Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana

di Paolo Battaglia La Terra Borgese

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto.

È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero.

Si vota domenica 3 marzo.

 

A muoversi da fuori il GOI, in nome della torcia luminosa della civiltà e del progresso, è perfino Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, che ha sponsorizzato – direttamente e indirettamente – la lista numero 1 anche durante un’intervista di Fedez, nel corso di una puntata del podcast Muschio Selvaggio.

 

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto. È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero (forum digitali massonici riservati agli addetti ai lavori).

 

Quis similis tui in fortibus Domine?

 

La terza lista – secondo gli umori registrati in Zetetica e soprattutto in Cavaliere Nero – sarebbe in netta minoranza, e la seconda, quella sponsorizzata dall’attuale Gran Maestro, si dichiara (ovviamente) del proseguimento.

 

A chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1

 

Così – se le opinioni rispecchiano la realtà aritmetica esposta -, a chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1.

Ciò al fine di non disperdere i voti, che, senza volerlo, diversamente, se destinati alla lista numero 3, finirebbero col favorire, la lista del proseguimento poco cara ai cambiamentisti tutti.

Purtroppo, in termini di obiettivi numerici ne pagherebbe le conseguenze di risultato la terza lista, sol perché considerata in minoranza.

 

Per farla breve, secondo alcuni e per non essere di tedio ai lettori: da un anno a questa parte, la fulgida luce massonica si è dovuta confrontare adendo i metodi “profani”.

 

Ma è storia vecchia, come vecchio è il profilo delle campagne elettorali in seno al GOI, che in termini dialettici perfettamente combacia con i programmi elettorali cosiddetti profani.

 

E la salsa è sempre la stessa, quella che suga per concimare un elenco di azioni e di tematiche sempre ripetute ed uguali ad ogni consultazione elettorale.

 

Giacché da sempre è uguale il repertorio di novità (?) proposte dal candidato di turno: la sovranità della loggia, il tema delle cariche, l’indipendenza della giustizia massonica rispetto alla giunta di governo del GOI, l’organizzazione interna, le azioni nel mondo profano, i rapporti con lo Stato, la solidarietà interna ed esterna, l’ammontare dell’appannaggio da riconoscersi al G.M. e, da questi ultimi anni, la discussa Fondazione del GOI. 

 

La lista numero 1

 

Tuttavia, questa volta, udite e lette le sue promesse, se vincesse il candidato della lista numero 1, LEO TARONI, egli, mantenendo fede al suo programma elettorale, è certamente destinato a passare alla storia della massoneria italiana e non solo, per i radicali cambiamenti di cui sarà artefice, dando vita a nuove origini nel Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.




Rossella Burzi, Medico con la EMME Maiuscola!

La Dott.ssa Rossella Burzi, specializzata in Medicina Nucleare e Medico Legale e delle Assicurazioni, da sempre è impegnata nell’assistenza medica umanitaria, come dimostra la sua attività di medico volontario durante una missione in Iraq (2010) finalizzata alla costituzione di una medicina territoriale.                                              

Dedita a un approccio olistico della salute che comprenda anche l’alimentazione, un sano stile di vita e il benessere personale e mentale, ha dimostrato il suo coraggio e la sua indipendenza nel triennio della gestione pandemica, fondando l’Associazione no-profit e pro veritateEdward Jenner” di cui è ora tesoriera.                                        

Insieme al marito Giuseppe Barone, capitano medico della Croce Rossa Militare e medico nucleare e legale, ha assistito – e tuttora assiste – i danneggiati da malasanità. In campo prettamente medico, l’Associazione Jenner ha aiutato e curato i pazienti danneggiati da vaccino; in campo medico legale e legale ha prestato assistenza gratuita con accurate perizie autoptiche e non, così sostenendo i parenti dei defunti, così ottenendo a favore dei propri pazienti danneggiati i primi indennizzi per danni da vaccino e le prime invalidità civili. 

Stanno iniziando ora le prime cause di risarcimento danni in Italia; si tratta  di cause extragiudiziali molto costose le cui spese non sono affrontabili per la maggior parte dei danneggiati. Ricordiamo che l’Associazione Jenner opera in regime ‘no-profit e pro veritate’: tutti sono volontari e l’Associazione stessa non riceve né sovvenzioni pubbliche, né altri sussidi o contributi, potendo contare solo su pochissime modeste donazioni private.                                                            

Nella sua attività di assistenza e divulgazione scientifica e sociale, la Dott.ssa Burzi si impegna a diffondere tra i pazienti la consapevolezza dei propri diritti e tra i colleghi medici un approccio critico e una “medicina della persona” che superi l’adesione pedissequa e a-critica ai protocolli, ristabilendo la regola aurea dell’Ars medica: operare “in scienza e coscienza”.

Per l’esperienza maturata sul campo e l’ampia casistica clinica analizzata, la dott.ssa Burzi si candida, insieme agli altri colleghi dell’associazione, a diventare un consulente qualificato della commissione d’inchiesta sul covid, appena approvata dal parlamento su istanza di Fratelli d’Italia.                                                   

Infine nel corso del 2023 si è prodigata, insieme ai volontari dell’Associazione Jenner, nel portare aiuto materiale, morale e clinico alle popolazioni romagnole colpite dall’alluvione di maggio, agendo direttamente sul territorio e cercando di offrire alla popolazione bisognosa generi di prima necessità e aiuti calibrati in base alle effettive necessità.                                                                                                        

Il 5 Marzo, a Bologna, nei saloni dell’Hotel Europa, la Dott.ssa Rossella Burzi riceverà un meritato riconoscimento per tanta abnegazione e premura: nel corso di una significativa cerimonia, le sarà assegnato il PREMIO ECCELLENZA DONNA 2024; un premio che gratifica la Professionista, la Donna, la passione il merito e il coraggio, anche di un Team di grande spessore umano, clinico e sociale.                           

Chi scrive ha avuto modo di apprezzare personalmente le qualità della Dott.ssa Burzi allorché, in prossimità del Natale 2022, un proprio familiare ha patito un’affezione alle vie respiratorie, per le quali si rese necessario il ricovero ospedaliero.

Sollecitata al riguardo, non ha lesinato suggerimenti e consigli: tali da rincuorare la paziente e tutta la famiglia.

Ancora Grazie!                                                                        

Abbiamo avuto l’opportunità di formulare qualche domanda alla Dottoressa:                 

Programmi per il futuro prossimo?

Certo, i ritmi sono intensi… ma non sono capace di sottrarmi ad alcuno dei miei impegni, ben consapevole che ci sono persone che soffrono, fisicamente e psicologicamente.

Anzi: mi accorgo che quando mi confronto con tematiche e problematiche, per reazione (ma anche per passione) subentrano nuove, nascoste energie. 

Ma il mio impegno resterà anche quando l’età della pensione subentrerà: con un’arma in più, maggior tempo a disposizione per aiutare chi soffre e chi possa aver subito un’ingiustizia sanitaria.                                                        

Cosa avrebbe voluto fare che non le è stato possibile portare a compimento?

Il rammarico, non solo mio ma di tutto il team, è quello di non poter contare su mezzi tali da assicurare un maggior impegno e un impiego ancora più articolato di professionisti.

La precedenza la vorremmo dare a una più significativa e continua presenza nell’assistenza dei pazienti impossibilitati a muoversi.

Ma siamo fiduciosi: guardiamo al futuro con ottimismo.                                                           

  Se dovesse lanciare un appello ‘sociale’, specie ai suoi concittadini?

Aiutateci come potete: un piccolo contributo di molti può aiutarci a fare grandi cose.

Ma soprattutto vogliatevi bene: controllate la vostra salute, mantenete un sano e continuo rapporto con il vostro medico di base, procedete a screening periodici e siate pronti a cogliere quelle variazioni che, pur non destando in voi allarme, vi spingano ad approfondire la valutazione clinica.

Non abbiate timore di prendere coscienza e consapevolezza della vostra eventuale malattia, di ciò che vi sia accaduto. Solo con la forza di tutti possiamo essere più forti nell’ottenere giustizia.                                        

E alle autorità?

Potrei dilungarmi troppo…

Le autorità amministrative e sanitarie sanno, hanno il polso della situazione, anche se talvolta la lentezza negli interventi sciupa molto.

Aiutateci ad aiutare: aiutando noi, le Associazioni di volontariato a vocazione territoriale come la nostra e le tante che possano esistere, consente di alleggerire le strutture sanitarie complesse, assicurando nel contempo assistenza sollecita di qualità, garantita dal contributo di professionisti capaci che saranno lieti di offrire ogni più utile aiuto.

Ma un preciso richiamo desidero riservarlo a quanto sta accadendo, in maniera molto dolorosa.

A fronte di persone che soffrono, che restano invalide, che muoiono, e – cosa ancor più grave – prima sane, è assurdo che nessuno sia ritenuto responsabile.

L’auspicio più vivo è che finalmente sia operativa la Commissione di Inchiesta che faccia luce su quanto è accaduto.

E’ doveroso che i responsabili paghino e si assumano le proprie responsabilità, senza così dover assistere a vergognosi scarica-barile.

Assistere a risposte del tipo ‘nessuno è responsabile’, non è segno di civiltà e mortifica ulteriormente le vittime: quasi avessero insistito e battagliato per sottoporsi alle note ‘terapie’ con sieri – ormai è accertato oltre ogni ragionevole dubbio – sperimentali.                                                                           

Ringraziamo la Dott.ssa Rossella Burzi per averci dedicato un po’ del suo tempo, rinnovando i nostri complimenti per l’importante riconoscimento che le verrà conferito.

Complimenti ai quali si associano gli Amici di ZETETICA e del suo Amministratore Paolo Battaglia La Terra Borgese e i Lettori di BETAPRESS.IT con il suo Direttore Prof. Corrado Faletti.




A PROPOSITO DI ETICA

 

 

Se la morale considera le norme e i valori come dati di fatto, condivisi da tutti, l’etica cerca di dare una spiegazione razionale e logica di essi.

Considerazioni generali

L’etica studia i fondamenti che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico e normativo, cercando di distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale (ad esempio, una data morale). Come disciplina affronta questioni inerenti alla moralità umana, definendo concetti come il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, la virtù e il vizio, la giustizia e il crimine. L’etica è, quindi, sia un insieme di norme e di valori che regola il comportamento dell’uomo in relazione agli altri, sia un criterio che permette all’uomo di giudicare i comportamenti, propri e altrui, rispetto al bene e al male.

Sovente etica e morale sono usati come sinonimi e in molti casi è un uso lecito, ma è bene precisare che una differenza esiste: la morale corrisponde all’insieme di norme e valori di un individuo o di un gruppo, mentre l’etica, oltre a condividere questo insieme, contiene anche la riflessione speculativa su norme e valori. 

Per comprendere meglio la natura ambivalente, intima e collettiva, dell’etica, possiamo confrontarla con un’altra istituzione normativa, il diritto. Entrambe le istituzioni regolano i rapporti tra individui, ma si affidano a mezzi diversi.

Infatti, mentre il diritto si basa sulla legge territoriale, valida solo sul territorio statale, che va promulgata affinché si conosca, e che, se non rispettata, sarà seguita da una pena, l’etica si basa sulla legge morale, valida universalmente, già nota a tutti in modo non formale; il primo si occupa della convivenza fra gli individui, la seconda della condotta umana più in generale.

È opportuno anche rilevare come il rapporto tra etica e diritto, nel corso della storia umana, sia stato ambiguo. Mentre, infatti, il diritto è la scienza della coesistenza, regolata da norme giuridiche che dovrebbero basarsi su princìpi etici, l’etica invece è la capacità di discernere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, e non sempre

essi coincidono o mirano allo stesso obiettivo.

Riflessioni sull’etica

La riflessione sull’etica nasce con SocratePlatone e Aristotele e poi è approfondita dalla Scolastica, affermandosi in modo deciso soprattutto con l’Illuminismo e, in particolare, con Immanuel Kant, che tenta di definire i presupposti razionali dell’agire morale dell’uomo, richiamandosi alla necessità di un’etica del tutto svincolata da ogni finalità esteriore e impostata su un rigoroso senso del dovere e del rispetto della libertà altrui (l’etica, dunque, come “imperativo categorico“).

Per quanto riguarda le culture extraeuropee, grande rilevanza ha il pensiero filosofico cinese. I filosofi cinesi hanno sempre dato una grande importanza all’etica, trattando di essa con maggior interesse e profondità rispetto ad altri argomenti filosofici. I maggiori filosofi cinesi che si sono interessati di etica sono Confucio, sicuramente il più importante, MencioLao-TseMozi. Poiché nelle culture orientali la distinzione tra filosofia e religione spesso non è chiara e netta, molto importanti per il pensiero etico sono stati anche il Taoismo e il Buddhismo.

L’etica ebraica indica un’intersecazione dell’ebraismo con la tradizione etica del mondo occidentale. Come per altri tipi di etica religiosa, la numerosa letteratura sull’etica ebraica intende rispondere a una vasta gamma di questioni morali e, quindi, può esser classificata come “etica normativa“. Per millenni il pensiero ebraico ha affrontato il problema complesso del rapporto legge-etica. La tradizione della Legge religiosa rabbinica (nota come Halakhah) esamina numerosi problemi spesso associati con l’etica, compresa la relazione dinamica con i doveri che non sono usualmente puniti dalla legge.

La storia dell’etica è costituita dalla successione delle riflessioni sull’uomo e sul suo agire e i filosofi hanno da sempre riservato un notevole spazio ai problemi etici. E non vi è dubbio che quando leggiamo in ogni codice penale che l’omicidio è uno dei più gravi delitti, punito con le sanzioni più severe, non possiamo non sentire l’eco del comandamento: Non uccidere.

D’altra parte sappiamo bene che, di là da un indispensabile nucleo essenziale di valori condivisi, nelle società multietniche e multiculturali imporre con la legge un precetto religioso o morale può significare una grave pressione sulla libertà delle persone e dei gruppi. Alla base, infatti, di ciascuna concezione dell’etica, sta la nozione del bene e del male, della virtù e una determinata visione dell’uomo e dei rapporti umani. E tali idee sono spesso correlate a una particolare religione, o comunque a un’ideologia.

 

Peraltro i punti di contatto tra etica e diritto sono svariati, anche se nella storia dell’uomo vi sono stati molti casi in cui il diritto non ha seguito la morale, come ad esempio nel caso delle leggi di Norimberga del 1935, in Germania, o delle leggi razziali italiane del 1938. Dall’altra parte, vi sono molti casi in cui l’uomo ha rifiutato il diritto, con il fine di seguire la propria etica. È il caso, ad esempio, dell’obiezione di coscienza, che è un comportamento con origini molto antiche nella storia dell’uomo. E Sofocle, nella sua tragedia Antigone, aveva già, all’epoca, posto l’accento sull’eterno conflitto presente tra legge umana (atto giuridico) e divina (riflesso della coscienza) e di come una delle due leggi potesse sovrastare l’altra.

 

I valori etici del diritto si basano innanzitutto sui Diritti umani, in altre parole quei valori dati da quello che noi consideriamo giusto. Di Diritti umani si è cominciato a parlare ampiamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In Europa, in particolare, vige un insieme di regole che riconoscono tali princìpi come fondamentali. La Dichiarazione è, infatti, la base comune che informa tutto il sistema giuridico europeo.

Ancora, non si può non osservare che diritto, religione e morale sono sempre in necessaria relazione fra loro, ma allo stesso tempo irriducibili l’uno alle altre. L’esperienza politica del continente europeo nell’ultimo secolo ha assistito alle gravi conseguenze che si generano quando la legge, volendo imporre un assetto di valori, è divenuta forza tirannica e totalitaria, nella forma di uno stato etico che è stato inevitabilmente assoluto. Ma lo stesso è accaduto quando, all’opposto, si è tentato di separare totalmente il piano del diritto dal piano della morale, sotto l’influsso del positivismo giuridico: allora la legge ha finito per divenire un puro atto di volontà, indifferente al contenuto del comando che essa poneva.

E così, per altra strada, la storia d’Europa è di nuovo stata attraversata dall’esperienza di un nuovo stato assoluto di diverso segno. Dopo la tragica epoca dell’ingiustizia della legge, con le leggi razziali italiane e tedesche degli anni ’30 del Novecento, si è compreso che il diritto e la giustizia dovevano tornare a dialogare, e che il diritto e la morale dovevano gravitare su orbite distinte, ma non del tutto distanti e separate.

Piero Calamandrei diceva: “Non bisogna scoraggiarsi. Non bisogna ? solo perché nei periodi di generale turbamento sociale anche i giudici soffrono di queste incoerenze ? cessare di avere fiducia nella giustizia“. Siamo negli anni ’50 del secolo scorso, quando questi pensieri erano annotati sotto il titolo «Crisi della motivazione». Ma oggi non hanno perso di attualità: sia pure con le evidenti differenze, anche oggi siamo in presenza di un “trapasso storico” e di un “generale turbamento sociale“, con un conseguente dissidio tra legge e giustizia, che si scarica essenzialmente su quest’ultima, nonché sulla motivazione dei suoi provvedimenti, principale veicolo di legittimazione della giustizia stessa. La motivazione sarà, infatti, il luogo, lo strumento, il momento della trasparenza, del rendere conto, e della coerenza della decisione adottata (per lo più prima della motivazione).

Mentre la “crisi della motivazione“, riflesso del dissidio tra legge e giustizia, condurrà, in alcuni casi, a motivazioni in aperto contrasto con il dispositivo.

Barbara de Munari

 

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ETICA SUI RAPPORTI SOCIALI SECONDA PARTE

 

Con attenzione ancora maggiore va condotto, oggi, il confronto della ideologia e dei programmi politici marxisti con la dottrina evangelica e cristiana. Questo è infatti un problema di viva attualità. Esso abbraccia anche la questione del comunismo e dei partiti in cui esso prende corpo, e dei regimi “socialisti” che si ispirano e sono coerenti col marxismo.

 

 

ESSENZA DEL MARXISMO

 

Come scriveva Pio XI, “assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo”.

“Il comunismo è la pura dottrina, è il puro movimento marxista”: era la definizione data dalla Piccola Enciclopedia del Socialismo e del Comunismo. Non è mai stata cambiata questa definizione, nonostante i ripetuti tentativi dei dirigenti comunisti dei paesi occidentali (non ancora al potere), di distinguere tra la milizia degli iscritti al partito e la loro fede religiosa o filosofica.

E il marxismo non era una astratta teoria filosofica, nè un semplice metodo storiografico, e neppure un limitato corpo di dottrine economiche e politiche ma una completa concezione del mondo poggiate sul materialismo dialettico e storico in cui questi elementi sono presenti e organicamente fusi.

Si hanno dunque nel comunismo: un fondamento, il materialismo dialettico e storico; le parti integranti, la teoria filosofica, il metodo storiografico, le dottrine economiche e politiche; il risultato della fusione organica, una completa visione del mondo. Il marxismo infatti pretende di spiegare il mondo (compreso l’uomo): la sua origine, le sue leggi, la sua intima natura, il suo ultimo fine.

Anche a prescindere dalle teorie filosofiche più astratte e si può dire astruse che ne sono il fondamento, basti osservare che il comunismo aveva la sua anima nel materialismo storico, il quale interpretava la storia per mezzo del materialismo dialettico. L’evoluzione della materia, dei viventi, dell’uomo, è la conclusione per tappe della lotta interna della materia in continua progressione da un piano inferiore a uno superiore; evoluzione a “spirale ascendente”. Marx insisteva, soprattutto, nel sostenere che il meccanismo della dialettica aveva ugualmente luogo nello sviluppo delle società umane. Dall’uomo primitivo che vide accendersi in lui la prima scintilla dell’intelligenza, agli uomini civilizzati di oggi, la razza umana è stata costruita a poco a poco dalla dialettica che pervade il cosmo. La comparsa dell’intelletto ha avuto come risultato una accelerazione del processo di cambiamento, perché ha introdotto una nuova spinta e un nuovo potenziale (azione riflessa e, dopo Marx, coscientemente diretta) nelle forze in conflitto nella lotta che è l’essenza dell’universo umano, come di quello materiale. Di fase in fase, l’uomo ha creato strumenti di produzione, ha esteso le sue relazioni sociali. Così è giunto, attraverso il “comunismo primitivo” l’orda, l’antica società schiavista, il feudalesimo, la borghesia, fino al capitalismo e al periodo moderno. E’ ora all’ultima soglia, prima della finale conquista sociale delle forze produttive, ultimo passo per la totale liberazione dell’uomo (risultato finale della dialettica della materia) da tutte le contingenze e da ogni forma di servitù. In breve, secondo i teorici marxisti, il significato del divenire dialettico, e quindi il significato e lo scopo della storia, è il dominio della storia, è il dominio delle forze della natura, da parte dell’uomo, che è un intelletto prodotto dalla materia. Tutta l’azione storica del partito comunista è generata da questa concezione fondamentale.

 

 

OPPOSIZIONE AL CRISTIANESIMO

 

Notiamo subito che anche il Cristianesimo è una completa concezione del mondo e dell’uomo, di cui spiega l’origine, la natura e l’ultimo fine. Ora il comunismo si basa sul materialismo dialettico e storico: una concezione del mondo limitata alla terra ed alle leggi intrinseche della materia. Il Cristianesimo si basa su due verità fondamentali, che la ragione e il consenso dei popoli hanno sostenuto: cioè che Dio esiste (e tutto procede da lui), e che egli è il rimuneratore dei buoni, cioè l’origine della legge morale ed il fine ultimo del mondo e dell’uomo; e su una verità storica incontrovertibile: la rivelazione, completata e culminata nella venuta del Figlio di Dio sulla terra, dove è vissuto, ci ha redenti con la sua morte, è risorto ed ha fondato la Chiesa per continuare la sua opera.

Tra le due concezioni non c’è un solo punto di contatto. Sono due mondi diversi, antitetici. E’ chiaro che per il cristiano non vi può essere alcuna alleanza col credo comunista, alcuna accettazione nemmeno parziale né della sua filosofia né delle linee di azione dei suoi aderenti. Dati i suoi punti di riferimento, la sua fede nella connessione e interpretazione di tutti i processi, la interdipendenza di tutti i fenomeni, e la sua insistenza nel sostenere che le attività spirituali dell’uomo non sono che il riflesso di fenomeni sociali ed economici, il cristiano non può accettare né agire secondo uno solo di questi aspetti, per esempio le tesi socioeconomiche, senza contribuire a promuovere il tutto. In breve, senza aiutare la causa ateistica.

 

Di più – questo ha importanza in modo speciale per il cristiano -, si tratta di una causa “messianica”. Giacchè il messianismo penetra in profondità nella coscienza del marxista, ed è parte essenziale della dottrina stessa del materialismo storico. Perciò i suoi seguaci sono indotti a credere di stare “dalla parte della storia”, di essere “gli strumenti consci del processo storico dialettico”, e di identificarsi con le stesse leggi che governano l’intero universo materiale. Essi dunque, più di ogni altro, hanno il diritto di modellare le menti e di offrire una risposta ad ogni problema.

Applicata alla religione, la dottrina del materialismo storico porta alla seguente situazione: è necessario nello stesso tempo attaccare le organizzazioni religiose, cercando di impadronirsi del loro controllo e svuotare la religione come frutto di ignoranza, attraverso l’educazione scientifica, sociale e politica dei suoi seguaci. In questo modo si spezzano le “sovrastrutture religiose”, accelerando il processo di cambiamento di moto.

 

 

ELEMENTO POSITIVO DEL SISTEMA IDEOLOGICO-POLITICO MARXISTA

 

Indubbiamente in questo farraginoso sistema una parte di verità c’è, riconosciuta anche dalla Chiesa, e consiste nell’intento di migliorare la sorte delle classi lavoratrici, togliere gli abusi reali prodotti dall’economia liberale, ottenere una più equa distribuzione dei beni della terra e, possiamo aggiungere, aspirare a una maggiore intesa e fusione internazionale. C’è, nel programma politico del marxismo, l’assicurazione dei beni materiali per tutti. C’è un sogno di perfetta giustizia sociale, capace di attrarre molti uomini che non cercano il loro personale interesse, bensì un ordine migliore, E’ per questo che il programma politico marxista esercitò un suo particolare fascino su molte intelligenze e sulle masse, non ancora piegate dalla forza bruta. Ma, come diceva il capo comunista ungherese Laszlo Rajk, impiccato dai suoi compagni nel 1949, si tratta di “un fondo di verità affogato in un diluvio di menzogne”. La tanto decantata “dialettica” non era che un nuovo termine per denotare cose molto antiche.

In realtà il sistema marxista si presenta come un blocco monolitico, sicché non si può dissociare, come pensano alcuni ingenui il programma economico-sociale, d’altra parte tanto discutibile, dalla dottrina filosofica. Un Accurato studioso del marxismo, il Ducatillon, ha scritto “E’ impossibile essere comunisti socialmente senza essere tali filosoficamente, proprio come non si può essere cattolici facendo astrazione dal dogma, per ritenere soltanto l’insegnamento sociale della

 

 

LATI NEGATIVI

 

Dal punto di vista filosofico, il marxismo è un cumolo raccogliticcio di filosofie, ormai da tempo superate, del sette-ottocento, come l’economia e la sociologia di Marx, sono nate nell’ambiente, che oggi è soltanto un ricordo, della Germania, della Francia e dell’Inghilterra -le tre nazioni in cui visse l’agitatore di Treviri-, così la sua filosofia risente dei pensatori del tempo, Hegel, Feuerbach, e Darwin. Anche un dilettante di storia della filosofia sa bene che il distacco da questi maestri avvenne per opera degli stessi discepoli e oggi non esiste filosofo serio che si riallacci direttamente.ad essi.

Del resto sana ragione rifugge dalla riduzione della realtà alla sola materia. E’ possibile che esista lo spirito senza materia. Ma l’esistenza della materia senza lo spirito è un assurdo, per il semplice motivo che la materia non può avere il suo principio in se stessa, anche si tratta di materia dotata, come affermano gratuitamente i marxisti, di “autodinamismo”. Proprio perchè dialettica, il continuo ed inarrestabile cambiamento, la materia ha bisogno di una causa non materiale, che noi chiamiamo spirito. Il monismo rigoroso e inflessibile di Marx è contro la realtà. Affermare la esistenza della sola materia significa, filosoficamente declassarla.

Del resto la poca dimestichezza del marxismo con la filosofia, quindi con la sana ragione, si rileva dal fatto che esso è intrinsecamente incoerente. Mentre attraverso il processo dialettico afferma che tutto cambia, che niente è fisso, esso vuole arrivare al comunismo come allo stadio finale.

Logicamente anche il comunismo, se venisse realizzato, si porrebbe come tesi, e verrebbe, quindi superato da una antitesi per comporre una ulteriore sintesi. Ma su questo punto i marxisti sfuggono alla discussione, o cercano delle soluzioni in una nuova dialettica nell’ambito della società comunista (Stalin, Mao-tse-tung).

Il colmo, che dimostra meglio la mostruosità filosofica del marxismo, si ha nella negazione del principio di non contraddizione per cui ogni sistema che si afferma come vero nega la verità del contrario (altrimenti quella stessa affermazione non avrebbe senso). Il principio di identità quale supremo principio del reale (che l’essere sia identico a se stesso), coincide col principio di non-contraddizione (che non si possa contemporaneamente affermare e negare la stessa cosa sotto il medesimo aspetto). Ora la dialettica marxista pretende innestare la contraddizione nella costituzione stessa dell’essere.

Ma più che a livello filosofico (o anche teologico), la critica al marxismo e ai sistemi sociopolitici che ne derivano va fatta dal punto di vista economico e sociale, perché questo è il territorio su cui il socialismo “scientifico” ha preteso impiantarsi.

 

Dal punto di vista economico, notiziamo anzitutto che la critica che Carlo Marx fa del regime capitalista non è scientifica. Accanto a intuizioni, parzialmente giuste, vi si rilevano troppe approssimazioni, identificazioni semplificatrici apriorismi filosofici. Economisti di gran nome contestano la teoria del valore-lavoro e l’applicazione di essa alla merce-lavoro. Ci sono altre sorgenti di plusvalore in un sistema che non è mai in equilibrio, come i progressi e le innovazioni tecniche.

Inoltre Marx, partendo dal principio dell’impossibilità di eliminare le due barriere costituite dal “tempo” e dallo “spazio”, per raggiungere l’equilibrio fra la domanda e l’offerta, costruisce la sua teoria socialista, secondo la quale il solo mezzo per giungere al regolamento dell’economia è il controllo esercitato dagli organi governativi. Ora i mezzi tecnici odierni, sfruttati pienamente, sono in condizioni di vincere le barriere del tempo e dello spazio, dotando il mondo di una rete amplissima di vie di comunicazione e di trasporto. Gli schemi di Marx “sono oggi null’altro che delle dottrine sorpassate, che potevano essere di moda nel secolo XIX.

Infine la insufficienza della dottrina economica marxista si può rilevare sia dalla tendenza del socialismo moderno, verso il capitalismo, sia dalle conseguenze del suo sistema economico.

La tendenza verso il capitalismo si può rilevare dai seguenti fatti: distribuzione dei salari secondo la natura e la portata dei servizi, senza tener conto del valore del tempo di lavoro del contributo dei singoli alla produzione; concorrenza fra gli enti incaricati delle vendite; iniziativa individuale e profitti nelle aziende agricole collettive; accumulo di capitali e loro uso da parte dei privati; diritto di eredità della proprietà personale concesso dalla costituzione; aumento sempre crescente della diversità di reddito fra i vari gruppi; creazione di nuove classi sociali; affari internazionali trattati sulla base capitalista ,ecc.

Le conseguenze del sistema economico marxista ci dicono che, nonostante parziali successi in alcuni settori, nonostante l’impulso di industrializzazione, il livello di vita, dove si applica questa teoria, è ancora ben lontano da quello medio delle nazioni occidentali più progredite.

 

Dal punto di vista sociale, non si può ignorare che il marxismo, tradotto nel comunismo, disgrega i fondamenti del retto ordine sociale, quali la proprietà privata, la famiglia, il bene comune.

Della proprietà privata, almeno per quanto riguarda i mezzi di produzione, nega il diritto: diritto naturale, cioè voluto dal concetto stesso di uomo per la conservazione e lo sviluppo di una vera personalità umana. Se il comunismo, in linea di fatto, ha dovuto scendere, in proposito, a qualche parziale ed insignificante concessione, ciò dimostra quanto esso sia contro natura.

Le medesime osservazioni si possono fare riguardo alla famiglia. Marx respinge il matrimonio tradizionale, considerandolo una forma di proprietà privata, e, come tale, una degradazione, perchè disumanizzante. L’ istituzione familiare, come il diritto sul quale è obiettivamente fondata, fa parte della sovrastruttura della società e dipende dalle strutture economiche.

Il bene comune, infine, è annullato dal marxismo, che finisce non solo nel disordine, ma anche nel dispotismo e nell’oppressione. “Non più sfruttatori nè sfruttati” è il grido della guerra immediata e il miraggio della pace futura.

Ma il comunismo una volta arrivato al potere, al posto della classe dei capitalisti crea le categorie dei capi, dei funzionari statali, dei poliziotti, e al posto della classe proletaria la categoria di coloro che devono solo obbedire.

Dal punto di vista che potremmo dire umanistico, visto che si è parlato tanto di “umanesimo marxista”, come proposta di realizzare “l’uomo totale”, possiamo riconoscere l’attrazione ma non senza far notare l’ambiguità di questo progetto di fare dell’ uomo il soggetto, e nel medesimo tempo l’ oggetto ultimo dell’ azione, il suo stesso prodotto anche quando essa sembra produrre degli oggetti esteriori: “l’uomo totale” è il soggetto vivente, dapprima dilaniato, dissociato e incatenato alla necessità e all’astrazione. Attraverso questo spazio egli va verso la libertà: diviene natura, ma è libero.

Diviene totalità come la natura, ma dominandola.

Qui non dobbiamo discutere l’insieme delle tesi soggiacenti a queste affermazioni. Notiamo tuttavia con Hyppolite che la produzione marxista dell’uomo mira ad essere, malgrado certe espressioni troppo oggettiviste di Marx, l’Assoluto che è Soggetto, cioè l’uomo divenuto universale, il Dio che si fa lui stesso, invece che un Dio contemplato in un cielo lontano. “L’ uomo si appropria del suo essere universale in maniera universale, dunque lo fa in modo totale” (Marx). Ma in conclusione si arriva a questo, che l’uomo comunista diviene “quel capitale più prezioso”, di cui parlava Stalin; una realtà umana subordinata ai valori dell’economia e al dominio del potere, spesso persino al terrore. La storia marxista conduce fatalmente non al rispetto della persona umana, ma al suo disprezzo.

L’uomo totale vero consiste nella persona umana considerata in tutti i suoi aspetti, di corpo (materia), di spirito (non materia), e per i cristiani, di figliolanza divina (soprannaturale). Il marxismo teoricamente considera l’uomo solo sotto l’aspetto di materia (l’uomo economico), e in pratica non fa che devastare la sua vita spirituale e fisica.

Le uccisioni in grande stile, le deportazioni, gli internamenti operati dai regimi comunisti in tutti i paesi da essi dominati, e che costituiscono la più colossale offesa all’ uomo della storia derivano da quella falsa concezione materialistica dell’uomo mutilato dei suoi valori più alti e anzi svuotato del suo significato personale.

Ma si badi: lo spettacolo orrendo delle soppressioni e delle oppressioni fisiche impallidisce davanti allo spettacolo, davvero mostruoso delle stragi di ordine spirituale, delle devastazioni delle coscienze, delle costrizioni, torture, umiliazioni di ordine spirituale, della massificazione intellettuale e morale dell’immenso gulag dello spirito a cui si cercò di ridurre intere nazioni. Il marxismo rappresenta il tentativo più colossale e più riuscito di quella uccisione di anime, di cui Gesù diceva “Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima” /Mt. 10,28).

 

Dal punto di vista dell’etica umana e cristiana, bisogna affermare senza esitazioni che il marxismo è profondamente, essenzialmente immorale.

Nell’intento di rimediare a molte innegabili ingiustizie commesse verso le classi più povere, è pur sempre immorale calpestare diritti non meno reali di quelli dei poveri e operare il sovvertimento ingiusto di tutte le posizioni acquisite.

E’ immorale l’essenziale totalitarismo, che sopprime ogni voce, non consente la discussione con nessun altro punto di vista, elimina qualsiasi opposizione, costringe le persone all’abdicazione dei loro fondamentali diritti in mano allo Stato. Nè finora si hanno prove di un cambiamento reale di questo sistema di governo, nonostante qualche segnale degli ultimi tempi su di una “ristrutturazione” e una “trasparenza” che però attendono conferme istituzionali per poter essere ritenute fatti di rilievo storico e morale.

Del resto è essenzialmente immorale lo stesso principio-base del marxismo che giudica ogni violazione delle leggi morali: la relatività della verità e, quindi della morale.

Il concetto di bene e di male è legato al bene dello Stato o del partito: è bene ciò che giova al partito, anche la soppressione di vite e l’oppressione dei popoli; è male ciò che al partito, considerato norma suprema di moralità, non giova. Di qui l’assoluta mancanza di controllo, di freno, in qualsiasi periodo del processo dialettico della società. Perciò Pio XI, nell’ enciclica Divini Redemptoris, definiva il comunismo ateo come “intrinsecamente perverso”.

 

Dal punto di vista religioso, infine, si deve osservare che il comunismo sostanziato dall’ateismo marxista, finchè non se ne libera totalmente, e non solo a parole, ma nella realtà delle sue posizioni ideologiche e delle sue scelte politiche, da una parte assomma tutti gli errori antireligiosi delle filosofie precedenti: materialismo, laicismo, idealismo, agnosticismo, razionalismo, dall’ altra si presenta esso stesso come sostituto della religione. Anzi si deve dire di più: fa dell’ateismo militante una religione. Basta leggere l’opuscolo di Lenin sulla religione, dove si vede che cosa pensa il marxismo su tale materia e quale metodo insegna per la lotta antireligiosa.

L’ attacco più violento il comunismo lo riserva alla religione cattolica. Qualunque siano le professioni o promesse di rispetto di alcuni uomini, forse sinceri, nei confronti della Chiesa, per il sistema vale tuttora ciò che aveva scritto Pio XI nella enciclica Divini Redemptoris: “insistendo sull’aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono tra le diverse classi della società, e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l’aspetto di una crociata per il progresso dell’umanità. Invece tutte le forze, quali che esse siano, che resistano a quelle violenze sistematiche, debbano essere annientate come nemiche del genere umano”. Tra queste forze nemiche è al primo posto la Chiesa cattolica, per la chiarezza e coerenza delle sue posizioni, per la sua diffusione in tutto il mondo, per la sua libertà dai condizionamenti nazionali e razziali, per la sua organizzazione unitaria, per la sua esperienza dei secoli. Inoltre la dottrina comunista è in antitesi con quella cristiana, insegnata fedelmente dalla Chiesa, a livello sia teologico-filosofico sia etico-sociale.

Perciò ci spiega la lotta dura e crudele per l’esistenza imposta alla Chiesa dal comunismo; lotta che, si può dire, non ha avuto precedenti dalle origini fino ai giorni nostri.

Come scrive Pio XI nella enciclica Divini Redemptoris, “per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta ed accuratamente preparata dall’ uomo contro “tutto ciò che è divino”. Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come l’oppio del popolo” perchè i principi religiosi che parlano della vita d’ oltre tomba distolgono il proletariato dal mirare al conseguimento del paradiso di questa terra.

Il “paradiso è di là da venire anche per il comunismo. La Chiesa ha ben ragione di non fidarsi delle parole dei comunisti, e di continuare a proporre agli uomini, con Pio XI, la suprema realtà, che è Dio a riaffermare i diritti imprescrittibili della persona umana, i diritti e i doveri della società, a mostrare la saggezza e la attualità della propria dottrina sociale, e a rivolgere il suo appello a quanti credono in Dio, per premunirsi contro le insidie del comunismo, comunque mascherato, e salvare la società umana.

L’ enciclica di Pio XI scritta nel 1937, quando il comunismo non dilagava ancora nell’ Europa, dimostra come quel pontefice vide chiaro nella essenza dell’ideologia e del sistema politico marxista e presagì i suoi futuri sviluppi, fatali per l’umanità.

 

A chiusura di questa esposizione, necessariamente sintetica, sul marxismo e il comunismo, una conclusione, già più volte accennata s’ impone.

 

Il marxismo-lieninismo (e il comunismo) appare come un fenomeno totale. Questo elemento di totalità lo caratterizza in modo che, se è possibile isolare questo o quello dei suoi elementi, questa o quella delle sue analisi, tuttavia, solo situati in questa totalità essi assumono il loro significato. Di conseguenza, non è “battezzato” questa o quella parte del sistema marxista e rettificandolo in questo o quel punto, che sarà possibile cristianizzarlo. Il marxismo sarebbe cristallizzabile solo se lo fosse nella sua totalità. E questo non è possibile. D’ altronde Engels, sin dal 1843 aveva avvertito che non si poteva prospettare un comunismo cristiano che fosse comunismo nel senso inteso da Carlo Marx e da lui stesso.

Tutto ciò vale per il marxismo e per il comunismo impastato di marxismo, oggi come ieri. Non è escluso che essendo gli uomini correggibili e perfettibili più dei loro sistemi, si possono avere anche nel mondo comunista cambiamenti, e persino svuotamenti dall’interno, sia pure con processi lunghi e faticosi.

Don Walter Trovato




Ognuno per sé, Dio contro tutti, altro che Europa…

La tendenza delle nazioni a perseguire principalmente i propri interessi nazionali, anche quando si proclama l’obiettivo del bene comune, è un fenomeno complesso e radicato profondamente nella storia delle relazioni internazionali e la teoria realista delle relazioni internazionali, stigmatizza questo comportamento come intrinsecamente legato alla natura anarchica del sistema internazionale.

In assenza di un’autorità centrale che regoli le interazioni tra gli stati, questi ultimi agiscono in un contesto di auto-aiuto, dove la sicurezza e gli interessi nazionali diventano la massima priorità.

Il realismo sostiene che, anche nelle situazioni in cui viene invocato il bene comune, le nazioni tendono a valutare le proprie azioni principalmente in termini di potere e sicurezza, cercando di massimizzare la propria influenza e minimizzare le vulnerabilità.

D’altra parte, la teoria liberalista offre una visione leggermente diversa, enfatizzando il ruolo delle istituzioni internazionali, del commercio e della democrazia nel mitigare l’egoismo nazionale.

Secondo questa prospettiva, anche se le nazioni sono motivate dai propri interessi, la cooperazione internazionale e le reti di interdipendenza economica possono portare a risultati che beneficiano il bene comune.

Tuttavia, anche all’interno di questo quadro, le nazioni possono cercare di plasmare le regole e le istituzioni a proprio vantaggio, dimostrando come l’interesse nazionale e il bene comune possano essere difficili da conciliare.

La psicologia sociale offre ulteriori spiegazioni, suggerendo che la tendenza a favorire il proprio gruppo (in-group bias) può essere applicata anche al livello degli stati.

Questo bias porta le nazioni a privilegiare i propri cittadini e interessi sopra quelli degli altri, spesso giustificando tali azioni con la retorica del bene comune, anche quando le politiche adottate possono avere effetti negativi sul resto del mondo .

In ogni caso la storia diplomatica fornisce numerosi esempi di come le nazioni abbiano spesso invocato il concetto di bene comune per giustificare azioni che, in realtà, erano guidate da motivazioni egoistiche.

Questo non significa che il bene comune non possa mai essere un obiettivo sincero, ma piuttosto che la sua invocazione deve essere esaminata criticamente, tenendo conto dei contesti storici e geopolitici specifici.

Questo dovrebbe essere un dovere dei giornalisti, che sarebbero sempre tenuti a fare un’analisi critica delle dichiarazioni degli stati.

 

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Così oggi ci racconta il nostro amico IGNOTO UNO:

 

Gli Stati Uniti a guida Biden assecondati dai leaders europei, Commissione in testa, assai poco attenti al futuro dei propri popoli e molto di più alle logiche di potere di certi ambienti finanziari, erano, almeno ufficialmente, certi di riuscire a far terminare l’autarchia di Vladimir Putin ed a ricondurre, attraverso la sostituzione di questi, la Federazione Russa all’interno del sistema dagli stessi creato per garantirsi il controllo dell’occidente tutto, in pochi mesi, attraverso la guerra in terra di Ucraina.

Operazione politica, a dire il vero, che prendeva inizio già nel 2014, Obama alla Casa Bianca, con la Rivoluzione Ucraina contro il presidente Victor Janukovyč.

Rivoluzione evidentemente “facilitata” da chi allora governava a Washington.

Victor Janukovyč, leader politico filo russo, che, nel 2010, aveva vinto le elezioni battendo Julia Tymosenko che, al contrario, teneva stretti legami con l’occidente.

Tymosenko era colei che, infatti, dichiarava già nel 2008 “la vittoria di Obama ci ispirerà, le capacità di Obama sono ciò di cui il mondo ha bisogno”.

Queste “capacità” il mondo le ha potute vivere sulla propria pelle.

Le tante, troppe, “rivoluzioni democratiche” e il trasbordante desiderio di “esportare la democrazia” dello stesso Obama hanno, oggi lo vediamo e subiamo assai bene, devastato molte regioni del mondo.

Tornando alla martoriata terra ucraina, non possiamo che, sconsolati noi che crediamo nella vita e nella pace, prendere atto che sono passati due anni dal giorno in cui iniziò la,così la hanno denominata al Cremlino, Operazione Speciale, era il 20 febbraio 2021, e i fatti dicono ben altro rispetto a quanto ci è stato raccontato in questi ventiquattro mesi.

Non fosse tragico sarebbe ilare il discorso alla Camera dei Deputati italiana dell’allora Premier Mario Draghi in cui narrava la “vittoria” dell’esercito ucraino sulle forze militari russe e la devastante crisi finanziaria ed industriale della stessa Federazione Russa.

Ovviamente i media nostrani si guardano bene dal riportare alla memoria degli italiani quelle che i fatti, oggi, non possono fare altro che definire quelle affermazioni, a dire il vero assai assertive, come “baggianate”, tantomeno intervistano il diretto interessato, sempre menzionato come “risorsa” per il futuro europeo, con il fine di chiedergli quali fossero le sue fonti per portarlo ad esprimersi pubblicamente in quel modo così fuorviante per le scelte del Parlamento italiano.

Migliaia di morti e feriti, l’Ucraina completamente distrutta, cinque regioni della stessa saldamente sotto il controllo delle truppe russe, esercito ucraino che deve coscrivere nuovi giovani militari, il Capo di Stato Maggiore ne chiede 500mila, e sta terminando sia le armi che le munizioni.

Questa la drammatica realtà.

Nessun leader politico occidentale parla più di tregua e, allo stesso tempo, chi non ha una propensione alla demagogia ed ha una reale competenza nella strategia militare ritiene oramai certa la vittoria russa.

Oltretutto, ben conscio che il detto “l’appetito vien mangiando” vale sempre, le forze militari russe sembrerebbero oramai pronte a prendere il controllo di tutta l’Ucraina e non solo delle regioni russofone che erano, due anni fa, il reale obiettivo di Putin.

Dazioni economiche a favore del governo ucraino, tredici pacchetti di sanzioni alla Federazione Russa hanno assai impoverito tutti gli Stati Europei e, questo vede chi ha avuto modo di viaggiare all’interno della Russia di oggi, non hanno annichilito ne il potere di Putin, ne il sistema socio economico russo.

Un esempio su tanti, l’Italia nel 2023 ha incrementato l’importazione di grano dalla Federazione Russa per più del 1.000%.

Questo è un fatto, un fatto che andrebbe ben tenuto in evidenza da chi, in democrazia si deve ritenere “pro tempore”, è chiamato a decidere per i popoli occidentali, europei in particolare, compresa la Premier Meloni oggi chiamata a presiedere il G7.

Il pensiero che le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre e quelle europee di giugno impediscano a chi governa di prendere atto che sia necessario cambiare strategia politica è assai forte in molti analisti politici.

Fosse vero questo, temo che nulla accadrà prima del gennaio 2025 e che la guerra in Ucraina continuerà a uccidere e distruggere lasciando al prossimo presidente statunitense, molto probabilmente Donald Trump, il compito di “sanare” questa “metastasi” causata da un pensiero politico ideologico e non pragmatico.

I mesi che ci separano da quel momento incrementeranno la distruzione non solo dell’Ucraina ma anche delle relazioni politiche fra Stati confinanti all’interno, in particolar modo, dell’area geografica europea.

Senza voler menzionare i danni ai sistemi socio economici degli Stati della UE27.

Impossibile non vedere una diretta correlazione fra le scelte politiche in ordine alla guerra in Ucraina degli Stati Europei ed il fatto, esempio simbolo, che la Germania è entrata in recessione.

Putin è un “autarca”? Certamente sì.

Una domanda, sommessa, però, mi sovviene nel pensare al concetto di “autarchia”.

Giorgia Meloni era già nel 2006 vicepresidente della Camera dei Deputati, Matteo Salvini europarlamentare dal 2004, Antonio Tajani europarlamentare dal 1994.

Tre esempi scelti perché al vertice della nostra amata Italia oggi, se vi diverte continuate voi, sia con altri esponenti di destra che di sinistra o del cosiddetto centro.

Una Italia ove i parlamentari sono “nominati” dai leaders dei rispettivi partiti.

Una Italia ove è impossibile a causa delle norme fatte ad arte partecipare alle elezioni con nuove formazioni politiche.

Una Italia ove i media portano alla ribalta, troppo spesso, esclusivamente una, come oggi si suol definire, “narrazione”, quella di chi attualmente comanda.

Non è “autarchia”, anche, questa?

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” si legge nel Libro.

Ognuno, se amante della libera democrazia, se amante del pensiero logico che prevede che chi vince le elezioni rimanga conseguente al programma che ha proposto in campagna elettorale nella propria azione di governo, sarà libero, se lo vorrà, di riflettere su questa suggestione.

In fondo gli immensi filosofi ateniesi insegnarono, a chi li ha approfonditi sul serio, che per poter affrontare “l’altro”, prima, bisogna “conoscere se stessi”.

Le nazioni possono affrontarsi, confrontarsi, trovare equilibri, esclusivamente se rispettano se stesse.

Le proprie tradizioni, le proprie origini, la propria cultura.

Putin, esattamente seguendo questa traccia, parla di “area russa”, Zelensky riporta le sue scelte alla sua lettura delle “origini dell’Ucraina”, Trump parla di “America first”, difficile vedere un leader europeo di questi tempi fare altrettanto.

L’Europa, ancor più la nostra amata Italia, è ora che ricordi dove trova le sue radici, magari mettendo queste in mani salde che sappiano rispettarle ….. non solo a parole.

Ignoto Uno

 

 

DOSSIER UKRAINA: TOP SECRET




Se usi questa salsa potrai volare!!!!

Riportiamo una giusta domanda che si pone oggi ETTORE LEMBO NEWS, ovvero:

dove vogliamo arrivare?

https://tinyurl.com/yc4ds6y9

 

L’utilizzo di un messaggio popolare ma fuori contesto per la finalità che si vuole ottenere pone l’accento su un tema oggi quanto meno fondamentale: la questione della pubblicità fuorviante.

Questo tema si annida profondamente nelle riflessioni etiche e nelle prassi commerciali, costituendo un terreno di dibattito cruciale per l’integrità del mercato e la protezione dei consumatori.

Quando un messaggio pubblicitario viene considerato fuorviante, ci si riferisce alla sua capacità di indurre in errore attraverso informazioni false o presentate in modo tale da ingannare il ricevente, portandolo a compiere scelte non consapevoli o non pienamente informate.

Questa pratica non solo mina la fiducia tra consumatore e aziende ma solleva anche questioni significative riguardo l’etica commerciale e la responsabilità sociale d’impresa.

Dal punto di vista economico, la pubblicità fuorviante distorce il meccanismo di mercato basato sulla concorrenza leale e sull’informazione.

Nel mercato ideale, i consumatori fanno scelte basate su informazioni accurate e complete, permettendo così una distribuzione efficiente delle risorse e una concorrenza basata sulla qualità e sul valore dei prodotti.

La disinformazione, al contrario, causa una “falla di mercato”, dove i consumatori sono indotti ad acquistare prodotti o servizi che non rispondono alle loro aspettative o necessità, con conseguente insoddisfazione e potenziale danno economico.

Sul piano sociale, la pubblicità fuorviante erode la fiducia dei consumatori non solo nei confronti delle singole aziende ma dell’intero sistema commerciale.

In un’era caratterizzata da una crescente sensibilizzazione sui diritti dei consumatori e sull’importanza della trasparenza, pratiche pubblicitarie ingannevoli possono avere un impatto negativo sull’immagine e sulla reputazione delle aziende, generando un clima di sfiducia che va oltre il singolo atto di acquisto.

Questo può portare a una maggiore regolamentazione da parte delle autorità pubbliche, con l’introduzione di normative più stringenti sulla pubblicità e sul marketing.

Dal punto di vista etico, la pubblicità fuorviante solleva questioni fondamentali sulla responsabilità delle aziende nei confronti dei loro stakeholder, inclusi consumatori, società e ambiente.

Nel contesto della responsabilità sociale d’impresa, le aziende sono chiamate a operare non solo con l’obiettivo di massimizzare il profitto ma anche di contribuire positivamente al benessere della società.

La pratica di diffondere messaggi pubblicitari ingannevoli si pone in netto contrasto con questi principi, poiché manifesta un disinteresse verso l’integrità e il benessere del consumatore, privilegiando invece l’obiettivo di massimizzazione delle vendite a breve termine.

Dal punto di vista pedagogico, l’educazione al consumo critico rappresenta un aspetto fondamentale nella formazione dell’individuo moderno.

In un’epoca caratterizzata da un bombardamento continuo di messaggi pubblicitari, è essenziale sviluppare competenze critiche che permettano di analizzare, valutare e comprendere i messaggi pubblicitari, distinguendo quelli affidabili da quelli fuorviante.

Questo approccio pedagogico non solo prepara l’individuo a difendersi dalle pratiche commerciali ingannevoli ma promuove anche un consumo più consapevole e responsabile, in linea con i principi di sostenibilità e di etica.

In conclusione, la gravità di diffondere un messaggio pubblicitario fuorviante risiede non solo nelle sue immediate conseguenze economiche e sociali ma anche nelle sue ramificazioni etiche e pedagogiche.

La lotta contro la pubblicità ingannevole richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga legislatori, aziende, educatori e consumatori, ciascuno con il proprio ruolo nella promozione di pratiche commerciali etiche e trasparenti.

La realizzazione di un mercato basato sulla fiducia e sull’integrità non è soltanto un obiettivo etico ma una necessità pratica per lo sviluppo sostenibile dell’economia e della società.




Biden: Putin? un pazzo figlio di puttana…

Epiteti dei “potenti” o presunti tali, alla faccia della diplomazia!

Viene riportato dalla stampa che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, durante un evento elettorale a San Francisco, avrebbe dichiarato che “Dobbiamo occuparci di un pazzo figlio di puttana come Putin e preoccuparci della guerra nucleare, ma la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico”.

Premesso che se il governatore della Regione Campania apostrofa con la parola “stronza” la Premier italiana i commenti sono al calor bianco e se il presidente degli Stati Uniti da del “figlio di puttana” al presidente russo non accade praticamente niente, questa volta, è da tempo che non succede, al netto dell’insulto assai gratuito alla signora Putin, fatto ancor più grave e politicamente sconveniente dell’epiteto contro la Premier italiana, Biden, suo malgrado, dice qualcosa di interessante.

Dice, infatti, che “la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico” mentre si rischia la guerra nucleare, lasciando così intendere che i normali cittadini non hanno chiaro quali debbano essere le reali priorità del momento.

Di questo possiamo incolpare i media?

Certamente sì.

Questo accade quando gli interessi e la ideologia dominano sulla famosa “notizia”.

Biden dice, questo a me sembra, che il “cambiamento climatico” è un tema “secondario” di fronte al rischio imminente di catastrofe nucleare.

Dice che il mondo è sul limite di una guerra nucleare!

Il Presidente Biden afferma questo e, al posto di costruire un percorso di pace basato su un accordo di moratoria sulle armi nucleari, chiede al Congresso Statunitense ulteriori somme per armare l’Ucraina e stimola l’Unione Europea a fare altrettanto.

Difficile comprendere la sua logica.

Difficile soprattutto allorquando gli esperti militari non sono così convinti che la Russia stia perdendo la guerra.

Ne quella militare, ne quella socio economica.

I quotidiani italiani del 22 febbraio riportavano il paradosso delle enormi importazioni di grano che la nostra industria sta facendo dalla Russia, sopra il 1.000% in più degli anni precedenti.

Ci sarebbe da chiedersi come facciano i russi a “morire di fame” se possono incrementare le loro esportazioni di beni alimentari primari in questo misura.

Altro ilare tema è quello delle sanzioni.

Per comprendere quanto siano ridicole consiglio di passare un bel week end culturale a Mosca o a San Pietroburgo.

Troverete negozi pieni di merci occidentali.

Troverete gente che vive esattamente come prima della guerra in Ucraina e che si lamenta dell’inflazione esattamente come sono costretti a fare gli occidentali.

Troverete gente che ti chiede perché non si siedono tutti i potenti ad un tavolo per costruire una pace duratura esattamente come lo chiedo io e la maggioranza degli italiani.

Troverete gente che vorrebbe tornare a poter viaggiare a prezzi accessibili e senza dover fare il giro del mondo perché mancano le rotte, esattamente come facevano prima della guerra, esattamente come vorrebbero riprendere a poter fare gli occidentali tutti.

Statunitensi, europei e russi, quelli del cosiddetto ceto medio, si sono stancati di vivere male perché pochi potenti vogliono arricchirsi attraverso questa guerra.

Molti si chiedono se tutti quei soldi di cui si sente tanto parlare arrivano veramente in Ucraina o prendano altre direzioni, magari quelle dei paradisi fiscali e bancari.

Sarà, forse, per queste domande che quasi la metà degli italiani vorrebbe rivedere il Presidente Donald Trump alla Casa Bianca, quando c’era lui vivevamo tutti bene ed in pace.

Per fortuna, questo sembrerebbe proprio, sta tornando.

Sabato parlerà al CPAC in Virginia, qualcuno pensa che inizierà a dettare la linea, certamente lo ascolteranno molte delegazioni straniere, alcune capiranno che il mondo di oggi non prevede il tenere i piedi in tutte le staffe.

Ignoto Uno

 

 

da ettorelembonews




Critica artistica: il suo significato

 

Per critica artistica si intende comunemente la riflessione dei critici d’arte più eminenti, come oggi Paolo Battaglia La Terra Borgese (in foto), Achille Bonito Oliva, Paolo Levi, Vittorio Sgarbi sull’opera dell’artista per determinarne il valore assoluto, l’individualità fantastica e per stabilire i motivi storici, pratici e contingenti, quando essa non assurge a valore, d’arte.

Comunque l’esigenza dell’autonomia dell’arte come espressione o linguaggio degli artisti, distinta dalle altre attività dello spirito è conquista moderna: nelle epoche precedenti l’arte fu limitata da pregiudizi che la subordinarono a fattori estranei alla sua natura.

Essa fu ritenuta ad es.: imitazione della natura, legata alla verisimiglianza, per cui spesso arte e abilità tecnica coincisero; espressione pedagogica e moralistica, con conseguente scala di valori di contenuto (teoria dei generi e dei sottogeneri); edonistica riproduzione del bello fisico in forma sensuale; idea del bello astratto, che alcuni popoli ebbero la fortuna di attingere, da cui il concetto parabolico dell’arte e la persuasione di irrimediabile decadimento di determinati periodi.

Questi pregiudizi portarono logicamente all’esclusione e al rigetto di interi periodi artistici che non potevano essere compresi in sì rigide determinazioni. Mancò cioè agli antichi il concetto di sviluppo storico e di libertà autonoma dell’opera d’arte ed essi non compresero mai la pienezza espressiva delle singole opere d’arte.

Il mondo greco infatti fu dominato dalla teoria dell’arte come imitazione della natura, di cui i due più grandi filosofi greci, Platone e Aristotile, gettarono le basi, il primo negando l’arte proprio perché imitazione di una natura già imperfetta, il secondo ammettendola come rappresentazione del verisimile idealizzato nei tipi delle cose; a tali teorie si aggiunsero concezioni edonistico-pedagogiche, che accentuarono il carattere intellettualistico dell’arte in età classica.

Ci rimangono tuttavia trattati tecnici, come il «Canone» di Policleto (V sec. a. C.), biografie d’artisti e descrizioni letterarie di opere d’arte nelle quali appaiono talvolta acute osservazioni critiche. Biografie di Duride Samio (IV sec. a. C.), di Senocrate di Sicione (III a. C.), descrizioni di Luciano di Samosata (II d. C.), di Pausania (II d. C.) e di Filostrato (III d. C.).

A Roma si ripetono senza sostanziale originalità i motivi teorici greci con accentuazione del carattere pedagogico. Vitruvio (I sec. a. C.) nel «De architectura» considera l’euritmia come valore estetico dei monumenti derivando il termine dei Greci. Plinio il Vecchio nel 37° libro della «Naturalis Historia» riprende il concetto dell’arte come imitazione della natura e traccia un profilo di biografie artistiche di notevole interesse.

Anche filosofi e letterati ribadiscono, senza approfondire, simili concezioni (Cicerone, Quintiliano, Plinio il Giovane ecc.).

Il Medioevo, pur accettando la concezione intellettualistica dell’età classica, per influsso del neoplatonismo di Plotino (il bello è la partecipazione del pensiero che discende dal divino) trasporta esigenze razionali anche nel processo mistico, poiché ogni attività umana è intesa in servizio di Dio, in una universale spiritualizzazione.

Perciò la concezione dell’arte si fa più libera da limitazioni di carattere naturalistico e sostituisce alla forma e al disegno, cari al classicismo, l’esaltazione del colore e della linea in tutti i suoi aspetti; ma l’arte è sempre intesa come mezzo educativo e pratico. Spunti e sporadiche annotazioni di critica d’arte si trovano in S. Agostino (sec. IV) e in S. Tommaso (sec. XIII). Tuttavia nessuna opera sistematica appare in questo periodo; solo ricettari (Teofilo sec. XII), enciclopedie e trattati di ottica (Witelo sec. XII), e tecnici (Vìllard de Honnecourt sec. XIII).

Col sec. XIV appaiono chiari segni di una concezione dell’arte rinnovantesi: Cennino Cennini in un suo trattato tecnico della pittura, il «Libro dell’arte», riporta il disegno in onore accanto al colore, in ossequio alla tradizione giottesca.

Nel sec. XV L. B. Alberti (Trattati sulla pittura, scultura, architettura) riafferma che l’arte è opera della ragione e di norme scientifiche, quali la prospettiva e si ispira ad una bellezza armonica di tipo naturalistico; la forma e il disegno tornano a prevalere; anche Leonardo nel suo trattato sulla pittura considera l’arte secondo forme tecniche e scientifiche.

Solo nei «Commentari» del Ghiberti appare un tentativo di valutazione critica degli artisti dell’antichità e del periodo gotico di notevole interesse.

Nel sec. XVI Giorgio Vasari nelle sue «Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti» afferma il concetto di un progresso dell’arte risorta con Cimabue e giunta a splendida insuperabile maturità con Michelangelo e destinata quindi a certa decadenza dopo di lui: l’arte inoltre è intesa come disegno e forma: di qui l’affermazione della superiorità dell’arte toscana. A tale affermazione i difensori del colorismo veneziano, P. Aretino, L. Dolce, P. Pino insorgono con minor rigore normativo ma con vigoroso senso della validità della pittura di colore; essi sostengono il diritto di affrancamento dall’ordine razionale del disegno toscano e rigettano ogni proporzione astratta.

Nei loro trattati di architettura Serlio, Palladio, Vignola tornano alla concezione di Vitruvio, con scopi pratici ben dichiarati. Si sviluppa inoltre nel sec. XVI la concezione pseudocritica dei manieristi, che propugnano l’imitazione dei motivi tecnici dei grandi maestri del secolo; G. P. Lomazzo, ad esempio, formula un programma di vigilato eclettismo, che sarà poi teorizzato all’inizio del sec. XVII dall’Accademia degli Incamminati di Bologna con i fratelli Carracci, la cui importanza storica è grande per la comprensione dell’accademismo e dell’eclettismo dei sec. XVII e XVIII. Nella loro scia si muovono i biografi secenteschi d’artisti come il Passeri, lo Scannelli, lo Scaramuccia ecc.: sulle orme del Vasari muove invece F. Baldinucci.

Contro la concezione Vasariana nelle sue «Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni» insorge G. P. Bellori, assertore dell’imitazione dell’antichità classica e precursore del neoclassicismo: egli giudica Raffaello unico erede del verbo classico nel sec. XVI; esalta Poussin come il miglior pittore del suo tempo, ignora Caravaggio.

In Francia tal principio classicistico è sostenuto dal Felibien e dal Le Brun, teorici dell’Accademia di Francia. Anche il moralismo cattolico della Controriforma ha i suoi teorici (ad es. i Card. Paleotti e Borromeo).

Reagiscono alle pastoie accademiche il veneziano M. Boschini e il francese R. De Piles esaltando il colore contro la forma e i moderni contro gli antichi; la polemica sfocia in Francia nella famosa querelle des Anciens et des Modernes.

Il sec. XVIII vede per la prima volta affermata l’autonomia dell’arte in una nuova scienza; l’estetica ad opera del tedesco Baumgarten; in Italia G. B. Vico afferma l’essenza dell’arte come fantasia; in Francia il Diderot esalta il sentimento come espressione dell’arte in saggi e nelle recensioni dei Salons in cui egli esprime una critica spigliata e geniale anche se un po’ superficiale.

Le idee accademiche del secolo precedente continuano invece in Italia nel Ciocchi nel Bottari nell’Algarotti e finiscono nell’imponente storia pittorica del Lanzi in cui tuttavia è un serio tentativo di cogliere l’individualità degli artisti. Le teorie veneziane del 600 sono riprese dallo Zanetti.

In Inghilterra infine lo Hogarth e il Reynolds difendono l’arte contemporanea con misura britannica contro il Neoclassicismo trionfante.

Il Neoclassicismo infatti, già apparso all’inizio del secolo nel pensiero dell’inglese Shaftesbury, trova alla metà del secolo i suoi teorici in due Tedeschi, il pittore Mengs e l’archeologo Winkelmann.

Il Mengs propugna una bellezza assoluta e trascendente manifestantesi nella forma circolare e nell’uniformità del colore, il Winkelmann afferma la bellezza come ideale neoplatonico e la realizzazione di esso trova nella calma euritmia delle statue classiche; perciò essi oppongono una critica delle forme astratte e dell’arte universale all’indagine concreta di individualità artistiche.

Dal Winkelmann derivano il Milizia, il Seroux d’Agincourt, autore della prima storia universale dell’arte, il Cicognara ecc. Il Lessing chiude il secolo con il suo “Laocoonte”, affermando il concetto della bellezza in senso fisico come proporzione corporea, di cui modello è il Laocoonte classico.

Il sec. XIX eredita i problemi e i motivi non sviluppati del ‘700 e in reazione polemica col Neoclassicismo esalta l’irrazionalità dell’arte medievale e l’imitazione di essa con i movimenti dei Preraffaelliti in Inghilterra (Rossetti, Hunt, Millais) e dei Nazareni e Puristi in Germania e in Italia (Overbeck, Minardi, Tenerani) la cui importanza storica è notevole, anche se artisticamente essi segnano un fallimento.

Teorici di tali tendenze sono il WalPole il Langley, lo Hurd in Inghilterra, J. J. Heinse, H. Fussli e W. Wackenroder in Germania, A. Rio e E. Viollet-le-Duc in Francia: fra essi si segnala l’inglese J. Ruskin che concepisce l’arte come comunione mistica con la natura, come estasi, con geniali giudizi sull’arte medievale.

Questi teorici sono solo in parte influenzati dal grande pensiero idealista che, movendo dalle premesse di Kant, con Schelling concepisce l’arte come espressione dell’infinito nel finito e con Hegel l’arte come grado dello spirito assoluto in cui l’idea si manifesta sensibilmente nell’individuo.

La feconda concezione idealistica non trova eco nella critica militante, che per lo più persegue intenti accademici, ma essa appare nella critica di artisti e letterati che difendono polemicamente la libera creatività dell’artista.

Esempio tipico ci forniscono le polemiche dei Salons in Francia tra romantici e classici (Planche, Delacroix, Delecluze, Vitet, Lenormant) tra i quali spicca con la sua critica geniale Baudelaire.

La polemica si rinnova per il realismo con Thoré, Fromenbin, Champfleury, Chesneau e per l’impressionismo con Duret, Burty, Duranty, Riviere, Geffroy, Zola, etc. e per i movimenti pittorici ulteriori con Huysmans, Laforgue, Feneon, Signac, Denis, Apollinaire, Gleizes, Ozenfant, Lhote etc.

La critica ufficiale è dominata invece dalle teorie accademiche e poi dall’angusta teoria positivistica di H. Taine.

Anche in Italia la critica più viva è quella dell’ambiente dei Macchiaioli toscani con A. Cecioni, T. Signorini, D. Martelli.

Il secolo nella 2a metà vede fiorire per influsso del positivismo l’attività di filologi, archeologi e conoscitori che forniscono preziosissimo materiale d’indagine sulle fonti: Jahn, Brunn, Furtwangler, Milanesi, Frey, Kallab: altri compilano manuali di storia d’arte di singoli periodi con grande erudizione, Wolff, Muller, Pauly e Wissowa, Krauss, Kugler, Blanc, Semper, Kondakoff, Diehl, Muntz, Grimm, Justi, Dvorak; in essi debole è la base critica: emerge tra essi il Buirckhardt con il suo “Cicerone” per un’innata vivacità di giudizio. Più importanti i conoscitori; Rumohr, Passavant, Bode, Cavalcaselle, Morelli e con basi più solidamente critiche A. Venturi e B. Berenson nel sec. XX e l’americano Kingsley-Porter.

In questi ultimi appare chiara la reazione al positivismo e l’influsso della teoria della pura visibilità. Essa sorge in Germania ad opera dello scultore Hildebrand, del pittore von Marees e del filosofo Fiedler: arte è ciò che è visibile; linea, spazio, forma, colore etc. sono gli elementi che permettono il giudizio dell’opera d’arte; la teoria viene approfondita dal Wickhoff e dal Riegl; la divulgano H. Woefflin, A. Schmarsow, A. E. Brinckmann, B. Berenson, C. Bell, R. Fry, A. Stokes, J. Mesnil, H. Focillon.

La pura visibilità è superata in Italia dal pensiero di B. Croce, che concepisce l’arte come apprensione fantastica di un momento di vita fissato nella sua individualità ma rimane come base proficua di ricerca in R. Longhi, L. Venturi, M. Marangoni, R. Salvini.

La concezione critica crociana ha influenzato profondamente molti critici italiani del sec. XX, da C. L. Ragghianti a S. Bottari, da C. Baroni a G. C. Argan; un influsso profondo ha operato anche sull’austriaco J. von Schlosser. Tuttavia esporre gli aspetti della critica d’arte nel secolo XX è impresa ardua e quasi impossibile sia per le numerosissime personalità di rilievo in Italia e all’estero, sia perché l’evoluzione continua e viva del pensiero in tal campo impedisce di formulare giudizi definitivi.

Tuttavia della nobile schiera degli studiosi di arte e di critica di arte in Italia con tendenze e indirizzi diversi ricordiamo senza pretesa alcuna di completezza: F. Wittgens, M. L. Gengaro, E. Tea, A. M. Brizio, G. Nicco Fasola, M. Pittaluga, A. Franchi, A. Banti, J. Toesca tra le donne cultrici d’arte; P. E. Arias, C. Anti, L. Banti, R. Bianchi Balndinelli, A. Della Seta, P. Ducati, S. Ferri, G. Galassi, G. Lugli, A. Maiuri, L. A. Milani, P. Orsi etc. tra coloro che prevalentemente si sono interessati di archeologia e di arte classica; E. Arslan, F. Arcangeli, P. Bargellini, M. Bernardi, A. Bertini, L. Biagi, M. Biancale, F. Bologna, L. Borgese, G. Briganti, E. Carli, G. Castelfranco, E. Cecehi, L. Coletti, V. Costantini, P. D’Ancona, G. De Francovich, G. Dell’Acqua, G. De ,Micheli, A. De Rinaldis, R. Delogu, D. Dorfles, D. Fogolari, V. Golzio, E. Lavagnino, A. Marabbottini, G. Mariacher, V. Mariani, E. Modigliani, A. Morassi, O. Morisani, V. Moschini, U. Nebbia, G. Nicodemi, R. Pane, L. Planiscig, A. J. Rusconi, F. Russoli, M. Salmi, S. Samek-Ludovici, L. Serra, S. Solmi, E. Somarè, F. Zeri, B. Zevi, G. Vigni etc. tra i cultori di arte medievale e moderna.

Inoltre gli scambi di concezioni e di idee tra i singoli paesi e la diffusione della conoscenza mediante la riproduzione fotografica delle opere d’arte d’ogni parte del mondo allarga notevolmente le possibilità degli studiosi e dei critici d’arte.

Numerosissime sono le riviste d’arte, delle quali alcune hanno carattere di collaborazione internazionale, come il “Burlington Magazine” e la “Gazette des Beaux Arts”, quest’ultima cessa le pubblicazioni nel 2002. In Italia meritano particolare menzione le riviste: “L’Arte” diretta da A. Venturi poi interrotta, “Palladio”, “Bollettino d’arte”, “Arte veneta”, “Commentari”, “Paragone”, “Proporzioni” oggi fondazione, “Sele Arte” (1952-1966) oggi fondazione.

Anche cataloghi di gallerie e musei vengono redatti con intendimenti non solo filologici ma anche critici e cintici.

Negli studi di carattere filologico si tende ad un maggior rigore normativo, specie in Italia ad opera di P. Toesca, A. Ancona, G. Fiocco, S. Ortolani, R. Pallucchini, S. Bettini, C. Brandi etc.

Mostre vengono periodicamente allestite con intendimento non solo divulgativo ma anche critico; in Italia la Biennale di Venezia offre un esempio cospicuo in tal senso attraverso i suoi valorosi rappresentanti storici, da R. Pallucchini a U. Apollonio, da L. Venturi a G. Marchiori, da C. G. Argan a M. Valsecchi.

Carattere più limitato ha la critica dei quotidiani, poiché essa indulge troppo spesso alle tendenze e al gusto medio di lettori non preparati.

Il secolo XX ha visto ancora fiorire la critica d’arte espressa dagli artisti stessi, come avviene ad esempio per C. Carrà e A. Soffici in Italia, per Le Corbusier in Francia e per H. Moore in Inghilterra.

Problemi aperti di indagine critica sono ancora oggi: le tendenze critiche sociali e marxistiche, la metodologia americana, la critica esistenzialistica, la critica neo-positivista etc. su cui i giudizi sono ancora molto contrastanti; e per quanto concerne dalla seconda metà del XX secolo le esperienze artistiche non hanno più confini concettuali e di realizzazione, e più che mai la critica d’arte assume fondamentale importanza nella società:  la Treccani recita  che “L’alto grado di specializzazione e il sempre maggior peso culturale della critica d’arte nella seconda metà del secolo scorso e specialmente nel nostro dimostrano che essa risponde a una necessità obiettiva e non può considerarsi un’attività secondaria o ausiliaria rispetto all’arte stessa. È infatti impossibile intendere il senso e la portata dei fatti e dei movimenti artistici contemporanei senza tener conto della letteratura critica che a essi si riferisce”.

Comunque possiamo constatare con soddisfazione che il sec. XXI promette di sviluppare tutte le possibilità della critica d’arte in tutte le direzioni, e ciò anche grazie al contributo annesso dal critico d’arte Philippe Daverio scomparso il 2 settembre 2020.

Scrive Wikipedia: Nella storia recente in Italia si annovera una schiera di critici e storici dell’arte contemporanea quali Paolo Battaglia La Terra Borgese, Federico Zeri, Paolo Levi, Achille Bonito Oliva, Paolo Rizzi, Jean-François Bachis-Pugliese e di divulgatori quali Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Gregorio Rossi, Daniele Radini Tedeschi, tutti accomunati da un professionismo mediatico, elemento indispensabile alla divulgazione dell’arte tutta del XX secolo.




MANIPOLAZIONE E CORRUZIONE ARMI DEL POTERE

 

La vittimizzazione è spesso uno strumento di manipolazione, usato come arma per produrre nell’altro, negli altri o nella società incline a cadervi, certi cambiamenti a beneficio del manipolatore.

Si riesce con successo anche a provocare un senso di colpa negli altri per le azioni che hanno causato tale vittimizzazione reale o presunta.

In politica il suo uso è consapevole e premeditato e con risultati estremamente significativi nell’inconscio collettivo.

Si verifica con maggiore intensità nel populismo, perché è chiaro che l’oppresso si senta vittimizzato e a sua volta, quando il manipolatore esercita un comportamento quasi «religioso», trasformi comportamenti individuali e/o collettivi in ​​una risposta di idolatria e di idealizzazione della figura del salvatore.

Nasce così la figura dell’eroe e del capo cui vanno tributati onori e sottomissione, consapevole e inconscia.

La storia ci mostra come tali tentativi vadano a scapito della dignità, della solidarietà e della fraternità. Dietro la vittimizzazione si nasconde sempre un’intenzione empia.

Il vittimismo manipolatore in politica a volte è un’arma a doppio taglio. Ci sono persone che scelgono di raccontare la loro situazione di vittime perché scoprono che porta loro più benefìci che costi.

Il vittimismo manipolatore è presente in molti tipi di personalità. Così, è comune che appaia, ad esempio, tra i narcisisti, tra coloro che sono specializzati nel ricatto emotivo e anche tra coloro che si avvalgono di questo comportamento per trarne qualche beneficio.

La vittima, in un modo o nell’altro, è sempre protetta dalle critiche degli altri. Inoltre, ha la compassione e la comprensione di molti, qualunque cosa faccia. Infatti, chi osa mettere in discussione gli atti di una presunta vittima passa per insensibile o spietato.

Il vittimismo è, quindi, in molti casi, una strategia che porta più vantaggi che problemi.

Questa condizione consente ai manipolatori di avere una sorta di immunità, per cui tutto ciò che dicono è vero, tutto ciò che fanno è ben intenzionato, tutto ciò che pensano è legittimo. Ora, in più di un caso, questa vittimizzazione calcolata, consciamente o inconsciamente, nasconde un chiaro ricatto. Ma, alla lunga, è difficile immaginare come tutto questo possa finire bene.

Su questo terreno «malato», infatti, verrà ad esempio ad allignare e a riprodursi la corruzione.

 

La corruzione nasce all’interno della società, che è composta di tutta una serie di abitanti (individui) la cui cultura è variabile in base alla loro educazione, insegnamento familiare, circostanze dell’epoca e altre specifiche e generali peculiarità che contribuiscono alla formazione integrale dell’essere.

Indubbiamente, chi ha il mandato del popolo per governare ha una responsabilità maggiore rispetto agli altri, ma questo non esclude del tutto la responsabilità del resto della società.

La corruzione è antica quanto l’uomo stesso e solo una chiara educazione può contrastarla interiormente. E quando si parla di educazione, tutto inizia con la famiglia, in quanto lasciare tutto allo Stato significa totale ignoranza, indifferenza e mancanza di amore.

Una politica educativa correttamente attuata contribuirà indubbiamente alla riduzione della corruzione, ma non sarà mai completamente combattuta perché è in qualche modo radicata nella condizione umana. Quando riconosciamo che in ognuno di noi, attraverso il famoso «conosci te stesso», c’è il seme di tutto questo, la società nel suo insieme potrà compiere una svolta sostanziale verso l’etica e i valori che dovrebbero prevalere in qualsiasi società sana.

È nostro obbligo personale combattere la corruzione nei diversi ambiti in cui dobbiamo agire se veramente vogliamo ridurla al minimo.

 

Così scrive Miquel Seguró (Biografia. Miguel Seguró, 1979, Ricercatore presso la Cattedra Ethos dell’Università Ramon Llull e professore di Filosofia presso l’Università Aperta della Catalogna. Coordinatore della rivista Argumenta Philosophica. Journal of the Encyclopaedia Herder) nella presentazione del libro Stanco della corruzione: «Siamo stanchi e vogliamo esprimerlo, in modo che nessuno ci chieda in futuro: perché non hai fatto qualcosa?».

 

C’è molto di più in ballo che non il denaro rubato. La corruzione mette a repentaglio il futuro stesso di qualsiasi società democratica, quindi non possiamo rimanere in silenzio. La parola è l’unica arma che abbiamo. Potrà non portarci da nessuna parte; ai corrotti potranno non interessare le nostre parole, ma, per favore, almeno non rinunciamo a esse. Almeno diciamo forte e chiaro che non c’è nessun diritto alla corruzione, che basta, che siamo stanchi!

Sappiamo che il problema della corruzione non è nuovo, ma chiediamoci: da dove viene? Di chi è la colpa? Si può superare? Vorrei che fossero loro, «i mandanti», l’origine di ogni male. Eppure la corruzione sembra essere qualcosa di «umano, troppo umano».

Come le due facce di una moneta: ha a che fare sia con la struttura del potere sociale e le sue ombre sia con l’ambiguità antropologica che ognuno di noi rappresenta. E l’una senza l’altra è impensabile.

La corruzione è il peccato che, invece di essere riconosciuto come tale e renderci umili, si eleva a sistema, diviene abitudine mentale e stile di vita, perché la corruzione non è un atto, ma una condizione, uno stato personale e sociale in cui ci si abitua a vivere.

di Barbara de Munari




Strategie di Potere: Perché ai Dittatori Non Conviene Uccidere i Loro Oppositori

Ma siamo proprio sicuri che a Putin conveniva uccidere Alexei Navalny?

Un’attenta analisi ci porterebbe a pensare che fosse l’ultima cosa da fare, e in effetti noi al posto di Putin avremmo piuttosto fatto il contrario, ovvero avremmo tenuto in vita Alexei il più possibile, e comunque non siamo così sicuri che Putin non sia consapevole di queste tematiche.

Verrebbe da pensare che chi ci guadagna di più con la morte di Alexei non è Putin, ma i suoi oppositori, Zaleski compreso …

Nel complesso scacchiere della politica autoritaria, la gestione degli oppositori rappresenta un cruccio costante per ogni dittatore.

La tentazione di sopprimere fisicamente le voci dissenzienti per consolidare il proprio potere potrebbe sembrare, a prima vista, una soluzione efficace.

Tuttavia, un’analisi più approfondita delle dinamiche politiche, sociali e storiche rivela che questa pratica non solo è eticamente riprovevole, ma si rivela spesso controproducente per la stabilità e la legittimità del regime.

Esploriamo le ragioni per cui l’eliminazione fisica degli oppositori non solo è moralmente inaccettabile, ma rappresenta una strategia miope che può portare a conseguenze destabilizzanti per il dittatore stesso.

Le Conseguenze della Repressione Violenta

La storia è costellata di regimi che hanno cercato di cementare il proprio potere attraverso l’eliminazione fisica degli avversari politici.

Questi atti di violenza, tuttavia, tendono a generare un ciclo di ritorsione, alimentando ulteriormente la resistenza piuttosto che sopprimerla.

La repressione violenta può radicalizzare coloro che erano precedentemente neutrali, trasformando moderati in militanti e aumentando la base di sostegno all’opposizione.

La violenza genera violenza, creando un ambiente di instabilità cronica che può minare le fondamenta stesse del potere autoritario.

L’Effetto Martyrdom

Quando un dittatore sceglie di eliminare fisicamente i suoi oppositori, corre il rischio di trasformarli in martiri.

La morte di un oppositore politico può catalizzare il dissenso pubblico, trasformando una figura che poteva essere relativamente oscura o controversa in un simbolo potente di resistenza contro l’oppressione.

Questo fenomeno, noto come effetto martyrdom, può unificare e galvanizzare l’opposizione, rendendo la lotta contro il regime più determinata e coesa.

La Legittimità Internazionale e le Relazioni Estere

Nell’era della globalizzazione e dell’interconnessione, le azioni di un regime sono sottoposte all’esame critico della comunità internazionale.

L’uccisione degli oppositori politici può portare a condanne internazionali, sanzioni economiche e isolamento politico.

Queste conseguenze non solo possono danneggiare l’economia del paese, ma possono anche erodere la legittimità del regime agli occhi della comunità internazionale e, cosa altrettanto importante, tra la popolazione interna

Alternativi alla Repressione Fisica

Esistono strategie alternative attraverso le quali un dittatore può cercare di neutralizzare gli oppositori senza ricorrere alla violenza fisica.

La cooptazione, ad esempio, ovvero l’integrazione degli oppositori nel sistema politico attraverso concessioni o incarichi, può ridurre l’antagonismo mantenendo al contempo un’apparenza di pluralismo.

La censura e il controllo dei media, pur eticamente discutibili, possono essere strumenti meno destabilizzanti per limitare l’influenza degli oppositori.

Inoltre, l’investimento in programmi sociali e lo sviluppo economico possono migliorare la legittimità del regime riducendo le cause sottostanti del dissenso.

 

L’uccisione degli oppositori politici da parte di un dittatore, lungi dall’essere una via di fuga dalla sfida del dissenso, si rivela una strategia miope che può avere conseguenze profondamente destabilizzanti.

Le dinamiche storiche, insieme alle considerazioni etiche e pratiche, suggeriscono che la violenza repressiva non solo è moralmente indifendibile, ma può anche erodere la base di potere del dittatore nel lungo termine.

Nell’interesse della stabilità politica e del benessere sociale, è imperativo che i regimi autoritari