Carcere di vecchiaia, nuova tendenza…

 

In Giappone, la popolazione è la più anziana del mondo. Il 25% della sua popolazione supera i 65 anni.

Il fenomeno sociale ha già compromesso il sistema finanziario e la grande distribuzione giapponesi.

Ma, di recente, è emersa un’altra grave problematica: una grande quantità di anziani giapponesi commette intenzionalmente crimini minori, per di più furti, per poter essere arrestato in modo da poter trascorrere gli ultimi giorni di vita in carcere.

Incredibile, ma vero!

Secondo Bloomberg, multinazionale operativa nel settore dei mass media, il governo giapponese deve affrontare l’invecchiamento della popolazione carceraria.

Sempre secondo la sopracitata agenzia di stampa, in Giappone, le denunce e gli arresti di persone anziane stanno superando quelli relativi a qualsiasi altra fascia di popolazione.

Infatti, la percentuale di crimini commessi da persone anziane giapponesi è quadruplicata negli ultimi vent’anni.

Così siamo arrivati al punto che, in Giappone, il 20% dei carcerati è un anziano. E, nella maggior parte dei casi, addirittura nove su dieci per le donne, i crimini, deliberatamente commessi per finire in prigione, sono piccoli furti.

Il fenomeno è solo apparentemente insolito ed inspiegabile. In realtà rimanda alla fatica di vivere delle persone anziane sole ed indigenti, in Giappone, ma non solo.

Alla base di tutto, ci sono le enormi difficoltà assistenziali che i paesi più ricchi e longevi devono sostenere verso la fascia più anziana della popolazione.

Sempre secondo Bloomberg, tra il 1985 ed il 2015, il numero di anziani che vive solo è aumentato del 600%.

Da un’indagine del governo giapponese è emerso che la metà degli anziani sorpresi a rubare, è costretta a vivere sola. Ed il 40% di loro ha detto di non avere famigliari o di non parlare quasi mai con loro.

Dunque, con questi presupposti, la prigione è semplicemente una alternativa migliore alla povertà, ma soprattutto alla solitudine, della terza età.

“Magari hanno una casa, o anche una famiglia. Ma ciò non significa che hanno un posto dove sentirsi a proprio agio”, ha detto a Bloomberg Yumi Muranaka, direttrice del carcere femminile di Iwakuni.

Ogni carcerato mantenuto dallo stato giapponese costa più di 20.000 dollari all’anno.

Le speciali cure ed esigenza di assistenze specifiche di un carcerato anziano fanno ulteriormente lievitare i costi.

Senza considerare che i secondini devono svolgere il ruolo di una badante più che di personale carcerario.

Ormai, la vita in un carcere giapponese sembra sempre più quello di una casa di riposo.

Paradossalmente, le carcerate intervistate da Bloomberg hanno lasciato trapelare di aver ritrovato in prigione un senso di comunità mai provato all’ esterno.

“Apprezzo di più la mia vita in prigione.

C’è sempre un sacco di gente e non mi sento sola. Quando sono uscita la seconda volta, ho promesso che non sarei più rientrata. Ma fuori non riuscivo a non provare nostalgia”.

Ha raccontato a Bloomberg una delle donne.

L’arresto intenzionale non è un’esclusiva giapponese.

Negli Stati Uniti, ad esempio, si sono verificati casi di persone fattesi deliberatamente arrestare per ottenere cure mediche, ripararsi da aspre condizioni meteorologiche o costringersi a disintossicarsi.

Ma le dimensioni del problema giapponese stanno allarmando le autorità.

Il governo sta cercando di combattere la criminalità della terza età migliorando il proprio sistema previdenziale, ma l’ondata di criminali anziani non accenna a concludersi in tempi brevi.

“La vita in carcere non è facile”, ha dichiarato l’operatore sociale Takeshi Izumaru.

“Ma per alcuni, fuori è anche peggiore”.

In Italia, il progressivo invecchiamento della popolazione, apre prospettive inquietanti di povertà e di solitudine gestite per lo più con dilemmi famigliari tra case di riposo di lusso, ospizi di basso livello o caroselli di badanti di ogni tipo…

Quello che manca è comunque l’attenzione dello Stato verso quella fascia di popolazione sempre più numerosa e vulnerabile.

Cittadini italiani, magari andati in pensione con le pensioni baby, con 14 anni, 6 mesi ed un giorno, negli anni ’80, che adesso, ultra ottantenni, continuano a gravare sullo Stato.

Da quarantanni non sono più contribuenti attivi, e sempre più, invecchiando, diventano costi passivi di uno stato che, per ora, in carcere, non mette neanche gli evasori attivi.

Ma questo è un altro problema !

 

Antonella Ferrari

 




Separati per il bene.

Quando meno te l’aspetti, arriva un gancio dal cielo che ti rimette in piedi.

“A volte la separazione è la soluzione migliore per il bene dei figli “, queste le parole pronunciate dal Papa, due giorni fa, all’incontro con i Gesuiti in Romania.

E capisci che se l’ha detto il Papa, dall’alto della sua infallibilità, forse è proprio vero che il matrimonio non è un valore assoluto, a prescindere, costi quel che costi.

Che Papa Bergoglio avesse intrapreso un percorso d’avanguardia rispetto alla posizione anacronistica della Chiesa, lo si era capito sin da subito.

Nel febbraio del 2014 aveva raccomandato di non condannare chi ha vissuto il fallimento di un amore.

” Accompagnare, non condannare” era stato il suo monito.

Prendendo spunto dal Vangelo, aveva commentato l’atteggiamento dei dottori della legge che cercano di porre delle trappole a Gesù per “togliergli l’autorità morale”. I farisei, aveva osservato, si presentano da Gesù con il problema del divorzio. Il loro stile, è sempre lo stesso: “la casistica”, “È lecito questo o no? “Sempre il piccolo caso. E questa è la trappola: dietro la casistica, dietro il pensiero casistico, sempre c’è una trappola. Sempre! Contro la gente, contro di noi e contro Dio, sempre”

Nell’ aprile del 2016, altro passo avanti del Papa, verso i divorziati risposati. 

“Ci sono divieti che si possono superare”.

Quindi, valutando caso per caso, i divorziati, potranno ricevere la comunione e fare i padrini e i catechisti in Chiesa. Non una regola generale, però, ma un discernimento affidato ai confessori come chiesto dai vescovi che avevano partecipato al Sinodo del 2015 sulla famiglia

Questa era stata la decisione presa da Papa Francesco nella sua attesa esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia  a conclusione di un cammino di riflessione durato oltre due anni con consultazione di fedeli e di vescovi di tutto il mondo.

Ma nel testo non c’erano soltanto questioni che riguardavano i divorziati, perché Bergoglio aveva parlato anche di sesso coniugale, ribadendo la sua contrarietà alle nozze gay e sottolineando come la Chiesa dovesse fare autocritica.

In particolare sull’eccessivo peso dato al “dovere della procreazione” nel matrimonio e sull’insistenza quasi esclusiva, “per molto tempo”, su “questioni dottrinali, bioetiche e morali”, una concezione troppo “astratta”, negativa, e un “atteggiamento difensivo” nei confronti del mondo.

Per Bergoglio, poi, nei confronti di chi vive situazioni ‘irregolari’ i pastori della Chiesa non possono applicare leggi morali “come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone.

È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa”.

“Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto”.

Così, Il Papa riflettendo sulla sessualità coniugale e sul matrimonio, aveva già evidenziato come la sua “idealizzazione eccessiva” non avesse fatto sì che diventasse “desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”.

“In nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi “

E anche San Giovanni Paolo II, aveva già ricordato il Papa, ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a una negazione del valore del sesso umano o che semplicemente lo tolleri ‘per la necessità stessa della procreazione’.

Dunque, secondo il Papa, a partire dal Sinodo sulla famiglia del 2015, c’era tutto un cammino da percorrere per concretizzare un’apertura della Chiesa verso la vera realtà coniugale.

E, Lui, questo cammino, ha continuato a farlo.

Diverse volte, Bergoglio, ha insistito sulla necessità di “riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita”

Allo stesso tempo, Papa Francesco si è più volte domandato chi si occupi “oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità dell’unione coniugale?”.

Ha persino espresso una profonda autocritica verso la posizione della Chiesa sul dovere della procreazione.” Spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione”

A proposito della formazione e del sostegno al matrimonio, il Papa ha riconosciuto i limiti della Chiesa che non ha fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte, la Chiesa ha presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. “Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”.

Sembra proprio che il filo conduttore di ogni esortazione papale sia sempre lo stesso: formare le coscienze, non sostituirle.

Sulla possibilità per i divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti, Francesco ha sempre risposto in modo chiaro: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi.

È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento a un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”.

“I divorziati risposati – ha sottolineato il Papa – dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno”.

Il Papa non ha voluto stabilire una norma valida per tutti perché “i divorziati che vivono una nuova unione possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale”

Per esempio, secondo il Papa, “c’è il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi, in coscienza, che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

Altra cosa invece – ha precisato – è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia”.

Dunque, a partire dalla sua esortazione AMORIS LAETITIA del 2016, Papa Francesco,  ha continuato a recepire, integralmente, le conclusioni del Sinodo del 2015, approvate dalla maggioranza dei vescovi, sulla partecipazione dei divorziati risposati a “diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”.

Per il Papa “si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino”

Bergoglio ha sempre ribadito la condanna della Chiesa sull’aborto, l’eutanasia, la teoria del gender, la pedofilia, la violenza che purtroppo si verifica anche in famiglia molto spesso a danno delle donne, la pratica dell’utero in affitto.  Spesso, il Papa ha  ricordato la sua riforma del processo di nullità matrimoniale incoraggiando le coppie in crisi a verificare la validità della loro unione canonica.

Insomma, Papa Francesco, ha sempre avuto parole molto comprensive verso ogni persona. Persino a proposito delle unioni di fatto, ha sottolineato che esse sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.

Situazioni che, per il Papa, “vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo”.

Dunque, due giorni fa, incontrando i Gesuiti in Romania, il Papa ha continuato un unico discorso, quello di sempre.

“Ci sono matrimoni nulli per mancanza di fede. Poi magari il matrimonio non è nullo, ma non si sviluppa bene per l’immaturità psicologica.

In alcuni casi il matrimonio è valido, ma a volte è meglio che i due si separino per il bene dei figli”.

Questo il suo messaggio che non apre un cambiamento significativo della posizione della Chiesa sul tema del divorzio, quanto mantiene un ‘apertura che dura da anni.

Il Papa ha infatti nuovamente parlato del Sinodo sulla famiglia: “Quando è incominciato il Sinodo sulla famiglia, alcuni hanno detto: ecco, il Papa convoca un Sinodo per dare la comunione ai divorziati. E continuano ancora oggi! In realtà, il Sinodo ha fatto un cammino”.

Per il Papa “sul problema matrimoniale dobbiamo uscire dalla casistica che ci inganna” e “si devono accompagnare le coppie. Ci sono esperienze molto buone. Questo è molto importante. Ma servono i tribunali diocesani. E ho chiesto che si faccia il processo breve. So che in alcune realtà i tribunali diocesani non funzionano. E ce ne sono troppo pochi. Il Signore ci aiuti!”

Ed allora, che davvero il Signore ci aiuti a liberarci dal formalismo e dal bigottismo che troppe volte hanno allontanato la Chiesa dall’amore vero, quello che il Papa ci esorta a vivere…

 

Antonella Ferrari

 

 

 

 

 




Strafalcioni 2: la vendetta dell’ignoranza!

 

Continuano gli esami di maturità. Mentre sono finiti quelli delle medie.

In modo affettuoso, da addetta ai lavori, voglio condividere con voi, cari lettori, le ultime esilaranti invenzioni dei miei alunni, consapevole che il mea-culpa continua, ma s’impara anche ridendo insieme.

Noi di betapress.it non abbiamo avuto bisogno di fare un sondaggio nazionale.

Semplicemente ci siamo messi all’ascolto, ed abbiamo raccolto in diretta queste chicche.

Come si chiama un grafico a colonne? INSTAGRAMMA.

Hitler perseguitava i Testimoni di GENOVA.

Il popolo più MIRATO (per dire preso di mira) erano gli Ebrei e finivano in un campo di concentramento che era un CAMPO ALL’APERTO.

Come si chiamano le ossa delle dita? FALANGITI.

Facendo un tatuaggio si può INCONTRARE l’epatite C ed ASSUMERE l’A.I.D.S.

“Io mica spaccio” è un testo di…? Un testo di PAGINA 148.

Dove nasce la Mafia? Quella nigeriana nasce a CASTEL VULTURNO.

La Mafia ha il controllo della pro-pros-prost- PROSTATA.

Gli Andini, ogni tanto si mangiano una FOCA. (Al posto di una foglia di coca…ma dai, anche tu…E’ dislessico!…)

A Pablo Picasso gli è stato AFFIBIATO un incarico, quello di dipingere Guernica.

A proposito di immigrati “Tu vai sulla nave e prendi le malattie, per esempio la PESTE”.

Nel cyberbullismo c’è la VIOLENZA SULLA PRIVACY e la vittima può non dare CONSENTIMENTO.

“Chi e l’autore della Coscienza di Zeno?” -GIOVANNI PASCOLI.

 “No, dai. Italo…” – ITALO CALVINO.

” Ma no! Italo Svevo” – Vabbè, Prof, sempre Italo era…

Una parodia della famosa canzone di Vecchioni: SAN MARINO (anziché Samarcanda).

L’Istat ha guardato un FASCIO d’età.

Il testo parla di questo ragazzo QUA.

“Non si dice qua”

Il testo parla di questo ragazzo QUI “

“Ma no, non si dice neanche qui”

Il testo parla di questo ragazzo QUO.

“Novecento” è un monologo di?

-Non mi ricordo…

Dai, ti aiuto. Di Ba-Ba…

-Di BA-BATMAN.

Dopo l’Università fai il MONSTER (invece del Master!)

“In Francia, come si dice laurea?” -Licence.

“Bene, e dopo la laurea, in Italia c’è l’abilitazione, in Francia c’è la Mai, la Maitr…”

LA MAITRESSE ( anziché maitrise ).

Ma la ciliegina sulla torta arriva quando il Presidente di commissione, esasperato, dice al candidato “Prego, proceda pure…” ed il candidato, ossequioso, si alza e se ne va…

“Ma no, Presidente, abbiamo finito di ridere…”

 

Antonella Ferrari

 




Medici: dove sono?

Agosto, moglie mia non ti conosco…

Bei tempi…Di questi tempi possiamo solo dire: “Agosto, medico mio non ti conosco…” anche perché non ti trovo!

Il paziente medio italiano ha visto l’esodo del suo medico di famiglia, che dopo anni di onorato servizio, è andato in pensione.

Ha pensato di prenderne un altro, magari comodo da raggiungere, anche perché è un po’ avanti con l’età e gli acciacchi si fanno sentire.” Tutti esauriti”, gli hanno risposto all’Asl. “Se vuole ne è rimasto uno libero all’altro capo della città” gli hanno risposto.

Gli è capitato di andare al pronto soccorso, per un’emergenza, ma vi ha trovato un medico straniero.

“Per l’amor del cielo, bravissimo, ma perché proprio a me?” ha pensato.

Oppure, è stato visitato da un volenteroso laureato non specializzato. Quante storie!!!

Insomma, per farla breve, quest’estate, il paziente medio italiano deve valutare bene dove, come e quando ammalarsi.

Perché, che la salute sia un bene prezioso, lo sappiamo. Ma che sia sempre più un lusso ammalarsi, lo sperimentiamo.

E, a mali estremi, estremi rimedi.

Il paziente medio italiano, ignaro contribuente, è ormai vittima, da tempo, di una assurda politica miope di tagli sulla salute dei cittadini, perpetrati da uno stato sociale ridotto allo stremo. E che riduce ognuno di noi allo stremo.

E che di fronte all’endemica mancanza di medici civili, propone ora l’arrivo di

medici militari. Eh vai!!!

Vediamo insieme cosa sta succedendo.

Il problema è la cronica emergenza-medici negli ospedali di tutt’Italia.

Sono almeno 8mila in meno del fabbisogno, di cui 2mila nei Pronto soccorso, questo il calcolo del segretario dell’Anaao, sindacato medico italiano, Carlo Palermo.

L’emergenza si aggravando, in questi giorni, con le ferie estive del personale.

I servizi del 118 sono al collasso, denuncia il presidente Società Italiana Sistema 118 Mario Balzanelli: “In alcuni casi si sono dovute sospendere le ferie per garantire l’assistenza”, ha sottolineato.

L’allarme è tanto più avvertito in questi giorni di grande caldo, una delle più intense dell’ultimo decennio in Europa, con punte di 40 gradi anche in Italia e in particolare al Centro-Nord. Particolarmente preoccupante, e non da oggi, la situazione in Molise.

Bene, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, in visita a Campobasso, ha dichiarato “Stiamo esaminando la possibilità di inviare in Molise medici militari per far fronte alla carenza di personale sanitario negli ospedali, ma al momento non abbiamo ancora trovato una soluzione, stiamo continuando a cercarla”.

I medici militari sarebbero un toccasana, certo, per gli ospedali della regione (che rischiano la chiusura di alcuni reparti). Ma non farebbero che cronicizzare il problema, posticipando la soluzione di un’annosa questione.

Già all’inizio del mese, il ministero aveva individuato un elenco di 105 camici bianchi che operano nella sanità militare e che saranno selezionati per essere impiegati nella sanità civile. Questi medici dovrebbero essere impiegati per almeno cinque mesi, “termine necessario – osserva il commissario ad acta per la Sanità, Angelo Giustini – affinché il ‘Decreto Calabria’ possa essere definitivamente approvato, così nel contempo si espleteranno i concorsi. Tutto ciò consentirà di superare questo agonico stallo nella governance del Servizio sanitario regionale e del diritto all’equità e universalità di accesso dei cittadini”.

Ma noi, di betapress, non ne possiamo più di false promesse.

Come ben sappiamo, non è solo il Molise, ovviamente, a soffrire della carenza di camici bianchi in corsia e nei pronto-soccorso.

Non si può continuare a ignorare la situazione dei servizi di emergenza 118: c’è una grave carenza di medici e infermieri del 118 in tutte le Regioni e la situazione si aggrava in estate, periodo in cui invece le richieste di soccorso aumentano di oltre un terzo, soprattutto nelle zone costiere.

” Si tratta di salvare delle vite e con questi numeri l’assistenza di emergenza non può essere garantita”, continua Balzanelli.

Qualche esempio? “A Milano disponiamo solo di 5 mezzi di soccorso con medico a bordo, tra ambulanze e auto mediche, mentre a Bologna sono solo 2 i mezzi di soccorso con medico. A Taranto, per due anni, abbiamo dovuto sospendere le ferie dei medici del 118 proprio per garantire il servizio”. Che fare? In vista delle vacanze estive e del prevedibile aumento della richiesta di servizi di soccorso, sottolinea, “abbiamo previsto un potenziamento del numero di ambulanze sul territorio, per quanto possibile, ma il problema è che mancano i medici e dunque le ambulanze avranno a bordo solo l’autista-soccorritore”, commenta Balzanelli.

Carlo Palermo, dell’Anaao-Assomed, sindacato medico italiano, parla di “situazione di emergenza”, precisando che l’allarme per la carenza di medici “è una questione che i sindacati stanno denunciando da tempo”. A livello nazionale, afferma Palermo, “registriamo almeno 8-10mila medici in meno rispetto al fabbisogno e questo per effetto del blocco del turn-over dal 2009. Ora il settore più penalizzato è proprio quelle dell’emergenza e dei Pronto soccorso, dove i medici in meno sono circa 2mila”. La sofferenza, sottolinea, “è maggiore negli ospedali del Centro-Sud: in Molise, Sicilia, Calabria, Lazio e Campania, gli ospedali registrano infatti il 30% in meno della dotazione organica rispetto al 2009”.

E per questo che noi di betapress.it diciamo basta dunque con queste soluzioni di fantasia!

Andiamo a vedere, a monte, cosa succede.

Gli ospedali che rimangono senza medici in Italia sono sempre più numerosi. In alcuni casi ai concorsi non si presenta nessuno e i direttori delle Asl sopperiscono facendo contratti a gettone e in alcuni casi diminuendo il numero delle prestazioni. A mancare sono soprattutto medici di pronto soccorso, anestesisti, ortopedici e ginecologi, ma anche medici di base. Un raro caso in cui ci sono più posti di lavoro che lavoratori disposti a prenderli. Come mai allora in Italia ci sono medici disoccupati?

Perché mancano i finanziamenti per le specializzazioni.

“Formiamo circa 10 mila medici ogni anno – ci spiega il dottor Carlo Palermo,

segretario Anaao Assomed – ma l’offerta di specializzazioni non supera i 7mila posti. Ogni anno c’è uno sbilanciamento di 3mila medici e questo imbuto formativo si accumula negli anni “.

E per questo che si verifica l’esodo dei nostri neo medici. I laureati in medicina nel nostro Paese che ogni anno vanno all’estero sono circa 1500.

Secondo il dottor Palermo è come se regalassimo 1500 Ferrari all’anno ai Paesi stranieri, perché formare un medico per sei anni di università costa circa 150 mila euro alla collettività e mandare questi laureati all’estero equivale a regalare lo sforzo fatto per la loro formazione.

Inoltre, il problema della mancanza dei medici si pone oggi sotto gli occhi della opinione pubblica, anche perché stanno andando in pensione moltissimi specialisti assunti negli Anni 70, per raggiunti limiti di età.

E come se non bastasse, la mancanza di ricambio generazionale, è aggravato da un altro fenomeno: “Assistiamo a dimissioni volontarie di colleghi che non sopportano più le condizioni disagiate dovute al blocco del turnover. Vanno alla ricerca di situazioni meno problematiche con meno disagi e vanno a lavorare nel privato”. Spesso chi rimane negli ospedali deve sopperire alla mancanza di colleghi sottoponendosi a turni pesanti, che in molti casi superano le dodici ore.

Ma quanto costerebbe mettere duemila posti in più all’anno nelle scuole di specializzazione? “Abbiamo calcolato che per aumentare di duemila unità il numero delle borse di studio servirebbero 260 milioni che suddivisi tra le regioni italiane sarebbe un costo di due o tre milioni all’anno, una cosa sopportabile per i bilanci delle regioni” conclude Palermo.

Ma non per il nostro governo, aggiungiamo noi.

Tanto se un politico si ammala può permettersi la visita domiciliare di uno specialista di lusso o il ricovero in una clinica privata, che se manca l’ambulanza, vengono a prenderlo in elicottero. Basta pagare…

 

Antonella Ferrari




500 chicche di riso

“500 chicche di riso” di Alessandro Pagani è un libro anticonvenzionale, un non- libro, paradossalmente da non- leggere tutto d’un fiato, se non per poi rileggerlo daccapo, per gustarlo di nuovo, chicca dopo chicca, tenendo gli angoli della bocca rivolti verso l’alto, in un sorriso per un attimo eterno.

Un libro intrigante, che ti seduce con garbo, ti aggancia e ti porta con sé, oltre il reale, dentro il surreale, in un mondo parallelo, là dove il tuo pensiero non era mai stato.

Un libro avventuroso dove l’avventura galattica è salire sull’astronave linguistica del Pagani, è lasciarsi trasportare nell’universo linguistico dell’autore, per un viaggio di sola andata nei suoi giochi di parole, per decollare con lui nel cielo delle sue figure retoriche.

Un libro proibito ad ogni sceneggiatore, un non racconto, che si può leggere a ritroso, ma geniale come colui che scriveva da destra verso sinistra.

Un libro da fumetto, per iniziare al piacere i neofiti del genere, perché il linguaggio iconico potrebbe introdurre alla lettura, ma non sostituirla.

Le chicche del Pagani sono battute di spirito, ora ironiche, ora sarcastiche. Argute perle semantiche, rapide, incisive, dirette.

Poche, distillate e preziose parole. Oserei quasi dire, dei diamanti linguistici, di un tale e pregiato valore nella lingua madre che è impensabile una loro traduzione in un’altra lingua.

Leggere questo libro significa condividere un progetto comunicativo di lettura prospettica della realtà.

L’ignaro lettore viene omaggiato di un caleidoscopio semantico e linguistico attraverso cui guardare e scomporre il quotidiano.

Leggere questo libro significa assaporarlo, chicca dopo chicca, perché è un vero piacere, da gustare pian piano.

Un piacere proibito, perché, se in apparenza tutti possono ridere, in sostanza, pochi possono sorridere.

Il lettore è un privilegiato, in quanto invitato ad un banchetto esclusivo, dove ogni chicca è talmente densa che sazia in modo virtuale.

Ogni chicca va assaporata, assimilata, digerita.

Perché, solo così, pian piano, dolcemente, ma inesorabilmente, l’umorismo, l’ironia, la follia trasportano il lettore in un’esplorazione del quotidiano, in un rovesciamento prospettico dei vizi e delle virtù umane, in un ribaltamento della fatica di vivere.

Quando meno se l’aspetta, in un momento di rivelazione fulminea, il lettore condivide la sfida dell’autore.

Quella di dare un senso volutamente irrazionale alla nostra assurda vicenda umana.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, per lasciare spazio alla successiva.

Un po’come succede nella vita di ognuno di noi.

Giorno dopo giorno, ci spegniamo nel sonno per svegliarci al nuovo giorno, con una consapevolezza in più.

Allo stesso modo, procedendo nella lettura, come nell’esistenza, niente più è come prima.

Ogni chicca nasce ed apparentemente muore, dicevo.

Apparentemente, perché, poi, incredibilmente, risorge.

Risorge il terzo giorno, vorrei dire…

Risorge quando ti ritorna in mente e ti prende e ti sorprende, ormai tua, per sempre. Diritti d’autore permettendo…

Antonella Ferrari

 




Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

Se è vero che la scrittura è terapeutica, posso andare avanti a scrivere per giorni, prima di guarire dal “male di insegnare”.

Sì, di insegnare nella buona scuola italiana, alle prese con i nuovi esami di stato…

Forse, farei meglio a tacere per non far sapere. Ma, giuro, non ce la faccio.

E’ da trent’anni che insegno, nelle scuole statali.

Sono stata commissaria d’esame interna ed esterna, con la formula dei vecchi esami di maturità, nei 17 anni di precariato nelle superiori. Ora, sono di ruolo nelle medie, da 13 anni, con il privilegio, insegnando francese, di avere sempre almeno tre terze da portare agli esami.

Modestia a parte, penso di aver maturato un po’ di esperienza diretta di esami conclusivi del primo e del secondo ciclo d’istruzione.

Eppure, non ce la faccio ad arrendermi all’evidenza dei fatti.

Ed impiego, apposta, il termine “alunni da portare”, anziché preparare agli esami, perché, ormai, è impensabile lottare contro la dilagante ignoranza collettiva dei ragazzi della nostra epoca.

Non entro nel merito del gioco delle responsabilità della famiglia, della scuola, della società. Sono consapevole che quest’articolo, scritta da un’addetta ai lavori è una sorta di” j’accuse “al mondo della scuola, segno e riflesso dell’involuzione culturale.

Del resto, è palese l’incremento esponenziale dei nuovi analfabeti di ritorno ed il loro exploit quotidiano sui social.

Mi voglio limitare a condividere l’inventario delle migliori sparate collezionate in questi anni di esami.

Preparatevi che sembrano inventate o scaricate da Internet.

Vi assicuro che non è così.

Testimoni i i mei colleghi che hanno partecipato alla raccolta, annotando in diretta le definizioni più folcloristiche.

Vi posso garantire che ho anche ricevuto delle pressioni da alcuni di loro per non scrivere un articolo che spari sulla scuola. “Almeno tu che ci lavori, per favore…”

(osserviamo che la colpa non è solo degli alunni, ma anche di un sistema di erogazione delle informazioni che passa molto per i social, alimentando quella che si potrebbe definire una dissociazione semantica continua verso la quale i docenti sono poco preparati a reagire; occorre rimodulare i modelli di utilizzo del set informativo attraverso una nuova concezione didattica che non può non passare per una didattica dei social, in cui è necessario ridefinire gli ambiti sia di utilizzo ma soprattutto di identificazione dei contenuti. N.d.R.)

Dunque, per non offendere nessuno, vorrei semplicemente ridere con voi e dedicare quest’articolo ai grandi sapientoni che hanno inventato la certificazione per competenze.

Sono “perle” raccolte in questi giorni di esame di terza media, in un paio di istituti comprensivi di una tranquilla città di provincia, tra un’utenza scolastica italiana, di medio livello culturale e sociale.

Perché, prima di parlare di competenze, sarebbe meglio, almeno, avere qualche conoscenza!…

Passando tra i banchi, ho notato un alunno che continuava a grattarsi il braccio, con tale veemenza che, quasi, sanguinava. Incuriosita, gli ho chiesto “Cosa succede?”. Risposta:” Prof, lasci stare, quando sono in ansia, SODOMIZZO tanto !!!”. Scioccata, incalzo e replico: “Ma davvero?!?”. “Sì, prof, sodomizzo tanto, fino a sanguinare!”.

Un altro alunno, all’orale, interrogato sul Risorgimento, ha dichiarato con assoluta certezza che Mazzini era morto nell’ARMADIO.” Ah sì? Cioè? Quale armadio? E poi, com’è morto?” Risposta: “Ah, non so, sarà morto soffocato”.

Evidentemente, la mia collega di lettere, non era d’accordo. L’alunno insisteva con supponenza, sottolineando che c’era scritto sul libro… Siamo andati a vedere.

Sì, è vero, Mazzini è morto nell’armadio. Anzi, meglio, nella CREDENZA.

Non quella di legno, ma nella convinzione che l’Italia avrebbe raggiunto l’unità!!!

Ma il resto della frase era scritto nella pagina dopo…

Ma, sì, cosa sarà mai!

Del resto, il primo uomo sulla luna, Neil Armstrong, si chiama come un noto trombettista jazz, Luis Armstrong, perché sono due ANONOMI, anziché omonimi.

Ed Oscar Wilde può rigirarsi pure nella tomba, se il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” è diventato quello di Doris Day, attrice e cantante statunitense.

Gli Egiziani seppellivano i loro morti sugli alberi. Ah sì? Quali?

Risposta: “Quelli che ci sono a Natale”.

“Cioè? Sugli abeti?”

” Sì, sì, proprio così”.

La mia collega non era convinta. “Ma ti pare che in Egitto ci sono gli abeti?!?”

“Prof, c’è scritto sul libro!”

Ancora?!? Ma anche stavolta, carta canta…

Gli Egiziani seppellivano i loro morti SU-PINI.

Il ragionamento non fa una piega…

Ma l’ecatombe, arriva quando il candidato, seguendo le indicazioni ministeriali deve dare prova della sua capacità argomentativa, nonché del suo spirito critico, esaminando tre documenti ricevuti dalla commissione, mezz’ora prima dell’orale. Un testo, un grafico ed un’immagine inerenti a quattro macro aree disciplinari.

(Giusto per dovere di cronaca, lavorando su due scuole mi sono fatta sei collegi docenti per preparare tutto il materiale per il nuovo esame di stato…)

Prima macro-area. GUERRA E PACE.

La colomba della pace di Picasso, diventa per il candidato un animale, che vola. E come fai a capire che è il simbolo della pace? Risposta.” Perché ha in bocca una foglia”

Eh, già! Quale sarebbe?

“A vederla così, non saprei, non è di marijuana”

Infatti, è un ramoscello d’ulivo!

L’appel de Charles de Gaulle del 1940, come è stato diffuso?

“Non so”

Dai, prova a pensarci…Non c’era Internet, la tele non l’avevano ancora inventata, quale mezzo di comunicazione si poteva usare a quei tempi?

“Il piccione viaggiatore”.

Sobbalzo sulla sedia, sono figlia di due cardiopatici, le mie coronarie non possono farcela…Mi riprendo, penso ad uno scherzo. “Dai, non fare lo spiritoso. Pensaci bene. Charles de Gaulle si trova in esilio, a Londra. Come fa a comunicare con i suoi connazionali oltre Manica?”

“Va sulla costa con un CARTELLO!”

Altro documento. Un articolo di giornale sulla prima guerra mondiale, sulle tristi condizioni di vita dei soldati in trincea, in particolare sul rancio dei soldati. I pasti, preparati nelle retrovie, arrivavano immangiabili. La pasta era colla ed il brodo era gelatina. Perché? Come facevano a consegnare il pasto ai soldati?

Risposta. “Con gli aerei”.

Sì, magari sorvolando di giorno, sopra il nemico…

La triplice alleanza e la triplice intesa, sono la stessa cosa. Tanto era tre, comunque.

Vincitori e vinti scompaiono. Non c’è cultura, né libertà che tenga.

Mussolini. La politica agraria di Mussolini… I balilla. Cosa ti fanno pensare? Ah, sì, con lui, nasce la pasta BARILLA.

Passiamo alla seconda macro-area. AMBIENTE.

Greta Thunberg ci fa un baffo! L’attivista svedese di appena sedici anni che sfida i leader mondiali nella lotta contro il cambiamento climatico, non immagina quanto i suoi quasi coetanei italiani si siano documentati.

“La Terra prima SI DEPURAVA, adesso non ce la fa più. Ed i capi di stato SE NE FISCHIANO”. Parole testuali.

Effetto STELLA. BRUCO nell’ozono.

Ma sì, voleva dire effetto serra, buco nell’ozono. E’ l’emozione che gioca brutti scherzi…

Ed intanto, l’immagine virale dell’orso polare sfinito per l’assenza di cibo provocato dallo scioglimento dei ghiacciai, diventa un orso “poco cicciottello”.

Lasciamo perdere. Passiamo ad INTERNET ed i SOCIAL.

“I giovani d’oggi passano troppo tempo davanti al computer. E dunque, GLI viene la gobba”.

“A parte che si dice, che viene LORO la gobba. Ma allora, spiegami, perché a Leopardi è venuta la gobba. A quel tempo non c’era il computer?”

 “Leopardi era gobbo perché non faceva attività fisica”.

Anche noi, ostinati a commemorare Leopardi…

Dai, lasciamo perdere. Passiamo a DIRITTI E COSTITUZIONE.

“1789. Cosa ti fa pensare?” -La presa della PASTIGLIA-

“Perché Luigi XXIV, il Re Sole, sposta la corte da Parigi a Versailles? “

Risposta “ Per cambiare aria…”

Vittorio Emanuele II è morto decapitato e Mussolini si è consegnato.

Notre Dame è il nome di un video-gioco. E nel CAVALLO DI TROIA c’era una BOMBA.

Questa sì che è libertà di pensiero!

E pure di parola, se l’autista del pullman diventa il PULMISTA.

E pensare, che non convinta ho chiesto. “Ma chi è il pulmista “?

L’alunno mi ha guardato con un bagliore di consapevolezza negli occhi e mi ha detto: “Prof, ha ragione, sa che ci ho pensato anch’ io, non dovevo chiamarlo pulmista, dovevo dargli un nome preciso!”

E quest’ alunno, con buona pace dei miei colleghi delle superiori, si è iscritto ad un Istituto Tecnico Industriale…Nel consiglio orientativo, noi prof delle medie, avevamo suggerito una scuola professionale, ma abbiamo sbagliato tutto. La famiglia sa già che il loro figlio, genio incompreso, diventerà un pilota d’aereo. Anzi, un AERISTA…

E pensare che i nostri antenati hanno tanto lottato per il diritto all’istruzione!!!

 

Antonella Ferrari

 

 

 

 




Ogni cosa è fulminata…

Luciana Littizzetto a Novara.

Che tempo fa, a Novara, quando per le vie del centro passa Luciana Littizzetto, scortata dall’amico e collega scrittore Luca Bianchini?

Che cosa succede in una sonnolenta città di provincia, quando arriva lei per presentare il suo ultimo libro “Ogni cosa è fulminata?” edito Mondadori, nell’ Arengo del Broletto?

Succede che sia lei a dare la scossa, ad elettrizzare il pubblico, con quella passione, fatale, presa dal bisnonno materno, il gusto di prendere la scossa elettrica…

Facciamo ordine, però, se si può.

Il bisnonno è proprio morto fulminato, nel tentativo di recuperare un ombrello volato sui fili dell’alta tensione.

 E, lei cerca di stare lontana dalla corrente elettrica. Ma, in realtà, passa il tempo ad elettrizzare, con la sua verve, il pubblico.

Luciana è uno tsunami interattivo, mediatico ed umano al contempo. Arriva e non si siede sulla poltroncina rossa preparata, ma preferisce accovacciarsi sul muretto vicino al pubblico.

Legge il suo curriculum vitae, che conferma le competenze certificate per svolgere egregiamente il suo mestiere “di fare la scema”. Ad ogni diploma ed esperienza dichiarata, il pubblico la interrompe con un applauso, ed i suoi un metro e 58 centimetri, diventano davvero gli 1 metro ed 85 dichiarati.

Luciana istrionica entra ed esce da sé stessa e trascina il pubblico in quella che lei stessa definisce la bipolarità del palco.Dagli aneddoti di vita a quelli del libro e viceversa. Da come si riconosce un uomo che fà la pipì in mare, al mare del cuore, il luogo dove si sente a casa, la sua grande terrazza dove si dedica alla passione del giardinaggio.

E’ incredibile come Luciana riesca a passare dal problema ambientale del capodoglio spiaggiato, morto soffocato dalla plastica “Anziché mangiare bastoncini di pesce, adesso mangiamo pesce pieno di bastoncini”, alla storia della pulizia delle orecchie, con l’attuale uso ed abuso dei cotton-fiocc “Certo che se uno ha le orecchie come Berlusconi, i cotton- fiocc, li deve comprare a mazzi, come gli asparagi!”

E così non c’è ambito che sfugga alla sua disamina dei piccoli grandi fastidi quotidiani, dalle padelle che “si suicidano “ribaltandosi per via del manico troppo pesante”, all’inventario dei gel detergenti “al legno di rose, per le classiche fighe di legno”, oppure al mentolo, che è “come mettere il culo nel freezer o una manciata di vigorsol nelle mutande”.

La nevrosi della idropulizia del colon diventa il clistere con la piantana che campeggia nel bagno dell’amica che si era messa con uno stonato, malato di pulizia interna, “a tal punto che anziché andare a letto insieme, facevano il clistere insieme”.

Il thè con le amiche, diventa la teiera che piscia da tutte le parti, fuorché nella tazza “Figurarsi quello che succede ad un uomo che non riesce a pisciare neanche nella tazza del water “ed i tovagliolini del bar, per asciugare il disastro, che, invece di asciugare, pattinano sul tavolo.

Scegliere la pizza implica consultare un menù ciclopico, come una guida del telefono, per poi finire con l’ordinare una margherita. Ed assumere un badante si converte nel telefonare ad uno sconosciuto di nome Darwin ed iniziare la telefonata con “Ciao Darwin”.

Fare lo shampoo dalla parrucchiera significa spezzarsi l’osso del collo sul lavatesta e ritrovarsi con una fastidiosa cervicale.

Tutta la realtà diventa una rocambolesca avventura tragico comica. Persino il pedaggio del successo, è ridicolizzato.  Come quella volta del viaggio con le zie per andare alla fiera dei fiori a Genova. In autogrill, tutti guardavano lei e le zie che portavano lo stesso none che il nonno aveva voluto dare a tre galline. Bene lo sguardo degli sconosciuti è diventato tanto insistente, che una zia si è convinta che fosse per colpa della sottoveste che pendeva ad una di loro.

In famiglia, nessuno si è montato la testa. Una parente, quando si è diffusa la voce della sua presenza al festival di Sanremo le ha persino detto in faccia che “non era adatta”, che” a Sanremo ci vanno quelli bravi…”

Suo figlio, però, dopo solo due settimane che era stato dato in affido a Luciana, ha pensato bene di strappare degli angoli del diario, per vendere gli autografi della madre. Mica male il ragazzo, considerata l’età, in quarta elementare. “Uno zingaro” per i parenti. “Un genio “per la madre…

Ma, a proposito del dibattito sulle casa famiglia, la voce di Luciana si fa forte ed impassibile. Non si devono chiudere. Sono fondamentali per tutelare quei bambini riconosciuti dalla famiglia di origine e, dunque non adottabili. Ma soli, sostanzialmente non seguiti e curati per mille motivi dai loro genitori naturali. E, Dunque , ancor più bisognosi di supporto e di protezione nel limbo della non adozione, in attesa e a sostegno dell’ affido.

E qui, il pubblico, applaude, concorde al suo impegno come madre affidataria di due ragazzi, ormai grandi, per la sua coraggiosa testimonianza di donna a 360°

Antonella Ferrari

 

 




Caro ministro, stavolta hai ragione, almeno in parte…

Alle scuole del Sud non servono i soldi, ma l’impegno.

Questa la linea del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, finito al centro della polemica politica per le sue parole sulla scuola nel Mezzogiorno.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente di Caivano, Nano Tv, Bussetti ha risposto al cronista che gli chiedeva come possano fare le scuole del Sud a recuperare il gap con quelle del Nord.

Per il ministro “ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte. Più fondi? No, più impegno: lavoro, sacrificio, impegno, lavoro e sacrificio”.

Detta così, sembra la classica polemica sul Sud fannullone contro il Nord stakanovista.

Ma la frase incriminata era stata estrapolata da tutto un discorso più articolato. (Ancora una volta il triste gioco della strumentalizzazione della notizia e della manipolazione della verità!)  Complimenti a Bussetti che, l’indomani della boutade mediatica, ha spiegato su Facebook le motivazioni della sua visita in Campania: “Come ministero vogliamo far sentire la nostra presenza, essere vicini ai territori, in tutta Italia, al Nord come al Sud. Senza distinzioni.

Ma al Sud dico: non vi servono solo più fondi, che non mancheranno, dovete anche credere di più in voi stessi.

Nelle vostre eccellenze. Gli istituti che ho visitato oggi ad Afragola e Caivano dimostrano come l’impegno delle comunità, di dirigenti scolastici, docenti, studenti e famiglie insieme, possa produrre risultati straordinari. Saremo vicini alle istituzioni scolastiche e alle realtà formative del Sud.

Ma occorre che tutte le istituzioni del territorio facciano la loro parte. Ci vogliono impegno, lavoro, sacrificio e bisogna credere molto in quello che si fa.”

Al di là di tutte le strumentalizzazioni politiche e degli strascichi mediatici, l’intervento del Ministro Bussetti, nella sua interezza, e non estrapolando una sola frase, non fa una piega.

La scuola italiana, da nord a sud, presenta una serie di problemi oggettivi, non risolvibili con fondi, o, almeno non solo con quelli.

Primo problema: il personale già in servizio.

Tanto al Nord, quanto al Sud, accanto ad insegnanti preparati e motivati, ci sono insegnanti parassiti. Insegnanti, mantenuti dallo Stato, che squalificano la categoria, perché entrati nel mondo della scuola per caso e restatici per ripiego.

Insegnanti liberi professionisti che si destreggiano tra lo studio di architettura e le ore di arte ed immagine, tra lo studio di commercialista e le spiegazioni di economia aziendale.

Insegnanti con un doppio stipendio, un orario agevolato, il monopolio nelle scuole serali, (più facili da gestire con la doppia professione), ed il posto rubato ad un giovane, che non riesce mai a raggiungere il posto fisso. Insegnanti che si lamentano per la pensione sempre più lontana, ma che, non appena vanno in pensione, continuano a lavorare, stavolta in una scuola privata.

Insegnanti del Sud, che fanno domanda di supplenza al Nord, prendono servizio, firmano i documenti in segreteria e non entrano neanche in classe a vedere che faccia hanno i ragazzi. Perché, l’indomani, sono già in malattia, maternità anticipata o congedo parentale.

Arrivano già pronti, con in tasca il certificato medico, per rivendicare il loro diritto ad essere insegnanti virtuali.

Intanto nelle classi, ogni anno scolastico, la scuola inizia a singhiozzo.

Spesso è alla fine di ottobre, se va bene, che arriva un insegnante. Intendiamoci, è il supplente del supplente, che non ha mai insegnato, e gli alunni hanno di che divertirsi, e, le famiglie, hanno di che lamentarsi. Ma almeno, rimane…Poi però ci sono le vacanze di Natale, e qui piovono altri certificati migratori al Nord per coprire gli insegnanti che tornano al Sud. E che ci rimangono qualche giorno in più, perché il viaggio costa…

Poi ci sono gli insegnanti che sono regolarmente in servizio, ma che sono borderline, scoppiati, vittima di burnout.

I preferiti per lo scarico di aggressività fisica e verbale da parte di alunni disturbati e di genitori non adeguati.

Passiamo ai bidelli, tralasciamo quelli che lavorano all’uncinetto e fanno le parole crociate, in realtà io intendo quelli che puliscono i locali, senza poter utilizzare né ammoniaca, né candeggina, perché tossiche.

Provate voi a pulire le schifezze delle orde di barbari che ci sono in classe o a mensa e poi, ne parliamo!

Passiamo ai dirigenti scolastici, spremuti come un limone, tra scuole di titolarità e reggenze, sempre più burocrati, sempre meno ex-insegnanti.

Spazi, altro problema. O non ci sono, vedi problema delle classi pollaio. O ci sono e non sono a norma di legge, vedi problema della sicurezza.

Totale, i miei alunni fanno educazione fisica in un’aula, fintanto che la struttura sportiva d’avanguardia, adiacente alla scuola, non è certificata.

Strumenti: nelle scuole manca la carta per le fotocopie, perché ci sono maestre che passano la vita a fotocopiare schede da colorare e da completare per alunni disgrafici e discalculei.

E manca la carta igienica perché, come dicono i miei alunni, la scuola fa…

Mancano computer e lim (Lavagne multimediali interattive).

Per fortuna che ci sono la raccolta punti della Coop o della Conad, con cui, almeno, ogni tanto, otteniamo uno strumento…

Mancano libri e vocabolari, perché, le case editrici sono sempre più restie ad omaggiarti di strumenti cartacei, nell’epoca del virtuale.

Peccato che gli alunni testimonino sempre più il degrado sociale, l’impoverimento lessicale e l’annichilimento cognitivo, dovuto all’uso e all’abuso dei tablet e dei social.

Programmi: E qui viene il bello! E’ un classico della scuola italiana cambiare le carte in tavola, modificare gli esami senza prima rettificare i programmi. Invalsi sì, invalsi no.

Prima, dopo, durante, non so.

Alternanza sì, alternanza no. Vediamo al tuo stage che importanza do’. Intanto, caro maturando, pensa a studiare, che quest’anno non c’è più la terza prova scritta, ma il quiz si sposta all’orale.

Apri la busta e vediamo di che morte devi morire.

Ma per finta, perché, intanto con il nuovo punteggio è riconosciuto maggior peso al tuo percorso scolastico. Non più 25 punti su 100, ma 40 su 100. Ti basta presentarti agli scritti e dire qualcosa all’orale, che un 60/100 è garantito, perché basta fare i conti.

Dunque è vero, ci vuole tanto impegno, tanto lavoro. Ma da parte di tutti, però! E, non solo da parte degli insegnanti del sud! Non solo perché i problemi della scuola italiana sono presenti ovunque, in questa istituzione violentata a turno dagli ultimi governi. Ma anche perché, l’esempio, dovrebbe venire dall’alto!

In questo, almeno a parole, ha ragione Di Maio quando dice: “Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più. Soprattutto sulla scuola, che richiede interventi storici per le condizioni veramente indegne in cui versano tante strutture.

Ci sono genitori preoccupatissimi per lo stato degli edifici scolastici e ci sono studenti che fanno lezione in condizioni imbarazzanti. Siamo noi che dobbiamo fare di più e ogni cosa che faremo non sarà mai abbastanza.

Bisogna iniziare a eliminare le “classi pollaio”, quelle dove alunni e insegnanti sono costretti a fare lezione in 30 – a volte anche di più – in un’aula, una piaga in particolare del sud.

Questo è un modo anche per valorizzare le competenze degli insegnanti, oltre a fare stare meglio i ragazzi.

Ed è solo il primo dei disegni di legge che dobbiamo portare a casa nei prossimi mesi.

I miliardi di euro che abbiamo stanziato nel 2019 per l’edilizia scolastica devono essere solo l’inizio.

I fondi per nuovi laboratori devono almeno raddoppiare.

Quindi impegniamoci di più come Governo.

Tutto il Governo e tutto il Parlamento hanno solo da imparare da insegnanti, alunni, famiglie e tutto il mondo della scuola per come hanno resistito in questi anni a tutti i tagli e a tutti gli attacchi che hanno subito da parte dei vecchi Governi.

Ci sono insegnanti che si svegliano alle 5 del mattino per preparare la lezione, per studiare e aggiornarsi, per conciliare i tempi del lavoro con quelli per la famiglia”.

Dunque, anziché generalizzare e colpevolizzare, diamoci una mossa, un po’ tutti, dentro e fuori la scuola, nelle aule scolastiche, come in quelle della politica. Proviamo a credere nel valore della scuola, nella missione dell’insegnamento, nel riconoscimento del merito, nello spazio alla ricerca e nell’importanza del laboratorio.

Proviamo a lavorare di più e meglio.

Proviamo a trovare ed investire soldi nella scuola, nella ricerca e nell’università.

Ma proviamo anche a controllare che fine fanno i soldi che già girano nelle scuole e si perdono nei meandri della burocrazia, tanto per dirne una. Controlliamo le gare d’appalto dei PON e la distribuzione dei bonus per merito. Controlliamo il marketing dei corsi di aggiornamento e la competenza dei formatori.

Controlliamo le certificazioni alibi redatte da medici compiacenti, in un’epoca in cui l’ indolenza scolastica si maschera di disgrafìa e di discalculìa. Controlliamo che fine fanno i nostri soldi, quando i nostri migliori alunni devono migrare all’estero per trovare impiego.

Quando chi ha lavorato bene, con tanto sacrificio ed impegno, non riesce ad ottenere un lavoro adeguato e non sottopagato.

Insomma, caro ministro, grazie perché, le tue parole hanno scatenato l’ennesima polemica sulla scuola, ma anche dentro la scuola.

Perché di IMPEGNO, SACRIFICIO e LAVORO, c’è tanto bisogno, è vero.

Ma non solo al Sud, anche al Nord.

E non solo nella scuola, soprattutto nella politica!

 

Antonella Ferrari




Genocidio Culturale

Le ruspe della politica contro gli ulivi secolari della cultura.

E’una triste storia, quella che vi stiamo raccontando. E, nessuno, sinora, ha deciso di raccontarla, perché scomoda, molto scomoda.

Siamo a Foggia, precisamente a Cerignola. C’è un Istituto Agrario, il Pavoncelli, con una fiorente azienda agricola annessa. Ogni anno aumenta il numero degli iscritti dell’Istituto. Ed i ragazzi dell’azienda agricola fanno ricerca e sperimentazione su nuove forme di “cultivar” autoctone, straniere ed ibridi genetici, oggi introvabili. Arrivano a produrre persino un olio certificato d’eccellenza seguendo ed amando, quotidianamente, 1650 piante di ulivo. I terreni su cui coltivano sono un lascito testamentario del 1868. Il patrimonio immobiliare rimanda infatti ad una benefattrice. Anna Maria Raffaella Manfredi, vedova Pignatari, che nel suo testamento lasciò i suoi terreni affinché fosse costituita l’Opera Pia Manfredi–Pignatari. Lungimirante e generosa donna d’altri tempi che volle un Ente morale per realizzare la Scuola pratica di agricoltura, col fine di “accogliere e mantenere dei giovanetti poveri e di educarli avviandoli principalmente nell’agricoltura”.

Dunque, da più di un secolo, generazioni di allievi dell’Istituto agrario Pavoncelli continuano a studiare la teoria, ed applicare la pratica, sui terreni dell’azienda agricola annessa. Terreni che non sono del Comune, ma fondi rustici aziendali di proprietà del Pavoncelli.

Fino a che, un brutto giorno, arrivano le ruspe.

Di chi? Del Comune. Per fare cosa? Distruggere tutto.

Bisogna fare spazio e costruire un Palazzetto dello sport ed un centro commerciale. Con quali soldi? Con quelli ottenuti dalla vendita dei terreni dell’azienda agricola.

Tutto a norma di legge, dice il Comune.

Un po’ meno, per noi, che siamo andati ad informarci.

Il Tribunale di Foggia con Sentenza n.1039 del 19/10/1991, passata in giudicato, nella causa civile tra Istituto Tecnico Agrario Pavoncelli C/ Comune di Cerignola, ha dichiarato il Comune di Cerignola proprietario del fabbricato adibito a scuola e possessore a titolo enfiteutico dei fondi rustici dell’azienda agraria.

Nella richiamata Sentenza è effettuata un’analitica ricostruzione delle vicende.

I fondi rustici, costituenti l’azienda agraria, appartenevano alla Fondazione Opera Pia Manfredi-Pignatari, fondata nel 1872.

Due anni dopo, la Fondazione diventa “Istituto Agricolo” e gestisce la distinta “Scuola pratica di agricoltura”, originariamente istituita dalla stessa testatrice.

Nel 1933, la Scuola pratica di agricoltura si trasforma in “Regia Scuola Tecnica a indirizzo agrario”. Ed infine, la Regia scuola Tecnica è rinominata Istituto Tecnico Agrario Statale “Giuseppe Pavoncelli”.  Si tratta di soggetto giuridico distinto dall’originaria fondazione Opera Pia Manfredi-Pignatari, che era stata sciolta alla fine del 1923, individuando, nell’Ospedale civile di Cerignola, il successore e gestore della cessata Opera Pia.

Fatto molto importante, tra l’Opera Pia e il Comune di Cerignola, ai fini degli scopi della fondazione, è stato stipulato in data 4/07/1889 e 13/07/1889 un ATTO ISTITUTIVO DI ENFITEUSI PERPETUA, avente ad oggetto i fondi costituenti l’attuale azienda.

Cioè il Comune, dal 1889, gode di un diritto reale di godimento su un fondo altrui, però s’impegna a migliorarlo. In tal senso, il Comune di Cerignola si è impegnato a destinare gli stessi fondi agli scopi della Scuola pratica di agricoltura.

Stante gli obblighi derivanti dalla Legge n.889/1931 (che poneva a carico degli enti locali i mezzi necessari per l’espletamento dell’attività didattica delle scuole e degli istituti di istruzione), il Comune ha poi destinato i fondi posseduti sempre a titolo di enfiteusi con vincolo di destinazione all’ITAS Pavoncelli;

Infine, Il Comune di Cerignola nel mese di agosto 1889, ha acquistato dall’Opera Pia il fabbricato destinato a sede dell’Istituto con impegno a mantenere ferma la destinazione scolastica.

Fin qui tutto bene.

Purtroppo, con la Legge n.23 del 1996, gli immobili utilizzati come sede delle istituzioni scolastiche, sono trasferiti, in uso gratuito con vincolo di destinazione ad uso scolastico, alle province.

Le province, si assumono gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché gli oneri dei necessari interventi di ristrutturazione, ampliamento e adeguamento alle norme vigenti. I relativi rapporti sono disciplinati mediante convenzione.

Ebbene, con Atto di Convenzione del 17.09.1999 il Comune di Cerignola ha trasferito alla Provincia di Foggia gli immobili scolastici, fabbricati e fondi rustici, in forza di quanto previsto dall’art. 8, comma 1 della Legge n.23/96.

Praticamente, cosa è successo?

il Comune di Cerignola, enfiteuta, cioè locatario perpetuo dei terreni, si è comportato da proprietario.

  • con D.G.C. n.54 del 27/02/2017 ha inserito nel “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” il suolo, facente parte dell’azienda agraria, una superficie di 10.000 mq. (Peraltro, nella stessa delibera è precisato che il Comune ha il titolo di livellario e non di proprietario!).
  • con D.G.C. n.98 del 12/04/2017 ha approvato il progetto esecutivo per la realizzazione del palazzetto dello sport sull’area individuata al foglio 276, p.lla 579 (parte ex95), facente parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto Agrario Pavoncelli.

E come se non bastasse, si legge nella delibera: “…  si procederà ai sensi dell’art.191 del D.Lgs 50/2016, a finanziare l’opera, in toto, con la permuta di un’area di proprietà comunale, prevista nel Piano di alienazione e valorizzazione dei Beni comunali, giusta deliberazione n.54 del 27/02/2017, individuata nel Foglio 276 particella 94 (parte) di circa 10.000 mq. Zona F2 di Prg, per un importo pari a € 1.830.000,00 …”.

Cioè si finanzieranno i lavori di costruzione con l’esproprio dei terreni!!! Infatti, la particella da permutare fa anch’essa parte dell’azienda agraria annessa all’Istituto.

E per non aver problemi, il Comune di Cerignola, con Delibera del Consiglio n.55 del 25/07/2017 ha inserito nel Piano delle Alienazioni e Valorizzazioni dei Beni Comunali il suolo facente parte dell’azienda agraria dell’Istituto, come livellario.

Giusto per intendersi, il “livello” non ha una definizione normativa, tuttavia la giurisprudenza di legittimità lo considera un istituto corrispondente di fatto all’enfiteusi e quindi ad esso applicabili le relative norme del codice civile.

Allora il “livellario” gode di un diritto reale che esercita su fondo appartenente ad altri, detto concedente. Quindi il Comune di Cerignola ha disposto liberamente di un bene, ma, come enfiteuta, non può liberamente disporre e tanto meno alienarlo!!!

Ma, la vergogna nella vergogna, è che il fondo rustico permutato (foglio 276, p.lla 94) era investito a oliveto super intensivo con 1650 piante di varietà nazionali ed estere, impianto sperimentale realizzato con il contributo della Regione Puglia e la partecipazione attiva dell’Università di Bari (vedi relazione tecnica del Direttore del Dipartimento di Scienze agroambientali e territoriali Università di Bari).

L’oliveto sperimentale rientrava tra le strutture messe a disposizione per la realizzazione del Laboratorio di Occupabilità, in rete con altre scuole cittadine e pugliesi, università, enti pubblici e privati, associazioni e aziende, capofila IISS “R. Lotti – Umberto I” di Andria, risultato beneficiario del finanziamento di 500.000,00 euro per il laboratorio denominato “Oligreen tech lab”, previsto nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale di cui alla Legge n.107/15, la cd Buona Scuola.

A tutela dell’IISS Pavoncelli è stata presentata interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Umberto D’Ottavio,  e dalla senatrice Angelica Saggese, in ordine all’alienazione dei fondi aziendali.

In risposta alle interrogazioni, l’allora Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha assicurato di continuare a seguire la vicenda al fine di salvaguardare l’offerta formativa dell’Istituto “Pavoncelli” di Cerignola. (ci sembra che il risultato sia stato ottimo. NdR)

L’Avvocatura Distrettuale di Bari ha presentato in data 26/07/2016 ricorso al TAR Puglia contro la Determina del Dirigente Settore Patrimonio del Comune di Cerignola n.434/22 del 07/06/2016, in esecuzione della D.G.C. n.29 del 5/02/2016, che concedeva in comodato d’uso gratuito per la durata di anni 9 (nove) all’Associazione “Gli Amici di Balto” la superficie di 10.000 mq – foglio 276, particella 446 (ex 9) – facente parte dei fondi rustici dell’azienda di istituto.

Nella stessa Determina si legge a pagina 2 “il Comune di Cerignola è proprietario del fabbricato adibito a scuola dell’Istituto Tecnico Agrario Statale “G. Pavoncelli” nonché possessore a titolo enfiteutico di appezzamenti di terreni dell’estensione di circa ha 25 e che costituiscono l’azienda agraria di cui il detto Istituto è titolare”.

Con Ordinanza n.434/2016 il TAR Puglia rigettava la domanda cautelare per insussistenza di “periculum in mora” e per l’attualità si è ancora in attesa del giudizio di merito.

L’Avvocatura distrettuale ha presentato anche azione di manutenzione in possesso presso il Tribunale Civile di Bari, che ha rigettato la domanda così motivando: “La declaratoria del difetto di giurisdizione preclude l’esame del merito della vicenda …”.

Praticamente, nulla di fatto a tutela dei diritti del Pavoncelli.

Ora, dopo aver tediato i nostri lettori con questa dovizia di particolari, ci limitiamo a segnalare che le azioni realizzate dal  Comune di Cerignola sono palesemente fuori legge.

E vi spieghiamo come.

  • violazione artt. 957 c.c. e seguenti per effetto dei quali non appartiene all’enfiteuta il diritto di vendere o permutare un fondo;
  • violazione Legge n.23 del 1996, art.8, comma 1 – trasferimento degli immobili utilizzati come sede delle istituzioni scolastiche alle province.
  • violazione D.Lgs 50/2016, l’art.191 prevede la permuta quale corrispettivo qualora il bene da cedere non assolva più, secondo motivata valutazione, funzione di pubblico interesse, funzione che permane visto il vincolo di destinazione scolastica.

Per effetto delle azioni poste in essere è stato operato dal Comune di Cerignola spoglio violento, privando l’IISS Pavoncelli del possesso dei beni, così catastalmente individuati al foglio n.276:

  • lla n.604 (ex 94 parte) di Ha 1.05.62;
  • lla n.446 (ex 9 parte) di Ha 1.00,00;
  • lla n.579 (ex 95 parte) di Ha 1.00,00.

Non abbiamo altro da aggiungere, se non questo.

Cerignola ha bisogno di una moderna struttura sportiva, dove realizzarla?

Sui fondi rustici dell’Istituto Agrario Pavoncelli.

Quale la fonte di finanziamento per la nuova struttura?

L’oliveto sperimentale dell’Istituto Agrario Pavoncelli.

La miopia dei nostri amministratori ha sottratto alle ordinarie esercitazioni agrarie 30.000 mq di superficie aziendale.

“Il nove agosto 2018- è il preside Pio Mirra che parla- abbiamo assistito all’estirpazione di 1650 piante di olivo con le ruspe, trattando le piante come mattoni. Eppure in quel campo sperimentale si faceva ricerca, sperimentando nuove forme di allevamento di cultivar autoctone, straniere e ibridi genetici, oggi introvabili. Le ruspe senza fare alcuna distinzione non hanno avuto alcun riguardo e annullato anni di ricerca. La logica del cemento sta affossando il nostro paese e i toni del dibattito non di rado ci autorizzano a pensare che la cultura, la scuola non siano più la bandiera dei nostri governanti. Nelle nostre terre i genitori contadini si spezzavano la schiena pur di fare studiare i figli e assicurare loro un futuro migliore. Oggi sono diventati “eletti” coloro che magari a scuola occupavano l’ultimo banco e si è convinti che sport e ipermercati siano più importanti della scuola, rovesciata dalla cultura del danaro. Chi, prima di stare in mezzo alla gente, si è fatto un giro in mezzo alle pagine dei libri, dovrebbe saperlo, ma a guidare il paese ci mandiamo quelli dell’ultimo banco”.

Non possiamo che condividere, pienamente ed amaramente, la posizione del dirigente scolastico e di tutto il personale del Pavoncelli.

Siamo convinti che anche altri cittadini, fuori dal mondo della scuola, vedano, in questo scempio, un’assurda manovra politica contro la proprietà, ma soprattutto la libertà di chiunque di noi.

E’ vergognoso che venga violata la volontà di una benefattrice che più di un secolo fa, ha creduto nella cultura come riscatto sociale. E’ inammissibile che, con dei giochetti politici, ci si appropri indebitamente di terreni di proprietà inalienabile di un Istituto scolastico. Ed è anticostituzionale che lo Stato avvalli il sopruso di compromettere il diritto alla cultura, oltre che alla coltura, per assecondare delle logiche consumistiche.

Altro che insegnare che la cultura è libertà! Gli alunni del Pavoncelli, e noi con loro, cosa vediamo?

L’abuso di potere politico, la connivenza delle Istituzioni con degli interessi economici consumistici di parte, e l’asservimento del diritto all’istruzione al connubio politica-marketing.

Il sogno proposto per le future generazioni non è più il riscatto sociale con la cultura, lo studiare per capire e l’imparare per migliorare. Il sogno, anzi l’incubo proposto alle nuove generazioni, è crescere per diventare un popolo ignorante, che consuma prodotti fittizi, secondo bisogni indotti.

E, magari, l’ha già imparato vedendo cos’è successo a scuola, vota per chi è ricco, potente, famoso e pure mafioso.

Un popolo complice, lentamente, ma inesorabilmente complice, di chi gli ha tolto la libertà di ribellarsi, convincendolo pure che è per il suo bene!

 

Antonella Ferrari

 




Mors tua, vita mea.

Mors tua, vita mea.

Dall’America all’Europa all’Italia sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici irresponsabili e, amplificato dai pareri espressi sui social media, un clima aperto di razzismo e xenofobia.

Sembra quasi che l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, anche con linguaggi e gesti violenti, non sia più un tabù, ma una legittima opinione.

Quante volte, discutendo, abbiamo detto: “Premesso che non sono razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Cosa sta succedendo alle nostre società occidentali?

Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo.

Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema.

Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo.

Non esiste più l’applicazione dei principi morali della società e c’è un affastellarsi di leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico.

Se uno non ha un nemico, non riesce a caratterizzare sé stesso.

Secondo il noto psichiatra Vittorio Andreoli, stiamo vivendo un periodo di regressione antropologica, un’epoca in cui si agisce in base alle pulsioni. Tutto questo è favorito da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici.

Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico. In questo quadro tornano le questioni razziali.

E’ considerare l’altro inferiore, perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo.

Se uno è diverso da te, è un nemico, e va combattuto. Si torna a fare la guerra, perché il diverso è un nemico. Il nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera.

E, così come c’è una gerarchia dei potenti, così c’è anche una gerarchia delle razze.

Perché sono presi di mira solo alcuni. Anche se, paradossalmente, il razzismo unisce.

Il razzismo non esclude nessuno. Il razzismo e i pregiudizi sono universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle nazioni.

E’ sicuramente un istinto presente nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio.

Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia, ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto.

Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel controllo delle pulsioni non c’è più?

Tutta una cultura che si era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente recitata, ma non vissuta. L’Italia è un Paese che, come tutto l’Occidente, sta regredendo alla irrazionalità, all’uomo pulsionale.

” Ciò che mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto tempo e la si può perdere in una generazione.”, così si esprime Vittorio Andreoli. “Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che, all’origine, c’è sempre una esclusione. E’terribile, stiamo diventando un popolo incivile”, così continua il noto psichiatra.

Secondo lui, nei dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali. “Certo, questo è il principio darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”.

Bisogna eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza”.

Di fronte a questa disamina, tanto negativa quanto realista, della nostra società, un unico consiglio, da parte di Vittorio Andreoli.

“Bisogna prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa.  Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti”.

Infine, riguardo al formarsi del pregiudizio nella mente delle persone, lo psichiatra ci avverte: “L’espressione esplicita dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti”. Secondo lui,” quando gli individui nascondono ancora il loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo”.

Purtroppo, oggi, sui social, non si nasconde più il proprio pensiero. lo schermo del computer protegge dal confronto diretto, le affermazioni diventano sempre più violente e l’espressione dei pregiudizi, magari formulati anche in modo razionale, serve solo a rafforzare l’ego di chi parla.

Tristemente vero.

Ed ancora più grave. Perché, un tempo, se un individuo pieno di false credenze e di pregiudizi razziali stava zitto in pubblico, e si esprimeva solo a casa, agiva male in famiglia, o con un gruppo ristretto di interlocutori.

Adesso, diventa un’azione diffusa, per gli individui al tempo dei social, parlare a vanvera. Anche da casa, incollati allo schermo e alla tastiera di un computer. E’ normale, tribalmente normale, sfogare le proprie pulsioni, trasformarle in vera e propria propaganda politica, e concorrere al degrado sociale. Per tornare tutti insieme, appassionatamente, al “mors tua, vita mea”…

 

Antonella Ferrari