Cyberbullismo: sempre più giovane il Cyber Bullo

In una recente (2015) ricerca, che ha avuto come soggetti di indagine 1387 studenti delle scuole medie superiori e 545 studenti delle scuole medie inferiori, ha rilevato che l’1,3% degli studenti delle superiori e il 3,8% di quelli delle medie hanno dichiarato di essere stati coinvolti direttamente in episodi di cyberbullismo. Peraltro, il 42,7% degli studenti delle medie dice di essere stato oggetto almeno qualche volta di insulti o commenti cattivi o poco gentili via Internet.

Dai dati emerge inoltre che il 3,9% degli studenti delle superiori e il 13,8% di quelli delle medie ignorano che cosa significhi il termine cyberbullismo, cosa che fa pensare che sia necessario operare nelle scuole con interventi mirati di formazione sul tema.

In questi giorni durante una sperimentazione condotta dall’associazione “Progetto per Tommaso”,  tre alunni del Liceo Artistico Casorati hanno effettuato un intervento molto efficace contro il cyber bullismo nelle classi dell’Istituto Comprensivo Guido da Biandrate di Novara, ”fotografando” in tempi record (un’ora e mezza d’incontro) il profilo psicologico di alunni vittime e di alunni aguzzini delle classi coinvolte.

La strategia educativa della peer education, cioè della educazione alla pari, ha immediatamente messo a fuoco le dinamiche relazionali decisamente compromesse, nei diversi gruppi classe. Da tempo i docenti percepivano un disagio e constatavano problemi comportamentali e di rendimento, ma solo il naturale passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status ha fatto risaltare l’impotenza dei professori contro il bullismo dell’ultima generazione.

Impotenza dovuta alla velocissima ascesa delle nuove tecnologie ed al sempre più facile accesso ai mondi virtuali.

Questo intervento fa parte del “Progetto per Tommaso” (<!--http://ajax.googleapis.com/ajax/libs/jquery/1.7.2/jquery.min.js--> Il progetto nasce nel 2009 in collaborazione con il Rotary Club Val Ticino di Novara e con l’Asl Dipartimento Materno Infantile ), nato per smascherare le violenze via web emerse dopo la tragica scomparsa di un adolescente di Novara, il liceale quattordicenne Tommaso Bertoncelli scomparso prematuramente nel novembre 2009.

Era appassionato di computer e web ed il suo tragico gesto è parso poi avere un legame con il mondo ai margini del virtuale legato alle trappole nella «rete».

Proprio contro pericoli e uso distorto dei social network è nato il progetto che Susanna Borlandelli, madre di Tommaso e presidente del Rotary club Val Ticino Novara, nonché insegnante nella scuola secondaria ha voluto fortemente facendone una missione: combattere il cyber bullismo ed accompagnare gli adolescenti in una navigazione internet sempre più sicura.

L’obiettivo del progetto è educare all’uso corretto degli strumenti informatici, prevenendo l’abuso e i rischi, formando i giovani delle scuole superiore affinché aiutino gli studenti più giovani nel districarsi dal falso mondo virtuale e dal suo utilizzo distorto.

Ad oggi sono stati coinvolti quattro istituti novaresi: il Liceo Scientifico Antonelli, l’IIS Pascal di Romentino, il Liceo Classico e Linguistico Carlo Alberto, il Liceo Artistico Musicale e Coreutico Casorati, a cui si è aggiunto quest’anno il Liceo delle Scienze Umane.

Il numero di peer educators formati è di 382 e il numero totale di studenti raggiunti è superiore a 7106.

Nello scorso anno scolastico da alcune Scuole Medie Inferiori del territorio è stato richiesto l’intervento dei peer educators, essendo ormai evidente che l’età a rischio per l’utilizzo di smartphone e di altri strumenti informatici è drasticamente scesa.

 

 

http://www.fondazione.novara.it/progetto-tommaso/

Cyberbullismo




Dante poeta immortale muore ogni giorno…

“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, questo è forse uno dei versi danteschi più conosciuti.

E, senza ombra di dubbio, uno dei più frequenti utilizzati dagli studenti ed appeso sulla porta dell’aula, per suggerire, con simpatica ironia per loro e malcelato sarcasmo per i prof, di non varcare quella soglia, perché, dentro, dietro quella porta, ci potrebbe essere una situazione scomoda o per segnalare attività od iniziative che potrebbero essere inutili o di difficile successo, definendo il tutto “senza speranza”.

Stasera, annichilita dalla maestosità del film “Dante” di Pupi Avati, mi sono vergognata, come italiana, dello scempio fatto alla figura di Dante, non dalla storia contemporanea al Sommo Poeta, ma da noi, suoi connazionali, a più di 700 anni dalla sua morte.

Dante è morto il 4 settembre 1321 a Ravenna. Noi siamo ad ottobre 2022, sempre in Italia.

Dante è stato davvero un profeta, un grande visionario della grandezza e della miseria della nostra nazione.

“Ahi serva italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”.

Quanta amara verità e quanta sublime lungimiranza esprimono le parole scritte da Dante più di sette secoli fa.

Il film di pupi Avati è uno squarcio nell’anima, per chi, come la sottoscritta, è cresciuta a pane e Dante.

Figlia di insegnanti ed ora a sua volta docente, deve ammettere che, non solo la politica, ma persino la cultura contemporanea, non rendono merito a Dante.

Povera Italia in cu,i oscurantismo cattolico e propaganda politica, si abbinano a faziosità vuote di senso.

Povera Italia, ex-Patria, in cui volti e nomi vendono la loro immagine al posto di dire la loro voce.

Povera Italia, in cui Dante è sempre più scomodo e, dunque, insegnato poco e male nell’attuale scuola italiana.

Ai tempi di mio padre, professore di lettere nelle medie, Dante veniva insegnato insieme a Petrarca, Boccaccio, Foscolo, Manzoni e Leopardi. Io, dunque, da bambina, a tavola, lo sentivo recitare a mena dito interi canti della Divina Commedia, sentivo parlare di Virgilio, Caronte, Minosse, Paolo e Francesca, Farinata, Pier delle Vigne, Ulisse, il conte Ugolino, come se fossero delle persone reali, quasi dei vicini della porta accanto.

Diventata studentessa alle medie, ho sentito parlare di Dante, ma niente di più. E’ stato poi, al liceo, che ho avuto la fortuna di studiare e di apprezzare Dante.

Perché il viaggio nell’oltretomba di Dante è allegoria del viaggio sulla terra di noi comuni mortali.

Ed insegnare e studiare Dante, significa apprendere a vivere.

Adesso che sono io insegnante, con quasi 35 anni di esperienza nelle scuole medie e superiori italiane, vi posso garantire che Dante è morto e sepolto nella nostra scuola.

Sì, qualcuno al liceo, lo studia ancora, ma non come dovrebbe.

Anche ai miei tempi la versione scolastica di Dante era un poco diversa e molto meno umana e psicologica di quella fornita dal film di Pupi Avati. Ma almeno, tutti o quasi tutti, sentivano parlare di Dante.

Ed indipendentemente da censo e cultura, i valori danteschi scendevano nell’animo delle future generazioni. Erano un po’ come dei semi che, in terreno fertile, potevano dare grandi frutti.

Ma il diritto all’istruzione, sancito dall’art. 34 della nostra Costituzione, ed il successivo percorso di democratizzazione della scuola italiana, anziché, finalmente, portare la cultura al popolo, hanno mancato l’obiettivo.

Ora per chi, come la sottoscritta, la scuola, la vive dal di dentro e per davvero, Dante è ogni giorno morto e sepolto nel nostro sistema scolastico.

Scuola italiana che ha inflazionato la cultura, svenduto il diploma, imbrogliato l’utenza. La scuola dei fondatori della nostra Patria, credeva in Dante e ne avvalorava il messaggio. La scuola del “finalmente aperta a tutti”, credeva nella possibilità di formare le nuove generazioni trasmettendo loro i principi illuministici di liberté, égalité e fraternité.

Bene, la nostra attuale scuola, per tutti ed a qualunque costo, è diventata un sanatorio sociale, un riformatorio adolescenziale, un babysitteraggio gratuito. Ed un cavallo di battaglia politico.

Per questo il film “Dante” di Pupi Avati, la versione umana di Dante, ma anche e soprattutto il suo messaggio universale dovrebbero farci riflettere e pensare “Fu vera gloria? (quella di Dante) “Ai posteri, l’ardua sentenza”.

Per questo il film di Pupi Avati mi ha lasciato annichilita.

Firenze ha mandato in esilio Dante, vivo, il 10 marzo 1302.

L’Italia, nella sua pseudo cultura e nella sua vergognosa politica lo manda in esilio, da morto, ogni giorno sempre più nel 2022.

Ma, l’importante, è, che, a scuola, nessuno ci apra gli occhi…

 

 




RisiKo Covid-19

Carnevale è arrivato in anticipo, quest’anno, almeno nella scuola…

Mettiamola sul ridere, perché, altrimenti, c’è da piangere…

Sono state approvate con il D.L. 5/2022 le Misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell’ambito del sistema educativo, scolastico e formativo”.

Entrano in vigore oggi, 7 febbraio, nel silenzio e nell’indifferenza di tutti, ma, soprattutto, dei sindacati.

Dall’oggi al domani, è stato deciso di mettere fine ad un modello di monitoraggio e di controllo del contagio nelle scuole, modello che ha dato prova di efficienza grazie all’azione di un sistema inclusivo, affidato alla responsabilità dei dirigenti scolastici e alla professionalità dei referenti scolastici per il covid19.

Come sempre, in Italia, quando qualcosa funziona, è ora di cambiarla…

Ecco, che da adesso (spacciata per ragioni di semplificazione) è prevalsa una scelta che scarica di responsabilità le autorità sanitarie preposte e assegna gran parte della gestione dell’emergenza alla scuola.

Come? Con un nuovo sistema di regole che di fatto, sulla base del principio dell’auto-sorveglianza individuale, sbilancia le responsabilità sugli operatori scolastici e sulle famiglie, dimenticandosi, per esempio, delle peculiarità degli istituti comprensivi che si ritrovano a dover affrontare la pandemia in contesti anagrafici disomogenei e con preoccupanti criticità.

  Ma perché, ancora una volta, nonostante l’emergenza tutt’ora     dichiarata, si limita il controllo sanitario lasciando però invariati gli obblighi per l’istituzione scolastica?!?

Come redazione di betapress, torniamo a dare voce alla protesta dei referenti scolastici covid19 di Ancodis che sono molto preoccupati per quanto potrebbe accadere a partire dal 7 febbraio e sono disorientati sulle ragioni di queste nuove regole.

Ne parliamo direttamente con Rosolino Cicero, Presidente Nazionale Ancodis.

Betapress- Professore, erano necessarie queste nuove norme scolastiche?

Cicero- No, non ha senso, riproporre, per l’ennesima volta, al personale e alle famiglie, un nuovo modello in TOTALE discontinuità con il precedente e che pone la scuola in una condizione di ancora più grave fragilità e insicurezza.

Avremo comunità scolastiche ancora più in tensione nelle relazioni scuola-famiglia e tra famiglie laddove si rilevassero uno o più casi di positività.

Betapress- Che posizione assumete come Ancodis?

Cicero- Ancodis ritiene questa scelta uno spericolato risiKo a danno di donne, uomini e alunni che invece dovrebbero essere protetti, rassicurati e sostenuti in questa emergenza che ci ha tolto la forza di un sorriso e la vicinanza di un abbraccio con i nostri piccoli e grandi alunni.

Siamo stanchi e sfiduciati.

Non possiamo accettare di continuare a lavorare in una condizione di insicurezza divenuta per certi aspetti cronica.

Betapress- Cosa chiedete ai sindacati?

Cicero- Chiediamo alle associazioni dei dirigenti e alle OO.SS. di far sentire la loro voce di disapprovazione di una scelta politica che lascia disorientate e nell’incertezza circa 8000 “cellule vitali” che hanno cercato in questi due anni di alzare un argine alla diffusione del coronavirus nonostante i gravi ritardi e le intollerabili negligenze degli altri anelli preposti alla sua tutela.

Betapress- Vi sentite almeno ascoltati?

Cicero- No, assolutamente no, di fronte a questo scenario sentiamo un silenzio assordante…

Ma in che paese viviamo? –

Bene, no, anzi male, aggiungiamo noi di betapress.

Noi, almeno noi, come redazione, continuiamo a stare dalla parte di chi nella scuola ci vive e ci lavora da decenni, non per diletto, propaganda politica o vezzo elettorale!

Vorremmo solo, un po’ di responsabilità, competenza e professionalità, anche da parte di chi comanda e si diletta a fare e disfare solo per il gusto di simulare un proprio (assurdo e contraddittorio) intervento politico.

E lasciamo ai posteri l’ardua sentenza “Ma è davvero così che si operano delle scelte responsabili apostrofate “Misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell’ambito del sistema educativo, scolastico e formativo”?!?

 




Sharenting

Come docente referente cyberbullismo, giustamente, mi formo ed informo per la prevenzione e la gestione dei rischi in rete.

Come libero cittadino, dipendente pubblico, devo aggiornarmi sul regolamento europeo GDPR 679/2016 inerente la privacy.

Senza tanti fronzoli, per chi, come me, vive e lavora nella scuola da oltre trent’ anni, è sempre più evidente che non si può più fare niente, neanche la foto ricordo di fine anno scolastico, senza autorizzazione dei genitori.

Non parliamo poi, del supporto psicologico gratuito, per aiutare i minori in caso di disagio.

Ancora un po’, ci vuole “la bolla papale” per far sì che un alunno vada a fare una chiacchierata con la psicologa…

Poi, frequentando piattaforme social quali Instagram, Facebook e TikTok vedi che è facile imbattersi in post di mamme e papà (gli stessi che ti remano contro a scuola!) che scelgono di pubblicare foto e video dei propri figli in maniera compulsiva e senza alcun tipo di filtro, divulgando momenti appartenenti alla sfera più intima.

Immagini tenere e spesso divertenti che attirano i followers, (Fedez e Ferragni docet) ma che, pur scatenando una pioggia di like e apprezzamenti, suscitano perplessità e fanno emergere una serie di domande.

Prima di tutto i dati.

Secondo una ricerca condotta dalla Northumbria University, oltre l’80% dei bambini britannici sarebbe presente in rete già prima di compiere 2 anni, e prima di raggiungere i 5 anni ognuno di essi arriverebbe a possedere addirittura 1500 foto sul web.

Un ulteriore studio, promosso da ParentZone, sottolinea come il 32% dei genitori pubblichi dalle 11 alle 20 foto al mese dei propri figli.

Di questi, il 28% non si sarebbe mai posto il problema di richiedere il consenso ai ragazzi.

Gli effetti futuri.

Quando però, quelli che ora sono bambini cresceranno, potrebbero non apprezzare la presenza online, né la narrazione portata avanti dai genitori, destinata, nonostante le migliori intenzioni, a rimanere incollata ai “futuri adulti” come una spiacevole etichetta (vedi spiacevoli inconvenienti digitali emersi in sede di selezione del personale per un futuro impiego)

Insomma, creare un’identità digitale propria e utilizzare i social (in maniera libera e serena) potrebbe, successivamente, rivelarsi difficile per coloro che, da piccoli sono stati esposti alla rete forzatamente, ed in modo esibizionistico dai genitori.

Tutto questo identifica il fenomeno dello “sharenting”, sempre più diffuso e a tratti allarmante, complici i rischi legati alla privacy dei minori, tangibili e sicuramente da non sottovalutare.

Definizione di sharenting.

Con il termine “sharenting” si fa riferimento alla condivisione in rete da parte dei genitori di immagini e video riguardanti i propri figli.

Coniato negli Stati Uniti, il neologismo è la crasi delle parole “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità), anche se per precisione la pratica è meglio identificata come “over-sharenting”, ovvero l’eccessiva e protratta esposizione dei minori nel contesto web.

Nella maggior parte dei casi, tale esposizione avviene senza il consenso dei minori diretti interessati, proprio perché troppo piccoli (o non abbastanza grandi) da comprendere quali possano essere le implicazioni ed i rischi, così come l’importanza della tutela della privacy.

I rischi dello sharenting

Innumerevoli sono i rischi che comporta la pratica dello “sharenting”, tutti in grado di ledere seriamente la privacy del minore, esponendolo ai più comuni pericoli del web.

Il primo è rappresentato dalla violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali e sensibili.

La privacy è un diritto, non solo degli adulti, ma anche dei bambini, come sancito dalla Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

C’è poi la questione legata alla mancata tutela dell’immagine del minore, basti pensare alla concreta perdita di controllo relativa ai contenuti una volta pubblicati in rete.

L’identità digitale esercita un’influenza concreta e tangibile sul futuro dei minori, in questo modo esposti ai più comuni rischi legati al contesto telematico.

La relativa immagine appare dunque in balia di chiunque desideri sfruttare il materiale fotografico e video per scopi illeciti e denigratori, complice la relativa permanenza su web e l’impossibilità di eliminarne ogni traccia in un secondo momento.

Problema ancor più grave sono le ripercussioni psicologiche sul benessere del minore.

Quando i soggetti coinvolti inizieranno a navigare in rete in autonomia, dovranno inevitabilmente “pagare lo scotto” dell’essere (o dell’essere stati) esposti pubblicamente in maniera continua, col rischio di ritrovarsi a far fronte a un’identità digitale costituita anche da immagini intime per le quali non hanno prestato alcun consenso.

C’è poi il rischio di diffusione di materiali che potrebbero essere sfruttati in contesti pedopornografici.

Immagini o video, per quanto innocenti, possono essere condivisi liberamente da chiunque, sia attraverso semplici screenshot che mediante il download diretto, per poi venire pubblicati in altri contesti senza alcuna limitazione.

Non esiste dunque alcuna certezza circa l’utilizzo che ne verrà fatto da terzi, e occorre tenere ben presente che ad oggi, attraverso l’uso di semplici programmi di fotoritocco, è possibile manipolare il materiale personale con una certa facilità, rendendolo di carattere pedopornografico, con tutte le ripercussioni del caso.

Ultimo ma non meno importante il rischio di adescamento.

I dati dei minori, come le passioni, lo sport praticato, l’istituto frequentato e le abitudini degli stessi, se costantemente esposti online possono rappresentare terreno fertile per i malintenzionati che, dopo aver intrapreso una sorta di “percorso di avvicinamento”, possono praticare atti di adescamento online.

Sharenting e privacy

Tra le principali criticità che coinvolgono lo “sharenting” compaiono le ripercussioni che la condivisione – specie se compulsiva e ripetuta – ha sul minore.

Ad essere principalmente lesa è la privacy, poiché la pratica comporta la creazione di un vero e proprio archivio digitale, il più delle volte pubblico e fruibile da chiunque.

Spesso il minore non è in grado di capire cosa succede quando viene condivisa un’immagine che lo immortala, e ciò determina a tutti gli effetti una violazione della privacy, oltre che una lesione dell’individualità del soggetto.

Una volta cresciuti, i bambini sono costretti a “fare i conti” con una grande quantità di contenuti che li riguardano, con tutte le conseguenze e implicazioni psicologiche e sociali del caso.

In Italia non sono mancati proprio per questo casi in cui gli adolescenti coinvolti, una volta preso atto della quantità di contenuti online che li riguardavano, hanno scelto di rivolgersi ai tribunali, obbligando i genitori alla rimozione del materiale “incriminato” pubblicato sui social.

Ha acceso innumerevoli dibattiti l’ordinanza del 30 agosto 2021 emessa dal Tribunale di Trani, che ha condannato una madre a rimuovere i video della figlia, e a versare una somma di 50 euro sul conto corrente intestato alla bambina per ogni eventuale giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione, il tutto a fronte del disaccordo da parte del padre rispetto alla pratica dello “sharenting”.

Il considerando 38 del GDPR recita che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate, nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”.

Come ha ricordato lo stesso Tribunale di Trani nell’ordinanza, è fondamentale che il consenso alla pubblicazione online di immagini dei figli minori sia prestato dai genitori, che devono al contempo essere in grado di porre limiti che non ledano in alcun modo la privacy dei bambini e dei ragazzi.

Occorre tuttavia considerare che la pratica dello “sharenting” non si limita a creare dinamiche che possono semplicemente compromettere la riservatezza del minore.

Ancor più rischioso è infatti metterne a repentaglio la sicurezza mediante la condivisione di materiale video e fotografico che può potenzialmente diventare virale.

Dunque, per concludere, un genitore, in quanto tale, non deve mai sottovalutare l’entità del possibile problema che lo “sharenting”, per quanto divertente, può comportare.

E certi altri genitori, analfabeti digitali, prima di puntare il dito contro la scuola, dovrebbero staccare il loro dito dal tasto condividi del loro smartphone…

 




Bullismo fenomeno dilagante

La “Prima Giornata nazionale contro il bullismo a scuola” si è svolta il 7 febbraio 2017, in coincidenza con la Giornata Europea della Sicurezza in rete indetta dalla Commissione Europea (Safer Internet Day).

Cinque anni dopo, il fenomeno del cyberbullismo è in costante e rapida crescita, comparendo tra le minacce più temute dai ragazzi dopo droghe e violenza sessuale.

Secondo le ultime ricerche, infatti, colpirebbe addirittura il 61% degli adolescenti italiani, rappresentando pertanto un notevole rischio, a discapito della potenziale utilità delle tecnologie più innovative legate al contesto web.

Per far fronte a questa vera e propria emergenza, e tutelare giovani e giovanissimi che utilizzano quotidianamente gli strumenti informatici, il Garante della privacy ha provveduto a divulgare una scheda informativa nella quale spiega come difendersi dal cyberbullismo su social network e web.

Dunque, per arginare tale problematica in maniera concreta, è possibile avvalersi di quanto previsto dalla legge 71/2017 per il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in tutte le sue manifestazioni, richiedendo la rimozione gratuita dei contenuti a carattere denigratorio pubblicati in rete.

Cyberbullismo. Cosa dice la legge 71/2017

Come illustra la scheda informativa promossa dal Garante della privacy, la legge 71/2017 offre ai minori l’opportunità di richiedere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di contenuti a loro riferiti e diffusi per via telematica, qualora gli stessi vengano ritenuti a tutti gli effetti atti di cyberbullismo, (ad esempio immagini e video offensivi o che generino imbarazzo, pagine web o post social in cui si ritenga essere vittime di offese, minacce, insulti o vessazioni).

Le richieste di cancellazione dei contenuti ritenuti offensivi devono essere inoltrate al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media ove sono pubblicate le informazioni, le foto o i video ritenuti atti di cyberbullismo.

L’istanza può essere inviata direttamente dal minore, se di età superiore ai 14 anni, o in alternativa da chi esercita la responsabilità genitoriale.

Il titolare del trattamento, così come gestore del sito internet o del social media che ospita i contenuti ritenuti offensivi è tenuto a rispondere e a provvedere all’accoglimento della richiesta di eliminazione, il tutto nei tempi previsti dalla legge.

Qualora la richiesta non venga soddisfatta, è comunque possibile rivolgersi al Garante della privacy, che si attiverà entro 48 ore.

Per inoltrare le segnalazioni all’Autorità, è possibile utilizzare il modello preposto, che deve essere inviato via email all’indirizzo cyberbullismo@gpdp.it.

Cyberbullismo. Cosa dicono le statistiche.

Secondo un’indagine condotta, nel 2021, dall’Osservatorio Indifesa, portato avanti da “Terre des hommes” in collaborazione con “ScuolaZoo”, il 61% degli adolescenti italiani ha dichiarato di essere stato, almeno una volta, vittima di episodi di cyberbullismo.

Il 42,23% di ragazze e ragazzi intervistati, indifferentemente, evidenzia, mediante le risposte fornite, una palese sofferenza esercitata da episodi di violenza psicologica e verbale promossi da parte di coetanei.

Allo stesso tempo, un altro dato appare piuttosto chiaro: il 44,57% delle ragazze intervistate avrebbe manifestato un forte disagio causato dal ricevere commenti non graditi di carattere sessuale online.

L’8,02% delle ragazze ammette di aver compiuto atti di bullismo o cyberbullismo, percentuale in crescita fino al 14,76% tra i ragazzi.

Il 60% circa degli intervistati ha dichiarato inoltre di non sentirsi al sicuro online: sono in questo caso le ragazze (circa il 61,36% delle intervistate) ad avere più paura, soprattutto sui social network e sulle applicazioni per incontri.

I rischi percepiti in misura maggiore

Tra i rischi maggiori, sia per quanto concerne i maschi che le femmine, al primo posto compare proprio

il cyberbullismo in misura di circa il 66,34%,

seguito dalla perdita della privacy (49,32%),

dal “revenge porn” (41,63%),

dal rischio di adescamento da parte di malintenzionati (39,20%),

dallo stalking (36,56%)

e dalle molestie (33,78%).

Nella classifica dei peggiori incubi online, le ragazze pongono al secondo posto il “revenge porn” con una percentuale pari al 52,16%, unitamente al rischio di subire molestie online per il 51,24%.

A tali minacce seguono l’adescamento da parte di malintenzionati (49,03%) e la perdita della propria privacy (44,73%).

In particolare, lo stesso Osservatorio Indifesa ha evidenziato due novità di rilievo nell’indagine dedicata al 2020, sebbene nel 2021 il tutto sia ulteriormente incrementato: il “revenge porn” e il senso di isolamento percepito dai giovani.

Nel caso del “revenge porn”, un adolescente su tre ha infatti confermato di aver visto circolare foto intime personali o dei propri amici e conoscenti sui social network.

Quasi tutte le ragazze (circa il 95,17% delle intervistate) hanno consapevolmente preso atto che vedere le proprie foto o video hot circolare online senza il proprio consenso risulta grave al pari di subire una violenza fisica, percentuale in lieve discesa invece per i ragazzi, con cifre pari all’89,76%.

Non dimentichiamo, inoltre, che tendono a persistere i vecchi pregiudizi, legati soprattutto alle tradizioni famigliari e a contesti di degrado culturale.

Infatti, il 15,21% dei ragazzi considera una “ragazza facile” quella che sceglie liberamente di condividere foto o video a sfondo sessuale in compagnia del partner (per le ragazze tale asserzione risulta vera solo nell’8,39% dei casi).

Cyberbullismo, effetto covid e lockdown

Covid e locksown hanno peggiorato la situazione.

Infatti, forte e crescente è il senso di solitudine registrato dall’indagine, correlato quasi certamente alle misure precauzionali adottate durante il lockdown, al distanziamento sociale, e alla didattica a distanza.

Il 93% degli adolescenti ha infatti affermato di sentirsi solo, con un incremento del 10% rispetto a quella che era stata la rilevazione precedente.

Un aumento ancora più significativo se si pensa che la percentuale di chi ha indicato di provare solitudine “molto spesso” è cresciuta addirittura del 33%, giungendo rapidamente ad un drammatico quanto allarmante 48%.

Dati preoccupanti dunque quelli raccolti dall’Osservatorio Indifesa, che dovrebbero indurre a riflettere su come la tecnologia, per quanto all’avanguardia, implichi rischi di notevole entità, specie per gli adolescenti che non sempre accolgono con consapevolezza le innovazioni.

Concludendo, non aspettiamo il 7 febbraio per ricordarci dei rischi in rete.

Spegniamo il cellulare, accendiamo il cervello e controlliamo i nostri figli.

Noi, come redazione, non ci stancheremo mai di trattare questo fenomeno culturale, consapevoli che è un’emergenza sociale che, con effetto domino, si sta ribaltando su tutte le generazioni future.

La sola via utile da intraprendere è quella della tutela dei minori, messa in atto mediante una corretta e veritiera informazione (anche e soprattutto da parte delle istituzioni scolastiche, è vero, ma non basta).

La scuola, ma ancor prima la famiglia, devono formarsi ed informarsi in modo completo e responsabile.

Solo facendo rete, tutti insieme, genitori, professori, educatori, minori e fruitori possiamo prevenire tutti i rischi legati al cyberbullismo.

La parola d’ordine è EDUCAZIONE COME PREVENZIONE.

Perché, educando ed educandoci all’utilizzo delle nuove tecnologie web, con rigore, consapevolezza e maturità, forse, qualcosa di buono, da festeggiare, in futuro, ci sarà…

 




Parte la trasmissione “Donne che corrono con i lupi”

“Donne che corrono coi lupi” è quello che in francese si dice “livre de chevet” ovvero, libro da comodino.

Io lo considero un libro-talismano ed un libro-pronto soccorso per noi donne.

Per questo, lo tengo sempre lì, sul comodino, come un amico speciale, un’opera preziosa, che dona spunti di riflessione e di crescita interiore.

Attraverso fiabe antiche l’autrice, ci dà gli strumenti per connetterci con la nostra natura selvaggia e con la nostra forza intuitiva femminile.

Un inno alla meravigliosa parte profonda dell’animo femminile, quello che spesso viene dimenticato.

Donne che corrono coi lupi è un capolavoro di Clarissa Pinkola Estés pubblicato nel 1992.

Psicoanalista junghiana, Clarissa Pinkola Estés ha fondato un’analisi volta al femminile e che mira alla ricerca indiscussa della felicità.

Con la sola forza del passaparola, questo libro è riuscito ad avere un successo planetario ed un tale apprezzamento dalla critica, da rimanere nella classifica best seller del New York Times per i tre anni successivi alla sua pubblicazione.

La Donna Selvaggia è un prodigioso intuito dell’autrice.

La Donna Selvaggia è una forza potente che si basa sull’istinto, una lupa ferina, ma anche materna, soffocata da quelle paure, insicurezze e stereotipi di cui sono quasi sempre vittime le donne.

Attraverso fiabe e miti, culle senza dubbio di tutte le tradizioni culturali, l’artista ci racconta quali sono le trappole in cui cade la psiche femminile, deturpandola della sua bellezza creativa.

Troppe volte, noi donne, ci troviamo ad essere eccessivamente premurose verso altri e poco verso noi stesse, dimenticando la nostra vera natura.

Eppure c’è un fuoco, dentro di noi, da ascoltare: è quello che ci ricorda che il connubio tra donna e lupo non è solo una semplice metafora. Possiamo essere premurose, sì, ma mai senza avere la forza di accendere anche la più piccola fiamma della nostra natura selvaggia.

Proprio in quest’ottica, nasce la serie “DONNE CHE CORRONO COI LUPI”, Parliamone insieme, condotta da Antonella Ferrari, caporedattore scuola, docente e poetessa, autrice del libro “Solo gocce di vita”

In ogni puntata, in diretta streaming trasmessa, sul canale youtube di betapress TV, sarà ospite del nostro programma una donna speciale che ha fatto la differenza nel suo percorso di crescita umana e professionale attraverso una o più rinascite, dando prova di forza d’animo, intuito femminile, versatilità professionale e resilienza personale.

Un viaggio a puntate, attraverso storie di donne comuni, eppur speciali, donne che hanno avuto il coraggio di lanciare il loro cuore al di là dell’ostacolo e di “scrivere dritto su righe storte”.

Un confronto a 360°, dialogo al femminile destinato però anche ad un pubblico maschile, perché, non dimentichiamolo, in ognuno di noi, abitano l’anima e l’animus.

Perché, senza disturbare Jung, quante donne seguono il loro animus, come lato maschile inconscio, e quanti uomini ascoltano la loro anima come lato inconscio femminile.

Del resto, lo dice il titolo stesso del libro, le donne che corrono coi lupi, non corrono da sole, anzi…

 




Adolescenti, social e suicidi

L’adolescenza, è un periodo di transizione dall’infanzia verso l’età adulta.

Durante l’adolescenza, i ragazzi attraversano numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, acquisiscono nuovi ruoli e responsabilità all’interno del contesto sociale e si trovano a dover strutturare una propria identità.

Ma, attenzione, tutti questi cambiamenti tipici dell’adolescenza, da sempre, vanno contestualizzati nelle coordinate spazio-temporali, variabili, in cui l’individuo vive.

Ecco perché, essere adolescenti, oggi, implica attraversare i compiti evolutivi dell’adolescenza declinandoli in un contesto, socio culturale, fortemente influenzato dai social.

A questo proposito, una ricerca interna di Facebook, del settembre 2021, ha evidenziato dei dati allarmanti, dati raccolti negli Stati Uniti e nel Regno Unito relativamente agli ultimi tre anni.

Tra i più rilevanti, emergerebbe che oltre il 40% dei soggetti presi in esame, che hanno dichiarato di sentirsi poco attraenti, avrebbe specificato come tale sensazione sarebbe stata amplificata dall’utilizzo di Instagram.

Ma, soprattutto, sarebbero soprattutto gli adolescenti ad incolpare Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione.

Non solo, la ricerca di Facebook avrebbe altresì rilevato che gli adolescenti che hanno manifestato intenti suicidi (il 6% negli Stati Uniti e il 13% in UK), ricondurrebbero tale atteggiamento proprio all’uso di Instagram.

La notizia, resa nota dal Wall Street Journal – l’unica testata ad essere entrata in possesso delle slide relative a quanto espresso dal colosso di Menlo Park – fa molto discutere, in virtù del fatto che a prendere coscienza del pericolo è proprio la stessa società che possiede la piattaforma Instagram, la più usata dai giovani al pari di TikTok.

Secondo questa ricerca, Instagram rischierebbe dunque di essere uno strumento di continuo “confronto sociale”, una sorta di paragone costante con modelli che utilizzano, come solo metro di conversazione, il confronto della propria immagine.

Praticamente, agli utenti di questa piattaforma, attraverso il meccanismo del photo sharing, verrebbe veicolato il messaggio che, nella vita, per avere “successo”, bisogna incarnare un dato modello di prestazione fisica e di perfezione estetica.

In effetti, Instagram vede il continuo bombardamento di immagini perfette che appaiono nei feed e nella sezione “Esplora”, ma veramente, gli effetti di questo meccanismo sono così pesantemente negativi sui giovani?

Da anni, ormai lo sappiamo, si è sviluppato un acceso dibattito sugli effetti dei social che– se utilizzati in maniera scorretta e poco sana – possono generare problematiche da non sottovalutare, specie a fronte del fatto che sono i giovani a risentirne in prima persona, spesso in maniera evidente.

Del resto, è evidente, il vero fulcro di queste piattaforme web sono gli algoritmi, creati con l’obiettivo di alimentare interesse verso determinate tendenze, che possono incidere pesantemente su alcune persone più fragili di altre.

Ma come e perchè sul piano cognitivo e comportamentale Instagram è uno strumento dannoso per gli adolescenti?

Ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Giulia Alleva Psicologa e Consulente sessuale, Specializzanda in psicoterapia cognitiva

Betapress- Dottoressa, partiamo dai dati, ovvero, una ricerca interna di Facebook, resa nota dal Wall Street Journal ha fatto emergere dati allarmanti su come l’utilizzo di Instagram possa risultare dannoso per gli adolescenti.

Cosa ci può dire in proposito?

Dott. Alleva- Instagram è una piattaforma nota per il photo sharing ed è molto popolare tra i giovani e non solo.

Basti pensare che, ad oggi conta oltre 500 milioni di utenti attivi, distribuiti in ogni parte del mondo.

Ma, attenzione, proprio per i più giovani, il photo sharing rappresenta uno strumento potenzialmente deleterio, in quanto causa un continuo confronto sociale che tende a generare ansia, stati depressivi e disagio tra i ragazzi.

Betapress- Perché, proprio gli adolescenti sono i più vulnerabili?

Dott. Alleva- Uno dei compiti evolutivi dell’adolescenza è la mentalizzazione del corpo. Cioè, proprio l’individuo in fase adolescenziale, prova ad affrontare e realizzare la costruzione di un’immagine corporea, ma anche la sua rappresentazione mentale.

Instagram rappresenta uno strumento dannoso per gli adolescenti perché peggiora i problemi di immagine corporea degli stessi.

Pensiamo che, proprio in una delle slide relative alla ricerca di Facebook, una ragazza su tre dichiara che Instagram peggiora l’idea di sé come corpo adeguato.

Vede, questo dato è molto significativo, perché, gli adolescenti presentano già problematiche legate all’aspetto fisico, all’ansia, alla depressione e ai disturbi alimentari a monte. Il continuo confrontare il proprio corpo reale, imperfetto, con l’altrui corpo virtuale, perfetto, aggrava il senso di inadeguatezza ed inferiorità. Viene da sé che, in un contesto di questo genere, Instagram appare tutt’altro che d’aiuto.

Betapress- Possiamo fare degli esempi?

Dott. Alleva- Certo! Proprio nell’inchiesta del Wall Street Journal è riportata la storia di un’adolescente, Anastasia Vlasova, che a soli 18 anni è in terapia per disturbi alimentari, attribuiti da lei stessa al tempo trascorso su Instagram.

La ragazza si era iscritta alla piattaforma a 13 anni, finendo per trascorrere addirittura tre ore al giorno sul social, incantata dalle vite e dai corpi apparentemente perfetti delle influencer di fitness.

“Quando sono andata su Instagram – ha raccontato la ragazza – tutto quello che ho visto erano immagini di corpi perfetti, addominali perfetti e donne che facevano 100 burpees in 10 minuti”.

Betapress- A quanto pare la storia di Anastasia è ormai piuttosto comune…

Ma ci sono stati degli interventi per arginare il problema?

Dott. Alleva- Sì, dal momento in cui gli stessi ricercatori di Instagram, nel 2019 hanno iniziato a studiare gli effetti indesiderati provocati dalla piattaforma, scoperchiando un vero e proprio vaso di pandora, gli stati hanno dovuto intervenire.

In particolare, ha fatto discutere qualche mese fa la decisione del Ministero per l’Infanzia e per la Famiglia in Norvegia, che ha reso obbligatoria all’interno di Instagram l’indicazione relativa a un’eventuale modifica digitale delle foto pubblicate.

Betapress- Secondo la sua esperienza, quest’intervento è adeguato a risolvere il problema.

Dott. Alleva- l’efficacia completa dell’intervento sarà misurabile nel tempo, certo è che questa indicazione rappresenta un intervento concreto.

Nei fatti, è stata presa una decisione d’obbligo, specie a fronte del dilagante fenomeno del dismorfismo corporeo, il pensiero continuo sui propri difetti fisici, percepiti come amplificati a causa di una visione distorta di sé e della propria fisicità.

Una situazione continuamente fomentata dalla ricerca di “like” e “vanity metric” che, come ampiamente espresso dalla ricerca, genera ansia in particolare negli adolescenti, accompagnata da depressione, frustrazione e bassa autostima, con tutte le conseguenze del caso.

Appare dunque più che opportuno informare su quanto Instagram possa risultare dannoso, specie per i soggetti potenzialmente più fragili, sensibili e insicuri.

L’intento non è certo quello di mettere in discussione una piattaforma in particolare, ma semplicemente di evidenziare quelle che possono essere le conseguenze che l’utilizzo e il format di molti social possono comportare sugli adolescenti e il relativo impatto, sia a livello psicologico che fisico.

Betapress- Ma Instagram stesso sta fronteggiando il problema?

Dott. Alleva- A fronte di quanto emerso, il vicepresidente per gli Affari globali di Facebook, Nick Clegg, ha spiegato in cosa consisteranno le misure per fronteggiare le problematiche relative a Instagram, sebbene per il momento sia ancora tutto in fase di progettazione e non sia stata resa nota alcuna data certa per il lancio di nuove funzionalità.

Entrando nel dettaglio, aggiungiamo noi, si parla di una nuova tecnologia in grado di permettere agli adolescenti di tenersi alla larga da contenuti potenzialmente dannosi per la loro salute mentale: “Quando i nostri sistemi vedranno che un teenager sta visualizzando un certo tipo di contenuto ripetutamente, ed è un contenuto che potrebbe nuocergli, lo spingeremo a guardare un contenuto diverso”.

Il manager avrebbe poi dichiarato momentaneamente sospeso il progetto “Instagram Kids”, piattaforma dedicata ai giovanissimi, per fare spazio alla nuova funzionalità “Take a break”, il cui obiettivo è quello di indurre ragazzi e ragazze a prendersi una pausa dal social dedicati al photo sharing.

Inoltre, ci limitiamo ad aggiungere che, come riportato da un articolo pubblicato su The Verge, si tratterebbe di una nuova feature la cui idea era stata presentata dal capo di Instagram lo scorso settembre, il quale ha ricordato anche l’impegno a sviluppare strumenti che consentano ai genitori di supervisionare gli account dei propri figli.

Certo è che un utilizzo più consapevole, informato e adeguato al proprio ideale di condivisione può sicuramente rappresentare un modello, anche e soprattutto per i più giovani.

Occorre quindi una maggiore attenzione, informazione e consapevolezza nell’utilizzo delle piattaforme social, rendendole non solo uno strumento ludico, ma anche e soprattutto di crescita e arricchimento personale.

 




Sciopero inutile, parola di Prof.!!!

“Adesso basta, la scuola si ribella”.

Questo il titolo che accompagna la campagna informativa per il nuovo sciopero proclamato dai sindacati.

Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda e Snals – partecipa anche Anief ma in forma separata – hanno annunciato per venerdì 10 dicembre una nuova giornata di agitazione sindacale per protesta contro il presunto immobilismo del governo in materia di istruzione.

Un déjà vu, uno slogan datato, smentito dai fatti.

Non bastava lo sciopero nazionale proclamato per il 16 dicembre, secondo i sindacati, la scuola anticiperà la contestazione.

Ed i sindacati prevedono pure un’adesione massiccia del personale scolastico…

Per me, che vivo e lavoro nella scuola da quasi mezzo secolo, lo sciopero di dopo domani sarà un altro flop, perché pochissimi docenti vi parteciperanno, e quei pochi che andranno in piazza, anziché a scuola, provocheranno le famiglie e non le istituzioni…

Le famiglie, che oltre a tutte le difficoltà legate all’emergenza sanitaria e ai continui stop a singhiozzo, quarantene e Dad affannate e difficoltose, dovranno pure gestire uno sciopero di quei “fannulloni dei prof., che non gli bastava, l’8 dicembre, e due settimane di vacanze a Natale, pure lo sciopero dovevano fare!”

NO, tranquilli, i vostri figli andranno a scuola, vedrete, i prof. non faranno sciopero.

Ma quando mai, i prof. fanno sciopero?!?

Ma procediamo con ordine.

Le ragioni dello stop della scuola secondo i sindacati

Nel mirino dei lavoratori della scuola c’è la Manovra 2022: una Legge di Bilancio che porta in dote 33 miliardi, ma che destina “solo” lo 0,6% al fondo che dovrebbe premiare la professionalità dei docenti.

Una percentuale che i sindacati trovano “inadeguata” rispetto all’”effettiva necessità di rendere merito al lavoro della classe insegnante” attaccano.

Poi c’è la questione degli aumenti: 87 euro in più in busta paga, cifra che le sigle sindacali bollano come “decisamente troppi pochi”.

Altro tema caldo l’organico Covid, su cui il Governo avrebbe “fatto ben poco”: 300 milioni sono stati trovati per gli insegnanti, ma zero risorse, invece, per il personale Ata, spiegano Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda e Snals.

Cosa chiedono i sindacati con lo sciopero

“Serve dare stabilità al lavoro di migliaia di precari valorizzando di più il lavoro che si fa in classe.

Aumento dei posti dei collaboratori scolastici, presìdi sanitari e sistemi di sanificazione nelle scuole.

E poi basta con le reggenze, un dirigente e un Dsga per ogni scuola” lamentano i sindacati.

Secondo le confederazioni le misure che servono immediatamente sono:

  • concorso Dsga Facenti Funzioni anche se privi del titolo di studio
  • riduzione del numero di alunni per classe
  • abolizione dei vincoli sui trasferimenti del personale
  • fine delle incursioni legislative in materia di contratto
  • snellimento delle procedure e meno burocrazia
  • rispetto degli impegni sottoscritti con le organizzazioni sindacali nel Patto per la Scuola
  • risorse per un aumento salariale a 3 cifre nel rinnovo del contratto
  • proroga dei contratti Covid anche per il personale ATA
  • risorse per la valorizzazione professionale e non per un premio alla “dedizione”
  • percorsi riservati per la stabilizzazione dei precari con 3 anni di servizio
  • sblocco della norma di legge del vincolo sulla mobilità per i neo immessi in ruolo dal 2020/21
  • intervento strutturale sulle classi numerose non a costo zero.

Tante belle parole, demagogia allo stato puro.

Ecco perché, come vi dicevo, cari genitori, state tranquilli, i vostri figli andranno a scuola, vedrete, i prof. non faranno sciopero.

Ve lo dice una prof che è pronta a scommettere su una verità sperimentata in più di trent’anni di esperienza.

Gli insegnanti non scioperano.

 

Gli insegnanti non scioperano da anni, ormai.

E non perché sono “pecoroni” come spesso la società li indica ma, perché scioperare è un sacrificio economico inutile che ingrassa solo i sindacati.

Se solo pensiamo che una giornata di sciopero costa 100 euro sul misero stipendio dei docenti, si capisce come e perché non sia possibile lo sciopero ad oltranza…

E allora, cosa fare per protestare contro un governo che vuole i docenti poveri tra i più poveri ed un ministro che non sa neanche di cosa sta parlando?

Insegno da 35 anni, ho sempre speso tutte le mie energie per un lavoro che amavo (oggi lo amo un po’ meno grazie a chi la scuola l’ha distrutta), ho sempre fatto parte delle varie commissioni (orientamento, inclusione, salute, bullismo…).

Mi sono sempre dedicata anima e corpo ai miei alunni (insegnando francese, ho minimo 9 classi su due scuole)

Non ho mai “rubato” il mio stipendio, non ho mai lesinato ore alle mie classi.

Nonostante diversi km di distanza, sono tornata a casa a pomeriggio inoltrato per anni, e vi assicuro che, seppure retribuite, molte attività extracurricolari, visto il lavoro svolto, sono spesso state ore di missione e volontariato.

A scuola non esiste il pagamento degli “straordinari” come per tutti gli altri impieghi della PA, non esiste il conto delle ore effettive in più (pagate a cottimo a 17,50 euro lordi), non esiste l’avanzamento di carriera…esistono gli IMPEGNI, quelli sì…

Allora, per provocare disagi (e non ai DS che sono consapevoli di quanto ho scritto e mai contro il corpo Docenti) cosa fare?

 

– Le tessere sindacali?

 

Mi viene da ridere, più volte ho espresso il mio pensiero sui sindacati ormai burocrati e difensori di se stessi…

 

– Piegarsi al principio del minimo sforzo?

 

Faremmo contenti tutti…

Ministro, genitori e studenti…tutti promossi, anche gli asini!

(Ma questo un vero insegnante non riesce più a farlo!)

 

Cosa ci resta per protestare?

 

Dopo lunghe riflessioni con me stessa, ritengo ci sia un unico modo per protestare e cercare di ottenere qualche risultato che ci dia un minimo di dignità, cioè,

 

RIFIUTARE QUALSIASI INCARICO AGGIUNTIVO…

 

Semplicemente fare solo lezione e tutto quanto previsto dal nostro contratto e dalla nostra etica professionale e

 

STRAPPARE TUTTI LE TESSERE DEI SINDACATI.  

 

Pensate ad una scuola senza collaboratori, senza FS, senza referenti di alcun tipo, consigli di classe senza coordinatori e segretari, senza tutor…

Allora sì, il caro Ministro si renderebbe conto di quanto e quale sia il lavoro degli insegnanti, allora si, i sindacati ritornerebbero -forse- a svolgere il loro ruolo, allora si, potremmo riacquistare dignità e riconoscimenti anche economici …

Pensiamoci!

 

 

 




Perché gli Angeli non muoiano mai.

Esattamente un anno fa, come ieri, Carlo e Veronica, due splendidi ragazzi, rispettivamente 19 e 16 anni, due fratelli, morivano, in contemporanea, in un assurdo incidente in moto.

Assurdo, perché era una giornata di cielo limpido, la strada era un rettilineo, davanti a loro un furgone bianco si era regolarmente fermato per girare e i due fratelli, sulla stessa moto, sobri e con il casco, si sono schiantati, ribaltandosi nell’altra corsia, dove stava arrivando un veicolo che se li è trovati addosso.

Nessun pirata della strada, nessun test tossicologico positivo, nessun disagio giovanile da esorcizzare in corse sfrenate.

Carlo e Veronica sono stati entrambi miei alunni, li conoscevo bene.

Un inno alla vita, sempre sorridenti, generosi, entusiasti.

Sempre responsabili, giudiziosi, maturi nella loro giovane età.

Un destino beffardo ha fermato il loro cuore per sempre il 10 settembre 2020.

Giuseppe e katiuscia, i loro genitori, di fronte a questa tragedia, inimmaginabile nella testa e nel cuore di chiunque provi a pensarci, figurarsi a viverla, avevano di fronte un bivio.

O morire con i loro figli, lasciandosi andare ad una vita per sempre vuota e priva di senso.

O rinascere con i loro figli, vivendo all’ennesima potenza, in una vita per sempre piena di valori e densa di significato.

Giuseppe e Katiuscia, un uomo e una donna, come tanti, accomunati dal loro indicibile dolore, dal giorno dopo la morte dei loro figli, hanno scelto la sfida di rimanere in vita, rinascendo una seconda volta.

Giuseppe e katiuscia, i genitori, sono stati ripartoriti alla vita, da Carlo e Veronica, i loro figli.

Giuseppe e Katiuscia, giorno dopo giorno, stanno vincendo la morte dei loro figli, perché ne celebrano la vita, dando prova di eroico coraggio, di generoso impegno sociale, di testimonianza umana e cristiana.

Giuseppe e Katiuscia hanno resi eterni i loro Angeli rendendoli i protettori di una associazione, la CV Soccorso-Odv Carlo e Veronica il loro dono è la speranza ( info@cvsoccorso. it-https://cvsoccorso.it/)

Giuseppe e Katiuscia hanno calamitato le energie positive di una comunità locale che si sta allargando a macchia d’olio, diventando rete nazionale.

Giuseppe e Katiuscia testimoniano che il futuro di chi resta è un’opportunità per la solidarietà.

Giuseppe e Katiuscia sono una testimonianza vivente di vita oltre la vita.

Giuseppe e Katiuscia come tanti veri eroi normali, che la vita mette a durissima prova, sanno resistere e continuare.

Concretamente, questi due genitori, volevano comprare un’ambulanza dedicata ai loro figli.

Nel frattempo, però, hanno riunito e formato volontari per il soccorso ed insieme, hanno creato l’associazione, che continua a crescere.

In una gara di generosità di tempo e di solidarietà di intenti sono anche partiti i lavori del Comune per la nuova sede di CVSoccorso in Via Bermani a Casalbeltrame ed è nata l’idea di un luogo aperto, pronto ad accogliere curare, consolare, come lo è stato il cuore di Katiuscia e Giuseppe, uno splendido esempio di umanità.

Si dice che ogni lungo viaggio inizia, sempre, con un primo passo.

Bene, il loro esempio ha contagiato attività ed aziende locali, provinciali, ora regionali, che promuovono l’iniziativa e favoriscono il tesseramento (tessera di socio sostenitore a 10 euro all’anno).

Non solo, l’esempio di Giuseppe e katiuscia ha creato una community nazionale, vedi pagina Facebook ed Instagram, ma ha anche stimolato nuove iniziative sportive, culturali, musicali.

Per esempio, Giulia e Samuele, due giovani, nome d’arte “Impvlso”, hanno avuto la fortuna di essere parte della breve, ma intensa vita di Carlo e Veronica.

L’impronta che portano dentro di loro è enorme, e così hanno deciso di mantenerne vivo il ricordo a modo loro, sì, perché Giulia e Samuele, oltre che ad essere veri amici dei nostri Angeli, sono anche due artisti di talento.

Già lo scorso anno Impvlso, aveva scritto di getto, col cuore ancora infranto dalla grave perdita, la canzone “Angels”, dedicata a Carlo e Veronica, che potrete vedere in questo link https://youtu.be/BYwRwJlrhOg .

A questo toccante brano si è aggiunto il frutto di una nuova amicizia, quella tra Samuele e Giulia, che ha generato il brano che si intitola “Forza Maggiore” i cui proventi andranno all’associazione

https://www.amazon.it/…/ref=cm_sw_r_cp_apa_glt…

 

Un progetto, un’amicizia vera, tra Giulia di Novara, e Samuele di Valledoria luogo di villeggiatura in Sardegna della famiglia Di Bernardo.

Il brano è intenso, le sonorità moderne e avvolgenti, il testo scritto in maniera emotiva e coinvolgente parla di famiglia, una famiglia magnifica che ha in Katiuscia e Giuseppe le vere colonne portanti.

Un altro esempio è quello accaduto ieri sera.

La famiglia Di Bernardo, ha fortemente voluto una commemorazione di Carlo e Veronica a Casalbeltrame, in provincia di Novara.

Al termine della messa nella Chiesa Parrocchiale, si è svolto una serata all’aperto, nel cortile del Museo Etnografico dell’attrezzo agricolo ‘L çivel”.

La Comunità Pastorale Novarese, il comune di Casalbeltrame, l’Associazione CVSoccorso-ODV ed il generoso contributo per il rinfresco offerto da Pane, Amore, Poderia, prestigioso locale del territorio, hanno creato una serata speciale, un’overdose di amore, un’opportunità per stare insieme e ricordare i due ragazzi, certo con commozione, ma anche con consapevolezza.

Ebbene, ieri sera tra i presenti, c’erano persone di tutta Italia, amici accorsi da Bergamo a Caserta.

l’Italia, quella che ha un cuore e lo sa ancora usare, si è ritrovata a Casalbeltrame, per ricordare due giovani che, se anche, materialmente, non sono più con noi, spiritualmente, abitano nei nostri cuori.

Il loro amore immenso ci ha reso tutti migliori, tutti solidali in un progetto che domani sarà realtà, C.V. SOCCORSO, è il loro futuro utile.

Ieri sera, c’eravamo anche noi di betapress, e ci siamo presi un impegno editoriale.

Ci siamo impegnati a scrivere e pubblicare un libro dedicato a Carlo e Veronica, un libro voluto dai genitori Giuseppe e Katiuscia, per rendere immortale il ricordo dei loro figli e per contribuire alla raccolta fondi.

Un libro testimonianza per ricordare, ma anche un progetto editoriale che diventa un impegno concreto per continuare una missione, quella di essere migliori.

 

 

 




Carismi anche tu?

 

Come redazione di betapress lo abbiamo chiesto a Barbara Suigo, autrice del manuale, Interviste Carismatiche – come fare delle interviste carismatiche e far crescere la tua reputazione digitale”, che è il primo libro di una trilogia – unica, attualmente in Italia – interamente dedicata al carisma, se si è o si diventa carismatici?

Pensavamo fosse facile avere una risposta, ma ci si è aperto un mondo.

Come? Vediamolo insieme.

Betapress– Dott.ssa Suigo, per i nostri lettori, un ‘esperta di comunicazione come Lei, di che cosa si occupa precisamente?

Suigo– Conseguita la Laurea in Lingue e Comunicazioni, ho lavorato per aziende italiane ed estere occupandomi, sostanzialmente, di gestire il flusso della comunicazione, in entrata ed in uscita.

Nel tempo, ho approfondito l’intelligenza linguistica, una disciplina strategica ai fini dell’eccellenza nella comunicazione, eppure ancora così poco esplorata anche tra i Communication Manager anche affermati.

Mi sono inoltre dedicata anche alla formazione in ambito di soft skills, ovvero tutte quelle competenze trasversali definite “soft” che chiamano in causa gli strumenti dell’intelligenza linguistica, di quella emotiva, sociale e relazionale, perché la comunicazione con l’altro possa essere efficace, armoniosa, persuasiva e rispettosa. 

Betapress– Nel suo libro parla di Arte del Carisma. Di cosa si tratta?

Suigo-La mia passione per l’intelligenza linguistica mi ha portato, negli anni, ad interessarmi all’Arte del Carisma, un tema che, diversamente dal mondo anglofono, non è stato ancora così ben esplorato in Italia.

Il carisma, infatti, viene spesso confuso con lo stile, con il fascino e con il fare colpo: nulla di tutto ciò.

Betapress– Lei parla di Intelligenza Linguistica. Cosa significa e cosa ci insegna?

SuigoLa prima cosa che l’intelligenza linguistica ci insegna è che essenziale andare a ricercare il significato delle parole, la loro etimologia e la loro radice più profonda perché le parole, per citare il celeberrimo Sigmund Freud: “… erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico… Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente…”.

Siamo dunque in un territorio magico e potente: quello delle parole.

 

Betapress– Allora qual è l’etimologia della parola Carisma?

Suigo– Il carisma deriva dal greco “cháris” che sta ad indicare un dono, una grazia, una parola dunque preziosa che andrebbe custodita ed usata con ponderazione, con cura, con discernimento.

Il carisma è quindi un dono di grazia.

Chi lo possiede è in grado di modificare positivamente l’ambiente, portando una vera e propria trasformazione in un’ottica virtuosa, creando intorno a sé una sorta di “campo”; campo in cui si crea condivisione di alti valori comuni, campo in cui nasce risonanza fra il portatore del “dono” e coloro che ruotano nel suo perimetro, più o meno ampio.

Betapress– Qual è il rapporto tra carisma e valori?

SuigoCarisma e valori, dunque, vanno a braccetto, valori tra cui spicca l’integrità della persona e il suo sapersi mettere letteralmente al servizio dell’altro.

Esattamente quello che fecero persone come Gandhi, Nelson Mandela, Martin Luther King, Madre Teresa, canonizzata poi in Santa Teresa di Calcutta.

Sono loro i grandi simboli universali del carisma.

 

BetapressUn uomo di valore che domande si pone per essere carismatico?

Suigo– Robert Dilts, uno fra i più grandi esperti di carisma al mondo, afferma: “I santi hanno qualcosa da insegnare anche alle aziende: la storia, infatti, dimostra che i santi incarnano un valore che, oggi, è trascurato da molti manager, ed è la dedizione ad un fine più alto dei propri interessi personali.

I leader spirituali, infatti, non puntano ai risultati di breve termine oppure ai vantaggi contingenti. Sono spinti da una visione che guarda lontano, una visione che risponde a domande superiori quali “Che contributo voglio dare al mio gruppo, alla comunità, al mondo intero?” oppure “Quale eredità voglio lasciare?””

(nota: le parole sono tratte dall’intervista di Raul Alvarez a Robert Dilts, sulla rivista Media Key: https://www.mediakey.tv/fileadmin/assets/img/MK283/MK283-ROBERT_DILTS.pdf).

 

Betapress– Allora chi è un leader carismatico?

Suigo– Partendo da queste riflessioni che chiamano in causa una scala di valori di altissimo livello, mi sono dunque chiesta se l’utilizzo della definizione di “leader carismatico” per un manager, fosse realmente appropriata o se bastasse, semplicemente, definirlo leader, sulla scorta della riflessione di Philip Kotler: “Molti ritengono che i leader debbano avere carisma. Tuttavia, per essere efficaci non occorre carisma. Molti grandi leader non si affannano a costruirsi un’immagine carismatica; sono amabili, spesso semplici, e mostrano un reale interesse per clienti e dipendenti”.

 

La mia esperienza professionale diretta, a contatto con diversi manager con cui ho collaborato, è andata, invece, in una direzione diametralmente opposta e contraria a tutto ciò: ho spesso avuto a che fare con i cosiddetti “ leader dissonanti” – per citare Daniel Goleman, il padrino dell’intelligenza emotiva – manager contrassegnati dall’incapacità di gestire il flusso delle proprie emozioni che confluivano in subitanei scatti d’ira senza controllo, con accuse ad hominem nelle quali veniva toccata e pesantemente violata l’identità della persona, uno fra gli errori più comuni e, contestualmente, gravi e fuorvianti che ho visto commettere.

 

Più approfondivo i miei studi e le mie ricerche, più scoprivo che il “leader dissonante” – e dunque nulla carismatico – era una figura molto presente e radicata in tante realtà aziendali, causa primaria di disagio, insoddisfazione e sofferenza.

 

Mi sono dunque messa alla ricerca di grandi manager che, contrariamente al dire comune, cantassero fuori dal coro e fossero, essi stessi, gli esempi viventi di quella scala di valori a cui accennava Robert Dilts, parlando di “santi e manager”.

 

Betapress– Quali Leader carismatici ha incontrato?

Suigo– Ho così fatto l’incontro sincronico con Marco Pesaresi (allora Direttore Commerciale di Coca Cola Italia, ora Direttore Generale di Ferrarelle) e di Marco Mossuto, attuale Direttore HR del famoso cioccolatificio Lindt.

Il loro garbo estremo, la loro gentilezza nell’eloquio e la loro indiscussa umiltà ed umanità mi hanno portata a indagare questi tratti carismatici e a chiedere loro di farsi intervistare, in un’intervista che fosse, tuttavia, molto lontana dall’ordinario, che nemmeno toccasse gli argomenti consuetudinari per i quali un grande manager viene normalmente intervistato, ma che mettesse al centro della loro managerialità i loro valori, il loro mettersi al servizio dell’altro, la loro integrità e di come tutto questo impattasse positivamente nelle aziende presso le quali operavano.

 

Da lì in poi, ho fatto una serie di altri incontri con manager portatori dei valori del carisma: Giampaolo Grossi (General Manager Starbucks Italia), William Griffini (CEO Carter & Benson), Antoine Mangona (CEO SAATI), Sergio Borra (CEO Dale Carnegie Italia), Marcello Mancini (CEO Performance Strategies), Milena de Padova (HR Director Regal Beloit Italy) ed altri virtuosi capi di impresa e pensatori di spessore le cui interviste sono visibili sul canale YouTube chiamato “The School of Charisma”.

 

Betapress– Dott.ssa Suigo, questa è la genesi del suo libro?

Suigo– Sì, da queste interviste che hanno riscosso un certo apprezzamento, in primis, dagli intervistati stessi per la modalità con le quali sono state realizzate, nasce dunque l’idea, proposta da Wide Edizioni, di scrivere un manuale, “Interviste Carismatiche – come fare delle interviste carismatiche e far crescere la tua reputazione digitale”, che è il primo libro di una trilogia – unica, attualmente in Italia – interamente dedicata al carisma.

Betapress– E le finalità del libro, quali sono?

Suigo– Interviste Carismatiche” (https://amzn.to/3jTKuX0) nasce dunque, come dicevo, dall’apprezzamento ricevuto, prima di tutto, dagli intervistati stessi, alcuni dei quali hanno definito la preparazione all’intervista un momento di riflessione profonda.

 

Betapress– Dott.ssa Suigo, che cosa avevano, di diverso dalle altre, queste interviste che questi Manager le avevano rilasciato?

 

Suigo– In primo luogo, come già accennato, ho deliberatamente chiesto loro di spostare il focus dalle loro competenze manageriali ai loro valori umani che diventavano, dunque, fondanti e centrali e che fossero questi i veri protagonisti del loro successo.

Questo spostamento del baricentro ha obbligato entrambi (me e loro) a formulare, da una parte, una serie di domande che fossero completamente diverse rispetto a quelle che di solito venivano fatte loro, mettendo dunque i miei intervistati nella condizione di aprirsi ai loro valori più profondi, pur mantenendo un’elevatissima misura della loro professionalità.

 

In secondo luogo, per realizzare delle “interviste carismatiche” che facessero la differenza rispetto al mare magno di interviste circolanti su YouTube, ho studiato e, successivamente, utilizzato, le strategie di quei grandi intervistatori che lo fanno su scala mondiale e con un successo senza precedenti: Oprah Winfrey, per esempio. Un’intervista, infatti, perché acquisti valore, dev’essere un momento di scambio intenso tra l’intervistato e l’intervistatore, una sorta di danza a due, laddove l’intervistatore, esattamente come insegna la grande Oprah, saprà abilmente mettere in campo una serie di strumenti che vanno dal tono della voce, alla postura, all’ascolto e allo sguardo carismatico, passando dalla magia della scelta delle parole giuste.

Senza dimenticare l’abbigliamento e l’ambientazione fisica in cui si svolge l’intervista.

BetapressIl libro si propone come un manuale, perché?

Suigo– Manuale perché offre un insieme di strategie mutuate alla psicologia, all’intelligenza linguistica ed a tutti miei studi fatti in tema di comunicazione efficace, per ottenere un’intervista unica, con degli intervistati entusiasti e di altissima levatura umana e professionale e, in ultimo, con un investimento minimo in termini di tecnologia e infrastrutture.

 

Beh, allora, cari lettori, scusate se è poco…

Per fortuna che, noi di betapress, volevamo solo saper se il carisma è un dono di natura o di cultura…

Le sorprese di Barbara Suigo (e del suo carisma!) non sono finite qui.

Allora, appuntamento alla prossima, perché, finora non abbiamo ancora capito se carismatici si nasce o si diventa…