Manuale degli aiuti umanitari

 

Alex Manini, novarese di origini, ma cittadino del mondo, nel vero senso della parola, è il Presidente dello IEMO (International Emergency Management Organization).

Alex Manini ha compiuto 38 viaggi in Africa, non per piacere, ma per dovere, se così si può dire.

Sì, perché Alex Manini ha un dovere categorico che lo pervade, quello di aiutare gli altri, ma nel modo giusto.

Pretesa? Sfida? Obiettivo?

Di sicuro impegno sociale, oserei dire missione esistenziale.

Basti dire che ora Alex Manini è autore del Manuale degli Aiuti Umanitari, edito da C.C.Editore.

Un manuale, il primo nel suo genere, a livello internazionale, redatto in tre lingue, inglese, francese, italiano.

Una guida pratica che unisce le best practices alla base della raccolta, dell’invio e dell’erogazione degli aiuti umanitari con la classificazione, analitica e dettagliata degli attori umanitari.

Un compendio dal preciso intento di stimolare le migliori istanze solidaristiche e di carattere etico-sociale.
Un manuale operativo per rendere efficaci ed efficienti gli aiuti umanitari.

Ma anche un libro che abbatte antichi pregiudizi tra paesi ricchi e paesi poveri.

Un testo pioneristico che scardina illusorie certezze di paesi “buoni” e paesi “cattivi”, un manuale per agire e reagire nella selva oscura della solidarietà internazionale.

Questo manuale propone una check list in 100 punti e diventa il primo tentativo, al livello internazionale, di razionalizzare l’invio di generi umanitari, rendendoli accessibili a chiunque.
Particolarmente studiato ed utile ad associazioni, ONG e singoli benefattori, è per noi di betapress, una certezza: siamo sicuri che stimolerà il settore degli aiuti umanitari, a favore dei molteplici scenari di emergenza, attualmente in rapida crescita.

 

Come redazione, abbiamo avuto l’onore di conoscere di persona Alex Manini, abbiamo avuto la soddisfazione di leggere nei suoi occhi quella luce di chi guarda oltre e di chi vede prima.

 

Betapress- Presidente Manini, ci parli un po’ di lei e del Manuale degli Aiuti Umanitari, recentemente pubblicato da Currenti Calamo Editore

 

Manini- Grazie, Dottoressa, sono molto lieto di aver scritto il Manuale degli Aiuti Umanitari, appositamente studiato per Associazioni di volontariato e solidarietà internazionale, ONG, (Organizzazioni Non Governative) e gruppi di cittadinanza attiva e solidale.

E’ il primo Manuale divulgativo presente oggi sulla scena mondiale, che consente di effettuare un’efficace ed efficiente operazione umanitaria, grazie ad una check list di 100 punti, che se supportate e seguite portano al compimento di un’operazione umanitaria capace di ridurre le necessità immediate di collettività estere svantaggiate

 

Betapress- Da dove nasce la sua esperienza nel settore?

 

Manini- Il manuale nasce dall’esperienza dello IEMO (International Emergency Management Organization) che presiedo dalla sua istituzione, nel 2006.

 

Betapress- Quanti viaggi ha compiuto nel continente africano?

Manini- Parecchi, almeno due volte all’ anno vado in Africa, la conosco praticamente tutta.

Questa esperienza dello IEMO mi ha portato a compiere 38 viaggi in Africa.

E’ da questi viaggi che non sono dei semplici soggiorni nelle capitali, ma diventano dei veri e propri itinerari nei villaggi, che prendiamo lo spunto per trattare un argomento ancora molto attuale: come effettuare degli aiuti umanitari in modo corretto e efficace

 

Betapress- Ma gli Aiuti Umanitari, servono ancora in un mondo così globalizzato?

 

Manini- Gli Aiuti Umanitari servono, eccome, e servono laddove ci sono fenomeni di marginalizzazione.

Gli aiuti umanitari non devono però scendere “a pioggia” su tutto un territorio, ma devono essere mirati alla riduzione della marginalizzazione esistente in determinati punti e fasce sociali di quel territorio.

 

Betapress- Cioè aiuto umanitario come lotta alla marginalizzazione?

 

Manini- L’obiettivo di un valido aiuto umanitario è infatti quello della riduzione della marginalizzazione di collettività connotate da esclusione, povertà, isolamento e discriminazione.

 

Betapress- Quali sono gli aiuti umanitari più ricorrenti?

 

Manini- E’ proprio nell’ ottica di ridurre la marginalizzazione che si giustificano ancor oggi gli aiuti umanitari tradizionali, quali vestiario, cibi e medicinali, pur in un’epoca globalmente interconnessa in campo internazionale.

 

Betapress- Allora gli aiuti umanitari servono, ma non possono rappresentare una forma di assistenzialismo?

 

Manini- Gli Aiuti umanitari servono, ma non possono e non devono rappresentare, nella nostra visione, alcuna forma di assistenzialismo o espressione di futile buonismo.

Gli aiuti umanitari sono elementi basilari per la vita e la sussistenza di coloro che non vengono raggiunti dalle grandi correnti del commercio internazionale.

Attenzione a questo dato: nella realtà, sono ancora molti, circa 800 milioni gli individui situati nelle periferie delle metropoli, nei luoghi di guerra. 800 milioni le persone in balìa di conflitti che vivono nelle aree neglette e abbandonate, soprattutto in zone rurali e nei cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo.

 

Betapress- Il suo manuale è in tre lingue, vero?

 

Manini- Proprio per essere fruibile nel maggior numero di paesi possibili, il mio Manuale degli Aiuti Umanitari è trilingue, in Italiano, Inglese e Francese.

 

Betapress- Quali sono i targets (destinatari) degli aiuti umanitari?

 

Manini- Gli Aiuti Umanitari toccano targets che altrimenti non verrebbero beneficati dai loro stessi sistemi/paese.

Gli aiuti umanitari devono raggiungere quegli individui che sono nascosti nella loro marginalizzazione.

Nascosti o di fatto, o volutamente occultati dal loro governo politico.

Gli Aiuti Umanitari vanno a porsi come alternativa alla mancanza cronica e totale di beni e servizi vitali.

 

Betapress- Qual’ è un bene prezioso, oltre l’acqua e il cibo?

 

Manini- Alcuni medicinali essenziali, per noi banali.

Pensiamo ai disinfettanti: una semplice piaga, come quella che vedete nella foto, é degenerata in un’infezione che può portare alla morte per setticemia: la presenza e l’accessibilità in loco di questo particolare tipo di bene-salvavita (il disinfettante appunto) testimonia come si possano salvare vite umane con sistemi semplicissimi, a patto però di disporne”.

 

A questo punto, il Dr. Manini mi mostra una serie di foto che non lasciano ombra di dubbio a proposito della assoluta, urgente, improrogabile necessità di aiuti umanitari pilotati, gestiti e controllati in modo sistemico.

Adesso, forse, inizio a capire il valore del suo manuale ed il perché della sua check list.

Adesso, forse, mi convinco che aiutare significa mirare a colpire il bersaglio della marginalizzazione e che per fare questo bisogna davvero seguire il suo percorso a tappe, superando non pochi ostacoli doganali, raggiri politici, escamotages, e chi più ne ha, più ne metta…

 

Grazie, Dr. Manini per il suo impegno sociale, il suo coraggio di dire, ma soprattutto per la sua coerenza nel fare e nel vivere una vita di Aiuto Umanitario.

Ed un invito ai nostri lettori, andate di persona a leggere il Manuale degli aiuti Umanitari.

Si tratta di una buona lettura per chi vuole informarsi per sapere come realmente stanno le cose, ma è anche un prezioso manuale di formazione per chi vuole aiutare, e di supporto per chi già opera nel campo.

Per andare incontro ad un mondo migliore, o per lo meno, per lasciarci alle spalle un po’ di povertà economica e di miseria sociale.

 

NOTA DEL DIRETTORE:

Il tema degli aiuti umanitari non può essere affrontato senza alcune note che mi permetto di scrivere in calce al bel lavoro di Antonella che ci illustra l’altrettanto ottimo lavoro del dott. Manini.

Gli aiuti sono purtroppo oggi anche fonte di dolorose considerazioni da fare obbligatoriamente ed anche, se mi si permette, con coraggio.

Quante volte, moltissime, gli aiuti umanitari non raggiungono la loro destinazione ma vengono bloccati alle varie frontiere, fatti scadere e buttati o peggio sequestrati dalle varie milizie terroriste che poi li utilizzano per le loro attività.

Quante volte questi aiuti vengono in realtà usati come merce di scambio o peggio ancora come  vigliacchi rifornimenti alle frange violente nei territori della martoriata Africa.

Spesso inoltre alcuni governi utilizzano gli aiuti umanitari bloccandoli alla frontiera come merce di scambio con i vari signori della guerra locale.

Inoltre gli aiuti umanitari spesso non sono visti come un elemento strutturato di uno stato ma solo come elemosina momentanea, pertanto di scarsa efficacia.

 

 

 

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Natale in solitaria

E’ stato un Natale snaturato, amputato, un Natale senza fiocchi.

Eppure, mai come quest’anno, senza ninnoli e senza fronzoli, abbiamo fatto i conti di chi ci è vicino, anche se lontano, di chi ci abita dentro, anche se non lo vediamo, di chi è vivo, ma è come se fosse morto e di chi è morto, ma è come se fosse vivo.

Soprattutto abbiamo raggiunto la consapevolezza di chi ci può davvero mancare e di che senso ha festeggiare.

Ho superato il mezzo secolo di vita, quanto basta per aver visto sfumare la poesia dei miei sogni di bambina, ma non ancora abbastanza per raggiungere la saggezza e l’equilibrio di certi anziani che stimo.

Sono uno spirito libero ed adoro viaggiare.

Sin da ragazza, tra Natale e Capodanno, partivo per un’altra avventura, immergendomi in usi e costumi locali, spesso esteri.

Non è quindi così strano per me essere lontana dai miei cari il giorno di Natale, quelli seguenti e a Capodanno.

Eppure questa volta è tutto diverso.

Sono mesi che non ci si vede, se non tramite gli schermi dei cellulari, e non ci si abbraccia.

Questa volta, stare lontani non è una scelta e rende tutto differente.

Dall’ultima volta che ci si è visti sono successe tante cose.

In mezzo ci sono persone care che sono venute a mancare, la paura di essere contagiati, i giorni in attesa di sapere se gli amici che avevano contratto il virus stessero bene.

Ci sono i timori per come andranno i prossimi mesi, gli interrogativi su quanto ancora dovremo aspettare prima che la situazione cambi.

La libertà di scelta, la libertà di muovermi mi manca, terribilmente.

Così come mi manca viaggiare, perché è parte del mio modo di vivere, del mio modo di rapportarmi al mondo e agli altri.

So bene che è un sacrificio necessario e lo faccio con la consapevolezza che è fondamentale.

Non mi lamento, ma ci penso.

Penso ai miei genitori che vivono solo al di là del “confine regionale”, che prima neanche mi accorgevo ci fosse un confine, mentre ora è come se ci fosse un muro.

Sono a meno di un’ora da me e sembrano lontani come quando ero all’estero. 

Penso agli amici sparsi in altre parti d’Italia e del mondo, che non vedo da tanti mesi e non so quando rivedrò.

Sono abituata alla distanza, alle persone care lontane da me – gran parte dei miei amici più stretti vivono in altri città o paesi -sono abituata a vivere il “Natale” in posti strani dove magari non si festeggia come qui.

Ma questa volta, è un Natale diverso da tutti gli altri e mi pesa, sono sincera. 

Mi mancano gli abbracci, le piccole tradizioni che, seppur spostate di qualche giorno, si ripetevano ogni anno.

Mi mancano e mi mancheranno i viaggi, come pure quella spensieratezza che accompagnava quei giorni.

Sono lontana dai miei cari e continuerò a starci nella convinzione che sia la cosa più sensata.

Ma non posso e non voglio far finta di niente, perché questa pandemia ha sconvolto tutto e dobbiamo dare forma e parole ai sentimenti per poterci convivere e non farci logorare.

Perché l’emergenza iniziale è stata una tempesta arrivata all’improvviso con una forza disumana, ma questa seconda fase per molti aspetti sta diventando ancora più faticosa, perché c’è il trauma e il ricordo di quanto vissuto da marzo, perché l’incertezza e l’imprevedibilità ci accompagnano giorno dopo giorno.

Difficile, se non impossibile, fare progetti.

Vivere con la paura di una terza fase può diventare paralizzante.

 

Eppure, in questi giorni, ho capito il potere e l’eccezionalità della libertà.

 

Questo Natale amputato ha fatto germogliare in me tutti quei pensieri che costantemente mi accompagnano da mesi e mi ripetono quanto siamo privilegiati.

Perché ora non ci sentiamo liberi (anche se poi possiamo fare un sacco di cose), ma lo siamo stati fino a marzo e per un po’ anche d’estate.

Salvo imprevisti, torneremo ad esserlo fra qualche mese.

 

Ma c’è chi non lo è, non lo è mai stato e forse in questa vita non lo sarà mai.

Non mi sono accorta solo ora della loro esistenza, non ho sviluppato solo in questi giorni questa consapevolezza e chi mi conosce lo sa.

 

Eppure, solo ora, capisco il potere, il privilegio, l’onere e l’onore della libertà in cui sono nata e cresciuta.

 

Per qualcuno possono essere frasi retoriche, ma non credo lo siano.

 

Perché in fondo penso che non ci rendiamo mai veramente conto di quanto siamo fortunati a vivere in questa parte di mondo, in un paese che seppur con tanti, tantissimi limiti, è una democrazia.

Perché forse non ci soffermiamo mai abbastanza su cosa voglia dire essere bianchi, vivere in salute, avere un passaporto come il nostro.

 

Sono cose che forse già sapevo, ma che il covid mi ha sbattuto in faccia con forza.

Sono cose a cui da marzo penso e ripenso continuamente.

Vorrei che ci riflettessero di più anche altre persone (e non mi dilungo su chi, perché è scontato e sono già oltre la lunghezza sopportabile per un articolo).

Ma non sono sicura che ciò accadrà: questa pandemia ci ha sconvolti, ci ha cambiati, eppure su molti aspetti e posizioni non ha avuto impatto, nonostante gli slogan iniziali secondo cui ne saremmo usciti migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di una Professoressa a Babbo Natale

La libertà di stampa




Morgione: poesia anticovid.

Siamo onesti. Sono giorni, sono anni difficili.

Niente e nessuno è più come prima.

Solo e sempre problemi.

Una domanda sorge spontanea di questi tempi:

dov’è finita la poesia? O, ormai, c’è rimasta solo la prosa?

Noi di betapress pensiamo che, mai come in questo periodo, ha ancora senso scrivere e parlare di poesia.

Anzi, solo un’anima poetica, intimamente innamorata della vita, può cercare un senso, dare un volto, incapsulare in curve d’ inchiostro quest’ aborto di vita che stiamo vivendo da quasi un anno.

Siamo andati ad intervistare Ulisse Morgione, un poeta che ha appena pubblicato la sua prima raccolta di poesie “La cura del liutaio” edito dalla Currenti Calamo Editore.

Ed abbiamo scoperto che un poeta può partorire poesie stupende anche ai tempi del covid, precisamente nei giorni del primo lockdown:

“In questa lontananza

non mi mancano – uomo –

i tuoi bagliori fatui

i gesti grevi

l’andirivieni scaltro

le condizioni che mi poni

per essere altro da ciò che sono.

Mi manca il grano verde

la fioritura dei papaveri

le costellazioni dei ciliegi

le mani giunte e tiepide dei tulipani

la scorza dei limoni

il biancospino cresciuto sui cancelli

che darà a nessuno, temo, la sua essenza.”

 

Questa poesia è stata scritta nell’aprile di quest’anno, durante il primo lockdown.

Giorni in cui la lontananza dal mondo e l’isolamento sociale, ci hanno fatto rimpiangere non la frenesia umana, la diplomazia sociale, la falsità collettiva, ma la meraviglia del creato, i colori, i profumi, le emozioni visive, olfattive, tattili della natura…

Solo un poeta può sbucciare la realtà e portarci al nocciolo della questione.

Per esempio, dare voce e volto a questa fame di amore profuso solo dalla natura.

Ed allora abbiamo voluto ricaricarci dentro e conoscere di persona chi può aiutarci a volare sopra gli affanni quotidiani di questi giorni snaturati.

 

Betapress- Buongiorno Ulisse, complimenti di cuore per le tue poesie. Partiamo un attimo dalla tua vita.

Quali eventi significativi hanno avuto maggior impatto emotivo nella tua anima poetica?

 Morgione-Tra gli eventi biografici significativi, c’è sicuramente la morte prematura di mio padre avvenuta quando avevo 20 anni, un lutto tardivamente elaborato, uno strappo esistenziale su cui, a distanza di quarant’anni, ancora scrivo.

Tra i tanti accadimenti della mia vita, posso citare i miei spostamenti: dalla Calabria dove sono nato e vissuto fino a 19 anni, alla Toscana, terra certamente d’elezione per me, il cui paesaggio è l’unico nel quale posso ritrovare me stesso e tendere all’armonia.

Infine Napoli dove vivo da 20 anni, con le sue potenti contraddizioni, le sue lusinghe e i suoi strazi.

 

Betapress- Ulisse, che valore ha la poesia nella tua vita?

 

Morgione-La poesia è una costante della mia vita, sia come fruitore che come autore.

Mi sono sempre accostato ad essa con molta soggezione e infinita curiosità.

 

Betapress- La poesia è inizio o termine di una ricerca interiore?

 

Morgione- Ho imparato, da lettore innanzitutto, che la Poesia è un’Intenzione, è il principio di una strada, il desiderio di scoperta.

La Poesia non ha risposte, ma aiuta a farsi le domande, interrogarsi sul mondo e su sé stessi.

 

Betapress- Le domande esistenziali avvicinano la poesia alla filosofia?

 

Morgione-La poesia non è filosofia, è metafora e come tale deve avere la capacità di evocare, di decollare dalla pagina scritta ed approdare in quello spazio tra conscio e inconscio, dove teniamo in segreto le nostre vite.

La poesia è un dialogo, un alter ego che non mente e se lo fa è perché glielo concediamo.

 

Betapress- La tua raccolta è intitolata “La Cura del Liutaio”, perché?

 

Morgione- “La cura del Liutaio” è un verso di una mia poesia e dà il titolo alla raccolta perché esprime il mio proposito umano e professionale.

Questo titolo vuole essere evocativo, vuole richiamare un mestiere di alto profilo artigianale come quello del liutaio.

Il liutaio con lentezza, sapienza e passione, si prende cura di uno strumento danneggiato che non risuona come dovrebbe o ne costruisce uno nuovo partendo dal legno, con infinita maestria e pazienza. 

Ognuno di noi dovrebbe cercare di essere artigiano della propria vita.

Ed il poeta è l’artigiano del verso che va cesellato, levigato, lucidato infine fino a risplendere.

Perché la vita, nella poesia, possa risplendere, anche nei momenti più bui

 

Betapress- Quando sono state scritte queste poesie?

 

Morgione- Nella raccolta ci sono poesie scritte negli ultimi 5 anni, ma che spaziano nella mia biografia per più di quarant’anni.

 

Betapress- Durante la giornata, esiste un momento privilegiato per scrivere una poesia’?

 

Morgione- Sì, sovente una poesia germoglia tra il sonno e la veglia, i primi versi scaturiscono sulla linea di confine tra il conscio e l’inconscio.

 

Betapress- Nelle tue poesie ci sono dei temi ricorrenti?

 

Morgione-Tra i temi a me più cari, sicuramente, posso citare

la Natura nel suo compiersi ostinato e salvifico.

Ma anche la Durata come aspirazione e fonte al contempo di delusione inevitabile, vista la precarietà dell’essere.

Ne deriva un tornare nel tempo, un ripercorrere il bordo delle fratture che la Discontinuità dei luoghi e delle persone 

mi ha creato.

Infine potrei citare una tensione all’Immanenza, al mistero del creato e a quella lucida consapevolezza che esistere è solo una “tentazione”, per citare E. Cioran.

In fondo la poesia e l’uomo sono sul limite, sul varco, sulla rottura dell’”anello che non tiene “.

Un passo al di qua della linea d’ombra”.

 

Ed allora, un invito ed un augurio ai nostri lettori.

Un invito a guardare oltre i fatti, dentro le cose e dietro le apparenze, perché questo ci rende uomini liberi.

Ma anche un augurio.

Perseguire questo nostro intento conoscitivo della realtà, non con lucido cinismo e sterile pragmatismo.

Percorrere la vita come fanno i poeti, danzando sotto la pioggia, riannodando i fili, dipingendo il buio, cogliendo in attimi di folgorazione fulminea quel “preludio onirico di paradiso”.

Grazie Ulisse, perché le tue poesie ci aiutano a riprendere quota in questi giorni di male di vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno

Non vedo l’ora che passi Natale.

E di girare l’ultimo foglio del calendario di quest’anno senza speranza.

Siamo onesti, è da dieci mesi che siamo alle prese con il COVID ed ora non ne possiamo più.

Per fortuna, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ci dà ragione affermando che la popolazione sta sperimentando una sensazione di stanchezza.

È la cosiddetta pandemic fatigue, che rischia di rendere le persone meno attente al rispetto delle regole.

Prima, ciascuno di noi, viveva sulla giostra della propria vita, tra alti e bassi, come tutti, senza troppo pensare alla morte.

Da quasi un anno, invece, il Covid, sostenuto da una narrativa costantemente infarcita di morti, contagi, pericoli ed allarmi, ci fa viaggiare accanto alla morte, in compagnia di demoralizzazione, stanchezza e perdita di prospettive.

Adesso, con la seconda ondata, stiamo pure peggio di prima e gli specialisti parlano di “trauma della recidiva”.

Come ha dichiarato Recalcati in un’intervista: “pensavamo di essere guariti, abbiamo trascorso un’estate spensierata, ritenevamo che il virus avesse esaurito la sua carica di violenza e ci ritroviamo in mezzo al male. Siamo così obbligati a fare il lutto della nostra guarigione e a ricominciare a lottare con meno forze e meno speranze”.

Grazie, Massimo, adesso che ce lo dici tu, stiamo già tutti un po’ meglio…

Scherzi a parte, è evidente, siamo proprio tutti giù, in una condizione di demoralizzazione simile a quella provata da chi soffre costantemente di ansia per lunghi periodi.

Siamo stanchi dentro=stanchezza psichica.

Non ci aspettiamo più niente=mancanza di speranza.

L’OMS definisce tale condizione “Fatica Pandemica”, intendendola come “una condizione di demotivazione a seguire i comportamenti protettivi consigliati, che emerge gradualmente nel, tempo ed è influenzata da una serie di emozioni, esperienze e percezioni”.

Così, l’“Affaticamento” non è inteso in senso clinico (per intenderci: non è la fatica post-infezione da Sars-Cov-2), ma in relazione alla sensazione di spossatezza, al sentirsi sopraffatti dal dover mantenere uno stato di vigilanza costante, ad una stanchezza a rispettare le restrizioni e “pandemico” per sottolineare la specifica correlazione con la pandemia COVID-19 e con le restrizioni imposte per contenerla.

Come emerge questa condizione?

All’inizio di una crisi la maggior parte delle persone è in grado di attingere alle proprie risorse, grazie ad un sistema di adattamento a breve termine che gli esseri umani mettono in atto per garantirsi la sopravvivenza in situazioni di stress acuto.

Ma quando le condizioni traumatiche si prolungano nel tempo e non si profila all’orizzonte la fine dell’evento stressante, demotivazione e scoraggiamento diventano conseguenze naturali e prevedibili.

Per quali ragioni la durata della pandemia impatta fortemente la motivazione delle persone?

Man mano che le persone si abituano all’esistenza del virus riducono la percezione della sua minaccia e, allo stesso tempo, sperimentando i costi personali, sociali ed economici a lungo termine conseguenti alle restrizioni, aumentano gradualmente la percezione della perdita derivante dalle risposte alla pandemia (chiusure, lockdown).

Questo fa sì che i costi percepiti dalla risposta alla pandemia possano superare i rischi percepiti relativi al virus.

Inoltre, col prolungarsi delle restrizioni, aumentano il bisogno di autodeterminazione e libertà.

Paradossalmente, anche le circostanze più tragiche subiscono un processo di normalizzazione se sperimentate per periodi di tempo più lunghi.

Per combattere la “fatica pandemica”, l’OMS propone ai governi un piano d’azione su più livelli, sottesi da principi di trasparenza, equità, coerenza, coordinamento, prevedibilità.

Prima di tutto, bisogna

COMPRENDERE LE PERSONE.

La fatica pandemica deriva da varie barriere che le persone sperimentano all’interno di contesti culturali e nazionali e che richiedono diversi tipi di supporto e comunicazione.

E’ importante identificare i gruppi di popolazione che maggiormente mostrano segni di demotivazione, capire cosa li demotiva.

E’ necessario utilizzare ciò che si apprende per identificare percezioni e bisogni emergenti, per informare sulle politiche della pandemia e su altri interventi.

Proporre nuove iniziative, messaggi e modalità comunicative con le persone di cui si desidera modificare i comportamenti, usando diversi approcci di ricerca.

Poi, bisogna

COINVOLGERE LE PERSONE COME PARTE DELLA SOLUZIONE

Gli esseri umani hanno un bisogno essenziale di sentire il pieno controllo della propria vita, e quando la loro autonomia è minacciata, la motivazione è facilmente persa.

E’ fondamentale che le persone vengano attivamente coinvolte come parte della soluzione, facendo loro comprendere che i comportamenti raccomandati non sono una questione di “sudditanza” all’autorità, ma parte di qualcosa di positivo, che dona speranza.

Piuttosto che concentrarsi su coloro che non seguono i comportamenti, può essere più efficace evidenziare i molti che seguono le norme e i benefici per la salute ottenuti attraverso uno sforzo collettivo.

Ascoltare le persone, comprenderne i bisogni e pianificare politiche che rispondano a tali esigenze e riflettano il senso di identità delle persone promuove l’impegno.

Anche le storie sono potenti motivatori.

Strategicamente si potrebbe: considerare gruppi sociali o persone che assumano ruoli di leadership nel promuovere comportamenti protettivi, trovare modi creativi per motivare i membri della società, chiedere agli utenti di discutere su come desiderano attuare i comportamenti raccomandati, ispirare e informare, avvalendosi del lavoro di scrittori professionisti, giornalisti, artisti.

Rafforzare l’autoefficacia, passando dal “controllo della pandemia sui nostri comportamenti” al “controllare la pandemia con i nostri comportamenti”.

Inoltre, bisogna

CONSENTIRE ALLE PERSONE DI VIVERE LE LORO VITE MA RIDURRE IL RISCHIO

La demotivazione manifestata da alcune persone è in parte una reazione alla lunghezza della pandemia, per cui l’OMS raccomanda di implementare strategie che dovranno andare oltre lo stato di emergenza e consentire alle persone di tornare a qualcosa che assomigli alla vita normale.

Pensare in termini di riduzione del danno può essere un modo utile: tale approccio riconosce che bloccare del tutto i comportamenti potenzialmente rischiosi può essere difficile, ma è possibile ridurre i danni associati a questi comportamenti.

Quando vengono presentati scenari del “tutto o niente” e standard di successo scoraggianti, le persone sono più propense a rinunciare facilmente e a tornare a comportamenti molto rischiosi.

Nel contesto del COVID-19, questo approccio può essere applicato anche ad un livello nazionale.

E’ importante sviluppare linee guida su come continuare con la vita riducendo il rischio di trasmissione, trovare modi creativi di comunicarli, confermare le raccomandazioni piuttosto che cambiarle costantemente.

Spostare la comunicazione da “non” a “fare in modo diverso”, evitare il giudizio e la colpa legati ai comportamenti rischiosi, in quanto ciò può contribuire alla vergogna e all’alienazione più che all’impegno e alla motivazione.

Per ultimo

RICONOSCERE E INDIRIZZARE LA COMPLESSA ESPERIENZA DELLE PERSONE

Le restrizioni pandemiche hanno causato difficoltà e inconvenienti nella vita di tutti i giorni, e tutti hanno subìto una perdita in ambito educativo, lavorativo, relazionale, sportivo, di partecipazione a rituali di comunità.

La pandemia e le misure per arginarla hanno portato a stress, solitudine e noia, e hanno avuto un impatto negativo sulla salute mentale.

Dal momento che la percezione della perdita correlata alle restrizioni (ad es. perdita economica) in corso di pandemia può essere superiore alla percezione della perdita correlata al virus stesso, non è una richiesta banale chiedere continuamente supporto alla popolazione.

Se questa difficoltà non è ben compresa e riconosciuta da chi chiede sostegno alla popolazione, le persone nel tempo possono benissimo perdere la motivazione.

E’ fondamentale costruire resilienza, identificare e affrontare le difficoltà che le persone incontrano e consentire loro di adottare misure per proteggersi a lungo, più economiche e semplici possibili.

Verificare se la difficoltà a seguire le restrizioni può essere bilanciata con altre misure per alleviare l’impatto negativo, ad es. schemi di sostegno finanziario o sociale, supporto per la salute psicologica o mentale mediante servizi online gratuiti.

Soprattutto, bisogna

EVITARE UNA DICOTOMIA ECONOMIA CONTRO SALUTE.

Sostenere le persone e comunicare loro con empatia, speranza e comprensione, piuttosto che minacciare punizione, suscitare vergogna o colpa, riconoscendo che ognuno sta contribuendo alla lotta contro il virus.

Altrimenti, di virus o di fame, moriamo tutti, con buona pace dell’OMS e dei suoi consigli…




Profe mannaro!

Novara. Importante Liceo di Novara. Docente di storia e filosofia denunciato per molestie sessuali.

Un docente di storia e filosofia del prestigioso liceo di Novara è stato denunciato per violenza sessuale continuata, aggravata dalla qualifica di pubblico ufficiale.

Il Gip presso il Tribunale di Novara, su richiesta della Procura della Repubblica – «ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per ripetute e dall’aver approfittato dello stato di inferiorità delle vittime, nonché il pericolo di reiterazione del reato e quello di inquinamento probatorio» – ha emesso nei confronti dell’insegnante, la misura cautelare dell’interdizione dalla professione di docente per la durata di un anno.

Il caso è nato dopo le testimonianze di alcune delle vittime che si sono rivolte alla Squadra Mobile della Questura di Novara, testimonianze che hanno fatto scattare le indagini sui comportamenti del docente.

La Polizia, su delega della Procura di Novara, ha effettuato una perquisizione domiciliare a casa dell’indagato, a cui sono stati sequestrati telefono cellulare, personal computer, tablet.

Ancora una volta, una storia da Dottor Jekyll e Mr. Hyde.

A Novara, tranquilla e sonnolenta città di provincia, ci si conosce tutti, ed iscrivere i propri figli all’Importante Liceo di Novara è motivo d’orgoglio e di soddisfazione per i genitori.

Chi vi scrive è di Novara ed ha fatto così.

E conosce la fama ed il prestigio dell’indagato e per rispetto nei  confronti del professore, ha deciso di non sparare il suo nome in prima pagina, come hanno fatto altre testate giornalistiche nazionali.

Il professore in questione è stato considerato un punto di riferimento per intere generazioni di alunni.

Le sue lezioni di storia e filosofia al liceo di Novara sono sempre state apprezzate almeno quanto la capacità di coinvolgere gli studenti in attività extrascolastiche.

Nessuno si sarebbe mai immaginato che sarebbe stato denunciato per molestie di natura sessuale nei confronti di alcune allieve.

Sono state le stesse vittime che, rompendo forse un muro di silenzio, hanno aperto squarci investigativi alla Squadra mobile della città piemontese.

Ma allora come è stato possibile che i colleghi non sapessero e che gli alunni non parlassero?!?

Dopo mesi d’indagine, il quadro tratteggiato dagli inquirenti è terrificante.

L’insegnante «facendo leva sul proprio ruolo, induceva giovani alunne a sottostare ad approcci di natura sessuale».

Ipotesi che hanno convinto la procura di Novara a chiedere al Gip che, cautelativamente, al docente fosse inibito di salire in cattedra per un anno per evitare sia il pericolo della reiterazione dei reati sia l’inquinamento delle prove.

Ma partiamo dalle accuse

Le accuse formulate dai pm vanno dalle violenze sessuali continuate, aggravate dalla qualifica di pubblico ufficiale all’aver approfittato dello stato di inferiorità delle vittime.

Per i magistrati, il professore utilizzava la tecnica di invitare le studentesse in un’aula appartata o a casa per approfondimenti extra scolastici in vista dell’esame di Maturità o per il completamento di ricerche e la scrittura di libri.

Una volta convinte le ragazze, spiega la polizia, provava a baciarle sulla bocca o sul collo e le palpeggiava.

Un comportamento che ripeteva anche se le giovani provavano a divincolarsi o se, sopraffatte e scioccate, restavano impietrite e subivano le molestie.

Per cercare prove la sua casa è stata perquisita e gli sono stati sequestrati lo smartphone, un computer e il tablet.

Gli inquirenti ritengono che sia stato autore di abusi sessuali su almeno cinque studentesse, di cui una minorenne.

Quello che sconvolge è che, nel corso dell’attività d’indagine è emerso che questi comportamenti il professore li poneva in essere da anni e che, nell’ambiente studentesco, alcuni suoi discutibili atteggiamenti pubblici erano tollerati e scambiati per dei «gesti affettuosi» mentre, in realtà, nascondevano un preciso modus operandi finalizzato a carpire la fiducia delle giovani vittime.

Adesso tutta la città, stupita ed attonita, si scrolla di dosso la falsità e la cortesia che la contraddistingue, ma perché è così difficile squarciare per tempo il velo dell’indifferenza verso le “stranezze” di un collega ed il muro dell’omertà verso gli abusi di un professore?!?

Perché è così radicato l’atteggiamento del “farsi i c…i propri” per quieto vivere tra il personale scolastico?

Perché spesso i colleghi, parlano alle spalle, ma non agiscono di fronte?!?

Perché i pochissimi che agiscono e reagiscono ricevono pressioni, minacce, diffide di aver offeso il decoro e l’onore del collega in questione e di aver divulgato fatti inerenti l’istituto?!?

E che dire dei dirigenti, magari ripetutamente informati dei fatti che cercano una conciliazione per non aver casini, dicendo che non c’è niente di scritto?!?

E che poi quando ci sono ripetute segnalazioni disciplinari, temporeggiano, sperando che l’anno scolastico finisca e che tutto torni a posto, magicamente, da solo …

Mi vergogno io per loro, e come docente, mi dispiace tantissimo che siano state le alunne, a volte persino minorenni, ad avere agito e reagito, da sole, mentre gli adulti, per di più formatori, stavano a guardare, ed a commentare…

 

 

 




Perché imparare piangendo se lo si può fare ridendo?

Oggi vi voglio raccontare una storia.

Una bella storia, che ha a che fare con le favole e la musica.

Il personaggio principale è un musicista, scrittore e regista che da anni si occupa di diffondere tra bimbi ed adolescenti un modello di scrittura non banale su cui aggiungere una melodia.

La storia è quella di Gianluca Lalli, 44 anni, marchigiano, di Colle d’Arquata, piccola frazione di Arquata del Tronto, provincia di Ascoli Piceno.

Un cantautore, di quelli “impegnati” avremmo detto negli anni Settanta.

Non a caso ha collaborato con il bolognese Claudio Lolli (“ Ho visto anche degli zingari felici”, “Aspettando Godot”, “Borgesia”).

Nel 2005 ha vinto il premio Rino Gaetano, a cui ha poi dedicato una canzone e anche un docufilm, titolati entrambi Rino, nel 2019.

Per completarne il profilo artistico, nel 2013 il video del suo brano “Il lupo ha vinto il premio Hard Rock Café nella sezione video musicale alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

In più Lalli è un educatore, di formazione e di professione, anche se la musica resta il suo interesse primario.

Dopo il terremoto del 2016 che ha raso al suolo il paese dov’era nato e cancellato casa sua, oggi vive a San Benedetto del Tronto.

Mi ha catturato l’attenzione perché ha appena pubblicato un nuovo album, Favole al telefono tratto dall’omonima raccolta di racconti del 1962 di Gianni Rodari.

Favole che sono per piccoli, ma anche per adulti, come del resto tutta la letteratura dello scrittore di Omegna: la sua bravura stava proprio nel riuscire a raccontare la stessa storia disponendola su più piani.

Quest’anno, il 23 ottobre, si sono celebrati i cento anni dalla nascita di Rodari.

Bene, a ridosso del centenario della nascita del noto autore piemontese, Maestro dei maestri, Gianni Rodari, scopriamo oggi il prezioso lavoro di Gianluca Lalli a partire dal suo ultimo album “Favole al Telefono” tratto, per l’appunto, dall’omonima opera di Gianni Rodari.

L’idea di mettere in musica le favole di Gianni Rodari nasce per Gianluca Lalli da un progetto chiamato “Il Cantafavole”, ideato e realizzato dall’artista stesso; si tratta di un laboratorio di scrittura creativa e musicale, che in qualità di esperto esterno il cantastorie propone nelle scuole statali da molti anni con l’intento di insegnare ai bambini l’arte del cantautorato e della scrittura.

Il progetto ha avuto e continua ad avere molto successo, ed è in questo contesto che è nata l’idea di mettere in musica i testi di Rodari, rendendo protagonisti i bambini.

Ma, attenzione, l’opera narrativa di Gianluca Lalli non si ferma qui, oltre a far vivere i valori narrati da Rodari a Rino Gaetano, dando voce alle storie dell’autore fuse a quelle dei bambini, il cantautore porta nella sua musica la ricchezza e le ispirazioni tratte dai suoi tanti incontri musicali e quotidiani, dai grandi artisti da lui apprezzati a tanti sorrisi e colleghi cantautori.

Autore e musicista dalla spiccata sensibilità e dal merito riconosciuto, non solo dai tanti premi ricevuti, ma dal calore che riceve nelle sue esibizioni di stampo a dir poco socio-educativo, realizza opere musicali e teatrali a contrasto degli stereotipi e contro la violenza di genere.

Uno spettacolo contro la discriminazione di genere è Lisistrata e le altre.

Questa creazione/produzione teatrale Lisistrata si propone di ripercorrere, attraverso vari personaggi femminili e con l’ausilio della poesia, le fasi storicamente più importanti della nostra società, raccontando vicende di donne, protagoniste-vittime della violenza di genere.

 

Il titolo è una rievocazione e insieme un omaggio alla commedia di Aristofane che per la prima volta collocò le donne come protagoniste di uno spettacolo teatrale, immaginando così un mondo alla rovescia, un mondo pacifico guidato da donne, suscitando angosce ancestrali di cui neppure lo stesso grande commediografo fu scevro.

Volgendo brevemente lo sguardo alla nostra storia, raramente alle donne sono stati offerti gli strumenti attraverso i quali ribellarsi: istruzione, autonomia economica, autodeterminazione, tutele giuridiche.

 

Tuttavia, con il passar del tempo, ci sono state importanti rivoluzioni a favore delle donne e spesso promosse dalle donne stesse: dalla legge più importante, quella del mondo romano, che concesse alle donne il diritto di ereditare, alle più recenti conquiste quali il diritto di voto, l’abolizione della ridicola legge sulla delitto d’onore o la lentissima agonia del matrimonio riparatore, le leggi sul divorzio e sull’aborto, il lento ma progressivo riconoscimento delle competenze femminili nel mondo del lavoro.

 

Tuttavia, il fatto che i femminicidi e gli omicidi di genere siano sempre più frequenti (fino a 114 in un mese!) fa riflettere su come questa società, malgrado le conquiste giuridiche, sia ancora in effetti una società violenta, analfabeta in senso civico, incapace di accogliere come un arricchimento le diversità di ogni sorta, spesso vissute con competitività e percepite come un impedimento alla realizzazione di se stessi.

A tale proposito, come redazione di betapress, segnaliamo con grande piacere le migliori poesie di Gianluca Lalli, poesie proprio dedicate al valore e alla dignità di ogni donna.

 

“BAMBINA” Poesia sulla tematica della Prostituzione minorile

https://youtu.be/x_keAZosRCU

 

“VIOLENZA” Poesia sulla tematica del Matrimonio Riparatore dedicata a Franca Viola

https://youtu.be/nX4CrJFp4f8

“SEXY” Poesia sulla tematica della sensualità stereotipata

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=343572082499822&id=100005410990670

 

Dunque, come dicevamo all’inizio, la storia di Gianluca Lalli, è proprio una bella storia. 

Certi di aver contribuito ad una scelta etica nel condividerla con i nostri lettori, vi diamo appuntamento a dei nuovi incontri con questo grande artista a 360°.

Continueremo a scoprire insieme a lui le creazioni musicali e le produzioni teatrali che possono fare la differenza in un periodo come il nostro di appiattimento culturale e di omologazione sociale.

AD MAIORA, Dunque, caro Gianluca Lalli.

 




la casa sull’albero

Disagio psicologico, ansia, stress, depressione, solitudine, malattia, morte…

Chi più ne ha, più ne metta…

Ma anche idee, consigli, interventi, programmi, strategie e fantasie, esercizi e supporti, per agire e reagire.

“Parliamone insieme”.

Nasce con questo titolo la rubrica di supporto psicologico di betapress.it.

Un’iniziativa voluta dalla redazione che ha contattato diversi specialisti.

Dottori, Psicologi, Psicoterapeuti, Psichiatri disposti a collaborare, con tanta professionalità e generosità per stare dalla parte dei nostri lettori, per offrire loro un valido aiuto, per confrontarci ed aiutarci, insieme, in questi giorni particolarmente difficili.

Un invito rivolto ai nostri lettori, scriveteci, raccontateci le vostre emozioni, poneteci le vostre domande, non abbiate paura.

Un impegno assunto dalla nostra redazione, un aiuto concreto, un intervento immediato, una risposta a domicilio, competente e gratuita.

Oggi, parliamo con la Psicologa Barnabino Federica.

Psicologa, psicoterapeuta, specializzata in Psicoterapia Cognitiva, iscritta all’Ordine degli Psicologi e Psicoterapeuti del Piemonte, terapeuta ACT.

Betapress- Buongiorno, Dott.ssa Barnabino.

Per i nostri lettori, quali sono gli ambiti precisi del suo intervento come psicologa?

Dott. Barnabino- Lavoro come psicologa scolastica e svolgo attività libero professionali a Vercelli con adulti, adolescenti e bambini. 

Betapress- Benissimo. Proprio quello di cui volevamo parlare.

Il mondo dei bambini ed i loro sacrifici durante questi mesi.

Anche loro, soprattutto loro, sono stati messi a dura prova, specie nella prima fase della pandemia….

Dott.ssa Barnabino- Sì, purtroppo è così, i bambini hanno provato un vero disagio, soprattutto nella prima fase della pandemia.

Proprio per questo, durante il primo lockdown, con la chiusura delle scuole, ho lavorato insieme a colleghe al progetto web “La casa sull’albero” per bambini e genitori, promosso dall’ Associazione Momento per Momento.

Con un gruppo di psicologhe, che esercitano in diverse città, si è pensato di unire le professionalità per offrire un servizio di qualità.

Betapress- Bellissima iniziativa!

Ma dal punto di vista economico, le famiglie in crisi, potevano permetterselo?

Dott.ssa Barnabino- Nei mesi dell’emergenza, che ha coinvolto anche l’aspetto economico, è stato proposto questo progetto completamente gratuito al fine di promuovere benessere psicologico e psicoeducativo ai bambini e alle loro famiglie.

Betapress- Complimenti a Lei e alle sue colleghe!

Ci racconti allora di “La casa sull’albero”.

Dott.ssa Barnabino- “La casa sull’albero” è stato un progetto web.

Attraverso video ed immagini, ed in particolare attività da fare insieme ai bambini e ai ragazzi, si è cercato di aiutare le famiglie a trasformare un momento di vita difficile in momenti vissuti con consapevolezza, condivisione e gratitudine.

Per esempio, La casetta degli “allenamomenti” ha voluto essere un luogo sicuro in cui ogni momento, seppur difficile, ha potuto trasformarsi in momento speciale. 

Le richieste pervenute durante il primo lockdown riguardavano, infatti, prevalentemente, la gestione dello spazio-tempo familiare, l’organizzazione di nuove routine ed il trovare, con i più piccoli, un linguaggio condiviso per affrontare tematiche, emozioni e pensieri relativi alla pandemia.

Betapress- Dott.ssa, parliamo appunto della famiglia, la prima cellula sociale. Come ha reagito durante il primo e il secondo lockdown?

Dott.ssa Barnabino- In generale penso che, se da un lato la situazione ha generato ed acutizzato conflitti familiari, dall’altro ha però permesso di attivare nuove risorse, dando spazio alla creatività e alla riscoperta di valori.

Diverse richieste sono state, invece, purtroppo legate al tema della morte, del mancato saluto dei propri cari e della gestione del lutto chiusi all’interno del proprio confine domestico. 

Fortunatamente, i pazienti già in carico si sono progressivamente adattati alla consulenza on-line e in loro non vi è stato un peggioramento della sintomatologia pregressa. 

Dal mio punto di vista, questo secondo lockdown ha portato vissuti di maggior disagio psicologico.

I pazienti in carico hanno, in molti, rifiutato la consulenza online esprimendo la volontà di continuare, in sicurezza, le sedute in presenza, per mantenere uno spazio relazionale che evidentemente viene a mancare negli altri contesti. 

Betapress- Quali sono le forme di disagio più ricorrenti nei minori?

E quali consigli può dare ai nostri lettori?

Dott.ssa Barnabino-Le problematiche ad oggi riscontrate riguardano prevalentemente: 

  • La paura e la mancanza di contatto nei più piccoli.

In questo caso, riterrei indispensabile suggerire ai genitori strategie rivolte alla creazione di routine stabili che possano creare un “luogo sicuro”, nonostante il dolore e l’incertezza che ci accompagna. Consiglierei ai genitori di vivere dei momenti di gioco condiviso con i loro figli, e di dare spazio alle emozioni vissute attraverso la narrazione delle stesse. 

Betapress- Sì, ma i ragazzi più grandi, non sono disposti ad ascoltare né fiabe, né prediche…

Dott.ssa Barnabino- Nei ragazzi le difficoltà maggiori credo siano legate al vivere costretti nell’ambiente domestico con lo scatenarsi di conflitti, apatia ed incremento delle dipendenze dal web.

Vi sono poi le difficoltà legate al mondo scolastico e alla didattica a distanza.

A tale proposito, mi permetta di esprimere un’opinione sulla DAD.

Credo purtroppo che, nonostante il grande sforzo dei professori e del personale scolastico, se ci mettiamo dalla parte degli alunni, dobbiamo ammettere che siamo ancora molto lontani da un risultato efficace, sia in termini di attenzione che di motivazione.

Nell’ impostazione del sistema scuola, i docenti, ma non solo loro, si sono concentrati sugli aspetti strettamente legati alla didattica, trascurando la relazione, l’interazione, la comunicazione.

Ma nessuno può negare quanto sono importanti gli aspetti relazionali nell’apprendimento e che incidenza hanno nel raggiungimento del risultato.

Ritengo che nella dad non si possa semplicemente pensare di trasferire la lezione in presenza sul web, ma bisognerebbe, invece, formare professori e maestri affinché possano avere gli strumenti per costruire nuove modalità didattiche dove anche gli aspetti emotivi e relazionali abbiano spazio.

Betapress– Dott.ssa, ha ragione, ma in certi casi, la DAD è diventata un alibi per gli alunni.

Un alibi per non studiare, indipendentemente dalla mancanza di relazione. Tanto più che gli studenti più grandi hanno capito subito che sarebbero stati promossi, comunque, a prescindere dal loro impegno…

Dott.ssa Barnabino- Anche qui, bisognerebbe cambiare prospettiva.

Per gli adolescenti ritengo che l’aiuto più grande derivi dal comprendere quanto loro stanno perdendo: la mancanza del loro mondo, che dovrebbe essere ricco di esperienze vissute nel confronto con i pari e che si ritrovano invece costretti tra le mura domestiche, dove spesso diventa difficile la comunicazione e il rispetto dei tempi e degli spazi.

Betapress- E gli adulti? Hanno patito molto anche loro, e sembrerebbe che siamo tutti ben lontani da un po’ di pace…

Dott.ssa Barnabino– Negli adulti, i vissuti depressivi degli ultimi mesi, sono legati al senso di solitudine, alla distanza affettiva e al cambiamento del proprio stile di vita.

Betapress– Che consigli ha per loro?

Dott.ssa Barnabino-Oltre al supporto nelle situazioni più critiche, riterrei utile, in generale, offrire strategie per gestire il nostro essere disorientati davanti alla mancanza di possibilità progettuali per il futuro. L’obiettivo dovrebbe essere il favorire la concentrazione sul presente e sul riuscire a trasformare e vivere momenti ordinari in momenti speciali.

Betapress- Dott.ssa, può farci qualche esempio concreto?

Dott.ssa Barnabino-Intendo strategie legate alla mindfulness e più nello specifico alla terapia act, che sono rivolte a portare l’attenzione in modo consapevole sul momento presente.

Ad esempio una passeggiata ‘consapevole’ portando l’attenzione sui profumi, sui rumori e su ciò che vediamo.

Oppure l’assaporare in modo lento una cena, scoprendo nei piatti nuovi sapori a cui solitamente non prestiamo attenzione

Sono piccole attività, che possono sembrare banali, ma che possono essere adattate a grandi e piccoli e che aiutano a rendere speciali i momenti della vita quotidiana a cui troppo spesso non prestiamo attenzione. 

E allora, noi di betapress ci diciamo, e vi diciamo “Perché non provare?!?”

Intanto, oggi, grazie al confronto con la Dott.ssa Barnabino, abbiamo provato a cambiare prospettiva.

Oggi, stando dalla parte dei bambini, abbiamo scoperto un altro modo per affrontare il disagio, mettendo in conto che anche un gioco, una fiaba, un profumo, un sapore, un colore può cambiarci l’umore.

E allora, aspettiamo qualche testimonianza, suggerimento, consiglio anche da parte vostra, cari lettori, perché, parlandone insieme, fa bene…

 




Depressione e Covid19: l’opinione.

 

Consapevoli dell’incremento del disagio collettivo da Covid 19 e per fronteggiare il preoccupante aumento di diverse forme di depressione provocate dal lockdown, la redazione di betapress propone una serie di interviste a noti Psicologi e Psichiatri, che si sono resi disponibili ad offrire ai nostri lettori un’azione di supporto psicologico a 360°.

Oggi ne parliamo con la Psicologa Crigna Valentina.

 

Betapress- Buongiorno dott.ssa, una carriera interessante la sua …

 

Dott.ssa Crigna– Mi sono laureata nel 2015 in Psicologia Clinica e di Comunità, ora sono al termine della specializzazione in Psicologia del ciclo di vita.

Durante il mio percorso formativo ho svolto varie esperienze di tirocinio, tra le più significative c’è stata quella all’Ospedale Niguarda di Milano nei reparti Nemo (malattie neuromuscolari) e Unità Spinale. 

Attualmente, presso il consultorio dell’Asl di Novara, seguo un progetto sulla prevenzione della depressione post partum.

Nel corso degli anni ho ampliato la mia formazione frequentando un corso quadriennale di sessuologia e conseguendo il titolo di sessuologa clinica.

Da un paio d’anni, inoltre, mi occupo di dipendenze tecnologiche e di utilizzo disfunzionale della rete e dei dispositivi tecnologici. Ultima, ma non per importanza, l’esperienza in collaborazione con varie associazioni che si occupano di fornire sostegno psicologico alle donne vittime di violenza.

 

Betapress- Parliamo ora del profilo medio dei suoi pazienti, età, sesso, livello culturale, condizione sociale.

 

La mia utenza è variegata.

Mi occupo di tutte le fasce d’età, anche se buona parte dei miei pazienti si collocano nella fascia d’età che va dai 20 ai 40 anni.

Nel corso della mia esperienza professionale, ho lavorato sia con uomini che donne, senza che ci fosse una particolare predominanza dell’uno o dell’altro sesso.

Anche per quanto riguarda il livello culturale ho seguito e seguo pazienti con livello culturale ed estrazione sociale estremamente variegata.

 

Betapress- Partiamo dal primo lockdown.

Quale richiesta di aiuto/supporto psicologico ha ricevuto.

Con quale frequenza/modalità e perché.

 

Dott.ssa Crigna- Nel corso del primo lockdown ho ricevuto alcune richieste di sostegno psicologico, in realtà non quante me ne sarei aspettate.

La paura di uscire e di avere contatti con le persone credo abbia molto frenato gli individui nel chiedere l’aiuto di un professionista.

Allo stesso tempo, le persone hanno fatto fatica a chiedere un supporto psicologico a distanza, fatto che avrebbe arginato la paura di uscire, a causa della difficoltà a ritagliarsi uno spazio intimo e riservato nella propria abitazione per poter svolgere un colloquio con uno psicologo.

Le richieste d’aiuto che ho ricevuto non erano strettamente inerenti ai vissuti emotivi scatenati dal lockdown, ma connesse a problematiche psicologiche già esistenti che sono state messe a dura prova dalla situazione emergenziale e che hanno richiesto l’intervento di un professionista.

 

Betapress- Invece nel secondo lockdown…

 

Dott.ssa Crigna- Durante il secondo lockdown ho ricevuto una richiesta di sostegno psicologico ben più ampia rispetto ai mesi precedenti.

Varie persone si sono rivolte a me per disturbi del sonno, ansia e vissuti depressivi, in alcuni casi emersi già nel primo lockdown, in altri casi emersi solo dopo l’estate. Le persone che hanno vissuto con emozioni negative anche il primo lockdown, per svariati motivi, hanno deciso di non chiedere aiuto.

Una causa può essere stata la difficoltà nel sostenere, da un punto di vista economico, un percorso psicologico, ma anche la convinzione o la speranza che, finito il primo lockdown, saremmo tornati tutti alla nostra vita com’era prima del Covid, e che di conseguenza anche i disturbi emersi sarebbero scomparsi.

Quando le voci di un nuovo lockdown hanno iniziato a circolare, le persone che hanno vissuto in maniera peggiore, dal punto di vista emotivo i mesi precedenti, hanno sentito il bisogno di cercare un aiuto professionale per superare la loro situazione.

 

Betapress- Secondo lei, c’è stato dunque un incremento cronologico del disagio?

 

Dott.ssa Crigna- Come già detto, nella mia esperienza professionale ho potuto constatare una maggiore richiesta d’aiuto nei mesi più recenti.

Credo, però, che il forte disagio emotivo causato dall’emergenza Coronavirus sia emerso già al primo lockdown, ma che sia rimasto silente.

 

Betapress- Le dipendenze da fumo/alcool/social sono segno e segnale specifico dell’isolamento e della solitudine?

 

Dott.ssa Crigna- I dati provenienti da vari enti ed istituzioni ci dicono che le richieste di aiuto connesse a dipendenze di vario tipo (droghe, alcool, gioco d’azzardo, ecc.) sono aumentate durante i mesi scorsi.

D’altronde, basta osservare i dati di vendita degli alcolici, che hanno subito un’impennata importante nel periodo del primo lockdown, si parla di un aumento del 180%, anche grazie alle consegne a domicilio.

Prima eravamo abituati a vivere vite disordinate e frettolose, distratti da mille stimoli spesso superficiali (chat, media, informazioni, pubblicità, divertimenti, ecc.).

Il primo lockdown ci ha messo di fronte in maniera inusuale alla nostra intimità psichica ed al vissuto più profondo delle nostre relazioni sentimentali, interpersonali e sociali.

Il silenzio e la solitudine sono diventati uno spazio vuoto nel quale si sono moltiplicati il disagio esistenziale, l’insicurezza e la paura.

L’alcool, il fumo e le altre dipendenze hanno trovato suolo fertile nelle persone che non sono riuscite a far fronte a questi disagi in maniera adattiva.

 

Betapress- Parliamo della Paura: soggettiva, oggettiva e collettiva

 

Dott.ssa Crigna- La paura è un’emozione potente ed utile, ci permette di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale ad evitarli.

La paura, però, funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Oggi molti di essi non dipendono dalle nostre esperienze.

Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete.

Succede così che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi derivanti dalla frequenza dei pericoli. In questi casi la paura si trasforma in panico e finisce per danneggiarci.

Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.

Non è sempre così semplice controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.

 

Betapress- Dott.ssa ci aiuta a decifrare la consapevolezza del limite e della fragilità esistenziale?

 

Dott.ssa Crigna- L’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus ci ha messi tutti di fronte alla fragilità della nostra esistenza.

Nessuno è più al sicuro, tutti sono in pericolo, ognuno di noi potrebbe contrarre il virus e trovarsi ad affrontare stadi diversi della malattia, dall’assenza di sintomi ad essere in terapia intensiva.

L’attuale pandemia ha avuto un forte impatto emotivo e psicologico proprio perché ha reso le persone consapevoli della propria ed altrui fragilità, ma soprattutto perché ha portato buona parte delle persone ad essere consapevoli dei propri limiti, consapevoli che nessuno avrebbe mai potuto considerarsi immune e al sicuro da questa malattia.

 

Betapress- Per alcuni, la prossimità della malattia e l’esperienza della morte in casa sono stati devastanti…

 

Dott.ssa Crigna- A conti fatti è difficilissimo trovare una persona che non conosca qualcuno che ha contratto il Coronavirus.

Visti i numeri, tutti o quasi, abbiamo avuto un contatto più o meno ravvicinato con il Covid.

Uno degli impatti forse più forti che il Covid ha avuto sulle nostre vite è quello relativo alla morte e ai rituali ad essa connessi. Le persone sono morte, e continuano a morire, sole.

A prescindere dal luogo in cui si trova un malato (casa o ospedale) il suo approssimarsi alla morte sarà contraddistinto da un unico elemento: la solitudine.

Egli non potrà salutare i suoi cari, e non potrà essere salutato dai suoi cari. Nel periodo del primo lockdown chi ha perso un caro a causa del Covid non ha nemmeno potuto presenziare ad un funerale, non ha potuto salutare l’affetto di una vita con un rito di passaggio così importante e significativo.

Questo inevitabilmente ha creato e creerà dei vissuti emotivi molto forti, ha reso difficile un’elaborazione del lutto già compromessa dai risvolti psicologici negativi della pandemia.

 

Betapress- Nuove ansie, come affrontarle e gestirle?

 

Dott.ssa Crigna- Quando l’ansia non ha le caratteristiche di un vero e proprio disturbo si può iniziare a gestirla utilizzando delle tecniche di rilassamento, che sono molto efficaci nel bilanciare i livelli di attivazione del corpo spostando l’equilibrio psicofisiologico da uno stato di attivazione ad uno di rilassamento.

Un altro consiglio può essere quello di allenare la mente alla consapevolezza, poiché aiuta a controllare e ridurre le emozioni negative e a conoscere e osservare le modalità di funzionamento della nostra mente.

L’ansia può essere amplificata dalla perdita di sonno, la cui qualità è ormai dimostrata molto importante per la nostra salute mentale, è dunque, fondamentale, porre attenzione ad un’adeguata qualità del sonno.

Quando l’ansia raggiunge livelli di intensità più estremi e non controllabili dalla persona, sfociando in un vero e proprio disturbo d’ansia, occorre un intervento professionale.

Sarà, quindi, importante rivolgersi ad uno psicologo che possa aiutare la persona a riconoscere i propri stati d’ansia e ad imparare a gestirli al meglio.

 

Betapress- Quali sono le strategie comportamentali e gli interventi sul piano cognitivo per agire e reagire?

 

Dott.ssa Crigna- Una prima azione da compiere potrebbe essere quella di evitare un eccesso di informazioni e soprattutto fare attenzione alle fonti.

Dovremmo ascoltare le notizie dosando le informazioni, ascoltandole al massimo due o tre volte al giorno, preferibilmente su fonti governative.

Molto importante è cercare di conservare una propria routine, perché questo ci aiuta moltissimo a mantenere una parvenza di normalità.

Se non possiamo mantenere le nostre solite abitudini creiamone di nuove, cercando di mantenerle costanti nel tempo.

Conservare degli schemi quotidiani ci permette di far fronte in maniera più adattiva al momento di grandissima incertezza sanitaria, economica e sociale.

Può essere utile anche condividere le proprie preoccupazioni, parlare di ciò che ci mette paura, ma è importante stare attenti a evitare che il Covid e la pandemia diventino gli unici oggetti delle nostre discussioni.

 

Certi di aver offerto un primo e valido supporto psicologico ai nostri lettori, ringraziamo la Dott. ssa Crigna Valentina per la competenza, professionalità e disponibilità dimostrate, e diamo appuntamento al nostro pubblico, sempre su queste pagine e nel nostro canale youtube con la rubrica parliamone insieme, per affrontare con la  Psicologa Barnabino Federica il disagio nei minori e lo stress correlato all’isolamento e alla Dad.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bullismo e Cyberbullismo sempre attuali.

 




Covid19 = aumento della depressione

Rapporto tra aumento della depressione e Covid 19

Continuo incremento del disagio psicologico, ma, soprattutto preoccupante aumento della depressione, sia negli adulti che nei minori, in questo 2020 “annus horribilis” dominato dal Covid.

I dati europei dicono che il 14% della popolazione è attualmente affetta da disturbi depressivi, con un effetto domino sulle spese mediche nei diversi stati

Basti dire che in Gran Bretagna, gli effetti della depressione costerebbero allo Stato circa 12 miliardi di sterline l’anno.

In Italia, la percentuale media di persone con problemi d’ansia e di depressione è dell’11%.

Attenzione però, attualmente, nel Lazio tocca il 17%; ed in generale, la depressione ha una maggiore frequenza al Nord ed una minore incidenza al Sud, per fattori sociali, genetici, climatici ed ambientali.

Lo studio coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” insieme all’ISS su un campione di 20.720 partecipanti, ha evidenziato che durante il lockdown sono aumentati i livelli di ansia, depressione e sintomi legati allo stress, soprattutto nelle donne.

Secondo la ricerca condotta dall’Istituto Superiore di Sanità

“gli ultimi mesi hanno comportato molte sfide, in particolare per gli operatori sanitari, gli studenti, i familiari dei pazienti affetti da Covid-19, le persone affette da disturbi mentali e più in generale le persone che versano in condizioni socioeconomiche svantaggiate e i lavoratori i cui mezzi di sussistenza sono stati minacciati.
L’impatto economico sostanziale della pandemia può infatti ostacolare oltre che i progressi verso la crescita economica anche quelli verso l’inclusione sociale e il benessere mentale.
Numerosi studi mostrano che la perdita di produttività lavorativa è tra i principali determinanti della cattiva salute mentale”
 (ISS).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che, nel 2020, la depressione sarà il disturbo mentale più diffuso al mondo e la seconda malattia più frequente dopo le malattie cardiovascolari.

Già negli ultimi 3- 4 anni si è registrato un notevole aumento di casi di malattie mentali in generale. L’intensità e la gravità di queste malattie è invariata, quello che è cambiato è il numero di persone colpite e che soffrono a causa di esse.

I numeri sono molto significativi: più della metà delle forme depressive viene avvertita già all’età di 14 anni, ma purtroppo la metà delle nazioni del mondo ha un solo psichiatra infantile ogni due milioni circa di abitanti.

Esistono diversi tipi di depressione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità divide in due grandi categorie:

  • depressioni maggiori (psicotiche) più rare e ben curabili con farmaci e psicoterapia, e
  • depressioni reattive (dette anche nevrotiche o minori) che invece sono molto diffuse e riguardano un maggior numero di persone.

La depressione si manifesta in tutte le età della vita e anche questo momento non fa eccezione. Bambini, adolescenti, adulti e anziani, per motivi diversi, possono soffrirne.

Inoltre, la pandemia da Covid-19 non risparmia nessuno.

Adulti ed anziani che si ammalano anche di forme gravi o mortali, giovani che si ammalano in modo meno grave, ma che hanno comunque molti disturbi e bambini che di solito non si ammalano in modo serio, ma che sono molto preoccupati ed impauriti per la salute dei loro familiari, soprattutto dei nonni.

I bambini sentono, ascoltano, capiscono e percepiscono emotivamente lo stato d’animo di chi li circonda, hanno dei veri e propri “radar emotivi” che li tengono anche inconsciamente, continuamente in contatto profondo con chi li circonda da cui dipendono e a cui vogliono bene. I bambini hanno le loro buone ragioni per essere preoccupati ed hanno bisogno di essere tranquillizzati e rassicurati.

Per non palare delle depressioni da lutto in coloro che hanno perduto persone care, familiari, parenti ed amici.

Quello che accomuna tutti, in ogni età della vita è che, una volta riconosciuta e curata, ogni forma depressiva può regredire, andare “in remissione” o guarire.

Le cose importanti sono almeno due:

  1. chiedere aiuto senza timore o vergogna
  2. individuare le cause

Fondamentale è lavorare sulle cause che l’hanno prodotta ed in presenza di disturbi gravi o con familiarità, agire tempestivamente riconoscendo i sintomi non appena si presentano.

Di primaria importanza è consultare delle figure professionali, (analista o psichiatra); riprendere una “tranche” (un breve periodo) di analisi per affrontare il problema del momento e modificare o assumere di nuovo per un periodo la terapia farmacologica.

È il modo migliore per prevenire ricadute, tutelare la propria salute e il proprio benessere, e prendersi cura di sé stessi.

Come redazione di betapress, intendiamo offrire un’azione di supporto psicologico offrendo ai nostri lettori la consulenza di affermati psicologi che si sono resi disponibili per affrontare i seguenti temi

  1. Dipendenze da fumo/alcool/social segno e segnale specifico dell’isolamento e della solitudine.
  2. Paura soggettiva, oggettiva e collettiva
  3. La consapevolezza del limite e della fragilità esistenziale
  4. Nuove ansie, come affrontarle e gestirle?
  5. Strategie comportamentali ed interventi sul piano cognitivo per agire e reagire.

 

Domani uscirà su queste pagine una nostra intervista con la Dott. Psicologa Crigna Valentina, Sessuologa clinica, specializzata in psicologia del ciclo della vita con esperienza all’ Ospedale Niguarda di Milano nei reparti Nemo (malattie neuromuscolari) e Unità Spinale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sitografia essenziale

  1. http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/allarme-oms-nel-2020-la-depressione-sar%C3%A0-la-malattia-pi%C3%B9-diffusa
  2. https://www.epicentro.iss.it/mentale/documentazione-mondo
  3. https://www.who.int/en/news-room/fact-sheets/detail/adolescents-health-risks-and-solutions
  4. https://www.lopinionista.it/depressione-da-covid-19-psicoanalisi-farmacologia-e-medicine-non-convenzionali-insieme-per-la-cura-intervista-ad-adelia-lucattini-76774.html

 

 




Scuola???

La scuola del futuro è in ostaggio tra legge di bilancio e rinnovo del contratto.

 

Siamo prossimi all’esame della legge di bilancio per il 2021 in Commissione Bilancio della Camera. 

Cosa ne sarà della scuola?

Intanto, partiamo dalla scuola di adesso e dal report di Ancodis.

Il 23 novembre, Ancodis ha proposto un weebinar:

“Riflessioni a scuola: L’emergenza pandemica a scuola e il Referente Scolastico COVID 19″ nel quale si sono confrontati esperti impegnati nella complessa gestione dell’emergenza.

Emergenza che sta mettendo a dura prova modelli organizzativi e didattici anche sotto l’aspetto della tenuta psicologica di tutti gli operatori.

In poco più di sei mesi, dal punto di vista della sicurezza, alla “scuola dell’ANTI” (incendio, sismico, infortunio) si sono aggiunti anche l’ANTI contagio e, potendo, l’ANTI stress.

Ed una “squadra anticovid”, nel rispetto di ruoli e funzioni, giorno dopo giorno, ha dovuto reggere ad un pressing notevole.  

E’ evidente, siamo di fronte ad una emergenza che è stata affrontata con alta responsabilità e competenza dentro la scuola, dai diretti interessati, spesso gli ultimi “della catena”, ma che ha visto negligenze, superficialità e distrazioni in territorio extrascolastico. 

I Collaboratori dei DS e le figure di sistema di Ancodis – alcuni dei quali individuati Referenti scolastici Covid 19 – hanno denunciato purtroppo una sofferente condizione di sconfitta delle squadre anticovid impegnate a far rispettare i protocolli, a monitorare tempestivamente vulnus organizzativi, a mettere “toppe” alle criticità la cui responsabilità è da addebitare ad altri. 

Con il webinar si è fatto un primo bilancio, dando voce ad esperti e protagonisti. L’auspicio è che, almeno, si possa fare emergere la vera condizione nella quale si sono ritrovate le scuole e quali sono le (ir)responsabilità da evidenziare per il corretto funzionamento del sistema di prevenzione, controllo e monitoraggio. 

Ed allora, come redazione di betapress, siamo tornati ad intervistare il Presidente di Ancodis Rosolino Cicero per scoprire insieme i buoni propositi per la scuola del futuro.

 “Tra le misure previste – fa rilevare il Presidente di Ancodis Rosolino Cicero – troviamo il piano pluriennale per l’assunzione in organico di diritto di 25000 docenti di sostegno (con piano di formazione sull’inclusione ed acquisto di ausili didattici); l’assunzione di 1000 docenti di potenziamento (per rispondere alle carenze di organico nella scuola dell’infanzia) e la stabilizzazione degli Assistenti tecnici nella scuola del primo ciclo e dei collaboratori scolastici ex LSU.

Dal punto di vista infrastrutturale, è posta l’attenzione su l’ammodernamento degli edifici, sul potenziamento della digitalizzazione delle scuole (implementata l’attività degli animatori digitali e dei team digitali), sul sistema dei trasporti urbani ed extraurbani (specifico anello debole attuale).

Viene, infine, incrementato il fondo per la formazione e l’apprendistato e recuperata (e speriamo semplificata) la 440, una legge che dà meritata attenzione all’arricchimento ed ampliamento dell’offerta formativa”. 

In linea di principio, dunque, emerge un significativo investimento in risorse umane e in beni materiali, di cui la scuola ha certamente un gran bisogno, a partire dall’attenzione al sistema di istruzione 0-6.

ANCODIS apprezza l’inversione di rotta del governo e del Ministero e condivide l’importanza di INVESTIRE in istruzione e cultura dopo un ventennio di tagli lineari di risorse che hanno profondamente inciso sulla qualità del sistema scolastico italiano.

“Occorre riconoscere – continua Rosolino Cicero – che siamo entrati nella strada giusta ed auspichiamo l’inizio di un processo davvero irreversibile. Suscita ovvio interesse anche l’attenzione alle risorse per il rinnovo contrattuale con la previsione di incrementarne gli attuali stipendi.” 

Il Presidente Cicero sottolinea, però che “Investire in risorse umane e materiali non è sufficiente se poi si lascia invariato il modello scolastico. Occorre anche dare la meritata attenzione al suo funzionamento organizzativo e didattico dal quale deriva la qualità dell’offerta formativa e l’azione che quotidianamente si mette in campo nelle autonome istituzioni scolastiche”. 

Per i Collaboratori dei DS e le figure di sistema di Ancodis, autonomia, offerta formativa e governance scolastica devono integrarsi in una visione unitaria nella quale tra il Dirigente scolastico ed il corpo docente si riconosca l’esistenza insostituibile delle figure intermedie (Middle management scolastico) che devono finalmente godere di una identità giuridica e contrattuale incardinata in una vera carriera professionale. 

“Nessuno – afferma Rosolino Cicero – oggi più che mai può disconoscere che la moderna governance scolastica è la conditio sine qua non per la qualità dell’offerta formativa e per l’efficienza nelle attività didattiche e nei servizi ad alunni e famiglie”.

Ancodis non finirà mai di affermarlo: l’organizzazione gestionale e didattica sta alla base del buon funzionamento ed i DS – senza l’apporto e la professionalità dei loro Collaboratori e delle figure di sistema oggi “strutturate” in tutte le comunità scolastiche – non possono guidare e gestire un sistema che in questi ultimi anni è divenuto sempre più complesso e gravato di numerose incombenze che vanno dalla didattica alla sicurezza, compresa quella covidiana.

Se si guarda alla scuola italiana dei prossimi anni, non si può più escludere dagli obiettivi una innovazione legislativa che porti al riconoscimento giuridico dei Collaboratori dei DS e delle figure di sistema e ad un nuovo modello contrattuale nel quale trovi spazio l’area del middle management scolastico.” 

La seconda proposta di Ancodis riguarda la sostituzione del Dirigente Scolastico: in caso di assenza e/o impedimento del Dirigente Scolastico non è prevista dall’ordinamento scolastico una figura istituzionale che eserciti le funzioni!

“Le ragioni di una innovazione legislativa che copra questo vulnus nella gestione delle I.S. autonome – dichiara il Presidente Cicero – ci sembra ormai giunta: il riconoscimento di diritto di chi può sostituire – entro certi limiti – il DS (per esempio l’Assistant principal anglosassone) ed il distaccamento ex lege dalle attività didattiche è ormai una necessità in tutte le scuole a partire in particolare da quelle in reggenza.”

Ed il tema della modalità di accesso, della permanenza nel nuovo status, della valorizzazione nella carriera professionale, del riconoscimento nelle prove concorsuali compreso quello per l’area dirigenziale, per Ancodis deve essere aperto senza posizioni ideologiche o pregiudizi di categoria. 

La terza proposta – conclude Cicero – riguarda un tema più generale: è il tempo di un patto generazionale e professionale tra tutte le componenti impegnate alla costruzione di un sistema scolastico che, fondato sulla storica ed indiscussa tradizione, si apra a quelle innovazioni culturali e contrattuali capaci di integrare nuovi modelli didattici e moderne azioni organizzative mettendo sempre al centro i bisogni formativi delle nuove generazioni ma andando oltre le arcaiche norme giuridiche e superati schemi contrattuali.”

Infine, il Presidente di Ancodis lancia un appello: “Chi oggi guida il Paese, chi ha la responsabilità di indicare una direzione, chi deve sedere al tavolo del confronto, chi deve rinunciare magari ad antichi privilegi, chi ha a cuore la scuola dei nostri figli, assuma la necessaria responsabilità e faccia un passo avanti.” 

E come redazione di betapress, ci auguriamo che, finalmente, iI Sistema Scuola, a partire dai vertici, riconosca l’esperienza e la professionalità dei Collaboratori dei Dirigenti scolastici.

Ricordiamoci che la scuola è l’ombelico della società civile, ammettiamo, una volta per tutte che bisogna premiare il merito di chi nella scuola ci crede e ci vive!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANCODIS: BASTA CON LE DEMAGOGIE

 

ANCODIS: firmato il contratto docenti, inadeguato!