente, facilitato da un sistema mediatico oramai più propenso a fare propaganda per la propria parte che a mantenere un ruolo “terzo” utile al confronto fra idee opposte e, così facendo, porsi come garante del libero scambio di opinioni. Elemento questo cardine della tenuta democratica.

Facile, infatti, dare del “camerata” o del “cospirazionista” in assenza di contraddittorio. Facile ma assai pericoloso nel medio periodo.

Oggi i vari esponenti della sinistra italiana ed europea ritengono, esattamente come al tempo, che l’arte del denigrare garantirà loro il mantenimento del potere.

Io, cultore del confronto democratico, vivo questo loro espediente come la ripetizione di un errore storico.

Ignoto Uno




Tre proposte da appoggiare

In scadenza i termini per la raccolta firme di tre importanti proposte di legge di iniziativa popolare.

I media ed i partiti dell’arco parlamentare tacciono.

Nel più stridulo e rumoroso silenzio dei Media e di tutti i partiti dell’arco parlamentare stanno per scadere i termini per la raccolta firme di tre importantissime proposte di legge popolare.

  • Diritto alla libertà di pagare in contanti
  • Stop all’indottrinamento Gender nelle scuole
  • Diritto all’autoproduzione del cibo Proposte di legge annunciate in Gazzetta Ufficiale 23AO6500 G.U. Serie Generale 274 del 23/11/2023 le cui firme possono essere raccolte da tutti i cittadini aventi diritto al voto, dal 15 Gennaio 2024 fino al 15 Luglio 2024 presso tutti gli uffici elettorali dei propri municipi e comuni.

Scarsa ed insignificante l’informazione che i media hanno svolto per queste proposte di legge, complici anche tutti i partiti dell’arco parlamentare, che ben si son guardati dal promuoverli, nonostante il grande interesse che questi temi hanno trovato nella maggioranza cittadini.

Proposte di legge che rafforzano fortemente la volontà popolare, rilevabile anche in maniera determinata, dalle espressioni di voto risultate dalle ultime tornate elettorali.

Ricordiamo che nelle politiche dello scorso anno si è assistito ad un forte cambio di passo che i cittadini hanno voluto dare attraverso il voto, bocciando tutti quei partiti che hanno promosso o imposto le politiche green, che arriverebbero addirittura ad imporre il veto alla autoproduzione di cibo, alle politiche economiche finanziarie, con l’assurda restrizione all’uso dei contanti ed alle politiche sociali con l’indottrinamento gender nelle scuole, in nome di innaturali introduzioni di genere oltre al naturale maschio e femmina.

Voto che nonostante il sensibile cambio di passo che i cittadini hanno voluto dare con il voto, non ha sortito i risultati sperati, avendo il governo eletto, continuato proprio quelle politiche che i cittadini votanti avevano bocciato.

Democrazia rappresentativa dei cittadini o di lobby di potere?

Sembra essere questo il quesito che tanti si pongono.

Non a caso alcuni movimenti di cittadini, in tutto il territorio nazionale, hanno sentito l’esigenza di proporre queste proposte di legge fuori dalle sigle dei partiti, e seguendo le regole che lo stato impone per la presentazione di leggi di iniziativa popolare.

Un sistema che identifica la volontà di partecipazione ad un cambiamento che non trova riscontro nella politica, tanto da far nascere il successo di quel libro scritto, in maniera semplice, rappresentando il pensiero di quella grandissima maggioranza di Italiani, stanca di leggi assai discutibili, innaturali, complicate, burocratiche e fortemente restrittive, e troppo spesso non fruibili, che forse servono solo a far cassa, complicando la vita dei cittadini oramai assai indispettiti.

Libro che ha raggiunto in Italia record di vendite talmente elevate che forse a suscitato un certo fastidio a blasonati scrittori, giornalisti e conduttori, che giammai hanno provato l’ebbrezza di simili numeri.

Libro, assai chiacchierato, sembrerebbe in maniera particolare da chi non lo ha letto, più per principio ideologico o di politicamente corretto, che da tutti i cittadini che lo hanno acquistato.

Libro che ha dato un così grande successo al suo autore, da essere stato brillantemente eletto alle recentissime elezioni Europee.

Ritornando al tema del titolo, non entriamo nel merito delle tre proposte di legge, dal momento che sarebbe impossibile in un semplice articolo descriverne contenuti effetti ed altro.

Siamo certi che se ci fosse stata una opportuna informazione seguiti da democratici dibattiti, con pro e contro, i cittadini si sarebbero potuto farsi un’idea.

Oggi, è più difficile, dati i tempi, ma l’opportunità di promuovere leggi di iniziativa popolare, che poi possano essere discusse in parlamento ed eventualmente modificate prima della sua definitiva approvazione, sarebbe un bel salto di democrazia e civiltà.

Per cui recarsi nei propri rispettivi comuni o municipi, che non possono rifiutarsi o disconoscere, e chiedere di apporre le firma per le proposte di legge sopra citate, significa esercitare uno dei diritti democratici.

Riflettere tuttavia che in Italia le informazioni prendano strane strade, lo si evince anche dalla imminente scadenza al 30 giugno 2024 per chi vuole opporsi al trasferimento all’interno del fascicolo dei suoi dati sanitari raccolti tra il 2012 ed il 19 maggio 2020. Ricordiamo che per farlo, si deve seguire la procedura sul sito “www.sistemats.it”.

Una procedura assai complessa, anche se descritta come semplice, e che a detta di molti richiede tempo e non sempre va a buon fine, costringendo l’esecutore a ricominciare o a lasciar perdere.

Sarà questo il motivo per cui al 25 giugno coloro che si sono opposti erano 90.640 (dei quali 6.371 minorenni), lo 0,15% degli italiani?

O forse non tutti sono a conoscenza che bisogna opporsi e che la scadenza è il 30 giugno?

Chiedersi come mai bisogna opporsi ad un inserimento all’interno di un fascicolo che contiene dati sanitari, piuttosto che richiedere l’inserimento, come forse sarebbe ovvio, anche per far esprimere una volontà democratica di scelta, lascia aperte tante ipotesi, tutte percorribili, che esulano da quella che viene proposta come una “opportunità”, specialmente alla luce dei trascorsi evidenziati da quel discutibile periodo che vide la nascita del “greenpass”.

Si tratterà forse di un Green pass occulto?

Ettore Lembo




Caso Ustica, uno fra tanti

 

Sui cieli sopra il tratto di mare fra Ponza ed Ustica il 27 giugno 1980 alle 20.59 viaggiava il volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia.

Era partito da Bologna, avrebbe dovuto atterrare a Palermo.

Decollò con due ore di ritardo, ore fatali per le 81 persone che si trovavano a bordo di quel DC9.

Sono passati 44 anni ed ancora la nostra Patria è alla ricerca della “verità” su cosa sia veramente successo a quel “maledetto volo”.

Anni di cordoglio, depistaggi e tante, ma veramente tante, parole vuote.

La verità su quanto è accaduto nei momenti precedenti la strage non è mai stata fatta emergere da chi, certamente esiste, in Italia ed all’estero, avrebbe potuto documentarla alle autorità competenti.

Anche da questo si comprende che quella “verità”, qualsiasi essa sia, almeno fino ad oggi, non è possibile farla emergere.

“Qualcosa” o “qualcuno” lo impedisce.

Tanti i “segreti” nella nostra Italia, il “caso Ustica” non è altro che uno di questi.

Segreti in alcuni casi oramai “datati”, potrebbero essere definiti “inerti”, ed in altri assai più “recenti”, vivi nelle dinamiche politiche interne e nei rapporti fra la nostra Patria e gli altri Stati.

Molti i servitori dello Stato che, per “interessi di Stato” o per “interessi privati”, si impegnano per impedire che queste “verità” emergano.

La Repubblica, in alcuni casi, si tutela anche con la “negligenza” e “smemoratezza” di alcuni suoi servitori, in altri casi detta “negligenza” e “smemoratezza” non è a tutela della Patria ma di “alcuni” nella Patria ed è causa di rischi per il popolo italiano.

Certamente queste “smemoratezze”, tutte, causano ferite che rimangono aperte, non solo nelle famiglie che le hanno subite, molto più profondamente nella tenuta sociale della nazione.

Quasi sempre le stesse sono vere e proprie “bombe di profondità” che rischiano di “esplodere” soprattutto se il quadro in cui si sono formate dovesse subire radicali cambiamenti.

Gestire il giusto equilibrio fra la necessità di “giustizia” e la altrettanta forte necessità di “stabilità” del sistema democratico è un lavoro da “esperti”.

Esperti che devono basare i loro comportamenti seguendo gli insegnamenti che Kant ha dato sull’equilibrio fra etica ed estetica nei suoi mai troppo compulsati testi.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto commemorare l’ennesimo anniversario di una “strage senza risposta”, piuttosto che di uno dei tanti “misteri senza risposte” passati dentro la storia della nostra nazione, con queste parole “La Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne”.

Parole usate in memoria della strage di Ustica, ma adatte per tanti altri momenti non chiari della nostra Italia.

Una Patria ove gli “irrisolti” sono molto più frequenti dei “pienamente risolti”.

Il 27 giugno è stato l’anniversario del “caso Ustica”, ma rappresenta anche una data simbolo, fra tante nella nostra Italia, della incapacità della nostra Patria – quantomeno se essa si rappresenta attraverso il suo sistema istituzionale, burocratico ed intellettuale – di rispettare se stessa.

Il giorno in cui il sistema socio politico italiano saprà fare il necessario cambio di passo la nostra Patria potrà aprirsi a nuovi e più ampi orizzonti.

Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi dando dignità istituzionale vera e profonda alle nostre azioni.

Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi dando concretezza alle parole, quelle sempre tante, della nostra classe politica ed intellettuale attraverso comportamenti adeguatamente coerenti alle stesse parole usate.

Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi e, conseguentemente, potremo iniziare a guardare gli altri da pari.

Essere dei “pari”, non far finta di pensare di esserlo o, addirittura, senza l’adeguato standing istituzionale, voler imporre agli altri popoli, Stati, di riconoscerci un ruolo che essi non reputano noi aver diritto di avere.

Fino a quando non sapremo rispettare noi stessi attraverso una reale e forte coerenza fra il dichiarato e l’azione non saremo dei “pari” ma, esclusivamente, dei “parvenue” quando non, addirittura, dei “sudditi”.

Troppo frequentemente noi italiani abbiamo dovuto prendere atto che gli altri Stati, europei in primis, ci “guardano” come dei “parvenue”, appunto.

In queste ore, chi scrive lo teme, a questo sgradevole ruolo parrebbe che la UE27 ci abbia relegato.

In queste ore, allo stesso tempo, come non ricordare quel “triste” bacio sulla fronte che la Premier Meloni ha accettato recentemente di subire dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

In queste ore, allo stesso tempo, come non ricordare quel nefando intervento fuori misura di chi l’Italia deve rappresentare e proteggere al G20 in India nei confronti del “autarca” Putin. Certamente “autarca” ma, comunque, Presidente di una della tre super potenze al mondo. Intervento pariteticamente fuori tono di quello di Biden allorquando definì il leader della Federazione Russa un “macellaio” senza, però, essere il Presidente di un’altra delle, sempre tre, super potenze al mondo.

Tante le parole dei media, parole che sembrano sempre più propaganda e non cronaca, per rappresentare agli italiani la “grandezza italica”, i fatti, però, raccontano altro.

Raccontano di una nazione che si auto incensa ma sta implodendo.

È stato il 27 di giugno ed abbiamo commemorato con ripetuto dolore e cordoglio le vittime di quel “irrisolto caso”, uno fra tanti.

Niente di più nell’Italia di oggi.

 

Ignoto Uno




Make Europe Great Again

 

Alla festa per i cinquanta anni del quotidiano Il Giornale, l’ex Sottosegretario di Stato statunitense del 2020, Mike Pompeo ha affermato che “Alle prossime elezioni vincerà Trump. L’attuale presidente ha messo in pericolo l’America, quindi tra Biden e Trump vincerebbe Trump”.

Un Pompeo, a dire il vero, che i frequentatori assidui della Florida dicono non in grandi rapporti con Trump che parrebbe ritenerlo assai bene informato su quello che l’inquilino di Mar a Lago chiama “the fraud”, cioè i brogli elettorali che lo stesso non si dimentica mai di menzionare e che incolpa della sconfitta nel 2020.

Mentre a Milano si parla delle elezioni presidenziali americane in questi termini, a Roma la Premier italiana riceve il Premier ungherese.

Incontro realmente importante questo visto che la Presidenza di turno del Consiglio Europeo sarà assunta dal 1° luglio proprio da Viktor Orban.

Un leader che ha scelto uno slogan assai simbolico come linea guida del “suo” semestre.

“Make Europe Great Again” (MEGA), questo lo slogan.

Slogan che allinea l’azione politica del Consiglio Europeo a quel “MAGA” simbolo da sempre della politica di Donald Trump.

Orban è Primo ministro in Ungheria sin dal 2010, lo era già stato dal 1998 al 2002, avvocato, sposato con cinque figli, tiene molto alla sua appartenenza alla chiesa calvinista ed a rimarcare come sua moglie e quattro dei suoi figli siano cattolici.

Il quinto è pentacostale.

Da molti in Europa marchiato come “autocrate” almeno in famiglia sembra evidente che non imponga la sua “dittatura”.

A dire il vero il partito del premier ungherese alle ultime elezioni europee ha perso otto punti percentuali e due seggi rispetto a quelle del 2019, fatto che non sembrerebbe tipico delle “dittature”.

In Europa Orban viene definito con un’altra delle parole denigratorie dei “più buoni”, quel “populista” che marchia a fuoco tutti coloro che non si allineano al pensiero dominante a cui si abbina quel “filo putiniano” che, sempre i “più buoni” usano per denigrare chi, molto più semplicemente, ha l’ardire di credere che vi siano altre soluzioni a quella di tirare missili ed uccidere esseri umani per risolvere il conflitto ucraino, in sintesi evitare di dare del “macellaio” al presidente nemico e convocare un tavolo di tregua che non abbia le caratteristiche del “comitato appalti”.

In fondo, comunque, tutti i leaders mondiali che non si sono adeguati al “pensiero unico” che si origina nell’attuale amministrazione statunitense vengono immediatamente marchiati come “filo Putiniani”.

Passaggio, questo, per i “più buoni” intermedio per arrivare ad annoverarlo nel gotha dell’estrema infamia, quello di essere definito “Trumpiano”.

Da “Trumpiano” a “cospirazionista” il passo, poi, sarà ancora più breve.

Viktor Orban, però, pur se marchiato a fuoco dal sistema dei “più buoni”, non si cura della campagna di stampa occidentale che lo vuole ricoprire di fango e continua a perseguire il suo modo di pensare.

L’OCSE ci aiuta a comprendere le cause di questa sua “sicurezza”.

L’Istituto Economico Europeo indica, infatti, una crescita del PIL ungherese nel 2024 del 2,6%.

L’Italia, sempre secondo l’OCSE, si attesterà a 0,7%.

Il dato più rilevante, però, è quello del rapporto fra PIL e debito pubblico che in Ungheria è del 70,9%, nella nostra amata Patria è al 137,3% tanto è vero che pochi giorni fa l’Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione per l’Italia per deficit eccessivo.

Molti i leaders politici europei che, magari senza volerlo far sapere, cercano una diretta interlocuzione con colui che, parrebbe sempre più probabile, sarà il prossimo presidente della Casa Bianca.

Viktor Orban il 10 marzo scorso fu ricevuto a Mar a Lago con tutti gli onori e definito da Trump come “un grande leader”.

Immediato fu il controcanto di Joe Biden che definì il leader ungherese come “Un aspirante dittatore”, affermazione che proviene da uno che in Stati Uniti viene ritenuto da almeno un 30% degli aventi diritto al voto come qualcuno che siede alla Casa Bianca a causa di brogli elettorali.

Giudizi, in ogni caso, che misurano la distanza delle linee politiche non solo tra i due sfidanti per la Casa Bianca ma anche fra gli attuali leaders che in Europa si allineano alla politica interventista in Ucraina e chi, al contrario, oserei dire con maggiore pragmatismo, reputa che salvaguardare il popolo ucraino non possa che passare che da un tavolo di trattativa alla presenza di Stati Uniti e Federazione Russa, fatto che sarebbe stato assai più democraticamente corretto se in costanza di un Presidente ucraino nel pieno del suo mandato istituzionale e non in prorogatio.

Tavolo di pace che, questo dovrebbe essere l’auspicio, sia attento agli interessi dei cittadini ucraini molto più che a quelli delle grandi aziende occidentali famelicamente lanciate nella “ricostruzione della terra Ucraina”.

Ad oggi, la precisione in queste cose è tutto, sono solo due i leaders europei che dal 2020 hanno avuto reali, non millantati, incontri diretti con Donald Trump.

Uno è, appunto, Orban, l’altro è il Presidente della Repubblica polacco Andrzej Duda che ha incontrato il Presidente Trump a New York il 18 aprile scorso.

Fatto rilevante nel semestre a guida Orban dato che il 5 novembre prossimo potrebbe divenire assai utile essere ritenuti affidabili dal “cattivone”.

Interlocutori affidabili, non “zerbini” del potere, sempre pro tempore in una democrazia, presente alla Casa Bianca.

In Italia recentemente si è potuto leggere sul social network X un interessante ed assai significativo scambio positivo di messaggi fra il leader leghista Matteo Salvini e l’inquilino di Mar a Lago.

In fondo Salvini, ancor più adesso che è affiancato dal ex Generale Vannacci, oggi parlamentare europeo, fu già un forte sostenitore nel 2020 di Trump, come non ricordare la mascherina anti COVID che il Segretario leghista indossava anche in Parlamento?

A questo scambio sul social network va abbinato anche un ulteriore testo postato sempre da Mar a Lago indirizzato all’ex generale oggi parlamentare leghista ove si può leggere fra le righe un primo indiretto invito a Salvini ad un incontro con Trump.

La Presidenza Orban del Consiglio Europeo, come ho già scritto, si apre con uno slogan forte e chiaro, quel MEGA (make Europe great again) che definisce un posizionamento in discontinuità con la cultura politica della “sostenibilità” a discapito del “benessere” di noi cittadini di questa Europa.

Donald Trump lo ha certamente notato, forte ed evidente il simbolismo che richiama lo slogan elettorale MAGA dal Presidente statunitense usato da sempre.

Per molti politici europei, ed altrettanti opinionisti, forte il mal di pancia nel notare il messaggio assai chiaro lanciato dal leader ungherese.

Per moltissimi semplici cittadini europei, al contrario, quel MEGA è il ritorno alla speranza che i propri figli possano vivere nella loro Patria senza dover emigrare tornando a quella felicità che conobbero i loro genitori nel periodo del boom economico.

Orban, al contrario di altri leaders in questa Europa, non si crede il primo della classe ma, questo è inconfutabile, dice quello che fa e fa quello che dice.

Fatto assai raro fra i politici presenti in Europa oggi ma che nel prossimo futuro potrebbe dimostrarsi un comportamento assai vincente.

Ignoto Uno




Attori e mimi nell’antica Roma

E’ iniziata a Roma il 21 maggio 2024 presso il museo dell’Ara Pacis l’attesa mostra TEATRO. Autori e pubblico nell’antica Roma.

La mostra offre un percorso espositivo sugli spettacoli teatrali nell’antica Roma.

Ci sono pezzi unici e rari, come la maschera più antica, oppure il grande cratere di Promono, raffigurante attori mentre studiano le posture, il primo reperto teatrale esistente arrivato ai nostri giorni.

Ci sarà tempo fino al 3 novembre per ammirare le oltre 240 opere provenienti da 25 diversi prestatori da tutto il mondo.

Il museo dell’Ara Pacis racconta gli spettacoli teatrali dell’antica Roma

Dal 21 maggio al 3 novembre 2024 il Museo dellAra Pacis di Roma ospita la mostra “TEATRO. Autori e pubblico nell’antica Roma”.

L’esposizione illustra in maniera esaustiva e minuziosa la nascita e l’evoluzione del teatro con particolare attenzione agli spettacoli nellantica Roma.

Il racconto della mostra inizia dalle radici greche, siciliane, magno-greche, etrusche e italiche del teatro romano.

Si esplorano l’origine religiosa ed il passaggio dai primi palcoscenici in legno a quelli in muratura, attraverso ben 240 opere provenienti da tutto il mondo.

Si prosegue fino a giungere allo splendore dei grandi teatri romani che potevano ospitare decine di migliaia di spettatori.

Essi diventano, insieme a fori e templi, elementi distintivi della forma urbis dell’impero romano.

È curioso come la parola greca théatronin origine designi l’insieme del pubblico di spettatori piuttosto che lo spazio scenico.

I reperti rari esposti in mostra

Il percorso espositivo è ricco di pezzi unici e rari.

Primo fra tutti una preziosissima maschera, proveniente dal Museo Paolo Orsi di Siracusa.

Si tratta di una delle più antiche maschere teatrali a noi pervenute.

L’uso teatrale è avvalorato dalla presenza di un foro dietro il padiglione auricolare, che doveva servire ad agganciare la parrucca.

Maschera teatrale
Terracotta. Ricomposta da frammenti.
Inizi del V sec. a.C.
Da Megara Hyblaea, nel riempimento di un pozzo
Siracusa, Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, inv. 84822

Esposto anche il famoso “vaso di Pronomo” dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, del V-IV secolo A.c., probabilmente il più importante reperto teatrale esistente arrivato ai nostri giorni.

Il grande cratere a volute raffigura un’evocazione del mondo teatrale caratterizzata da un forte realismo.

Prende il nome dal flautista Pronomo, seduto al centro della composizione.

Nella scena sono raffigurati attori mentre studiano atteggiamenti teatrali e posture, in una chiara evocazione del mondo dionisiaco.

Cratere a volute attico (c.d. Vaso di Pronomos) Ceramica a figure rosse 400 a.C. circa (Pittore di Pronomos) Da Ruvo di Puglia Attic volute krater (so-called Pronomos Vase) Ceramic with red figures 400 BCE circa (Pronomos painter) From Ruvo di Puglia Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 81673
Cratere a volute attico (c.d. Vaso di Pronomo)
Ceramica a figure rosse
400 a.C. circa (Pittore di Pronomo)
Da Ruvo di Puglia
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 81673

L’ambiente teatrale dell’antica Roma

La ricostruzione della mostra permette di esplorare l’ambiente teatrale dell’antica Roma, anche attraverso interventi multimediali.

Il visitatore pscoprire l’origine antichissima di molti personaggi del teatro moderno, come il vecchio misantropo, il giovane seduttore, il servo scaltro e i giovani amanti ostacolati dalle differenze sociali.

Ed altresì è possibile ammirare le statuine di attori, danzatori, mimi, acrobati e giocolieri del mondo magnogreco.

Danzatrici in terracotta
Acrobata femminile
Terracotta realizzata a matrice
Cast terracotta
Fine IV sec, a.C.
Da Taranto, contrada Tesoro, proprietà Lo lucco,
tomba 5
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4090
2.
Acrobata femminile
Terracotta realizzata a matrice; tracce di colore
Fine IV sec. a.C.
Da Taranto
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4059

Le maschere teatrali di Tarquinia

La mostra include anche una serie di miniature teatrali, molte delle quali mai esposte prima, provenienti da contesti tarquiniesi.

4. Maschera comica di schiavo Comic mask of slave Collezione Bruschi, inv. CB 1359. Museo nazionale archeologico di Tarquinia
4. Maschera comica di schiavo
Collezione Bruschi, inv. CB 1359. Museo nazionale archeologico di Tarquinia.

Per tutta l’epoca ellenistica, tra il IV e il Il secolo a.C., in area tarquiniese sono state infatti rinvenute maschere in terracotta di piccolo formato provenienti da diversi contesti funerari e votivi.

Questi volti testimoniano, con le loro caratterizzazioni, quanto il culto dionisiaco e la tradizione del grande teatro greco fossero penetrati a fondo in Etruria e quanto l’ambito tarquiniese sia stato importante come tramite per la successiva produzione romana.

laschere raffiguranti personaggi a carattere dionisiaco e teatrale erracotta dipinta o con tracce di policromia /- III secolo a. C. a Tarquinia Vasks depicting dyonisian and theatrical characters Painted terracotta or with polychrome traces 4th - 3d century BCE From Tarquinia Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia 1. Maschera di Pan Mask of Pan Collezione Bruschi, inv. CB 1356b 2. Maschera di Pan Mask of Pan Collezione Bruschi, inv. CB 1356a 3. Maschera di Dioniso Mask of Dionysus Collezione Bruschi, inv. CB 1356c 4. Maschera comica di schiavo Comic mask of slave Collezione Bruschi, inv. CB 1359 5. Maschera comica di anziana Comic mask of elderly woman Collezione Bruschi, inv. CB 1361a 6. Maschera comica maschile Comic mask of male character Collezione Bruschi, inv. CB 1361b 7. Maschera comica di anziana Comic mask of elderly woman Collezione Bruschi, inv. CB 1361c 8. Maschera di sileno Mask of silenus Collezione Bruschi, inv. CB 1364 9. Maschera di sileno Mask of silenus Collezione Bruschi, inv. CB 1364b 10. Maschera di satiro Mask of satyr Collezione Bruschi, inv. CB 1365a
9. Maschera di sileno
Collezione Bruschi, inv. CB 1364
Maschere raffiguranti personaggi a carattere dionisiaco e teatrale
Terracotta dipinta o con tracce di policromia
II- III secolo a. C. a Tarquinia
Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia

Le origini del teatro nell’antica Grecia: Tragedia e Commedia

Il teatro occidentale affonda le sue radici nella drammaturgia e nella commedia sorte in Grecia a partire dal VI secolo a.C.

Dalla tragedia e dalla commedia greche nonchè da apporti italici deriva il teatro romano, che si presenta, fin dai suoi esordi, come unoperazione di adattamento di quello greco al nuovo contesto sociale.

La mostra racconta come la tradizione greco-romana del teatro si è evoluta e trasformata nel corso di quasi un millennio.

Purtroppo sono pochi i testi che sono stati tramandati fino a noi: per la commedia Plauto e Terenzio, per la tragedia soltanto Seneca.

Le origini religiose del teatro. Le celebrazioni in onore di Dioniso

La tradizione greco-romana del teatro ha origini religiose.

È molto probabile che dalle feste celebrate in onore di Dioniso, una delle grandi divinità dell’Olimpo greco, figlio di Zeus e di Semele, nacquero sia la Tragedia sia la Commedia.

Dioniso, Bacco per i romani, è il dio greco della vite, del vino, del delirio mistico.

Esposto in mostra una coppa di produzione attica dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

La coppa mostra una delle rarissime rappresentazioni di una processione in onore di Dioniso, dio del teatro (falloforia).

Il teatro dell’antica Roma

Il teatro, derivato dalla tradizione greca, ma permeato anche di costanti influssi di componenti etrusche e italiche, giocò un ruolo centrale nella vita quotidiana e nell’identità culturale dell’antica Roma.

Le rappresentazioni teatrali erano spesso parte di festival religiosi e celebrazioni pubbliche.

Offrivano anche una grande opportunità per i cittadini romani di riunirsi e condividere un’esperienza culturale comune.

Il teatro si rivelò ben presto anche un potente strumento di propaganda politica.

Ricoperse un ruolo centrale nella vita quotidiana e nell’identità culturale dell’antica Roma.

Non fu solo un mezzo di intrattenimento, ma anche di riflessione critica e soprattutto di coesione sociale.

Le maschere

Un esemplare unico esposto in mostra è l’antica maschera in terracotta del Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’ di Siracusa (vedi Foto sopra).

Le maschere fungono da filo conduttore del percorso espositivo.

Si parte dalle più antiche, risalenti al V secolo a.C., passando per quelle ellenistiche del III-II secolo a.C., fino ad arrivare alle spettacolari maschere di epoca romana.

Le maschere rappresentano anche caratteri scenici di lunga durata, tragici, comici e grotteschi.

La mostra offre anche un “campionario” di modelli di maschere mai esposti a Roma, provenienti dalla bottega di un artigiano di Pompei.

Tra i reperti selezionati, sono notevoli le maschere miniaturistiche della tragedia e commedia greca provenienti dall’isola di Lipari.

Ed inoltre e i grandi affreschi parietali di un “camerino” per la compagnia teatrale, provenienti dal teatro romano di Nemi.

Vi è anche una serie di dodici gemme di epoca romana a soggetto teatrale.

4. Maschera colossale comica: "la falsa vergine" Marmo lunense Fine I sec. a.C. Dal teatro di Marcello, scavi del Governatorato (1926-1932) Collocata originariamente sulle chiavi degli archi del primo o secondo ordine del teatro Teatro Argentina, Roma; Area del Teatro di Marcello, inv. TM 16904
4.
Maschera colossale comica:
“la falsa vergine”
Marmo lunense
Fine I sec. a.C.
Dal teatro di Marcello, scavi del
Governatorato (1926-1932)
Collocata originariamente sulle chiavi degli archi del primo o secondo ordine del teatro
Teatro Argentina, Roma;
Area del Teatro di Marcello, inv. TM 16904

E inoltre il ritratto di Marcello con la maschera in bronzo di Papposileno, appartenente alla collezione Fondazione Sorgente Group.

Il percorso espositivo strutturato in sette sezioni

Il percorso espositivo si sviluppa in sette sezioni, seguendo un senso cronologico.

Ogni sezione è arricchita da installazioni multimediali, quali riprese aeree, videomapping, postazioni interattive, interventi recitati da attori che danno voce agli autori e ai i protagonisti del teatro antico.

Fin dagli albori, in età antichissima, si svilupparono la tragedia e la commedia.

Prima sezione: le origini religiose nell’antica Grecia

La prima sezione, dal titolo Genesi, racconta l’importanza del culto dionisiaco alle radici della tradizione teatrale greca e il valore del teatro per la vita democratica ad Atene.

Secondo Aristotele la commedia nasce dai cortei di festa (Komodia: da komoi, cortei di festa e odé, canto) inseriti nelle Falloforie, ossia le feste dedicate a Demetra e Dioniso, con chiara funzione scaramantica (apotropaica).

Le radici italiche e magnogreche

Il teatro prende origini dalla tradizione greca con influssi di componenti etrusche e italiche.

La seconda sezione, dal titolo Radici italiche e magnogreche, mette in risalto proprio il contributo che l’Etruria, la Magna Grecia e i popoli italici fornirono al sorgere del teatro latino.

Nel 240 a.C. per la prima volta a Roma viene portato sulle scene un dramma composto in lingua latina ad opera di un poeta di origine greca, Livio Andronico.

Si trattò di un evento di grande rilevanza storica e culturale, poiché listituzione di quello spettacolo segnò il vero e proprio atto di nascita della letteratura latina.

Il primo teatro italico. Il teatro comico in Sicilia e in Magna Grecia

La commedia invece nasce nella Sicilia dorica.

Secondo Aristotele, la commedia attica fu preceduta da una ricca produzione comica che si sviluppò in Sicilia e in Magna Grecia in forme diverse.

Epicarmo e Sofrone, entrambi di Siracusa, e Rintone di Taranto, nel V secolo furono molto popolari.

Essi diedero origine a forme particolari di commedia, come la Parodia mitologica (farsa fliacica o ilarotragedia) e la mimografia, drammi buffi scritti in dialetto dorico.

Vengono presentate scene di vita quotidiana e bozzetti di personaggi popolari.

Le vicende mitiche cantate dai tragici venivano parodiate dagli attori, che recitavano questi drammi buffi con vistose imbottiture.

Statuetta di attore seduto Marmo italico con tracce di colore Metà del Il sec. d.C. Già Collezione Mattei Statuette of seated actor Italic marble with traces of colour Middle of the 2nd century CE Formerly in the Mattei Collection Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino, Galleria dei Candelabri, inv. 2661
Statuetta di attore seduto
Marmo italico con tracce di colore
Metà del Il sec. d.C.
Già Collezione Mattei
Città del Vaticano, Musei Vaticani,
Museo Pio Clementino, Galleria dei Candelabri, inv. 2661

La commedia a Roma

La terza sezione della mostra è intitolata La commedia a Roma.

Nella Roma repubblicana fioriscono autori geniali come Plauto e Terenzio.

In questa sala si esplora la tradizione comica romana, dalla costruzione dei personaggi di Plauto, vere e proprie maschere di tipi umani, fino allo spirito riflessivo e introspettivo dei personaggi di Terenzio.

Essi introducono con enorme successo le forme della commedia greca, riprendendo le opere di Aristofane e Menandro.

Attore con maschera tragica Intonaco dipinto Isec. d.C. (5 -79 CC) Da Ercolano Actor with tragic mask Painted plaster Ist century CE (45 - 79 CE) From Ercolano Museo Archeologico Nationale di Napoll in. 903
Attore con maschera tragica
Intonaco dipinto
Isec. d.C. (5 -79 CC)
Da Ercolano
Actor with tragic mask
Painted plaster
Ist century CE (45 – 79 CE)
From Ercolano
Museo Archeologico Nationale di Napoll in. 903

Aristofane e la commedia antica

Aristofane è reputato il massimo esponente della commedia politica e proponeva temi politici e culturali.

Opera durante le guerre del Peloponneso (sconfitta di Atene), nell’Atene del V secolo a.C., quando il regime è democratico.

Possediamo 11 commedie complete delle 40 attribuite ad Aristofane: esse lo consacrano come uno dei più grandi commediografi del passato, nonché uno dei più attuali.

Nato ad Atene intorno al 450 a.C. partecipò attivamente alla vita politica della sua città e, facendo ampio uso della libertà di parola ammessa ai suoi tempi nei tribunali e a teatro, attaccò sulla scena i mali della democrazia ateniese. Scrisse godibili satire anche sugli intellettuali del suo tempo, citati per nome: Socrate (Le nuvole) e Euripide (Le rane, Tesmoforiazuse) tra gli altri.

Nel XV secolo l’arrivo di codici greci in Italia garantì la fortuna di Aristofane presso gli umanisti.

L’edizione delle sue commedie qui presentata è in assoluto il primo testo teatrale mai dato alle stampe, custodito presso la Biblioteca Casanatense a Roma.

Prima edizione a stampa di un’opera teatrale “Nove commedie di Aristofane”, volume a stampa, Venezia 1498, Roma, Biblioteca Casanatense

L’attualità delle Commedie di Aristofane

Celebri sono le opere maggiori arrivate sino a noi.

Innanzi tutto l’ Acarnesi, la cosiddetta commedia dell’utopia, ambientata durante la guerra tra Atene e Sparta.

Poi i Cavalieri, che critica le istituzioni ed è la satira politica più feroce mai trasmessa dalla letteratura antica.

Il bersaglio è Cleone, demagogo fautore della guerra ad oltranza contro Sparta.

Inoltre, sempre nel solco della satira politica Le Nuvole, commedia che prende di mira le nuove correnti di pensiero, in particolari quella sofista, incarnata da Socrate.

Emerge anche il tema del degrado sociale e della decadenza, anche attraverso la condanna della figura del Sicofante, che denuncia un cittadino dietro pagamento.

Menandro e la Commedia nuova

Menandro nasce ad Atene nel IV secolo a.C.

E’ allievo di Teofrasto (coetaneo di Epicuro).

Vive sotto il protettorato macedone di Demetrio Falereo, in una epoca in cui Atene ha perso la sua libertà.

Delle 100 commedie che ha scritto, ne rimangono purtroppo pochi frammenti.

la caratteristica dell’uomo di Menandro è quella di risolvere i problemi familiari.

I caratteri della commedia di Menandro sono il lieto fine e la sorte (tuke).

La tuke è la regista della commedia.

La tuke infatti fa cadere i personaggi nell’errore e li induce ad allontanarsi, ma è sempre lei che consente il lieto fine, spesso tramite il meccanismo del riconoscimento.
I temi ricorrenti della filantropia e della solidarietà, rispecchiano una visione ottimistica dell’essere umano.

Rilievo con Menandro e Talia Marmo greco 20 - 40 d.C. Già collezione Rondinini; acquistato nelle Collezioni Vaticane nel 1838 Relief with Menander and Thalia Greek marble 20 - 40 CE Formerly in the Rondinini collection; purchased for the Collezioni Vaticane in 1838 Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Profano, inv. 9985
Rilievo con Menandro e Talia
Marmo greco
20 – 40 d.C.
Già collezione Rondinini; acquistato nelle Collezioni
Vaticane nel 1838
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Profano,
inv. 9985

Menandro è convinto che l’uomo sia capace di imparare dai propri errori e che i contrasti generazionali possano essere risolti in nome di una comune umanità di cui tutti sono compartecipi.

Le opere maggiori di Menandro sono “Il bisbetico e “L’arbitrato.

La tragedia a Roma

La quarta sezione, La tragedia a Roma, presenta i principali protagonisti della produzione tragica del periodo repubblicano, di cui resta poco, e si concentra su due figure di grande rilievo come Seneca e Nerone.

Di tanti altri testi, di interi generi letterari, quali la tragedia di età repubblicana, conosciamo solo i titoli e, talvolta, un buon numero di frammenti, grazie alle citazioni di eruditi, grammatici, lessicografi.

Melpomene con maschera tragica Intonaco dipinto I sec. d.C. (15 - 45 d.C.) Da Pompei Melpomene with tragic mask Painted plaster 1st century CE (15 - 45 CE) From Pompei Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 8847
Melpomene, la Musa del teatro, con maschera tragica
Intonaco dipinto
I sec. d.C. (15 – 45 d.C.)
Da Pompei
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 8847

Musicisti, mimi, giocolieri e acrobati nell’antica Roma

La quinta sezione, I protagonisti e la musica, si focalizza sulle vite, spesso rocambolesche, di attori, danzatori, acrobati, musicisti e mimi.

Uno spazio specifico è dedicato al fenomeno degli spettacoli di mimi e pantomimi in età imperiale.

L’esposizione racconta anche le difficili vite degli attori e degli altri grandi protagonisti del mondo teatrale.

Acrobata in terracotta
Acrobata su colonna
Terracotta realizzata a matrice
Fine VI – inizi V secolo a.C.
Da Taranto, contrada Vaccarella, piazza Messapia,
tomba 1
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 52190

Dal teatro recitato al teatro del corpo

Dal teatro recitato al teatro “del corpo” il passo è breve.

Lo spettacolo si affida alla gestualità più che al testo per comunicare con un pubblico vasto e multietnico come quello imperiale.

È lepoca dei mimi e dei pantomimi, ma anche di forme singolari di divertimento come le danze acquatiche, realizzate allagando l’orchestra del teatro (tetimimi).

Statuetta di giocoliere o mimo Statuette of juggler or mime Terracotta realizzata a matrice Cast terracotta Ill sec. a.C. 3d century BCE Da Taranto, via Crispi, da una tomba From Taranto, via Crispi, from a tomb Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4077
Statuetta di giocoliere o mimo
Terracotta realizzata a matrice
Ill sec. a.C.
Da Taranto, via Crispi, da una tomba From Taranto, via Crispi, Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4077

Contemporaneamente i teatri si aprono a manifestazioni loro estranee, come assemblee, trionfi e giochi di ogni genere.
La musica nell’antica Roma 

Sempre in epoca imperiale si diffonde la tipologia dell’odeon (gr. odèion, lat. odeum), edificio in genere più piccolo di un teatro e con un tetto di copertura, destinato alla declamazione.

Nel settore della musica di scena, la mostra espone rari strumenti musicali originali come tibie, resti di cetre, crotali e sistri, molti dei quali sono stati fedelmente riprodotti per consentire ai visitatori di sperimentarne il suono.

L’eredità architettonica del teatro antico

La sesta sezioneL’architettura, riflette sull’eredità monumentale lasciata dal teatro antico, attraverso rovine architettoniche spesso maestose e ancora funzionanti.

La transizione dalla Roma repubblicana al regime imperiale nel I secolo a.C. vede la costruzione dei primi teatri stabili a Roma e elaborazione della loro forma.

In pochi decenni sorgono i tre grandi teatri romani in muratura: il teatro di Pompeo (61-55 a.C.), con circa 20.000 posti, circondato da portici e giardini, di cui rimane poco se non nella topografia di Roma; il teatro di Cornelio Balbo (dedicato nel 13 a.C.), anch’esso perduto, e il teatro di Marcello, quasi contemporaneo, intitolato da Augusto alla memoria del nipote amato.

La collaborazione con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma ha permesso la realizzazione di un intervento video sul teatro di Pompeo, che dopo la mostra resterà patrimonio delle Istituzioni curatrici.

Maschera di Pan
Maschera di Pan
Marmo bianco a grana fine e peduccio in rosso antico
Seconda metà del I sec. d.C.
Dono di papa Benedetto XIV (1748)
Mask of Pan
Roma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo, inv. MC S 716

Attualità del teatro antico

La settima sezione della mostra riguarda il teatro contemporaneo

L’attraversamento dell’antico si apre alla contemporaneità nell’ultima sezione della mostra, dal titolo “Attualità del classico”, realizzata in collaborazione e con il contributo del Dipartimento di Lettere e Culture Moderne dell’Università di Roma ‘Sapienza’ e dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico).

Ricca la selezione di locandine storiche di spettacoli realizzati al teatro greco di Siracusa, nonché di montaggi video di messe in scena contemporanee.

Numerose le testimonianze materiali e fotografiche, riferite in particolare all’esperienza del ‘Vantone’ di Pasolini.

Il percorso espositivo si chiude offrendo una panoramica sulla vitalità del teatro classico, dal primo Novecento ai nostri giorni.

Ancora oggi riconosciamo in Edipo e negli altri protagonisti del dramma antico i nostri stessi istinti e contraddizioni.

Immergersi nel teatro classico è dunque un’operazione attuale, che questa mostra propone privilegiando il filo della continuità




Pepito Torres: Grande Artista Internazionale.

Il Maestro della fotografia, capace di far brillare la musica con il canto.

 

Il vero artista diventa grande quando sa uscire, con vero coraggio e passione, dal proprio indirizzo, ancor di più, se ha riscosso con esso grandi successi e riconoscimenti, e sa dedicarsi ad altre forme rappresentative.

E’ il caso del Maestro Pepito Torres, eccellente e raffinato fotografo internazionale, capace di cogliere, con l’obiettivo della sua macchina fotografica, particolari emozioni e trasmetterle al grande pubblico.

Carla Fracci, Nureyev, Vassilyev, nomi di chiara fama, sono stati da lui immortalati nel suo lungo percorso che inizia negli anni 70.

Quasi tutti i generi fotografici sono stati sfiorati con grande maestria, arrivando anche a produrre numerosi servizi per PlayBoy, nota rivista USA con edizione Italiana, il cui logo era stilizzato con la testa di coniglio dalle lunghe orecchie con addosso un farfallino da smoking.

Numerosissime le attrici e le personalità di moda e spettacolo che posavano con l’intento di essere la PlayMate del mese in un travolgente mix di erotismo e sensualità che giammai scadeva nel volgare o peggio nella pornografia.

Per questo si affidavano ad artisti dall’elevata professionalità di cui Pepito faceva indubbiamente parte, vista la sua lunga permanenza.

Talent scout di successo, non a caso Heather Parisi è stata fotografata da lui dagli albori della sua carriera con scatti pubblicati sulle principali riviste nazionali ed internazionali.

Fotografo che lo ha portato in giro per il mondo con scatti di elevata particolarità e pubblicati dal Touring Club Italiano al punto da decidere di diventare editore della rivista internazionale Belmondo che ogni anno pubblica il suo numero in ben quattro lingue.

Un’opera che rimarrà nella storia “Roma anno Zero”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, è stata da lui realizzata in uno dei momenti più incredibili ed impensabili per la prima ed unica volta, tanto che ci auguriamo vivamente non tornino più.

“Nei due mesi del lockdown totale, Pepito Torres si è aggirato per le strade e le piazze della città con la sua macchina fotografica, raccogliendo testimonianze inedite di una Roma deserta, vuota, silenziosa, sospesa nell’incanto della sua assoluta bellezza.”

Ma Pepito ha nel cuore un’altra grande passione che lo trascina, lo coinvolge, gli fa ardere il desiderio di esprimersi ed offrire al suo amato pubblico un altro lato della sua grande capacità artistica, non senza prima curare ogni aspetto, ogni risvolto, studiare con grande passione e con grande attenzione, come solo un attento artista sa fare, ma rivolto, questa volta, al canto.

Così grazie a Salvatore Martino, poeta ed attore, che gli suggerisce quelle tecniche di impostazione vocale, per far si che possa venir fuori il meglio dalla voce, e grazie a “Maestro Viko”, Liano Concolino, con il quale, scoltando alcuni brani lo convince a realizzare un concerto, Pepito riesce a dare seguito alla sua grande passione.

Una passione forte, repressa da fattori esterni, personali, molto personali che gli provocano grande dolore interiore, percepibile solo quelle poche volte che ne parla, e che solo nel 2014 dopo una lunga preparazione, fortemente voluta e desiderata, quasi “agognata” riesce a tirar fuori, sorprendendo tutti, esibendosi con un microfono in mano, cantando un repertorio di tutto rispetto di eccellenti brani spagnoli e latino americani.

Al Palazzo Santa Chiara in Roma, ha offerto al suo pubblico il suo canto, passando così da dietro a davanti l’obiettivo, facendo sì che questa volta fosse lui ad essere immortalato.

Numerosissimi i VIP, in un teatro stracolmo, che hanno avuto la possibilità di gustare un vero e proprio concerto di elevatissimo prestigio.

Ma Pepito non vuol fermarsi, ed ancora al Teatro Santa Chiara da prova del Suo personale grande talento nel canto qualche anno dopo.

Circondandosi e scegliendo con grande cura artisti, maestri di elevata fattura, con al pianoforte il Maestro Paolo Iurich, che ha curato gli arrangiamenti, alla chitarra classica ed acustica Gianfranco Federico, al basso Fabrizio Cucco, alla batteria Adamo De Santis, alle percussioni Walter Paiola, alle tastiere Danilo Riccardi, ed al sax e flauto Massimiliano Filosi, il Maestro Pepito Torres ha dato vita ad una serata indimenticabile cantando “Palabras De Amor” per i suoi amici.

Un successo, come riportano le indicazioni tratte dai numerosi commenti che si trovano su tutti i social e dalla grande partecipazione a quel concerto, nato, voluto, realizzato ed eseguito da quel grande fotografo che ha dato lustro a tanti artisti ed a tanti luoghi nel mondo.

Un successo che vuole bissare, convinto, e non a torto, che la musica ed il canto sono quelle espressioni artistiche che più trasmettono emozioni, che trasportano la mente, che fermano il tempo riportandoci in una dimensione di confort.

La scelta accurata dei brani, che a tanti, giovani e meno giovani, suscitano quelle emozioni che trasportano nei più bei ricordi della vita, dell’amore, della tenerezza del romanticismo che portiamo dentro ciascuno di noi, e che purtroppo si allontanano sempre più perdendosi in quello che il rumoroso frastuono oggi ci propone.

Qualcuno direbbe “Chansonnier”, autore ed interprete di canzoni, certo, brani spagnoli, conosciuti anche in Italia e che fanno sognare.

“Tres Palabra”, “Eu sei que vou te amar”, “Historia de un amor”, “Alfonsina y el mar”, “ Amapola”, “Cuando vuelva a tu lado”, “Por el amor de una muijer”, “Cuenta comnigo”, “Les feuilless mortes”, “Lo que me queda por vivir”, “ El porompompero”, “Quien sera la que me quiera a mi”,sono tutti brani che Pepito Torres ha riproposto al Teatro degli Eroi, in via Girolamo Savonarola 36 Roma, il 6 Giugno, mantenendo così la promessa fatta al suo numerosissimo pubblico che ha riempito la platea.

Platea che ha consacrato il Maestro Pepito Torres, come vero punto di riferimento di quella musica, di quei brani eseguiti con grande maestria, che appassionano, che stimolano quella sensualità, pulita, limpida, rispettosa, che lascia trasparire quel forte erotismo, che oggi sembra essersi perduto, specialmente nelle nuove generazioni.

Accompagnato al pianoforte dall’eccellente Maestro Sebastian Marino, che ha eseguito i brani, alternandoli con musiche ed opere classiche di altissimo livello.

Il Maestro Sebastian Marino, musicista compositore ed esecutore, diplomato a pieni voti presso il conservatorio “L. Refice” di Frosinone, dal tocco delicato, leggero e raffinato, spettacolo non solo per le orecchie degli amanti del pianoforte, ma anche per la vista di coloro che amano ascoltare, anche con la vista, estasiati nel vedere le mani del pianista sulla tastiera, volare con grazia e leggerezza.

Per questo considerato talento emergente del panorama italiano.

Il suo album d’esordio “Incipit” è da poco uscito con l’etichetta Indaco Record.

Ma le sorprese della serata non finiscono qui, e nella seconda parte, dimostrando di avere un estro non comune, Pepito Torres introduce “la sorpresa” dell’ultimo momento che ha mandando in visibilio il folto e competente pubblico.

Il Maestro Gino Mariniello, con il quale si accompagnerà esibendosi con il brano “El porompompero” interpetrata in maniera personale e brillante, dando un taglio diverso da come il concerto era stato impostato fino a quel momento, in aggiunta al Maestro Sebastian Marino.

Gino Marinelli, grande chitarrista Italiano, inizia a suonare la chitarra da bambino, a soli sei anni, a nove studia chitarra classica presso l’Accademia Musicale di Varese per poi accedere al conservatorio di Milano, Giuseppe Verdi.

Vari i generi musicali che nel corso del tempo studia, dalla musica jazz, al rock e fusion… così nel 1995 fa il passo in RAI, con varie esibizioni in trasmissioni suonando chitarra classica, chitarra acustica, elettrica e mandolino.

Non è da tutti suonare per artisti come Andrea e Matteo Bocelli, David Foster, Lionel Richie, Philip Bailey, tanto per citarne alcuni.

L’eccellente esecuzione del Maestro Marinelli, con arpeggi veramente di grande capacità, il tocco magistrale del Maestro Marino e la voce dalla raffinata con la tecnica flamenca del Maestro Pepito sono diventati un vero punto di riferimento per la musica latino americana.

E’ nella perfetta sintonia del trio, evidenziata in tutta la seconda parte, che i brani cantati da Pepito hanno assunto una colorazione unica, trasportando il pubblico verso l’Andalusia terra del mediterraneo o verso il bolero, classico di quelle terre lontane, ma proprio grazia alla musica, vicine.

Emozioni che Pepito Torres ha saputo offrire, in maniera diversa dal suo modo visivo, stando dietro l’obiettivo che in questo caso ha lasciato ad altri, ma davanti l’obiettivo curando nei minimi particolari, come solo un vero artista sa fare, la musica per l nostre orecchie.

Ettore Lembo




Servillo e i modi per non morire

A Bologna all’Arena del sole dal 10 al 14 gennaio 2024 il pubblico bolognese ha assistito alla rappresentazione teatrale “Tre modi per non morire, Baudelaire, Dante e i classici greci”.
Protagonista Tony Servillo per la produzione del Teatro Piccolo di Milano.
Un viaggio teatrale attraverso i testi di Giuseppe Montesano, autore napoletano contemporaneo.
Toni Servillo ha guidato il pubblico in un viaggio teatrale in tre tappe  attraverso i testi di Giuseppe Montesano.
Il tema è la consapevolezza di essere vivi.
Ecco quali sono i modi per non morire.

Servillo a Bologna al teatro Arena del Sole

A Bologna all’Arena del sole dal 10 al 14 gennaio 2024 il pubblico bolognese ha assistito alla rappresentazione teatrale “Tre modi per non morire, Baudelaire, Dante e i classici greci”.
Protagonista Tony Servillo per la produzione del Teatro Piccolo di Milano.

I modi per sopravvivere alla frenesia dei nostri giorni

Toni Servillo ha guidato il pubblico in un viaggio teatrale in tre tappe  attraverso i testi di Giuseppe Montesano.

Il tema è la consapevolezza di essere vivi e come sopravvivere alla frenesia dei nostri giorni, al fine di evitare “la disidratazione dell’anima”.

Tony Servillo all’Arena del Sole di Bologna

L’autore, Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano è autore napoletano dei nostri tempi (nasce nel 1965 a Napoli).
Ha scritto numerosi libri tra cui “Come diventare vivi” e “Tre modi per non morire”.
Da quest’ultima opera è tratta la pièce teatrale recitata dal noto attore napoletano Tony Servillo.
I  testi di Montesano sono una vivida indagine che mescola riflessioni personali al pensiero e alle parole dei classici.  Lo scopo è quello di uscire dal limbo dei nostri giorni e raggiungere la consapevolezza di essere vivi, perché non morire è un’ arte.

Il parallelo con i classici e l’arte di non morire

Attraverso il testo composto dallo scrittore napoletano Giuseppe Montesano, Toni Servillo accompagna il pubblico in un coinvolgente viaggio in tre tappe.
Il percorso vuole essere un antidoto alla paralisi del pensiero, alla depressione, alla non-vita che tenta di imprigionarci.
Compagni di questo itinerario alcuni autori che, ancora oggi, sanno mostrarci quell’arte di non morire da loro stessi messa in pratica. Baudelaire, Dante e i classici greci sono gli autori individuati quali modelli di quell’arte di non morire che s’impara coltivando la nostra interiorità.

Come ridiventare vivi nonostante la tecnologia

Le riflessioni di Montesano partono da un assunto: viviamo in una epoca in cui la tecnologia viene celebrata ed osannata.
Assistiamo ad applicazioni sbalorditive, con grandi potenzialità e aspettative di un miglioramento delle nostre vite.
Tuttavia mai come in questi anni si è fatta evanescente l’idea di progresso.
La riflessione di Montesano sviluppo ed articola il pensiero  già espresso nel suo precedente libro “Come diventare vivi”.
Il pessimismo sulla evoluzione tecnologica si fa sempre più stringente.

Il lamento dell’autore e l’era digitale

L’ infelicità ci assedia.
Siamo nell’epoca dello strapotere digitale.
Ci dicono in continuazione che potremmo essere liberati dai lavori più faticosi e noiosi.
Purtroppo questo non accade.
Sembrerebbe che la nostra evoluzione sia bloccata, prosegue Montesano.
Ed ecco che l’antidoto al pessimismo e all’analfabetismo emotivo e mentale è “toccare” le persone con parole di senso e di bellezza.
L’autore ci esorta di alimentare la fiamma che un verso di Dante o di Baudelaire, un frammento di Eraclito o Platone fa divampare.

Ecco quali sono i modi per non morire.

Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?

Il monologo di Servillo inizia con Monsieur Baudelaire.
La domanda è: quando finirà la notte?
“Monsieur Baudelaire, le vite degli altri mi attirano, perché nello specchio delle vite altrui…spero sempre di trovare una risposta alla mia vita…”
Il monologo prosegue: “Charles, che confusione, di notte i tempi e i luoghi si inabissano, si confondono.Molti non torneranno più a cercare la minestra profumata, vicino al fuoco, la sera, accanto a un’anima amata… E i più non hanno mai conosciuto la dolcezza del focolare e non hanno mai vissuto!”

Servillo e i modi per non morire
Tony Servillo in un momento dello spettacolo

La metafora dell’alba dopo la notte

Il testo recitato da Servillo prosegue con un inno alla bellezza come arma per vincere ingiustizia e depressione. “Non hanno mai vissuto…Chi sono, Charles, questi fantasmi?
Hanno forse le nostre facce impallidite dalla paura di vivere?
O forse per loro e per noi la notte finirà, e verrà il mattino?

E quando sarà finita questa notte, quale alba ci aspetta, Monsieur Baudelaire?”

Servillo solo in mezzo al pubblico

E’ interessante notare che Servillo recita, non a caso, da solo, in mezzo al pubblico,
Il teatro di “Tre modi per non morire” è una via per ritrovare quelle parole che un attore dice con tutto il suo corpo e la sua mente per nutrire la sua e la nostra interiorità.
L’interprete non parla dall’alto del palcoscenico, ma è lì in mezzo al pubblico, senza scene, né decori, come in una antica agorà.
Lo spazio comune, dove tutti insieme, attore e noi spettatori, siamo radunati per svegliare le nostre coscienze, grazie alla forza, alla verità di una parola evocatrice.

Le voci di Dante. Otto secoli di lingua italiana per non morire

Si prosegue con Le voci di Dante, in cui prendono la parola alcuni celebri personaggi della Commedia.

“Otto secoli fa nella lingua italiana si aprì un gorgo, soffiò un vento mentale che sollevò mare e onde in spume e spruzzi…
Accadde qualcosa di così straordinario che non ha paragoni con nessun’altra epoca.……quella lingua si formò attraverso le opere di scrittori diversissimi: ….Erano imperatori, predicatori, trattatisti, storici, fabulatori, cronisti, poeti di corte e poeti vagabondi.

L’inno alla lingua italiana

il monologo di Servillo prosegue con un inno alla lingua italiana.

La lingua italiana viene definita come un’orchestra capace di suonare la musica della mente.

Il sogno della lingua italiana è un sogno che è “la trasmutazione alchemica della mente nel corpo e del corpo nella mente, una forma in cui l’emozione genera i concetti”.
Il pensiero razionale diventa intuitivo come una cosa viva, e la cosa viva si riempie di pensiero razionale: qualcosa che prima della Commedia non esisteva.

Quella lingua che chiamiamo italiana è ancora qui dopo otto secoli e molte metamorfosi, prosegue Servillo/ Montesano.
È la lingua scolpita e forgiata dall’uomo che chiamiamo Dante Alighieri.

Il cammin di nostra vita e il desiderio di salvezza di Dante

Il desiderio di salvezza non basta mai, non resta che ricominciare, nel mezzo del cammin di nostra vita, recita Servillo.
Una vita che è spesso miserabile e smarrita in un mondo miserabile e smarrito.
Ma è solo attraverso questo mondo, è solo amando questo mondo di sorrisi e di lacrime che possiamo ritrovare la via.   L’amore infinito che muove ogni cosa non può cessare di muoversi e chiamare.
La vita è la partenza, la morte è la vita, la foresta oscura della notte è qui.   
Ma sono qui anche le stelle che risplendono e ci indicano la strada, e ci aspettano.
Ora, e in ogni momento, il cammino può ricominciare.

I greci e il teatro come antidoto contro la morte

Il viaggio teatrale per non morire si conclude con “Il fuoco sapiente”, la poesia e la filosofia greche per immaginare un futuro diverso.
L’autore ci invita a seguire la saggezza dei greci e tornare a vivere il teatro e la letteratura nel senso più pieno.
Facciamo dell’arte l’occasione di incontro con gli amici, per condividere di nuovo ciò per cui vale davvero vivere: poesia, emozione e verità. Il bello è anche buono (kalòs kai agathòn), ecco l’ideale di perfezione umana per gli Elleni.
Il bello e il bene inseparabili, che spuntano luminosi dalle parole mentre si beve e si ride inseguendo la verità in un gioco serio tra amici veri. I nostri simposi sono cimiteri di pensiero dove ripetiamo “lo dico lo penso lo faccio Io sono lo so”, denuncia Montesano.
“Ci ingozziamo” di lavoro vacanze soldi nemici domani senza mai vivere l’attimo felice.

La metafora della caverna di Platone

Siamo ormai alla conclusione dello spettacolo. L’apoteosi finale viene affidata al famoso mito della caverna di Platone.
La recita nella caverna ci imprigiona tutti. Platone, uno dei più grandi pensatori dell’antica Grecia, viene esaltato.
Il mito della caverna di Platone è una delle pietre miliari in assoluto della filosofia greca antica.

La nostra vita è una caverna?

La caverna oscura simboleggia il nostro mondo.
Gli schiavi incatenati sono gli uomini.
Le catene sono l’ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita.
Le ombre delle statuette sono le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza.
La caverna è l’ allegoria della conoscenza.  Noi stiamo dimenticando la scintilla che dalla bellezza ci conduce al bene attraverso il pensiero che vive in un corpo e in un’anima.
Dalla nostra caverna non siamo usciti.
Oggi la caverna è dovunque: “si nutre dei nostri cervelli digitali e delle nostre pulsioni animali e cresce come una velenosa rete invisibile”.

Le catene virtuali del nostro mondo 

Servillo prosegue: “Non abbiamo più catene ai piedi e alle mani, non servono per tenerci in schiavitù – non servono più, le catene siamo noi stessi”.
I greci hanno inventato il pensiero che dà forma al mondo e alla nostra anima nel mondo.
Noi invece sacrifichiamo l’anima e il pensiero al totem elettronico che strangola noi e il mondo.
Siamo espropriati, derubati della nostra vita. Vivere? Lo faranno per noi le nostre memorie esterne, i nostri avatar digitali.
Loro vivranno della nostra morte.

Servillo durante un momento della recitazione

 

E la caverna cresce, cresce lo spettacolo delle ombre e la rete si stringe.
Eppure, forse, là fuori, la luce splende ancora, là, fuori dalla caverna, là dove nascono nuovi mattini.

Servillo è ottimista:
“C’è qualcuno tra noi che ha ancora voglia di accendere una scintilla nel buio, e dire che le ombre sugli schermi della nostra caverna sono solo ombre? Chiudiamo gli occhi davanti alle ombre – e ascoltiamo la voce di Amore: il fuoco sapiente divamperà”.

Il grido di Servillo

Servillo prosegue, quasi come fosse un grido.
Noi siamo infatti inquieti, impoveriti, spaventati, e tutti sentiamo che ci manca qualcosa di cui avremmo un disperato bisogno: ci manca l’amore, ci manca la vita.

Come ri-diventare vivi

E allora? E allora non ci resta altro da fare che cercare di (ri)diventare vivi.
Un cambiamento a portata di mano perché già dentro di noi.
Questa è la speranza che emerge prepotentemente e, nonostante tutto, dalla recita teatrale.

Gli spettatori attenti ha applaudito lungamente e affettuosamente Tony Servillo.
L’attore napoletano ha così incassato un ennesimo successo di pubblico e di critica.