Un desiderio irrefrenabile di acquisti online

In alcuni momenti di crisi può succedere di mettere in atto delle modalità compensatorie per placare il disagio.

La nostra mente ci aiuta a gestire l’ansia attraverso la soddisfazione di desideri, uno  dei quali, molto comune tra le persone, è quello di possedere abiti, scarpe, borse, trucchi,  gioielli, oggetti d’arredo, libri, quadri ed altro.

Prima dell’avvento di internet, pur essendo presente questa ambizione, era più  complesso poterla soddisfare nell’immediato mentre oggi le opportunità di acquisto sono molto più celeri in quanto attraverso internet abbiamo accesso 24 ore su 24 a qualsiasi tipo di prodotto. È dunque possibile selezionare diversi negozi avendo  l’illusione di potere risparmiare.

L’acquisto online tende ad azzerare le dimensioni spazio-temporali in quanto alla persona viene offerto un “luogo virtuale” nel quale il prodotto in vendita è reso  accattivante da numerose informazioni e stimoli spesso di tipo subliminale.

Lo shopping compulsivo online ha in comune con quello che avviene fisicamente la tensione ed il bisogno irresistibile che si placano solamente con l’acquisto  dell’oggetto del desiderio.

Ciò che muta è la modalità d’acquisto ed una caratteristica importante è legata al  fatto che la persona può possedere ciò che desidera senza essere giudicata.

In passato già lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin si era occupato del fenomeno  dell’acquisto compulsivo che identificò con il termine “oniomania”.

Oggi lo shopping compulsivo viene definito come un comportamento d’acquisto che  il soggetto sperimenta a causa di un bisogno irrefrenabile ed urgente di comperare.

Accade spesso che ciò che si è acquistato sia un qualcosa di inutile e la persona ne è  consapevole ma non riesce a farne a meno. Si innesca un comportamento ripetitivo nel tempo che può giungere a provocare e a causare danni alla vita relazionale, sociale, lavorativa ed economica.

Anche se la persona sostiene di voler interrompere questi comportamenti disadattivi, numerosi sono i tentavi fallimentari osservati.

Proviamo ora ad immedesimarci nella persona che di abitudine mette in atto comportamenti di shopping compulsivo.

Cosa prova?

Innanzitutto si sente pervasa da un senso di urgenza che era stato anticipato da sensazioni di noia, ansia, rabbia; segue poi la pianificazione dell’acquisto che prevede la selezione dei negozi da visitare; scelto il negozio il soggetto inizia a comperare oggetti che sente attraenti e riguardo ai quali sostiene di non potervi rinunciare.

Gli acquisti sono sempre accompagnati da una forte sensazione di euforia che in breve si trasforma in senso di colpa e frustrazione.

Perché ci si sente in colpa?

La riflessione prioritaria è che si è speso più di quanto ci si poteva permettere.

L’episodio di shopping compulsivo è sempre accompagnato da stati emotivi intensi.

L’infelicità sembra essere una tra le cause più attendibili della predisposizione allo shopping compulsivo e sono soprattutto le persone infelici che riescono a trasformare, acquistando, i propri sentimenti negativi in fittizi sentimenti positivi.

Tra le varie teorie che hanno cercato di analizzare il fenomeno dello shopping compulsivo riteniamo opportuno riflettere su quella psicosociale che sottolinea alcuni aspetti collegati alla distorsione dell’autonomia. In pratica sembra che le persone che non si sentono autonome si attivino per sfuggire all’impotenza che le caratterizza proprio attraverso l’azione del comprare.

Altrettanto interessanti e degne di  nota sono le teorie psicodinamiche che accennano al tema della seduzione infantile. In quest’ottica pare che l’atto dell’acquistare permetta di superare il senso di inadeguatezza sperimentato già a livello dell’infanzia. Sempre secondo le suddette teorie la causa potrebbe essere riconducibile al tema freudiano della castrazione femminile. Ulteriore causa potrebbe anche essere la rottura del legame con una persona di riferimento significativa nella vita dell’individuo.

Un basso livello di autostima è la caratteristica più comune tra chi soffre di shopping compulsivo.

Possiamo ritenere che lo shopping via internet venga utilizzato per sollevarsi dal dolore e sentirsi autonomi .

È stato osservato che chi soffre di shopping compulsivo ricerca l’acquisto per provare sensazioni forti.

L’acquisto compulsivo può portare ad un disturbo da accumulo, che si esprime nel  bisogno insaziabile di possedere il maggior numero possibile di quegli oggetti sui  quali ci si è fissati.

Sono noti a tutti gli accumulatori di scarpe il cui bisogno insaziabile può sfociare  nel      disturbo psicologico denominato “shoeaholic”.

Gli accumulatori di oggetti sono disposofobici e tendono ad accatastare negli  ambienti in cui vivono oggetti senza mai disfarsene. Queste persone possono  invadere tutte le stanze delle loro abitazioni con libri, vestiti, oggetti vari. Non leggono quei libri, non indossano quegli abiti, non utilizzano quegli oggetti .

Oggi gli acquisti online riguardano anche oggetti importanti. Possiamo notare come molte persone lascino fluire il loro bisogno compulsivo di collezionare opere d’arte.

Più l’oggetto è costoso maggiore sarà la gratificazione.

Riteniamo che il desiderio inarrestabile di acquisti online sia alimentato oggi dalla facilità di accesso ad internet che offre anche la possibilità di partecipare ad aste virtuali. Utilizzare carte di credito per i pagamenti rafforza inoltre la condotta compulsiva e facilita l’acquisto.

Se analizziamo artisti geniali, possiamo ritrovare spunti di fissazione sugli oggetti nelle loro opere d’arte.

Van Gogh ad esempio dipinse un numero rilevante di quadri dedicati alle scarpe.   

Interessante è anche l’arte seriale dove lo stesso soggetto viene ripetuto in quadri diversi all’infinito, e magari più volte nello stesso quadro, e a questo proposito pensiamo ad Andy Warhol quando ripropone in modo ossessivo le sue lattine di zuppa Campbell.

 

L’ossessione è ben espressa da Dino Buzzati in una frase tratta dal suo libro “Il colombre e altri cinquanta racconti”: “Navigarenavigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire”.

 

Così chi soffre di shopping compulsivo online acquista navigando in internet, si ferma un attimo ma il suo desiderio è quello di ripartire subito perché la compulsività  non gli lascia tregua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Il gioco d’azzardo tra passato e presente

Affrontare il tema del gioco d’azzardo patologico, oggi conosciuto come GAP, significa riflettere su qualcosa di presente nel tempo e nocivo alla vita individuale, famigliare, scolastica e lavorativa.

Sembra che il gioco d’azzardo sia nato in Cina per poi diffondersi nel resto del mondo.

È interessante notare come nei dipinti di famosi artisti siano ritratti soggetti di fascia sociale povera intenti al gioco.

L’arte ha voluto essere testimone di un fenomeno che abbraccia tutti i tempi e tutti i popoli.

Per esempio citiamo verso la fine del 1500 il dipinto “I bari” di  Caravaggio dove alcuni soggetti vengono sbirciati mentre sono intenti al gioco delle carte.  

Intorno al 1600 Georges de La Tour propone invece l’opera “Il baro” dove vengono mostrate alcune figure femminili, anch’esse intente al gioco delle carte, con un uomo che sfila dalla cintura due assi. 

A sua volta Paul Cézanne realizza, attraverso la scomposizione della realtà in forme geometriche, l’opera “I giocatori di carte” rappresentando uno spaccato del popolo francese dedito al vizio del gioco e dell’alcool.

Risale al 1887 l’opera di William Holbrook Beard intitolata “The poker game” che ritrae al tavolo da gioco degli scimpanzé impegnati in una partita a carte.

Nel 1948 l’americano Norman Rockwell crea “Bridge game” ma in questo caso viene rappresenta una scena di relax dove il gioco del bridge diviene un piacevole momento di condivisione teso a rispecchiare lo stile di vita americano del dopoguerra.

Di grande impatto sono le tele raffiguranti cani che giocano a carte dell’artista Cassius Coolidge, il quale aveva realizzato, con la società pubblicitaria Brown & Bigelow, un accordo per produrre 16 dipinti raffiguranti cani in atteggiamenti umani e ben nove di queste tele raffigurano tali animali intenti a partecipare ad una partita di poker.

Come si può notare il gioco rappresenta, sia nelle sue sfaccettature positive che negative, motivo di interesse per le espressioni artistiche del contesto socioculturale di tutti i tempi.

L’arte che mostra il gioco diviene ai giorni nostri spunto di riflessione per affrontare un tema che suscita allarme e cioè quello del gambling.

È risaputo che la tecnologia ha reso maggiormente accessibile il gioco d’azzardo e ciò può dipendere dal fatto che i costi per iniziare a giocare online sono molto ridotti se paragonati a quelli del casinò ed è garantito l’anonimato del giocatore.

Il gioco d’azzardo sembra essere passato da fenomeno sociale a fenomeno asociale.

La persona è meno consapevole di quanti soldi perde e, perlomeno inizialmente, sono  minori i sensi di colpa.

Uno dei giochi d’azzardo online che ha avuto recentemente un forte incremento è il poker.

Questo grazie al fatto che le persone possono imparare gratuitamente a giocare, si possono puntare cifre irrisorie e si può partecipare ad una partita in ogni  momento e in ogni luogo tramite internet.

Una forte attrazione verso il gioco rischioso sta coinvolgendo varie fasce d’età dalla giovinezza alla senescenza.

Il GAP è stato riconosciuto come patologia dalla comunità scientifica ed è considerato una dipendenza non oggettuale e cioè una dipendenza in assenza di  sostanza.

Ci troviamo di fronte ad un agito persistente nel tempo che va a ledere il vissuto personale e sociale.

Essere posseduti totalmente dal gioco porta a mutare radicalmente il proprio stile di  vita.

Il soggetto intrappolato sente la necessità di investire denaro pensando di recuperarlo e di aumentarlo, tende a cambiare umore e diventa irascibile, utilizza stratagemmi per nascondere alla famiglia il suo stato, le sue relazioni ed il suo lavoro divengono a rischio.

L’illusione di poter vincere diventa un input molto forte poiché fa emergere un desiderio di  potenza. Il gioco assume il ruolo di un surrogato che colma le lacune di un sistema di vita in crisi.

Riconoscere il proprio disagio e chiedere aiuto non è facile nel caso del GAP in quanto l’accettazione del gioco, quale fenomeno socialmente condiviso, mira a nasconderne la pericolosità.

“Il giocatore” di Dostoevskij del 1866 può essere preso come emblema del dramma dell’uomo che finisce nella spirale del gioco d’azzardo. L’autore analizza con sapienza quest’ultimo in tutte le sue forme ed evidenzia i diversi tipi di giocatori, da quelli ricchi a quelli poveri, che si giocano tutti gli averi.

Simbolica è la frase tratta dal testo dello scrittore sopracitato: “I giocatori sanno bene che si può resistere addirittura per ventiquattr’ore di seguito con le carte in mano senza neanche gettare un’occhiata a destra o a sinistra”.

Il potere ipnotico del gioco patologico può dunque catalizzare a tal punto la persona che è caduta nella trappola da allontanarla dalla realtà come viene espresso in alcuni dei quadri di cui abbiamo precedentemente parlato.

Si salva forse la scena di Norman Rockwell dove il gioco del bridge diviene momento conviviale e di socializzazione.

Il gioco ha in sé le caratteristiche dell’ambivalenza: seguire il lato positivo può  aiutare la persona a socializzare ed è infatti risaputo come il bridge sia fonte di  benessere per l’anziano che, inoltre, attraverso la sua pratica può rafforzare le capacità mnemoniche; seguire il lato negativo, come ad esempio il gioco online condotto in solitudine, può diventare distruttivo in quanto quasi sicuramente condurrà la persona ad una dipendenza con conseguente isolamento, perdita di denaro e danni a se stesso oltre che alla famiglia di appartenenza.

  

 

 

 

 

 

 

 

Lo scollamento

“Il Potere Creativo Del Logos”

 




Migliorare l’apprendimento attraverso la mnemotecnica

Le difficoltà di apprendimento, con particolare riferimento al processo di  memorizzazione, rappresentano una tra le principali cause di disagio e molte persone non sanno che questo ostacolo può essere superato attraverso la conoscenza di tecniche specifiche.

È quindi possibile passare da una situazione di difficoltà di apprendimento ad una di successo ma per questo è fondamentale avere un’adeguata conoscenza di sé e delle proprie potenzialità al fine di attuare un cambiamento.

Possiamo dunque parlare di possibilità che ciascun soggetto ha di “imparare ad apprendere” mettendo in gioco sia la motivazione personale sia l’acquisizione di  tecniche di  memorizzazione.

Bandura, ad esempio, ritiene che ogni individuo debba poter organizzare le proprie risorse al fine di superare le situazioni difficili.

In un’ottica di criticità di apprendimento tale concetto può far riferimento alle convinzioni circa le risorse a disposizione che un soggetto sente di possedere per poter apprendere.

Come sostiene Bandura “le persone convinte di essere in possesso delle capacità necessarie per compiere efficacemente determinate attività hanno più probabilità di attivare un impegno maggiore e più prolungato di quanto non ne avrebbero se nutrissero dubbi su di sé e restassero passive qualora insorgessero dei problemi”.

Quanto sopra evidenziato è applicabile anche a coloro che manifestano difficoltà di apprendimento.

Essere positivi e vivere con fiducia tali processi aumenta il senso di autoefficacia; al contrario, vivere l’apprendimento come una difficoltà fa affrontare lo studio con un approccio errato.

La convinzione di autoefficacia diviene significativa, se rielaborata, in quanto regola l’agire umano attraverso processi cognitivi, motivazionali, affettivi e di scelta.

Per quanto concerne la convinzione in oggetto in relazione ai processi cognitivi è necessario introdurre il concetto di “obiettivo”. 

Ognuno di noi agisce per uno scopo/obiettivo e quanto più un individuo si percepisce autoefficace, tanto più si prefiggerà di raggiungere mete più elevate e viceversa.

Se il senso di autoefficacia è basso, il soggetto si autolimiterà non uscendo dal proprio spazio e chiudendosi in se stesso.

Il soggetto con senso di autoefficacia alto si pone nei confronti del compito sviluppando le proprie ambizioni attraverso la pianificazione di un percorso per raggiungerle.

Quando si manifesta una difficoltà di apprendimento prevalgono emozioni quali: paura, rabbia, noia, tristezza e per questo risulta incoraggiante per il soggetto apprendere le tecniche di memoria al fine di superare questi vissuti negativi. 

La mnemotecnica si collega all’apprendimento e più specificatamente al metodo di studio ed ha origini antichissime.

La necessità di ricordare nasce con i cantori epici ma vedremo poi come Cicerone con la tecnica dei loci, già precedentemente presente in trattati di retorica, darà una svolta fondamentale ed innovativa che porterà i nostri contemporanei ad utilizzare il cosiddetto “palazzo della memoria”.

Questa tecnica consiste nell’immaginare uno spazio esistente nel quale fare un percorso predefinito lungo cui vi sono luoghi da associare a concetti, trasformati in immagini secondo la tecnica della P.A.V.

La P.A.V. consiste nel creare un’immagine dal gusto paradossale, che susciti la nostra attenzione e che contenga un’azione per sua natura caratterizzata dal movimento e non statica.

L’immagine creata, inoltre, deve essere vivida e cioè deve coinvolgere uno o più sensi facendo credere a chi la immagina di essere lì a viverla. 

Tale tecnica può, ad esempio, permettere di memorizzare una lista di cose da fare o una pagina letta.

Sulla base della mia esperienza ho potuto constatare che al posto di usare una stanza è possibile utilizzare anche un quadro, creando associazioni tra gli elementi scenografici raffigurati nell’opera d’arte ed i concetti da immagazzinare in memoria.

Ad esempio, se devo ricordare qualcosa come la celebre poesia di Quasimodo Ed è subito sera che recita

“Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera”,

la modalità di procedere sarà la seguente:

  • Scegliere un quadro come, ad esempio, Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh.
  • Individuare gli elementi scenografici presenti e cioè, in questo caso, il campo di grano giallo, i tre sentieri senza persone, lo stormo di corvi neri ed il cielo tempestoso.
  • Creare associazioni tra gli elementi scenografici e le parti della poesia: i tre sentieri senza persone – ognuno sta solo; il campo di grano – sul cuor della terra; il giallo del campo di  grano – trafitto da un raggio di sole; lo stormo di  corvi  neri e/o il cielo tempestoso – ed è subito sera;  

Utilizzando lo stesso quadro di Van Gogh possiamo ricordare anche una sequenza di parole di un esame di medicina come: tessuto epiteliale, tessuto connettivo, tessuto muscolare, tessuto nervoso.

Lavorando sempre per associazioni si può infatti correlare il tessuto epiteliale al grano che ricopre la terra, il tessuto connettivo ai tre sentieri che “connettono” più luoghi, il tessuto nervoso al nero dei corvi perché nervoso richiama il neologismo “neroso”, il tessuto muscolare all’azione del mietere che rafforza i muscoli.

Per questa azione di memorizzazione, da me denominata “mnemotecnica del quadro”, suggerisco di avere, nella fase iniziale, una stampa dell’opera prescelta davanti a sé al fine di  rafforzare il processo di associazione e di interiorizzazione dei contenuti.

Possiamo concludere che la mnemotecnica e la motivazione, in prospettiva sinergica, permettono di ottimizzare il processo di apprendimento.

Inoltre, riteniamo che le tecniche di memoria rappresentino un utile mezzo di stimolo per lo sviluppo ed il potenziamento della fantasia.

Ci chiediamo tuttavia come mai la mnemotecnica non rientri nei programmi didattici presenti nel contesto scolastico, dal momento che agevolerebbe ed implementerebbe le capacità del soggetto rispetto al suo metodo di studio.




Bullizzati di successo: considerazioni psicologiche sul fenomeno

 

Molti personaggi affermati del mondo artistico hanno dichiarato di essere stati  vittime di bullismo.

Per esempio la nota cantante Lady Gaga era una bambina di bassa statura e un pò robusta  e per questi motivi i bulli della classe la infastidivano a tal punto che lei non voleva più andare a scuola.

Barack Obama veniva deriso dai compagni per le sue orecchie a sventola.

Kate Middleton, moglie del principe William, dichiara di aver sofferto per essere stata presa in giro da alcune compagne di classe in quanto timida e troppo studiosa.

Johnny Depp, anche lui vittima di bullismo, così si esprime: “Non aspetterei un attimo a distruggere chiunque facesse del bullismo ai miei figli”.                                                                                                                                                                                                

Il bullismo è da considerarsi una forma conclamata di violenza perpetrata a danno di  soggetti incapaci di difendersi.

Peraltro la violenza, insita anche nel bullismo, come affermava Benedetto Croce “non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice”.

Capire quale struttura di personalità si nasconda sotto la vittima è fondamentale in quanto le reazioni possono essere svariate di fronte ad atti persecutori subiti nel tempo.

C’è chi dalla sofferenza trae spunto per superarla, compensando positivamente i torti  subiti, e chi invece cade nello sconforto fino a giungere ad atti estremi quali quelli autolesionisti e/o suicidari.

È noto che la vittima è spesso bloccata nel rispondere alle offese fisiche e/o verbali messe in atto nei suoi confronti, non accetta e non reagisce poiché preferisce isolarsi.

L’invisibilità diviene una caratteristica presente che la rende fragile ed inadeguata allo sguardo dei pari.

Può inoltre succedere che alcune vittime, per lungo tempo, tendano a negare il problema, cercando di neutralizzare la propria sofferenza emotiva e talvolta possono mettere in atto anche comportamenti di auto colpevolizzazione.

Emerge spesso che la vittima subisca prepotenze ed offese riguardanti una sua caratteristica particolare tale da differenziarla significativamente dal resto dei coetanei.

Per esempio può avere una statura più bassa degli altri o minore forza muscolare,  semplicemente a causa delle differenze fisiologiche che si manifestano nei processi di sviluppo e di crescita.

La vittima incontra difficoltà a gestire le relazioni sociali, soprattutto di fronte ad interazioni complesse.

In relazione a ciò è plausibile chiedersi come possa succedere che diventi poi una persona di successo.

L’inferiorità che ha accompagnato la vittima si è trasformata in una superiorità che si è poi strutturata in un percorso di solitudine e sofferenza ma che nello stesso tempo ha lasciato spazio all’emergere di una creatività finalizzata al raggiungimento di obiettivi concreti.

L’isolamento, seppur sofferto, non impedisce di produrre qualcosa di fruibile esteticamente.

Molto costruttivo per le vittime è lo sviluppo della “resilienza”, ossia la capacità di gestire i momenti di difficoltà senza perdersi d’animo e, pur nell’inevitabile disagio, trovare risorse per fronteggiare i problemi.

Per aiutare le vittime nei momenti di difficoltà è utile fornire supporto, sia emotivo che operativo, in modo da consentire loro di sentirsi meno stressate, meno vittimizzate e capaci di fronteggiare situazioni di disagio grazie alle proprie potenzialità.

L’obiettivo è quello di modificare le norme ed i modelli comportamentali, facendo in modo che la vittima si senta meno sola e sia più propensa a parlare di ciò che le succede invece di soffrire in silenzio.

Molte persone bullizzate risultano dunque vincenti sul piano dell’affermazione personale perché riescono a mettere in campo il meccanismo psicologico della “compensazione positiva”.

Secondo la Psicologia Individuale si può compensare tanto un “sentimento di inferiorità psichica” quanto una “inferiorità d’organo” ed è attraverso la “volontà di potenza”, intesa come desiderio di affermazione di ciascun individuo, che si  mettono in atto delle compensazioni per superare il “sentimento d’inferiorità”.

Francesco Parenti in proposito sostiene che “la compensazione si configura perciò come l’insieme delle modalità con cui la volontà di potenza si propone di superare o aggirare un sentimento d’inferiorità all’interno di una dinamica basso/alto in cui l’individuo aspira a mete di superiorità e di perfezione”.

Come affermava Eleanor Roosevelt: “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”.

Questo messaggio deve essere alla base del superamento del grave disagio provocato dal bullismo e probabilmente i personaggi celebri che ne sono stati vittime lo hanno introiettato trasformando l’inferiorità vissuta in successo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




L’arte del sogno

I sogni influenzano la nostra vita e numerose sono le teorie sui sogni. La psicologia del profondo, in modo particolare, si è interessata al mondo onirico.

È a tutti noto lo scalpore suscitato nel 1899 dal testo di Freud “L’interpretazione dei sogni” che ha segnato un’epoca e attraverso il metodo delle “associazioni libere” ha permesso a molte persone che vivevano situazioni di disagio di dare una lettura alla loro  modalità di affrontare la realtà.

Altri psicodinamici come Adler vedono nel sogno una sorta di arte interpretativa consistente nel filtrare dalle rappresentazioni oniriche cifrate le costanti relative alla personalità e ai sentimenti.

Jung, attraverso il  concetto di “inconscio collettivo”, propone invece il recupero degli archetipi che si  esprimono anche attraverso il sogno.

L’attività simbolica della mente umana non si  acquieta durante il sonno.

Già Schopenhauer riteneva il sogno un prodotto artistico e lo paragonava ad una rappresentazione teatrale, quindi possiamo parlare di “arte del sognare”.

Non ha importanza se chi sogna al risveglio dimentica o riesce a ricordare solo alcuni frammenti.

È però fondamentale che rimanga impressa la sensazione che animava il sogno per far si che si sviluppi la creatività.

Poiché la fantasia si può legare in maniera audace agli elementi della realtà, all’interno  dei  sogni si trovano  frequentemente somiglianze, allegorie e simboli.

Si sogna a colori o in bianco e nero, si  ricordano i profumi ed è dimostrato che soggetti particolarmente creativi selezionano, come in un film, non solo personaggi realistici ma anche personaggi dalle sembianze di cartoni animati.

Esiste un collegamento tra produzione artistica e sogno e questo è dimostrato dalla testimonianza delle opere di grandi artisti che, prendendo spunto dai loro sogni, hanno realizzato capolavori.

Partendo dal presupposto che i sogni favoriscono la creatività, ripensiamo al grande artista Salvador Dalí, influenzato da Freud ma da lui non totalmente corrisposto, che evidenzia l’importanza di ricordare i sogni per poter creare un’opera d’arte eccellente e ne parla nel testo “50 Secrets of Magic Craftsmanship”.

Dalí suggeriva di  fare anche brevissimi sonni tenendo in mano un oggetto pesante che, nel momento  dell’appisolamento, cadeva risvegliando il soggetto e stimolando in lui il riemergere delle visioni create nel sonno.

Le immagini del sogno potevano così essere tradotte in produzioni artistiche.

Interessanti risultano anche le esperienze collegate al sogno in René Magritte, il pittore belga surrealista che propone una tecnica definita “illusionismo onirico”.

Magritte, sviluppando gli spunti suggeriti da De Chirico, coltivò nelle sue opere il gusto per le associazioni inconsuete accostando in maniera inedita e solo apparentemente illogica oggetti, colori e forme. 

A questo proposito si parla di “oggetti spaesati” cioè dell’utilizzo di elementi, anche banali,  inseriti però in contesti non convenzionali, così da suggerire allo spettatore un nuovo significato nell’interpretarli.

È come se Magritte volesse aprire con le sue opere una nuova strada per penetrare nei misteri dell’inconscio dell’esistenza umana.

Il celebre quadro di Magritte “Le grazie naturali” è un esempio di processo di  “associazionismo libero” simile a quello che avviene nel sogno.

Nell’opera è rappresentata l’ibridazione tra foglie ed uccelli, cioè sono presenti  quattro foglie a forma di uccello che emergono da un cespuglio in primo piano posto davanti ad uno sfondo costituito da una catena montuosa e da un cielo azzurro con nuvole rosa.

L’aspetto geniale che ci ricollega alla dinamica del sogno risiede nella fusione di due elementi normalmente separati e ciò richiama la “condensazione” descritta da Freud nel processo onirico dove una stessa immagine può  rappresentare diverse catene associative ed un personaggio può essere costituito  dai lineamenti e dai caratteri di più personaggi ed un oggetto da più oggetti.

Tale processo creativo si ritrova anche alla base della realizzazione di alcuni prodotti artistici contemporanei che nascono dall’assemblaggio di più oggetti, solitamente riciclati, che danno vita ad un nuovo prodotto. Anche per quanto concerne l’ideazione di invenzioni si configura un processo analogo.

Si può sognare l’opera d’arte, produrla assemblando le immagini del sogno e renderla fruibile allo spettatore che si proietterà in essa e potrà a sua volta sognare.

L’estasi che si può vivere nel contemplare un quadro, in certi casi, crea uno  scollamento dalla realtà talmente intenso da provocare la cosiddetta “sindrome di  Stendhal” e a quel punto il sogno, per il troppo piacere, diventa “incubo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Pessimismo: il fil rouge tra graffitismo e vandalismo

 

Assistiamo in questi giorni ad atti vandalici nei confronti di statue come ad esempio quelle di Cristoforo Colombo a Richmond e a Minneapolis che sono state abbattute e a Boston e a Miami che sono state danneggiate.

Le proteste negli Stati Uniti sono sempre più intese anche in seguito alla morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso a Minneapolis.

A macchia d’olio, come il Covid-19, si diffonde la distruzione.

A Bristol viene gettata in mare la statua del filantropo Edward Colston.

A Londra la statua di Winston Churchill e a Milano quella di Indro Montanelli sono state imbrattate.

Si distrugge forse per costruire?

Ma gli atti vandalici sono l’unica modalità per ricominciare?

Ci troviamo di fronte ad una pandemia che sta contagiando le statue di tutto il  mondo.

La distruzione potrebbe essere simbolo di un grave sofferenza sia fisica che psichica che sta colpendo l’umanità.

Osserviamo il declino di un mondo in conflitto dove l’unica modalità per rinascere è la fine di tutto o di una parte del tutto.

Il fenomeno al quale stiamo assistendo è manifestazione di un’aggressività e di un malessere che si  esprimono attraverso atti distruttivi eterocentrati.

È risaputo che, anche nell’arte, il fenomeno della distruzione è rilevante e in questo  caso espressione di un’aggressività e di un malessere autocentrati e specchio del disagio sociale.

Ne è esempio l’artista Banksy che ha distrutto, tramite un meccanismo inserito nella cornice, la sua opera “Girl with balloon” durante la vendita della stessa alla casa d’asta Sotheby’s.

L’opera distrutta dell’artista di Bristol, ribattezzata “Love is in the bin”, è rinata con questo clamoroso gesto in nuova forma.

Banksy quando realizza i graffiti per cui è noto, oltre a non farsi riconoscere, deve  anche badare a non farsi catturare dalle forze dell’ordine.

Impiega così la maggior parte del suo tempo a ritagliare sagome che poi utilizza solo per pochi minuti quando  dipinge con spray acrilico i muri dei palazzi.

L’atto vandalico in questo caso diviene opera d’arte perché è legittimato dalla società in quanto prodotto artistico.

Naturalmente, se Banksy venisse scoperto, rischierebbe l’arresto come è successo ad artisti come Haring.

Ci chiediamo se il graffito nella sua forma illegale, cioè quando non si hanno i permessi per realizzarlo e quindi danneggia una proprietà, sia espressione di una  denuncia sociale ove prevale un atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Banksy mette in atto un tentativo di rivoluzione contro ciò che è vissuto come ingiusto e riconosce la sofferenza dell’uomo passando da un processo introspettivo  caratterizzato dal pessimismo ad una ribellione, proponendo una forma d’arte peculiare.

Ma distruggere una statua è forse espressione di un vissuto pessimistico dove il  vandalismo prevale come ritorno ad una modalità primitiva di risolvere i conflitti? 

Distruggere le statue di personaggi del passato può servire per ricostruire?

Sono questi gli interrogativi che ci poniamo.

Possiamo sostenere che il fil rouge che unisce coloro i quali compiono un atto vandalico su delle statue a coloro che realizzano un graffito sui muri sia l’atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Tutto ciò ci riporta alla poetica di Leopardi dove prevale il tema centrale della condizione umana. Scrive Leopardi nello Zibaldone:

“La ragione è nemica d’ogni grandezza; la ragione è nemica della natura; la natura è grande, la ragione è piccola”.

Ed è così che Leopardi elabora il concetto di “pessimismo storico”.

Troppo progresso ha permesso alla ragione di prevalere sulla natura e la visione del  mondo che ne consegue è pessimistica.

La fragilità dell’uomo che vive un malessere senza precedenti è esplicativa di ciò che sta succedendo in questo momento.

Ma la visione del mondo di Leopardi segue un mutamento e il pessimismo si addolcisce nella speranza di un recupero della lealtà e  dell’equilibrio.

Solo questi valori possono permettere un recupero della solidarietà umana.

 

 




L’arte come compensazione della disabilità fisica

L’artista messicana Frida Kahlo (1907-1954) è un simbolo di come la disabilità fisica possa trovare una compensazione positiva nell’espressione artistica.

La sua vita è difficile sin dall’infanzia per una malattia, non ben definita se poliomielite o spina bifida, che l’aveva colpita rendendola claudicante.

La sua sofferenza per quella gamba così magra e legnosa è descritta nei suoi ricordi dai quali emerge anche il disagio per essere stata vittima di  derisione da parte dei compagni di scuola.

A 18 anni subisce poi un terribile incidente che così descrive:

“Il tram schiacciò l’autobus contro l’angolo della via. Fu un urto strano: non fu violento, ma sordo, e tutti ne uscirono malconci, io più degli altri”.

Possiamo riscontrare una conferma della profonda sofferenza dell’artista osservando le sue numerose opere artistiche.

In Frida, al dolore fisico che la costringerà per molti anni in un letto, si aggiunge lo  spettro di una solitudine che ben emerge dai primi quadri in cui rappresenta  esclusivamente se stessa.

Lo specchio sul soffitto della sua camera diviene simbolo di quella donna isolata dal mondo che così afferma:

“Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono io la persona che conosco meglio”.

Tra le sue opere citiamo per esempio “La colonna rotta” del 1944 dove si esprime tutta la sofferenza per le numerose operazioni chirurgiche subite.

La spina dorsale non può più sostenere l’artista ma l’artista lotta nonostante sia trafitta dai chiodi.

La disabilità si collega al concetto di inferiorità d’organo ma possiamo notare come chi ha avuto la vita spezzata all’inizio o interrotta successivamente a causa di incidenti, possa ben recuperare attraverso quella che in psicologia chiamiamo  “compensazione”.

L’inferiorità d’organo non preclude il coraggio di essere combattivi e Frida Kahlo ne è un esempio.

Ci sono tante persone meno celebri dell’artista che vivono inferiorità d’organo ed  hanno saputo canalizzare la loro vita costellata dalla sofferenza verso una meta costruttiva.

Coloro i quali sono portatori di una disabilità fisica possono, a seconda dei casi, sprofondare nello scoraggiamento ed abbandonarsi a quella che viene tradizionalmente definita “dipendenza sociale” oppure possono occuparsi in senso positivo delle loro debolezze e costruire su di esse una “compensazione positiva” indirizzata verso il lato utile della vita.

Il tipo di compensazione positiva che si  verifica è  di solito culturale e possiamo notare come la “mancanza” si  trasformi in “opportunità”.

Se prendiamo come esempio Demostene, uno dei più grandi oratori dell’antichità, sappiamo dalla storia che era balbuziente e così Beethoven soffriva di disagi uditivi.

Certamente la compensazione positiva da inferiorità d’organo è strettamente legata al  contesto sociale in cui il soggetto è inserito.

Frida Kahlo ha avuto genitori sensibili  ed attenti al dramma della figlia.

Il corpo martoriato può divenire espressione della psiche ma la psiche può rispondere anche in modo costruttivo.

La rappresentazione del disagio del corpo nel quadro di  Frida Kahlo sopracitato ci emoziona e ci fa comprendere come l’artista sia andata oltre la sofferenza accettandola e mostrandola agli altri attraverso la realizzazione di un’opera d’arte che desta stupore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Arte e dipendenza

Quando si pensa alla figura dell’artista viene spontaneo il riferimento al suo stile di vita.

Cos’è lo stile di vita?

Ognuno di noi è caratterizzato da un suo proprio stile di vita che come affermava il medico e psicologo Alfred Adler – vissuto ai tempi di Freud e Jung e con loro esploratore di  quelle dinamiche dell’inconscio che favoriranno lo svilupparsi della corrente psicodinamica – “è unico ed irripetibile”.

È pur vero che possiamo affermare che sussistono stili di vita che potremmo definire affini.

Vogliamo occuparci a questo proposito dello stile di vita dell’artista che si esprime nei diversi campi della scrittura, della musica, del canto, del teatro, della pittura, della scultura e capire come mai la creatività che esprimono nelle loro opere d’arte sia spesso accompagnata ad uno stile di vita orientato alle dipendenze.

Dipendenze da alcol e da droghe caratterizzano spesso queste persone geniali che, conducendo il più delle volte una vita isolata, si affidano alle sostanze per trovare una modalità di comunicazione espressiva attraverso la realizzazione di un prodotto che deve essere unico.

Ma è vero che si può stimolare la creatività solo se si fa accesso a quello  che  viene comunemente definito “paradiso artificiale”?

Se prendiamo come esempio i luoghi di cultura per eccellenza tra ‘800 e ‘900, come Parigi e Vienna, l’elenco degli artisti che utilizzavano sostanze è elevato e ne è poi  conferma anche la loro morte prematura.

Già i poeti maledetti  quali Baudelaire, Rimbaud e Verlaine assumevano sostanze e pittori come Van Gogh, Toulouse Lautrec, Picasso, Modigliani, Ligabue, Basquiat utilizzavano alcol e/o droghe per poter esprimere le loro emozioni che, alterate dalle sostanze, producevano l’effetto  artistico unico ed irripetibile.

Vittima di alcolismo furono ad esempio scrittori come Poe, Fitzgerald, Hemingway, Bukowsky, Kerouac per citarne solo alcuni.

Non dimentichiamoci poi i musicisti del Club 27 che sono tutti morti in giovane età.

Lo stretto legame tra dipendenza e arte sembra una condanna per quel genio che sopravvive solo se riesce ad alimentare la sua creatività con un carburante tossico. 

Un carburante talmente tossico che lo potrà condurre alla follia.

La storia di alcuni di questi artisti è attraversata anche dalla sofferenza di ricoveri in psichiatria perché,  quando gli effetti delle droghe e dell’alcol non trovano più la canalizzazione dello  sfogo delle emozioni in senso creativo, attivano la mente in senso dissociativo.

Se prendiamo come esempio Van Gogh che manifestava fasi allucinatorie e fasi depressive, possiamo ritenere che si trattasse di disturbi provocati e talvolta amplificati dall’abuso di alcol e di assenzio.

Ci troviamo nel caso del grande artista di  fronte ad una  dipendenza che caratterizza uno stile di vita all’insegna del disagio psichico.

Ai giorni nostri l’artista sembra essere più a rischio che nel passato in quanto può  accedere a nuove forme di dipendenza quali quella legata all’utilizzo di internet.

A dipendenza si aggiunge spesso dipendenza e si crea così un vortice che può arrivare, se si supera una certa soglia, a danneggiare la creatività.

L’artista che assume uno stile di vita – in termini psicologici – finzionale, ricercando la via delle dipendenze, crea un prodotto scollato dalla realtà dove porge al fruitore una visione distante da quell’autenticità creativa che può emergere nell’eseguire un’opera in uno stato di  non alterazione.

La dipendenza è nemica della creatività autentica e per questo è utile nutrire la propria parte creativa con stimoli costruttivi e non distruttivi.

Si può produrre anche senza l’utilizzo di droghe e di  alcol in quanto la vera arte la si trova dentro di sé e non nel fondo di una bottiglia o nel fumo di uno spinello consumati in solitudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Perché è importante utilizzare l’intelligenza emotiva?

Vogliamo affrontare il tema dell’intelligenza emotiva (IE), argomento questo  complesso, in quanto entrano in gioco le emozioni con la loro influenza sulla vita  relazionale.

Ma cos’è la IE? Mettere in campo l’intelligenza emotiva significa essere in grado di riconoscere i sentimenti propri ed altrui gestendo positivamente le nostre emozioni al fine migliorare le relazioni sociali.

L’intelligenza emotiva ha messo in discussione i risultati dei test intellettivi predittivi di successo smantellando l’idea che   elevati QI corrispondano a migliori performance e bassi QI a limitate performance.

Parlare di IE significa richiamare alla mente i concetti chiave di autostima, di motivazione, di auto efficacia con conseguente capacità da parte del soggetto di saper gestire le proprie emozioni.

Gli psicologi americani Salovey e Mayer introdussero tra i primi il costrutto della IE anche se il tema del riconoscimento e della gestione delle  emozioni si è diffuso grazie allo psicologo cognitivista Daniel Goleman celebre per il  suo testo “Emotional Intelligence”.

L’autore in questione definisce la IE come “La capacità di motivare se stessi, di persistere nel raggiungimento di un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici, di sperare”.

Goleman evidenzia nel costrutto della IE alcuni domini quali: l’autocontrollo, l’automotivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni sociali. Si tratta dunque di apprendere un buon uso della IE, ossia l’attitudine emozionale o la meta-abilità – come Goleman la definisce – che ci permette di fronteggiare gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di vita.

L’uomo attivo si inserisce in un processo costante e complesso di scoperta, riscoperta e costruzione di significati, il tutto sempre mediato dal contesto e dalle relazioni sociali che è in grado di costruire ma anche dalla cultura in cui è immerso.

In questo processo continuo ogni azione messa in gioco risulta essere filtrata attraverso le percezioni, i pensieri e le emozioni soggettive. Ma come funziona il nostro cervello in relazione all’intelligenza emotiva?

Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle che appartengono al lobo limbico, il quale è situato in profondità nella parte più interna, cioè mediale, dei lobi temporale e frontale di ciascun emisfero.

Il sistema limbico non è un circuito chiuso poiché è caratterizzato da un alto livello di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali e l’amigdala è la struttura nervosa che rappresenta la base neurologica per eccellenza degli stati emotivi e si attiva sempre per esperienze emozionali molto intense.

Le esperienze emozionali intense non sempre sono negative anzi, se ben canalizzate, possono arricchire la nostra vita.

Scegliere il canale dell’intelligenza emotiva ci permetterà di affrontare in modo  creativo gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di crescita.

Si può dunque ipotizzare che l’intelligenza emotiva sia in relazione con la sfera della creatività.  

L’arte, in quanto espressione della creatività, può divenire uno strumento per aiutare le persone che ne fruiscono attraverso i canali  sensoriali  o che la mettono in pratica attraverso la produzione.

L’arte permette dunque – nelle sue espressioni di fruizione e produzione – di conoscere ed interpretare le proprie emozioni utilizzando il canale della IE e a questo proposito possiamo ritenere che tutto questo sia fondamentale per il mantenimento di uno stile di vita sano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Museo virtuale o museo reale?

Nel clima di reclusione forzata che ha investito il nostro paese in seguito al diffondersi del Covid-19, abbiamo assistito al verificarsi di tendenze sostitutive al tradizionale stile di vita cui eravamo abituati.

La cosiddetta digitalizzazione dei servizi e dei prodotti ha repentinamente cambiato  le abitudini permettendo anche a chi non l’aveva mai fatto di immergersi nella realtà  virtuale per compiere viaggi e approdare poi alla visita dei musei dove, in una dimensione quasi onirica, inizia il viaggio tra le opere d’arte gelosamente custodite.

Le situazioni di crisi modificano le abitudini comportamentali e anche i più impreparati si sforzano di apprendere i rudimenti di internet per poter affrontare viaggi virtuali. Chi non conosceva le più prestigiose opere d’arte si può avvicinare con cautela a rimirarle.

Ma dobbiamo chiederci in che cosa si diversifica un’emozione esperita mentre osservi un qualcosa dal vivo rispetto ad un oggetto che immagini possa vivere e lo vedi filtrato da uno schermo.

L’oggetto virtuale è freddo, il tuo sguardo lo ammira ma non ne nota quei giochi di luce che lo esaltano nella sua eleganza artistica dal vivo.

Chi ha visitato solo i musei oggi disponibili virtualmente, a differenza di chi li ha visitati dal vivo, non potrà esprimere il vissuto di emozioni fissate in quei momenti  di estasi in cui la visita reale permetteva allo sguardo di perdersi nell’opera.

Basta andare su internet ed ecco che si apre la maschera delle disponibilità.

Un’offerta sicuramente appetibile: Pinacoteca di Brera, Galleria degli  Uffizi, Musei Vaticani e molti altri ancora. E poi possiamo trasferirci anche all’estero: Museo Archeologico di Atene, Prado, Louvre, British Museum, Metropolitan Museum, Heremitage, National Gallery of Art. Certamente l’essere in quarantena favorisce il desiderio di evasione e stacco da una realtà percepita come angosciante.

Dalla prigionia imposta dal  Covid-19 si può evadere e iniziare il nostro viaggio forse più concentrati che in una normale visita da turisti. Prevale nell’approccio digitale al museo un reale desiderio di  apprendere; si tratta di una scelta che aumenterà il bagaglio culturale del nostro  turista on line.

Ci chiediamo quanto venga però frustrato il desiderio di ammirazione  e contemplazione dal vivo.

Se ripensiamo alle teorie delle neuroscienze e prendiamo  come riferimento gli studi di Gallese, che ha ipotizzato che lo stesso meccanismo  dell’empatia che favorisce la sinergia con l’altro sta alla base del nostro provare un’emozione guardando dal vivo un’opera d’arte, possiamo ritenere che questo processo sia falsato nel guardare tramite lo schermo di un computer.

Le visite al museo online sono efficaci nel momento in cui permettono al soggetto di poter promuovere un apprendimento preparatorio al contatto reale con l’opera d’arte. Mi avvicino all’ambiente, seleziono prima ciò che sarà rilevante da vedere, approfondisco le mie conoscenze a tal punto che potrò arrivare a vedere l’opera d’arte arricchito da un bagaglio di informazioni che mi faranno fruire della bellezza di quel prodotto artistico.

Si possono forse verificare emozioni intense in un luogo non reale come quello della visita al  museo online?

Di fronte ad un quadro di  Fontana, per fare un esempio, Gallese afferma che “I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela”; possiamo dunque ipotizzare che emozioni di tale portata si possano sperimentare solo in una visita reale.

Fortunatamente la decisione di riaprire i musei, rispettando le norme di sicurezza della distanza sociale, potrà permettere a molti visitatori online di potere affrontare l’emozione dal vivo nel contemplare l’opera d’arte.