Upgrade Pegaso Award ad Antonio Brienza

Il vincitore del concorso accademico nazionale “Upgrade Pegaso Award” è Antonio Brienza con il progetto scientifico “Il gioco virtuale quale neurostimolante di processi di apprendimento multidisciplinare”




Udir apprezza il Ministero degli Esteri

 

Il Sindacato UDIR plaude all’iniziativa del Ministero degli Esteri che in data 17 e 18 ottobre ha convocato a Roma tutti i Dirigenti scolastici che prestano servizio all’estero.

La giornata del 17 era espressamente dedicata alla raccolta di pareri tecnici ai fini della revisione della normativa applicativa onde rendere il lavoro dei Dirigenti più agile e adatto alle mutate realtà della nostra presenza all’estero (non più legata alle esigenze degli italiani fuori confine ma ad una visione inclusiva di cooperazione).

La giornata del 18, presso la prestigiosa Società Dante Alighieri, è servita a fare il punto della situazione sulle strategie di diffusione e promozione della nostra lingua e cultura all’estero.

I Dirigenti sono stati accolti presso la Farnesina con inusitata dignità, chiaro segnale di una considerazione che tarda ad essere recepita dal Ministero dell’Istruzione ancora alle prese con una atavica rivendicazione di adeguamento stipendiale che recuperi quanto tolto e quanto non assegnato negli ultimi dieci anni di vacatio contrattuale (l’ annosa questione della perequazione retributiva rispetto alle altre categorie dirigenziali dello Stato).

Varie le criticità segnalate dai Dirigenti che si trovano ad operare come singole unità su territori spesso molto più grandi della stessa Italia, senza nessun aiuto di personale amministrativo.

Aspetto che limita fortemente la loro azione per la costituzione di reti, promozione di accordi e protocolli di intesa in cui concretizzare la politica educativa.

Tra le criticità maggiori vanno segnalate:

la mancanza di personale a disposizione facilmente reperibile modificando le assegnazioni dei docenti la cui utilizzazione nelle scuole paritarie appare desueta nel panorama odierno (si tratta di una funzione che eredita la visione delle scuole per italiani emigrati residenti all’estero) e dovrebbe invece, in linea col nuovo Decreto 64/2017, tendere alla creazione di team a disposizione del Dirigente scolastico per la produzione di materiali didattico-educativi con cui operare in tutte le scuole, pubbliche e private, in cui si insegna l’italiano nonché a fornire assistenti esperti di lingua italiane nelle scuole pubbliche bilingue e nei corsi degli Enti gestori.

Un altro contributo in termini di risorse potrebbe venire da una ridefinizione delle modalità di assegnazione degli incarichi in loco dei lettori le cui ore eccedenti, per prassi consolidata, vengono gestite dagli Istituti di Cultura che però, a differenza degli uffici scolastici, dispongono di personale dipendente e risorse finanziarie.

La mancanza di risorse finanziarie con cui attuare iniziative e protocolli di intesa locali finalizzati a promuovere la conoscenza della lingua italiana, anche in vista della promozione dello studio presso le università italiane da parte di studenti stranieri.

Infine, il peso delle procedure burocratiche che sottrae enormi quantità di tempo al lavoro e alla programmazione delle attività dei Dirigenti che devono relazionarsi ad un numero elevatissimo di soggetti istituzionali per lo svolgimento dei loro compiti.

http://betapress.it/index.php/2017/09/17/udir-la-marcia-non-si-arresta/

http://betapress.it/index.php/2017/10/03/doxa-la-scuola-piace-di-piu-ma-gli-italiani-studiano-di-meno/




Generazioni maligne

Un futuro di povertà nella società del benessere: i dati Ocse sulle disuguaglianze tra generazioni in Italia

Secondo il rapporto Preventing ageing unequally (“Come prevenire le disuguaglianze legate all’invecchiamento”) stilato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per le nuove generazioni italiane si preannuncia un futuro decisamente a tinte fosche: meno occupazione e più povertà rispetto a quelle che le hanno precedute.

L’Organizzazione parigina sottolinea come negli ultimi trentanni, in Italia, si sia notevolmente ampliato il divario tra le vecchie e le nuove generazioni.

Mentre il tasso di occupazione per coloro che possiedono un’età compresa tra i 55 e 64 anni è cresciuto del 23% tra il 2000 e il 2016, nello stesso arco di tempo è crollato dell’11% per i giovani di età compresa tra i 18 e 24 anni.

Secondo i dati raccolti dall’Ocse, se è vero che la povertà relativa risulta diminuita per le vecchie generazioni, è anche vero che risulta notevolmente cresciuta per le nuove generazioni, i cui membri, intrappolati in lavori non-standard, trovano difficoltà a ottenere un’occupazione stabile.

Certamente questa difficoltà è accresciuta dall’elevato costo del lavoro per i contratti a tempo indeterminato, fra i più alti del mondo nel nostro Paese.

Elevato, ovviamente, sarà il costo di una carriera iniziata tardi e discontinua per la pensione, una parola che rischia di trasformarsi in un’antica leggenda per le nuove leve.

In Italia, spiega l’Ocse, «le ineguaglianze tra i nati dopo il 1980 sono già maggiori di quelle sperimentate dai loro parenti alla stessa età» e, dal momento che «le diseguaglianze tendono ad aumentare durante la vita lavorativa, una maggiore disparità tra i giovani di oggi comporterà probabilmente una maggiore diseguaglianza fra i futuri pensionati, tenendo conto del forte legame che esiste tra ciò che si è guadagnato nel corso della vita lavorativa e i diritti pensionistici».

Insomma, le nuove generazioni che si affacciano o si sono già affacciate all’età adulta, dopo essere cresciute nella società del benessere, con la promessa di una sempre più graduale espansione della prosperità economica e del progresso, sono destinate a scontrarsi con l’infedeltà di un mondo tanto promettente quanto arido di possibilità.

Vittime di una società liquida, cioè priva di fondamenti stabili e di valori duraturi, le nuove generazioni si ritrovano costrette ad affrontare il futuro senza quegli stimoli, quelle speranze e quelle possibilità di realizzazione di cui hanno goduto le generazioni più anziane.

Siamo cresciuti con la promessa di un’espansione infinita, invece viviamo in universi in contrazione in cui ciascuno sa che sarà più povero o più disoccupato della generazione precedente.

Bisogna riconoscerlo, con le nuove generazioni i tempi sono stati infedeli, non hanno mantenuto quelle promesse di prosperità e benessere che hanno spinto a credere al miraggio di un futuro in cui essere infelici sarebbe stato un crimine.

Le generazioni più anziane hanno gettato ai propri figli un osso già spolpato, commettendo un vero e proprio saccheggio intergenerazionale e venendo meno a quel patto di solidarietà tra vecchi e giovani che in passato garantiva il benessere di entrambi.

Negli ultimi decenni si è innegabilmente consumata un’intrinseca ingiustizia, pur nel rispetto della legalità formale: le vecchie generazioni sembrano concludere il loro ciclo biologico come “generazioni egoiste”, arroccate sul principio del rispetto dei diritti acquisiti che, applicando un criterio di giustizia su base generazionale, potrebbero ragionevolmente essere definiti “privilegi”, vantaggi concessi a una specifica frazione della società.

È un paradosso, ma si preannuncia un futuro di povertà e disoccupazione per le generazioni nate e cresciute nell’epoca più florida, progredita e ricca di possibilità della storia.

 




LA PROCURA EUROPEA

LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA TRA PAESI UE: L’ISTITUZIONE DI UNA PROCURA EUROPEA PER LA DIFESA DEGLI INTERESSI FINANZIARI DELL’UNIONE.

 

Lo spazio Europeo di repressione penale è attualmente diviso e, a detta di molti studiosi, rappresenta una delle principali cause che limitano l’efficienza dell’azione europea di contrasto alla criminalità organizzata.

Ciò è considerato motivo determinante per dotare l’Unione di una Procura Europea per la protezione dei suoi interessi finanziari con il chiaro obiettivo di accelerare il processo di armonizzazione del diritto penale degli Stati membri.

D’altro canto, le frodi a danno dell’Unione europea raffigurano un flagello che provoca gravi pregiudizi al funzionamento e al progresso dell’eurozona. Si tratta di un fenomeno che è dilagato inesorabilmente con il trascorrere del tempo, malgrado gli strumenti di contrasto introdotti nel corso degli anni, ed ha colpito soprattutto ambiti quali quello delle politiche agricole o delle politiche strutturali, finendo per indebolire tutte le istituzioni europee e il percorso politico di unificazione comunitaria.

Gli strumenti di cooperazione tra gli Stati membri, fino ad oggi attuati, non sono stati sufficienti a estirpare questa grave illegalità. Come detto, hanno influito in modo rilevante i problemi relativi alla difformità dei procedimenti giudiziari nei singoli Stati e i sistemi di acquisizione e circolazione delle prove, che hanno spesso reso impraticabile il funzionamento degli strumenti di lotta anti frode.

La cooperazione giudiziaria in materia penale per la lotta alle frodi comunitarie, fino ad oggi è stata caratterizzata dall’uso di strumenti quali la rogatoria, l’estradizione, il mandato di arresto europeo e gli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, che hanno tentato di contribuire alla lotta ai fenomeni di criminalità transnazionale.

L’istituzione del procuratore europeo dovrà incentrarsi su una meticolosa analisi costi-benefici.

Bisogna determinare e coordinare, inoltre, in maniera adeguata le implicazioni dell’attività del Procuratore europeo, dopo la fase delle indagini, fornendo di conseguenza alle strutture giudicanti, non solo le risorse necessarie ma anche la giusta mentalità e formazione europea che è richiesta ai giudici e agli operatori del diritto.

La Commissione europea, sulla base dell’articolo 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che rappresenta la base giuridica, sta lavorando al regolamento  sull’organizzazione e le competenze della struttura.

Tutto questo ragionamento deve però tener conto del grande rilievo che ha il tema della protezione dei diritti fondamentali che deve obbligatoriamente accompagnare la creazione di una Procura europea.

Il Trattato di Lisbona nel 2009, oltre ad aver attribuito valore giuridico alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, ha rafforzato il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto ad un processo equo.

L’ufficio del Procuratore si impianta concettualmente nella prospettiva di una forte integrazione tra i Pesi europei.

Difatti, il programma si sposa con la visione di un modello federale degli Stati Uniti d’Europa, unica struttura capace di permettere a tutti i cittadini UE di vivere insieme conservando le singole diversità e di allontanare le tendenze anti europeiste che minacciano il senso profondo della comune convivenza.

In verità, da una recente indagine avviata dalla Commissione Europea tra numerosi procuratori nazionali che trattano procedimenti su frodi comunitarie, è emerso che il 60% degli intervistati considerino i fattori di transnazionalità come elementi di intralcio all’indagine medesima, evidenziando pertanto una concreta diffidenza verso tutto ciò che oltrepassa i confini nazionali.

Nonostante la riluttanza della maggior parte dei procuratori, sembra invece plausibile che, neanche se tutte le opzioni al giorno d’oggi percorribili fossero sfruttate a trecentosessanta gradi, si otterrebbero concrete risposte al limite intrinseco della divisione dello spazio penale europeo: le rogatorie sono in ogni caso contraddistinte da un formalismo che, per quanto possa essere abbreviato, non potrà essere attenuato più di tanto.

Quindi la concentrazione delle indagini sulle frodi comunitarie nella mani di un organismo investigativo giudiziario europeo unitario che abbia il potere di far circolare speditamente e senza sovrabbondanti impedimenti la prova nello spazio giuridico europeo può, allora, rappresentare un salto di qualità.

È altrettanto vero che, la presenza di regole procedurali comuni adottabili in tutto il territorio della UE si tradurrebbe in una certezza dei diritti della difesa, di modo che, per esempio, un cittadino italiano avrebbe piena contezza delle regole con le quali può essere assoggettato ad indagine in un altro Stato UE, al contrario di quanto avviene sulla scorta del principio del mutuo riconoscimento che si fonda, in pratica, sulla difformità dei sistemi giuridici.

Sarà poi compito della politica consentire l’attuazione di un passo così rilevante verso l’integrazione europea.

Sarebbe considerevole se l’Italia comparisse tra le prime nazioni sostenitrici dell’iniziativa, facendosi portavoce di quel principio di integrazione europea che, se da un lato certamente non deve essere idealizzato come il rimedio di tutti i mali, dall’altro è, verosimilmente, una risposta ineludibile di fronte alle sfide che il mondo contemporaneo pone all’Europa, non soltanto per ciò che concerne a tutela degli interessi finanziari ma più propriamente rappresenta una prova di maturità rispetto alle risposte che ci si aspetta dinanzi a spinte che giungono da ogni dove e che potrebbero vanificare gli sforzi fin qui sostenuti.

 

Tanio Cordella




ZFU, sarà un successo?

Tanti ritardi ma alla fine si parte.

 

Seguendo il modello francese delle “Zones Franches Urbaines” il MISE stanzia ulteriori 30 milioni di euro a favore di 10 Comuni per un provvedimento nell’ambito della politica di sviluppo e integrazione socio-economica di aree urbane svantaggiate, depresse e caratterizzate da fenomeni di ineguaglianza e esclusione sociale.

Tutto iniziò con la legge finanziaria del 2007 e 2008 in cui si stabilivano i fondi e i criteri per l’individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane e attraverso la quale soprattutto la Regione Sicilia ebbe modo di sperimentare in prima battuta lo strumento non di finanziamento ma di aiuto alle imprese.

Proprio da questa Regione possiamo trarre qualche spunto in previsione futura, infatti da una prima analisi dei dati siciliani notiamo subito che le ZFU dopo aver privilegiato un ruolo di attrattore imprenditoriale piuttosto che di riqualificazione sociale si è subito scontrata con la necessita di creare le infrastrutture utili allo sviluppo dell’impresa come il potenziamento dei trasporti e dei servizi collegati

Oltre al bisogno di ridurre i costi aerei e navali per consentire all’isola di competere alla pari con altre Regioni.

Oggi con il decreto 5 giugno 2017 (G.U. 2017) si compie un ulteriore passo in avanti nella ricerca di crescita del nostro PIL, infatti, seppure i risultati siciliani per ora lascino dei dubbi sui risultati ottenuti, è pur vero che se puntiamo la nostra attenzione sui precedenti risultati francesi, più consolidati vista la quasi ventennale esperienza, potremmo ben sperare.

Nei comuni e “arrondissement” francesi le aziende hanno aumentato i loro fatturati e hanno superato la crescita di ben 5 volte rispetto alla media delle loro concorrenti in ambito nazionale. Non è sicuramente la chiave di volta per la risoluzione dei problemi macroeconomici che attanagliano l’Italia ma è pur sempre un proseguo di una volontà politica che inizia a scommettere maggiormente sui comuni e sulle piccole e medie imprese.

Le agevolazioni consisteranno nell’esenzione dalle imposte sui redditi per 5 anni, nell’esenzione dall’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), nell’esenzione dell’IMU e nell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali.

Nei 10 Comuni interessati c’è anche Iglesias, uno dei comuni piu poveri d’Italia, ebbene se questa ZFU dara i risultati sperati si prospetta un nuovo futuro per il sud Sardegna e soprattutto per il Sulcis Iglesiente.

 

Francesco Melis




Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Federica Brocchetti, la portaborse in nero che ha sfidato il Parlamento

Si chiama Federica Brocchetti l’ex assistente parlamentare dell’Onorevole Mario Caruso che, attraverso il programma televisivo “Le Iene”, ha coraggiosamente sfidato il Parlamento italiano, denunciando pubblicamente di aver lavorato come portaborse per un anno e mezzo, senza un regolare contratto di lavoro e senza percepire alcun compenso economico per tutta la durata dell’incarico.

La giovane ha raccontato al microfono della iena Filippo Roma di aver intrapreso inizialmente uno stage non retribuito della durata di tre mesi, anche in questo caso senza la sottoscrizione di alcun contratto; poi, con la promessa di un regolare contratto di lavoro, reiterata più volte nel corso dell’anno, a Federica è stato proposto di continuare a svolgere l’attività di assistente parlamentare nei mesi successivi.

Dopo un anno e mezzo, però, non si era ancora concretizzato nulla e la ragazza ha deciso di denunciare gli imbrogli che si consumano nei palazzi del potere.

Ad accrescere l’ingiustizia del trattamento riservato alla Brocchetti interviene, poi, un particolare dal retrogusto fortemente sessista: mentre la ragazza lavorava per la gloria come portaborse, Fabrizio Rossi, figlio del sottosegretario alla difesa Domenico Rossi, risultava segnato in un regolare contratto di lavoro come assistente parlamentare dell’Onorevole Caruso.

Insomma, Federica Brocchetti lavorava “aggratis”, mentre Fabrizio Rossi percepiva un cospicuo stipendio, secondo contratto, per starsene a casa in panciolle.

Per avvalorare le sue testimonianze, la Brocchetti ha pensato bene di registrare un colloquio avuto con l’Onorevole Caruso, in cui chiedeva chiarimenti circa la posizione di Fabrizio Rossi e la conseguente impossibilità, per lei, di firmare un regolare contratto di lavoro.

Alla domanda «perché Fabrizio Rossi è segnato come suo assistente?», Caruso risponde di aver «fatto una cortesia al papà», ovvero al Generale Domenico Rossi, con cui Caruso condivide l’ufficio.

Domenico Rossi era già noto alla redazione de “Le Iene” che, qualche anno fa, aveva indagato sull’uso irregolare che il Generale faceva di un’auto blu del Ministero della Difesa, facendosi prelevare direttamente da casa o accompagnare allo stadio.

Che la Brocchetti si recasse in Parlamento per svolgere effettivamente delle mansioni impartitele dall’Onorevole Caruso e non per guardare le mosche, lo confermano alcuni messaggi che la ragazza ha conservato sul suo cellulare, in cui Caruso le chiedeva di presentarsi in ufficio a una certa ora, di correggere dei curriculum, di procurargli dei documenti, e così via.

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti, nel 2007, aveva promesso al microfono dello stesso Filippo Roma un regolamento che stabilisse che nessun portaborse potesse entrare nella Camera o in Senato senza un regolare contratto di lavoro e, in effetti, così è stato stabilito.

Ma quando si tratta di raggirare le leggi, si sa, Italians do it better.

Perciò, fatta la legge, trovato l’inganno: i portaborse possono comunque accedere alla Camera o al Senato anche senza contratto, utilizzando un badge ottenuto su richiesta del gruppo parlamentare.

Come hanno spiegato Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei deputati, e l’Onorevole Fraccaro, membro dell’Ufficio di presidenza della Camera, è necessario solamente che il capogruppo firmi un’autocertificazione in cui afferma che una determinata persona è «sua amica» per poterle rilasciare il tesserino; tuttavia per il capogruppo in questione c’è sempre il rischio di compromettersi penalmente.

«Non c’è un buco nel regolamento, ma una voragine», continua Di Maio.

Oltre al danno, anche la beffa per Federica Brocchetti, alla quale, subito dopo la messa in onda del servizio de “Le Iene”, è stato comunicato di non presentarsi più in ufficio.

Le è stato persino bloccato il tesserino e quando la ragazza ha provato ad entrare in Parlamento per recuperare alcuni oggetti personali, le è stato interdetto l’accesso.

Nessuno dei dipendenti ha manifestato la minima solidarietà nei confronti di Federica, una giovane ragazza che ha finalmente trovato il coraggio di denunciare le ingiustizie che si consumano in quei palazzi che dovrebbero essere il baluardo della giustizia.

Già, perché proprio nel luogo in cui si fanno le leggi, queste stesse leggi vengono quotidianamente raggirate e le vittime principali di questo sistema fallace sono spesso i portaborse, figure deboli pagate in nero o addirittura non retribuite.

Sono moltissime le testimonianze di assistenti parlamentari che affermano di ricevere soldi in nero e di vedersi ovviamente negati diritti come la maternità, la liquidazione e la tredicesima.

È ovvio che i parlamentari vogliono continuare a fare la cresta sulla voce “portaborse” del loro stipendio, ma solo quando i portaborse sono figli di nessuno, persone comuni.

Quando invece l’assistente parlamentare è figlio di o nipote di, stranamente, tutte le porte si spalancano, i liquidi non mancano e gli “onorevoli” dimostrano un’affabilità e una generosità senza precedenti.

Ciliegina sulla torta, l’Onorevole Caruso aveva anche fatto delle avances alla Brocchetti, prima durante una cena e poi tramite sms, quando, con il sex appeal di una carota lessa, le ha scritto «sono a casa, valuta tu cosa fare»; è proprio vero, la cavalleria è bella che morta.

Caruso ha confermato, sempre nel famoso colloquio registrato dalla Brocchetti, di averla invitata a trasformare il rapporto di lavoro in qualcosa di più…intimo.

Ma quando la Brocchetti gli ha confidato di aver temuto ripercussioni sul lavoro dopo il suo rifiuto, l’Onorevole l’ha consolata dicendole di non preoccuparsi perché «quelle erano due cose distinte e separate».

Vuoi vedere che Caruso si era innamorato della giovane assistente?

Nessuna meraviglia per questa notizia.

Sono cose che capitano, soprattutto in Italia, dove la meritocrazia, la trasparenza e la legalità, ormai, sono solo vagheggiate chimere.

Nella storia di Federica Brocchetti ci sono tutti gli ingredienti per raccontare l’ennesima ingiustizia all’italiana, fatta di favoritismi, violazioni del protocollo e, in questo caso, anche di squallore sessista.

La Brocchetti ha confidato al presidente della Camera Laura Boldrini, che ha voluto incontrarla per esprimerle la sua vicinanza, di temere che le alte personalità politiche coinvolte in questa vicenda che ha destato moltissimo scalpore al livello mediatico, possano farle terra bruciata intorno; ma la Boldrini l’ha rassicurata dicendosi colpita dal coraggio con cui la ragazza ha sfidato il Parlamento.

È proprio vero, coraggio invidiabile. Brava Federica Brocchetti, una ragazza brillante e intraprendente la cui determinazione rappresenta un ottimo esempio per le giovani donne di questo paese.




La filastrocca del Vicepreside

Il Vicepreside.

Ad ogni grado corrisponde un determinato ruolo, ad eccezione del Vicepreside.

Il Vicepreside è quella figura che lavora a prescindere se gli compete o meno.

Il Vicepreside è quella figura che dell’anzianità ne fa un proprio e invidiabile titolo di studio.

Il Vicepreside è quella figura chiamata sempre a spegnere focolai dove l’inesperienza e la sapienza creano disagi e dissapori.

Il Vicepreside è una sorta di ancora di salvezza per ognuno che ne chiede consiglio, a lui basta una parola o una telefonata per risolvere tutto.

Il Vicepreside sostituisce il Dirigente, ma il Dirigente non può sostituire il Vicepreside, il Vicepreside gestisce tutti i beni, ma tutti i beni non fanno un Vicepreside, il Vicepreside non sgrida i sottoposti, ma tutti possono sgridare il Vicepreside, si, perché il Vicepreside è stato abituato ad essere sgridato, gli altri no.

Essere Vicepreside è più complesso di quanto potrebbe intendersi, essere Vicepreside obbliga a comportarti sempre in un certo modo, non gli è concesso sbagliare, non gli è concesso fermarsi, non gli è più concessa voce in capitolo.

Però i doveri ad esso sono sempre attribuiti, lui vive di doveri, dopotutto il Vicepreside per gli altri ha sempre una buona parola, mentre a lui non è concessa neanche una pacca sulla spalla.

Il Vicepreside comunque ed in ogni caso, rimane quella figura che in sua assenza, ogni luogo diventa un inferno.




Gli Italiani incapaci di andare all’estero.

Meglio disoccupato che lontano da casa…

L’Italia ha un grandissimo problema di “fuga di cervelli”, che secondo la Confindustria è il vero “spreco del Paese” capace di costare 14 miliardi l’anno.

Ma, non solo, l’Italia deve fare anche i conti con l’altra faccia della medaglia, il problema esatto contrario: gli italiani che, interrogati sul tema, dicono di non voler lavorare lontani da casa, anche a costo di restare disoccupati e di rinunciare alla carriera.

Secondo un sondaggio realizzato dall’Osservatorio mensile Findomestic con Doxa, infatti, quasi un lavoratore su due (46%) preferisce non allontanarsi da casa, anche a patto di restare disoccupato o non fare una progressione di carriera significativa. La comodità e la vicinanza agli affetti hanno la meglio sull’ambizione professionale.

E, come se non bastasse, solo due italiani su dieci rinuncerebbero all’Italia, ed andrebbero a vivere all’estero, pur di fare il lavoro dei propri sogni.

Fortunatamente, almeno,” tre italiani su quattro sono soddisfatti della vicinanza al proprio posto di lavoro”, dice l’Osservatorio.

Ma c’è di più: la Sicilia è al top tra oltre 200 regioni europee per l’alto tasso di giovani fra i 18 e i 24 anni che non studiano e non cercano lavoro, i cosiddetti Neet.

Il dato negativo dell’isola (41,4%) è inferiore solamente a quelli registrati per la Guyana francese (44,7%) e la regione bulgara di Severozapaden (46,5%).

Questo è quanto emerge dal Regional Yearbook 2017 pubblicato il 14 settembre da Eurostat.

Dunque, c’è un problema, nel problema…

Accanto ai giovani siciliani che non riescono a trovare una strada lavorativa nella propria terra, quelli per cui partire sembra l’unico modo, doloroso e drammatico, per costruirsi un futuro dignitoso, ci sono quelli che non fanno niente!!!

Se in Italia un giovane su quattro non lavora e non studia, e il dato è già di per sé desolante, in Sicilia la percentuale sale addirittura al 39,5 per cento: poco meno della metà della popolazione tra i 15 e i 29 anni non lavora e non studia.

Pessimi i dati in generale per tutto il Mezzogiorno. Al secondo posto la Campania con il 36,2 per cento, seguita dalla Calabria con il 35,8, ancora, la Puglia, la Sardegna, la Basilicata e il Molise, tutte al di sopra del 30 per cento.

Un baratro nero, se si pensa che in Europa ci sono regioni come i Paesi Bassi dove lo stesso tasso scende di quasi 20 punti!!!

Niente di nuovo sotto il sole, diremmo noi…

Ma, per quelli che lavorano, ritornando all’indagine Doxa, scopriamo anche altri aspetti del rapporto tra gli italiani ed il loro lavoro.

A cominciare da quello economico: in base ai dati raccolti da Findomestic, oltre un lavoratore su due (54%) si aspetterebbe di guadagnare di più.

La maggior parte giudica invece positivamente il clima lavorativo (76%) e la sicurezza del posto (66%). Si torna al 54% di quelli che non sono soddisfatti della coerenza dell’occupazione con il proprio percorso di studio.

Non stupisce, dunque, che la maggior parte dei lavoratori italiani (60%) abbia pensato almeno una volta di cambiare lavoro, soprattutto nella fascia fra i 35 e i 44 anni.

Inoltre, anche i dati sul rapporto tra l’impegno professionale e la qualità della vita, sono significativi: il 61% dei lavoratori italiani è soddisfatto dell’equilibrio che è riuscito a raggiungere tra lavoro e vita privata, ma i “molto soddisfatti” sono solo 1 su 10.

Come al solito, se potessero avere più tempo libero gli italiani lo utilizzerebbero per stare con la famiglia (50%), poi, per dedicarsi agli hobby (43%), per viaggiare (42%) ed infine, solo uno su quattro, per fare sport (28%).

Dal capitolo ‘benefit’ dell’Osservatorio Findomestic risulta, inoltre, che i lavoratori chiedono soprattutto buoni spesa per carburante, alimentari ed elettronica (40%), oltre a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (38%) e forme di assistenza sanitaria (35%), queste ultime desiderate soprattutto dalle donne.

E qui, altra anomalia italiana…

Se, stipendio e stabilità restano le voci principali (il primo è la variabile più importante per il 64% dei rispondenti, la seconda per il 42%) di tutti i lavoratori, maschi o femmine che siano, alcune differenze di genere sorgono tra uomini e donne, frutto probabilmente di un carico diverso che ancora separa le due categorie, una volta che si rientra nelle mura domestiche.

La flessibilità dell’orario di lavoro è più rilevante per queste ultime (35% contro il 26% degli uomini), mentre gli uomini dimostrano di dare più peso all’autonomia decisionale (31% contro 27% delle donne) e all’opportunità di fare carriera (17% contro 9% delle donne).

Come al solito, per le donne italiane, il lavoro c’è sempre e comunque, a casa!!!

 

Antonella Ferrari




Banca Intesa al Games Week

Unica Banca presente al Games Week di Milano è stata Banca Intesa, due grandi stand per stare vicino ai giovani.

Molto interessante l’iniziativa carta Flash su misura, ove per tutti i partecipanti era possibile ricevere una carta flash con la fotografia personalizzata.

 




Solitudine per regalo di compleanno? Meglio un ricovero…

Argentina: si fa ricoverare in ospedale per non trascorrere il compleanno da solo

Qualche giorno fa, in Argentina, un anziano signore di nome Oscar ha subito un ricovero presso l’ospedale regionale “Bahia Blanca” di Buenos Aires, lamentando una presunta cefalea. Alcune ore dopo, però, il signore ha trovato il coraggio di confessare alle infermiere in servizio di non avere in realtà alcuna cefalea, ma di soffrire di un male non meno doloroso, tristemente caratteristico della nostra epoca: la solitudine.

L’uomo aveva, infatti, richiesto il ricovero in ospedale solo per poter trascorrere in compagnia il suo ottantaquattresimo compleanno.

Da quattro lunghi anni viveva completamente solo nella sua abitazione, avendo perso la moglie, con cui non aveva avuto figli, e tutti e tre i fratelli maggiori, l’unica famiglia che gli era rimasta.

L’episodio è stato riportato su Facebook dall’infermiera Gisel Rach la quale ha raccontato di aver organizzato insieme alle colleghe una piccola festa improvvisata per il compleanno di Oscar, con tanto di torta e palloncini ricavati dai guanti in lattice: «si è recato alla guardia medica per una “cefalea” e lo scrivo tra virgolette perché sapete qual era la sua vera malattia?

Oggi compie 84 anni e non voleva stare da solo.

Sì, proprio quello che avete letto. Scommetto che vi si è stretto il cuore come è successo a me e ai miei colleghi».

Gisel ha indubbiamente ragione: il cuore si stringerebbe a chiunque leggesse di questa notizia, soprattutto se si pensa alla triste realtà che questo episodio mette in luce e quindi a quanti anziani nel mondo versano nelle stesse condizioni di Oscar, soli e abbandonati a se stessi.

In una società che è stata completamente sopraffatta dal ritmo del successo e dal superamento dei valori tradizionali, sempre più spesso gli anziani vivono in uno stato di disinteresse generale, ai margini della compagine sociale, talvolta in balia del proprio destino.

Nella nostra epoca, infatti, sono carenti le strutture sociali e si è decisamente indebolito il valore della famiglia, dopo la trasformazione che l’ha vista protagonista negli ultimi decenni, con il passaggio dal modello di famiglia allargata, in cui i nonni rappresentavano un punto di riferimento, a quello di famiglia nucleare.

Inoltre, con la crisi dello Stato, è entrata in crisi quell’entità che sembrava garantire ai singoli individui la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo; il tessuto sociale si è sfaldato e regna sovrano un individualismo senza precedenti, figurarsi se qualcuno ha ancora del tempo da riservare agli anziani.

La nostra epoca ha vomitato la sua anima gentile e generosa e il prodotto di questo rigurgito è una collettività asettica, che si preoccupa di difendere i profitti piuttosto che i più deboli.

La promiscuità consumistica della nostra società ci spinge a desiderare sempre il nuovo, svalutando tutto ciò che è considerato agée e in questo modo non fa che alimentare la triste sensazione di impotenza, il sentimento di inutilità che spesso deprime gli anziani, costretti a farsi da parte in un mondo che ormai sembra non aver più bisogno di loro, nemmeno per ricevere dei consigli.

Dimentichi del valore della saggezza, abbiamo smesso di interrogare la loro vetusta memoria di uomini e donne scampati a terribili guerre, di protagonisti di rivoluzioni, di giovani sposi che sono riusciti a far durare i matrimoni per secoli.

Noi che le guerre e le rivoluzioni le abbiamo viste solo in tv e che abbiamo reso i legami precari, liquidi e scivolosi come l’olio; e loro, che hanno vissuto meglio, quando si stava peggio ma c’erano ancora speranze; quando ci si doveva ancora scontrare con la perfidia di un mondo bugiardo, tanto promettente, quanto arido di possibilità; quando la promessa di un’infinita espansione economica non era ancora stata soppiantata dalla crisi finanziaria più lunga e devastante della storia e il sogno di volare sotto cieli tranquilli non aveva ancora ceduto il passo allo spettro di esplosioni e schianti che si propaga nelle fusoliere degli aerei ogniqualvolta un passeggero di religione musulmana prende posto a sedere.

Sarebbe bello, sarebbe utile rubar loro qualche segreto per addolcire poco poco l’amarezza del presente, per riappropriarsi di quei valori che abbiamo irrimediabilmente perduto, per tornare ad apprezzare le cose semplici, per vivere in un mondo onesto, pulito e genuino.

Probabilmente ci impegneremmo nuovamente per ricostruire uno Stato assistenziale che sia capace di fornire supporto alle famiglie, affinché ci si possa occupare di nuovo attivamente dei propri figli e dei propri genitori, senza dover ricorrere a 3 babysitter e 5 badanti, che altro non sono se non il modo con cui sopperire all’assenza dello Stato.

In Italia il “Fondo nazionale per le politiche sociali” (FNPS), che è il primo canale di finanziamento della rete integrata di interventi e servizi sociali, continua a subire sforbiciate e nel frattempo gli anziani giacciono dimenticati nelle loro abitazioni o nelle case di riposo, vivendo di pensioni sempre più taglieggiate da uno Stato ingrato.

Le Regioni sono state chiamate al risparmio per contribuire all’equilibrio di bilancio e, ovviamente, i risparmi hanno inciso anche sul FNPS, che nel 2017 ha perso ben 211 milioni sui 311,58 stanziati nell’ottobre 2016, mentre 50 milioni sono stati tagliati al Fondo non autosufficienze; si tratta di soldi che servono a finanziare, ad esempio, gli asili nido, gli interventi di sostegno al reddito per le famiglie meno abbienti, l’assistenza domiciliare, i centri antiviolenza e il sostegno a disabili gravissimi e anziani.

Ma se i tagli continuano a ridimensionare il portafogli del welfare state, riusciremo mai a trovare soluzioni per garantire una maggiore efficienza delle politiche sociali?

Oggi si parla addirittura di sandwich generation, di generazione-panino i cui membri si trovano schiacciati come sottilette tra l’età avanzata in cui si sceglie di avere un figlio e il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione.

Proprio così, “schiacciati”. I bambini arrivano tardi e l’aspettativa di vita si è notevolmente allungata, così a quarantacinque anni ti ritrovi a barcamenarti tra i bisogni di tuo figlio di 5 anni e i bisogni dei tuoi genitori di 80, una vera e propria impresa se i turni di lavoro sono alienanti, i soldi pochi, e la vita si svolge sempre così frenetica, in un mondo governato dalla mercatocrazia. Lo Stato non interviene e i cittadini sono soli con i propri problemi.

Uno dei valori precipui nell’antica Roma era la pietas, un termine che designava, oltre alla devozione religiosa, la virtuosa commistione di senso del dovere, rispetto e affetto nei confronti della famiglia, della patria e degli amici ed emblematica era l’immagine del mitico eroe Enea che, fuggendo dalla città di Troia in fiamme, assunse su di sé il peso del padre Anchise, caricandoselo sulle spalle per portarlo in salvo.

Ma noi, oggi, siamo ancora disposti a rallentare la nostra corsa sfrenata verso il nulla e a caricarci sulle spalle il peso delle nostre responsabilità?

Per il momento ci sono troppi Oscar e pochi Enea, ma per fortuna ci sono anche tante belle persone come Gisel Rach e le sue colleghe.