Impulse

Impulse – Italian Pink Floyd Tribute Band, la scelta di interpretare la musica di una Gruppo che ha fatto la storia.

Era il 18 Aprile del 1968 quando i Pink Floyd debuttarono in Italia, precisamente a Roma, tenendo 2 concerti al giorno, ripetendoli anche il 19 Aprile, nello storico locale, Piper Club, che ha lanciato nel mondo della musica numerosi artisti negli anni 60, Patty Pravo, Equipe 84, e d altri.

La curiosità di quell’evento che segnò il loro debutto in Italia, allora poco conosciuto, è stato il fatto che giunsero dopo appena 10 giorni dall’annuncio ufficiale dell’uscita dal gruppo del fondatore, compositore e chitarrista Syd Barrett, per i suoi problemi legati all’uso sempre più massiccio di sostanze come LSD.

Pochi forse immaginavano che avrebbero fatto la storia della musica, componendo brani che sono divenuti immortali e che richiamano sempre migliaia di “cultori”.

Si esibiscono ancora a Roma, Stadio Flaminio, con due concerti, 11 Luglio 1988.

Mentre, l’ultimo concerto tenuto a Roma, pianificato in un primo momento a Tor di Valle e poi spostato a Cinecittà, è del 19 Settembre del 1994, con un David Gilmour, il chitarrista introdotto ufficialmente nel 1968 nel gruppo dopo l’allontanamento di Syd Barrett, ma che già grazie a Nick Mason lo sostituiva spesso dal 67, è divenuto uno dei punti di riferimento della Band.

Proprio quel David Gilmour che nonostante i suoi 78 anni, essendo nato il 6 marzo del 1946 a Cambridge nel Regno Unito, si è esibito a Roma in quello scenario straordinario che è il Circo Massimo nello scorso 27 settembre 2024, replicando con grande successo il 28 e 29 settembre e poi ancora l’ 1, il 2 ed il 3 ottobre.

Un percorso, quello dei Pink Floyd, nati nel 1965 con la formazione composta da Syd Barrett, cantante e chitarrista, poi sostituito da David Gilmour, Roger Waters bassista, Nick Mason batterista e Richard Wright tastierista, che ha visto costanti evoluzioni sonore, grafiche, innovative, testi filosofici con spettacolari esibizioni artistiche innovative che hanno portato la Band ad essere uno dei più innovativi ed influenti gruppi della storia.

Proprio per questo motivo molte band di nuova generazione hanno scelto di seguire l’onda dei Pink Floyd riproducendo ed interpretando i brani, più o meno tutti, che hanno portato il gruppo ad avere quel successo destinato a rimanere nel tempo.

Offrire allo spettatore che vuole continuare a vivere o a conoscere, perché giovane, quelle emozioni che solo la musica dal vivo, in particolare quella dei Pink Floyd, riesce a trasmettere, è l’impegno che “Impulse” sembra essersi dato riuscendo con un elevato successo a raggiungere l’obiettivo.

Così, il 19 ottobre, pochi giorni dopo il concerto di David Gilmour, presso la “Stazione Birra” a Roma, una bellissima esibizione degli “Impulse”, dal titolo “THEIR IMMORTAL REMAINS”, ha fatto viaggiare le menti dei presenti, con la discografia dei Pink Floyd e due ore di spettacolo in cui si è spaziato tra i vari album, rivivendo emozioni senza tempo.

Emozioni legate a ricordi di gioventù, per i numerosissimi avventori del locale giunti li, non per mangiare o bere, come avviene in tanti locali un po’ ovunque, ma per gustare, ricordare, avvicinarsi e… sognare al suono di quella musica che…

Un concerto vero e proprio, quello degli Impulse, che non hanno scimmiottato la grande Band di riferimento, ma hanno saputo interpretare al meglio la loro musica, dando ad ogni brano quel carattere, quella forza, quella carica, diversa ma efficace, che chi ascolta può proiettare ed elaborare nella propria personale sensibilità, facendo si che il ricordo di un tempo si trasformasse in una nuova sensazione.

Simone Marino alla chitarra, ma anche voce del gruppo, Fabio Potenziani anche lui alla chitarra e coro, Carlo Di Tore Tosti al Basso, un trio veramente affiatato ed integrato, dove le note di ogni singolo strumento si fondono e si intersecano dando quella forza che il suono sa trasmettere.

Perfettamente integrati da Alessandro Russo alle tastiere e al sintetizzatore che ha saputo creare quegli effetti sonori particolari e tipici dei Pink Floyd.

Eccellente la voce di Denis Tesselli con la sua interpretazione decisa e non da “imitatore”.

Tra tempi e contrattempi, Riccardo Macrì alla batteria, discreto, in quei brani dove è necessario esserlo, ma deciso e trainante negli altri.

Capace di apparire e scomparire, con discrezione ma di mostrare tutto il vigore del Sax, Tonino Ciotti.

Perfettamente integrate, capaci di ben gestire i loro toni vocali, secondo le personali caratteristiche, alternandosi perfettamente o unendosi magistralmente le loro voci, Clara trucchi e Valentina Ciaffaglione.

Una formazione che ha spaziato tra i vari album della Storica Band Inglese, ripercorrendo brani noti e meno noti.

Chi non ricorda il 33 giri “The Dark Side of The Moon”, cui, con “Speak to Me/Breate” hanno voluto iniziare la loro serata “Impulse”?

Per poi passare a “Meddle” con il brano “One Of These Days”.

Ed ancora “What Do You Want From Me”,” The Happiest Days Of Our Lives”.

Elencare tutti i 16 brani eseguiti con grande maestria, prima dei brani del “Bis, concessi al pubblico che li ha applauditi con grande calorosità, si ridurrebbe ad un mero elenco, che toglie il gusto di andarli ad ascoltare.

Preferiamo invece ricordare i tre brani concessi dopo la chiusura del concerto, richiesti a suon di applausi.

“Hey You”, Confortably Numb”, “Outside The Fucking Wall” brani tratti dal “The Wall”.

Una serata, un sabato sera, dove piuttosto che schiamazzi, anche se oramai ci stiamo abituando, si è potuto fruire di quella musica, che poco i giovanissimi conoscono, ma che, quelli che la conoscono l’apprezzano e desiderano ascoltarla.

Una serata che gli “IMPULSE” hanno riempito e dove giovani e meno giovani hanno potuto sognare…

Ettore Lembo




La strana alleanza

Quella “strana alleanza” tra Chiesa

e giudici in favore della immigrazione

 

“Qui di seguito un articolo de “Il Credente”, pseudonimo di un operatore ecclesiale che ha chiesto l’anonimato, sul tema della immigrazione incontrollata. Ci sono considerazioni morali accanto a quelle giuridiche e politiche, mentre gli italiani assistono stupefatti e indignati al tentativo di imporre una agenda “progressista” al Paese che invece in maggioranza esprime una visione conservatrice.”

Cosa hanno in comune i giudici del tribunale di Roma, sezione immigrazione, e il Papa? Niente se guardiamo ai livelli istituzionali da essi rappresentati, lo Stato da una parte e la Chiesa dall’altra. Molto, anzi moltissimo, se riflettiamo sulle loro recenti prese di posizione sul tema immigrazione e “respingimenti”.

Come è noto, nei giorni scorsi i giudici del tribunale della capitale hanno decretato che i 12 migranti trasferiti nei centri per il rimpatrio allestiti dal nostro governo in Albania, grazie all’accordo con il primo ministro socialista Rama, andassero immediatamente fatti ritornare in Italia, interrompendo prima ancora che partisse la procedura di verifica per il loro respingimento. La motivazione addotta per tale sentenza è stata che i paesi di provenienza del gruppetto di immigrati irregolari (Egitto e Bangladesh) non erano a loro avviso da considerare “sicuri” e quindi gli immigrati andassero “protetti” da rischi di discriminazioni nel caso vi fossero rispediti con procedura d’urgenza.

Neanche a farlo apposta, nello stesso momento in cui i giudici prendevano questa clamorosa decisione, che di fatto demoliva il provvedimento del governo Meloni per accelerare i respingimenti, anche Papa Francesco si è pronunciato pubblicamente, come fa spesso da dieci anni a questa parte sul tema, affermando che gli immigrati vanno sempre accolti e integrati. Questo intervento, così singolarmente tempestivo e in linea con la decisione dei magistrati, non ha suscitato sorpresa perché ormai è nota la posizione del pontefice. Però a questo punto qualche domanda è lecito porsela.

Siccome non possiamo neanche lontanamente pensare che tra i giudici romani e Papa Francesco ci sia stato un “accordo” per attaccare simultaneamente il governo italiano, proviamo a considerare quali possano essere i presupposti di entrambi i pronunciamenti, giuridico il primo e religioso il secondo.

Il dato di fatto che emerge è che, con l’alleanza tra la sinistra politica, la componente di sinistra della magistratura e i vertici della Chiesa cattolica, se si affermasse questa apertura indiscriminata agli arrivi di migranti irregolari, il nostro caro “stivale” si trasformerebbe in via definitiva nel vero e unico “campo profughi d’Europa” o, più precisamente, del Mediterraneo. Gli altri paesi costieri, Spagna, Francia, Grecia, Malta, in qualche modo si tutelano e “respingono”, mentre noi saremmo gli unici a non potere fare niente se non accogliere.

 

Vogliono imporre il “buonismo” di sinistra

Chiediamoci allora perché da noi, a dispetto della volontà popolare che è molto prudente davanti all’immigrazione di massa, la sinistra fa di tutto per far prevalere la propria visione “buonista”, legata alla concezione “progressista” secondo cui i migranti sono i nuovi “sfruttati” del mondo da salvare, accogliere e integrare a tutti i costi, anche contro la volontà popolare, offrendo loro immediatamente e senza limite alcuno i benefici della nostra società democratica, che non sono piovuti dal cielo ma sono costati agli italiani guerre, lotte, sacrifici a volte sanguinosi e immani.

Allo stesso modo ci possiamo interrogare sulla insistenza del Papa nell’auspicare che tutti i migranti che si affacciano alle nostre coste siano immediatamente da accogliere a braccia aperte, riservando loro un trattamento di riguardo quasi fossero dei novelli “angeli” piovuti dal cielo per farci ravvedere dei nostri peccati di ricchi occidentali senza cuore. Si potrebbe dire che, essendo lui il capo della Chiesa, non possa che dire così. Ma basterebbe leggere con attenzione il Vangelo per scoprire che un conto è la bontà di cuore, un altro è “aprire le porte” a chiunque arrivi, senza filtri, senza verificare che tipo di persone siano, cosa possano avere in animo nei nostri confronti e in che cosa credano. Quest’ultimo aspetto è importante, perché spesso e volentieri la gran parte dei clandestini non sono cristiani ma musulmani, e quindi niente affatto disposti a cambiare religione abbracciando quella che li accoglie così generosamente

Nell’uno e nell’altro caso, giudici e Chiesa, la sensazione che si ricava da tale insistenza pro-migranti è che si voglia imporre una “agenda progressista” in politica, mentre i cittadini italiani votano per i partiti conservatori che propongono una gestione responsabile degli arrivi. Chi vota a destra tra i credenti in Italia avverte la sensazione sgradevole che da parte del Papa è come se si volesse a tutti i costi inculcare nei fedeli una sorta di modello del “Buon Samaritano” di massa.

Una differenza tra le due posizioni c’è: mentre i giudici entrano in conflitto con la politica della destra e impongono a suon di sentenze la bocciatura di quanto il potere legislativo ed esecutivo hanno appena varato, il “potere” del Papa nell’invocare l’accoglienza senza limiti è di natura morale e fa appello al “peccato” che si commetterebbe se si rifiutasse di aprire le porte del nostro Paese a chi arriva sui barconi dopo aver pagato 5-10 mila euro ai trafficanti.

 

Una azione “a tenaglia”

Siamo così di fronte a un’azione che potremmo definire “a tenaglia”: da un lato ci schiaccia la magistratura, demolendo leggi e provvedimenti assunti nella pienezza delle funzioni costituzionali dal legislatore e dal legittimo detentore del potere esecutivo. Dall’altro lato della tenaglia, la massima autorità morale della Chiesa incute il terrore della dannazione eterna per chi “non accoglie e non integra”, senza però tenere presente che anche la nostra generosità di cuore deve fare i conti con i limiti personali, familiari, sociali, culturali oltre che economici che ci sono e che ogni essere umano deve tenere presente nel fare una buona azione. Lo stesso “Buon Samaritano” del Vangelo non ha invocato l’intervento dello Stato ma ha pagato di tasca propria le cure del malcapitato che ha soccorso, impegnandosi a versare altri soldi al suo ritorno qualora quelli lasciati non fossero stati sufficienti.

La sensazione che abbiamo è che sui due versanti – giuridico e morale – si voglia forzare un rapido cambiamento nello stato delle cose, “costringendo” contro voglia l’intera comunità italiana a farsi “accogliente” anche se non sussistono le condizioni concrete per accogliere: cioè non abbiamo case per tutti coloro che arrivano, non abbiamo posti di lavoro adeguati per il loro mantenimento, non abbiamo bilanci pubblici così ricchi da consentirci di assistere i migranti. Insomma con queste logiche di accoglienza illimitata si rischia di andare a creare una società pervasa da masse di diseredati ingestibili, senza lavoro, senza le proprie famiglie, mogli e figli lasciati nei propri paesi di origine e quindi con i rischi concreti di avere una maggioranza di maschi potenzialmente disoccupati, esposti alla criminalità, violenti e anche spesso pronti

 

 

allo stupro per soddisfare i propri desideri sessuali, come le cronache italiane mostrano da anni.

Una immigrazione incontrollata di tale genere metterebbe a rischio la tenuta sociale della nazione, come mostra ad esempio la Francia che per decenni ha lasciato le “porte aperte” e oggi si ritrova con delle banlieu, quartieri periferici delle grandi città o anche piccoli centri colonizzati dai migranti, pressoché ingovernabili e dove regna la “sharia” e la polizia non osa entrare per imporre l’ordine.

Lasciamo ai giuristi di considerare se sia giusto, oppure sia una chiara prevaricazione e un abuso del loro compito, che pochi magistrati interrompano processi decisi dal governo, nel caso specifico “abolendo i confini” e lanciando un invito ad Africa e Asia: venite da noi in Italia tanto da qui nessuno potrà mai respingervi e rimpatriarvi! Se qualche governo lo tentasse, ci pensiamo noi giudici a fermarlo!

Chiediamoci invece, senza volere insegnare al Papa a fare il Papa: è giusto che un cristiano, cattolico, nello specifico nostro, si debba sentire in colpa se vota per partiti i quali vogliono governare i processi migratori? A nostro parere, no: non è giusto per il semplice motivo che anche la carità che un singolo può fare, con vera bontà di cuore, deve essere commisurata alla reale possibilità di ottenere effetti buoni e non piuttosto a creare condizioni di caos sociale e di pericolo, qualora il numero dei migranti accolti diventi enorme, soverchiante e quindi metta a rischio l’incolumità delle persone, come sta avvenendo nelle grandi città italiane, Milano e Roma in particolare, ma un po’ tutte in genere nelle zone delle stazioni, sui mezzi pubblici, nei quartieri periferici.

Un’ultima nota: un imprenditore italiano intervistato nei giorni scorsi alla radio ha affermato che in Africa ridono – si, avete letto bene – “ridono” di noi italiani perché tra i popoli europei siamo quelli che non reagiscono agli arrivi di massa, che siamo come instupiditi dalla cantilena dell’ “accoglienza”, che assicuriamo a tutti le cure sanitarie, l’impunità in caso di reati commessi sul suolo italiano perché abbiamo poche carceri, strapiene e che quindi venire in Italia è come vincere alla lotteria. Una volta che arrivi, non ti manda via nessuno! Ecco, direi che non è dignitoso farci deridere dall’Africa come un popolo di “stupidotti”. Altri paesi si fanno più rispettare di noi, hanno più dignità e magari qualche volta fanno il “muso duro”!

Il Credente




Si poteva fare di meglio…

Una Notizia che… pochi riportano, eppure…

Covid: Uso più ampio del plasma convalescente avrebbe potuto salvare migliaia di vite in più

Rileviamo da Quotidiano Sanità del 4 ottobre questa notizia: “un nuovo studio USA – pubblicato da PNAS – stima che migliaia di vite avrebbero potuto essere salvate durante il primo anno della pandemia di Covid-19 se il plasma convalescente fosse stato utilizzato in modo più ampio, in particolare nei pazienti ambulatoriali ad alto rischio di malattia grave nei primi giorni di ricovero”.

Notizia che pochi hanno rilevato, per di più in un momento dove si rumoreggia sulla commissione d’’inchiesta parlamentare che deve riunirsi in questi giorni, dopo tanto tergiversare, e che vede, tra i componenti, anche l’ex Primo Ministro, oggi, Onorevole Conte.

Una posizione assai discussa, quella di Conte, essendo ritenuto dai più, cittadini compresi, uno dei fautori di quelle problematiche che hanno portato all’istituzione di questa commissione d’inchiesta.

Commissione non voluta da tutto il parlamento, tanto da essere fortemente osteggiata da diversi partiti.

Molto ambigua la posizione dell’ex Primo Ministro, anche per il ruolo occupato, che potrebbe forse creare qualche conflitto di interessi per la sua richiesta nell’essere inserito in commissione, poi accettata. Questo farebbe sorgere qualche dubbio…

E’ all’interno della storia del “Covid” che rileviamo l’importanza della notizia data dal Quotidiano Sanità.

Ricordiamo che Il plasma iperimmune, prelevato dai pazienti guariti da covid, fu allora utilizzato e promosso, per risolvere tanti casi gravi di pazienti ospedalizzati, dal Prof. Giuseppe De Donno presso l’Ospedale Mantovano “Carlo Poma” e poi a seguire al policlinico San Matteo di Pavia, ma, nonostante il successo di questo rimedio, suscitò numerose polemiche circa il suo utilizzo.

Ricordiamo ancora che nel Maggio del 2020, l’Aifa autorizzò uno studio per valutarne l’efficacia, casualmente presso l’azienda Universitaria di Pisa.

Stranamente i risultati riportati nel 2021 rilevarono la mancata evidenza del beneficio del plasma, nonostante il Prof. De Donno nel corso di una Audizione al Senato, lamentò una poca esperienza dell’Ente Pisano.

Per di più, alcune autorevoli riviste mediche, “The New England Journal of Medicine” e “The Lancet” pubblicarono degli articoli che dichiaravano che l’utilizzo

del plasma immune non sortiva effetti sensibili al tasso di sopravvivenza dei pazienti, nè ad altri obiettivi clinici.

Così, forse a causa di questi fatti, dopo aver lasciato il suo ruolo di Primario presso l’ospedale “Carlo Poma”, inizio la sua attività di medico di famiglia, fino al giorno in cui fu trovato morto nella sua casa di Curtatone.

Si è parlato di suicidio, ma presero piede anche altre ipotesi non ben identificate.

La famiglia tuttavia ha sempre negato certe illazioni, invitando chiunque a non strumentalizzare e rispettarne la memoria.

Noi rispettiamo la memoria e il volere della famiglia.

Ci lascia tuttavia incuriositi che a distanza di qualche anno, ulteriori studi, possano affermare l’efficacia della cura ed in particolare:

“Secondo uno studio condotto da ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health (USA), guidati da Arturo Casadevall, un utilizzo più ampio di plasma convalescente durante il primo anno della pandemia di Covid-19 avrebbe potuto salvare migliaia di vite in più, in particolare se somministrato ai pazienti ad alto rischio di malattia grave nei primi giorni di ricovero.”

La poca esperienza degli ospedali preposti allo studio in Italia, come dichiarato da De Donno, possono aver alterato i risultati?

Interessante la frase dove il nuovo studio asserisce:”in particolare se somministrato ai pazienti ad alto rischio di malattia grave nei primi giorni di ricovero.”

Interessanti i numeri che lo studio propone.

“Secondo gli autori dello studio, il trattamento con plasma convalescente dei pazienti con Covid ricoverati ha salvato tra le 16.476 e le 66.296 vite negli Stati Uniti”

“Nell’ipotesi più ottimistica, ovvero se al 100% dei pazienti con Covid fosse stato somministrato plasma convalescente entro tre giorni dal ricovero, tra luglio 2020 e marzo 2021- a seconda delle stime di mortalità utilizzate dagli autori per la loro analisi – si sarebbero potute salvare tra le 37.467 e le 149.318 vite, pari a un aumento di circa il 125% rispetto alle effettive guarigioni registrate in USA, o tra le 53.943 e le 215.614 vite, pari a un aumento di circa il 225%.”

Noi non essendo certamente dei tecnici, ci soffermiamo a riportare i fatti, ed a chiederci:

Chi, come e perché si scelsero quelle strutture non ritenute idonee da chi ha ideato la cura?

Perché non furono fatti ulteriori studi, dal momento che già in due ospedali si praticavano quelle tecniche?

Domande che oggi meriterebbero una risposta ed una accurata indagine.

Perché si scelsero proprio quelle strutture, così diverse da quelle che già avevano esperienza e tecnica acquisita, dal momento che vi era la necessità di salvare vite umane?

Avranno mai risposta i familiari delle migliaia di vittime, che si sarebbero potute salvare?

La politica, ha avuto un ruolo nella scelta, che alla luce di questi risultati, potrebbe apparire non idonea?

Chiarezza, e giustizia, dovrebbe essere la priorità di ogni Nazione, Italia compresa.

A seguire il link per poter leggere l’articolo di Quotidiano Sanità integralmente

https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=124826




Destra e sinistra vaticano e islam, chi cosa, dove???

Italia: Governo di destra ma imbrigliato dai “cattocomunisti” con il Vaticano sempre più comunista abbracciato all’Islam?

Nascono i “Comunisti Capital Finanziari Speculativi”?

A world upside down where gravity is reversed. Cities float in the sky with buildings and streets hanging from the clouds. Trees grow downward, with roots reaching up into the air and branches stretching towards the earth. People walk on the ceilings of their homes, and rivers flow upward into the sky. Animals fly while birds swim through the air. The atmosphere is bright, with an unusual glow as the sun seems to shine from below the ground. The scene is surreal, with bright colors and a dreamy, fantastical mood.

Le polemiche che il noto libro “Il mondo al Contrario” scritto dal Generale/Onorevole hanno suscitato, smentiscono drasticamente chi le ha volute creare.

A nulla sembra essere servito lo stravolgere del significato delle parole, voluto scientemente dai denigratori del libro, in quanto i fatti, drasticamente, confermano sempre più che il mondo, in particolare quello Italiano, sembri proprio girare al contrario.

Lo stesso attuale Governo di destra o centrodestra, a Vostra scelta, sembra essere “ingabbiato” dai cattocomunisti che continuano “comandare” ed imporre il loro “regime”, nonostante siano stati “cacciati” dal volere popolare, attraverso le “votazioni”, che dovrebbero permettere ai cittadini il cambiamento.

Tuttavia sembra proprio, che nulla cambi, dando così l’illusione di essere in democrazia…

Al fine di evitare qualsiasi strumentalizzazione sul termine “cattocomunista”, riportiamo il significato attribuito dal noto Dizionario Enciclopedico “Treccani”:

“Denominazione, usata a volte in tono ironico, della posizione assunta in politica da quei cattolici che hanno idee comuniste in alcuni ambiti, economia o questioni sociali, e che cercano l’intesa con le sinistre, in riferimento alla vita politica degli anni 60/70 del Novecento.”

Lungo è l’elenco che dimostrerebbe come l’attuale governo possa essere “imbrigliato” dal volere delle sinistre che per ora definiamo “cattocomuniste” per una questione di “convenzione” ma che prossimamente, chiameremo con il termine, forse oggi più appropriato, “Comunisti Capital Finanziari Speculativi” spiegandone le motivazioni, che tuttavia sembrano assai evidenti.

Tralasciamo l’evidente resa su quei principi/valori/ Etico, Morali, Sociali, oltre che legali e sanitari, quotidianamente discussi su tutti i media, tv e stampa, perchè condizionano e stravolgono il senso naturale della vita, della società e della famiglia, ci soffermeremo, senza commentare, su alcuni spunti di cronaca…

Resa, comunque, che ha dato la possibilità al Generale, oggi anche Onorevole, di scrivere un libro, largamente condiviso e condivisibile e di vendere qualche centinaio di migliaia di copie.

 

30 Uomini delle Forze dell’Ordine feriti a causa di scontri con violenti provocatori che si definiscono “antifascisti” di sinistra, difensori di criminali terroristi di Hamas in una manifestazione NON AUTORIZZATA.

Esprimiamo la Nostra solidarietà alle Forze dell’Ordine ed alle loro famiglie e l’augurio di una pronta guarigione.

Un ex Ministro degli Interni, Matteo Salvini, incriminato, rischia numerosi anni di carcere, per aver difeso i confini Nazionali.

Anche in questo caso la solidarietà all’ex Ministro degli Interni, è d’obbligo.

Nella Commissione di Inchiesta Parlamentare, “Commissione Covid”, già depotenziata da una serie di norme assai discutibili, si candida e viene accettato chi, potrebbe avere responsabilità sui fatti cui si indaga.

Ed ancora, viene eletta al Parlamento Europeo una candidata che ha numerosi precedenti penali e che si trovava in carcere in uno degli Stati europei, accusata di gravissimi crimini.

Forse la popolazione Italiana si sarebbe aspettata una forte e dura presa di posizione da parte di un Governo di destra o centrodestra che sia.

Ma, a parte qualche chiacchiera…

Forse ha ragione chi scrive, Marco Bassani, Carlo Lottieri e Andrea Atzeni, autori del libro “A scuola di declino”, che nelle scuole si insegna la storia dei principali avvenimenti politici ed economici da una prospettiva interpretativa che può essere definita latamente marxista, terzomondista e radicalmente ecologista.

Chissà se anche i politici della destra/centrodestra hanno subito questa “influenza, rimanendone imbrigliati.

Ciò che invece Porro scrive, riportiamo alla fine il link del Suo articolo per invitarvi a leggere l’articolo completo, è significativo.

“Il quadro che emerge è sconcertante: la mentalità contraria alle più elementari libertà economiche viene inoculata nei giovani senza alcuno spirito critico.

In maniera quanto mai dogmatica, la scuola si nutre di testi che esaltano le burocrazie pubbliche e demonizzano tutto ciò che è privato.”

A questa nuova concezione della società che “Il mondo al Contrario” egregiamente descrive, dobbiamo aggiungere la trasformazione del Vaticano.

Sembra infatti che la religione Cattolica si stia allontanando dalla “Parola di Dio”, mettendola sempre di più in discussione, per avvicinarsi all’Islam.

Troppi i Porporati in silenzio per l’abolizione del Crocifisso e del Presepe nelle scuole e negli uffici pubblici, il tacere per le festività Natalizie, il cancellare le festività Pasquali sostituendoli con il Ramadan, il concedere luoghi sacri, Chiese e Sacrestie, al culto dell’Islam.

Addirittura, Un Vescovo, Monsignor Tomasi, ed un Imam, Sallahdine Mourchid, uniti nella sede della Caritas a Treviso, si abbracciano sotto un telo termico, che poi fanno a pezzi distribuendolo, in una “parodia” della Comunione.

Significativo l’elogio dell’Islam “Misericordioso con tutti”.

Ha forse ragione Corrado Faletti nel suo libro “Non c’è più religione! O forse ce n’è troppa! Game Over”, aggiungendo allo scenario già descritto dal Generale, uno scenario collaterale e parallelo elaborato da un sociologo?

 

 

Ecco la prova: idee di sinistra nei libri di scuola dei vostri figli




“A noi toccò l’Africa” Una storia di ieri che può insegnare al domani

 

 

Si è svolta domenica 29 settembre, presso la sede UNAR a Roma, un incontro voluto dal Presidente della Fondazione Area Cultura, Dr.ssa Angelica Loredana Anton, con la Dr.ssa Pina Carbone Vollaro, autrice del libro “A Noi toccò l’Africa”, storia di una vita felice.

La scrittrice, laureata in lingue, letterature e istituzione dell’Europa Occidentale (sezione Germanica Inglese) all’Istituto Orientale di Napoli e sposata nell’ottobre del 1962 con il Dott. Giovanni Carbone, ha trascorso 30 anni in Africa, dal 1962 al 1992 seguendo il marito nei suoi spostamenti.

Il Dott. Giovanni Carbone è stato infatti uno dei “Garcons” di Enrico Mattei che dopo aver fondato l’ENI, Ente Nazionale Idrocarburi nel 1953, inviò in tutto il mondo per reperire materie prime.

A lui toccarono: Ghana, Madagascar, Cameroun, Togo, Tanzania e Kenya, sei paesi di un enorme continente che ha al suo interno ben 54 Stati e due miliardi e mezzo di abitanti.

Luoghi dove la scrittrice ha vissuto, pur di seguire il marito, inviato dalla Società AGIP, fiore all’occhiello dell’ENI.

Un interessante incontro in una delle sale della prestigiosa sede dell’UNAR, Unione Associazioni Regionali, dove il pubblico, ha potuto ascoltare la lettura di alcune delle belle lettere che il Dott. Carbone ha inviato alla Sua Amata, fidanzata prima, sposa dopo, ed ascoltare la storia di un tempo.

Lettere tratte dal libro “A noi toccò l’Africa” dedicato ad i nipoti, Paolo, Riccardo e Luca, dalla nonna che è l’anello di congiunzione tra due generazioni.

Libro che racconta la storia, certamente felice che fa sognare, frutto di una vita agiata, ma fortemente voluta e dove furono fatte scelte coraggiose perseguite con grande spirito di sacrificio, dedizione e rispetto reciproco.

Interessanti, romantici, appassionati scorci di vita dove ancora valori, tradizioni e cultura, si integrano con luoghi e tempi di ieri, proiettandosi nel futuro.

Un futuro che ha permesso all’Italia di diventare una tra le potenze più industrializzate e ricche del mondo, ma che poi…

E’ nel racconto che l’Autrice fa al suo pubblico, in quella sala, che si evince quanto sia vivo l’amore per il marito, scomparso da qualche anno, ma ancora vivo nel suo intimo ricordo.

Scelte di vita, magari audaci, che hanno condizionato positivamente lo svolgersi di questa meravigliosa storia.

Il coraggio di abbandonare quel posto di lavoro, vicino casa, per andare in un posto lontano seguendo la speranza e la visione di chi guardava avanti, Enrico Mattei, nell’interesse del suo paese, della sua gente e non del proprio piccolo orticello.

Il coraggio di seguire il proprio uomo in paesi allora assai lontani e difficili da raggiungere, dove la vita non era certamente facile e le comodità assai carenti.

Un contrasto di situazioni tra ricchezza e povertà dove le persone hanno il giusto valore, pur nella loro dimensione e diversità.

Un libro che oggi sarebbe difficile scrivere, dal momento che molti dei valori, quasi tutti per la verità, sembrano essere perduti, in nome della globalizzazione, dell’inclusione, dell’omologazione dove si vorrebbe dimostrare che uno è uguale ad uno.

Un libro che non esprime ideologia, non divide, non crea differenze, pur essendoci inevitabilmente delle differenze, ma esalta amore e rispetto.

Rispetto tra Uomo e Donna, genitori e figli, datore di lavoro ed impiegati, tra bianchi e neri, tra popoli diversi culturalmente e socialmente.

Un libro che ripropone il senso della famiglia, del rapporto tra genitori e figli, dell’unione della famiglia, del significato della famiglia intesa anche come primaria forma di società.

Un libro che torna a dare dignità alla coppia, uomo donna, come nella più semplice delle espressioni naturali.

Non la prevaricazione degli individui, uomo donna che siano.

Elementi tutti, che oggi sembrano essere messi in discussione e che hanno creato e creano devastanti situazioni di disagio interiore e che sempre più spesso danno origine ad i terribili omicidi, che qualcuno ha voluto chiamare “femminicidi”.

Omicidi dove non serve inasprire le pene, utilizzate spesso come inutile deterrente, ma cercarne le cause, magari riflettendo grazie anche agli spunti che questo libro stimola e suggerisce.

 

Il nuovo millennio sembra essere lontano dal precedente dove spesso si leggevano storie di grande umanità, di vita reale e sensibilità elevata.

Stridono con le storie di allora, le notizie, sempre più frequenti, che i quotidiani di oggi scrivono: Mantova, donna uccisa da diciassettenne: “Volevo sapere che si prova ad uccidere”.

Casano Maderno- Monza, imprenditore aggredito da sedicenne: “lui o un altro era uguale”.

Parma, ragazza di 22 anni accusata di aver ucciso i suoi due figli neonati ed aver occultato i cadaveri nel giardino di una villetta a Vignale.

Notizie che palesano un disagio forte della società, dei giovani, di quei giovani che ieri sognavano, e che invece oggi…

Non è la ricchezza, non sono i soldi, che mancano a chi commette questi crimini.

Mancano quei sogni, quella voglia di realizzarsi, di ottenere, di crescere, di valorizzare se stessi e gli altri.

Una cultura diversa, che ha perduto principi e valori.

Principi e valori che ritroviamo riprodotti sapientemente nel libro, in un mix di narrazione, pubblicazione di lettere e bigliettini, foto di momenti sereni ma significativi di quella vita, certamente felice, ma non casuale, di chi con amore e dedizione ci ha voluto rendere partecipi.

Un libro che ai giovani di oggi, come un tempo quelli che furono i “fotoromanzi”, che inducevano a fantasticare o anche i “Promessi Sposi”, giusto per coinvolgere le amenità con scritture impegnate, potrebbero farli tornare a sognare… restituendo loro un sano futuro

 




I “nuovi peccati” di cui pentirsi in vista del “Sinodo sulla sinodalità”

 

— Pubblichiamo un articolo de “Il Credente” nel quale si mettono in evidenza alcune singolarità del Sinodo che si aprirà il 2 ottobre prossimo in Vaticano. L’autore sotto pseudonimo è un operatore ecclesiale che ha scelto l’anonimato per motivi di prudenza. —

 

L’attuale Papa non smette di sorprendere e – ultima novità – sembrerebbe che si sia inventato dei … nuovi peccati!

Proprio così. Il prossimo 1 ottobre, vigilia dell’avvio della seconda fase del Sinodo dei vescovi “sulla sinodalità” (2-27 ottobre), si terrà nella basilica di S. Pietro una veglia penitenziale durante la quale ci saranno delle pubbliche confessioni sui seguenti “peccati”: il peccato contro la pace; contro il creato, contro le popolazioni indigene, contro i migranti; il peccato degli abusi; il peccato contro le donne, la famiglia, i giovani; il peccato della dottrina usata come pietre da scagliare contro; il peccato contro la povertà; il peccato contro la sinodalità/ mancanza di ascolto, comunione e partecipazione di tutti. L’elenco è tratto da un notiziario vaticano che, senza alcun imbarazzo, fornisce tali definizioni che hanno suscitato una certa sorpresa e ilarità nell’opinione pubblica.

Ma come, si è chiesto qualcuno, i Dieci Comandamenti sono forse superati? Non li si cita quasi più e invece ecco che dalla Santa Sede arriva un nuovo elenco sorprendente: per esempio quella “dottrina usata come pietre” significa che, se qualche prete o semplice fedele dovesse ammonire un ladro magari con tono brusco che c’è il comandamento “Non rubare”, ecco che – sulla base di questa interpretazione – in questo caso la dottrina sarebbe “usata come pietra” da scagliare contro il povero peccatore. E quindi colui che avrebbe fatto tale ammonizione avrebbe lui “scagliato una pietra” e fatto peccato, più dello stesso ladro! Siamo quasi al paradosso.

Ma la sorpresa del Sinodo non finisce qui. In realtà i veri argomenti di discussione riguardano aspetti centrali della vita della Chiesa. Esempio: il primato petrino, cioè il ruolo del Papa rispetto agli altri vescovi cattolici e alle altre chiese cristiane che non ne riconoscono il mandato di “Vicario di Cristo” e nemmeno il suo statuto ontologico superiore a qualsiasi altra carica presente nelle Chiese cristiane. C’è il tema della donna, alla quale si intenderebbe dare più spazio e autorità non soltanto sul piano funzionale, ma anche su quello liturgico e pastorale. C’è il non totalmente risolto problema della “accoglienza” dei divorziati e conviventi in situazioni “irregolari”, verso i quali alcuni recenti pronunciamenti del Papa hanno fatto già avviare pratiche di riammissione ai sacramenti, benchè gli stessi permangano in una situazione adulterina, che un tempo escludeva dalla riammissione piena alla comunione ecclesiale. Stesso discorso per le benedizioni alle coppie omosessuali, che tanto hanno fatto discutere nell’ultimo anno e che rimangono un punto dolente delle “aperture” di questo Papa alle novità per la morale sessuale della nostra epoca.

Infine c’è il tema che sta più a cuore a Francesco, quello dei migranti, per i quali non solo si spende quasi ogni giorno con appelli all’accoglienza, ma che lo ha visto convocare e ammettere al Sinodo l’attivista politico di estrema sinistra Luca Casarini, tra i fondatori della Ong Mediterranea Saving Humans. La protezione offertagli dal pontefice ne ha fatto un idolo del movimento immigrazionista internazionale, e molti si chiedono che cosa “ci azzecchi” un personaggio come lui al Sinodo con le dotte disquisizioni sulla riforma della Chiesa, la revisione della pastorale e via discorrendo!

Il Sinodo sulla sinodalità sarà un po’ tutto questo, e forse altro ancora. Occorre non dimenticare la crisi della Chiesa quanto a crollo delle vocazioni e il calo della frequenza religiosa a livello minimi alle messe domenicali (in certe realtà meno del 5 per cento della popolazione). Cosa ne sarà del futuro della Chiesa se si va avanti di questo passo? Continueremo a costruire chiese (almeno in Italia) per poi trovarle vuote e alla fine cederle ai musulmani che le trasformeranno in moschee?

Possiamo anche chiederci cosa ne sarà della dottrina e morale cattolica, se quasi più nessuno va a confessarsi. Con la scomparsa del senso del peccato, inteso come i Dieci Comandamenti, tutto può a questo punto succedere.

Il Sinodo dovrebbe occuparsi di questi dati drammatici, perché lo svuotamento delle chiese è una specie di “suicidio” dell’Occidente cristiano che sin qui aveva rappresentato l’anima profonda e guardinga dentro la società rispetto al resto del mondo ateo, comunista o turbo-capitalista.

Il problema è che Francesco ha affermato che tutte le religioni sono strade che possono condurre a Dio, con ciò – in un certo senso – annullando l’unicità e verità del mandato di Cristo: “Io sono la Via, la Verità e la Vita … Andate e annunciate il Vangelo a tutte le creature … chi si convertirà sarà salvo”. Lo ha fatto sicuramente a fin di bene, per favorire il dialogo interreligioso, ma nei fatti è come se avesse detto che da qui in avanti non serve più fare evangelizzazione, perché tanto tutte le religioni sono uguali!

Speriamo che il Sinodo dia dei frutti concreti e non si limiti a disquisire sulla “sinodalità”, mentre le giovani generazioni si allontanano sempre più da Dio, dalla Bibbia, dai sacramenti.

Il Credente




I rapporti sociali nell’interpretazione del liberalismo e del marxismo

COLLABORAZIONE SOCIALE

La società nasce per attuare il bene comune e per impedire i contrasti e le mutue lesioni che scaturiscono dall’egoismo individuale e dai particolarismi di gruppo.

Essa ha come primo compito, negativo se si vuole o removens prohibens, la salvaguardia del diritto e della libertà di ciascuno, ma ancor più ha un compito positivo, che consiste nel favorire le libertà individuali con ogni disposizione atta a promuovere la collaborazione e la cooperazione per rendere ognuno “sufficiente a se stesso”, come diceva San Tommaso, col proteggere, sostenere, coordinare, integrare e, qualora ve ne sia bisogno, supplire l’opera individuale dei propri membri.

Su questo punto vi è un consenso unanime, qualunque sia la concezione della natura umana – pessimistica o ottimistica – e della sua espansione sociale, che si ha nelle varie scuole o ideologie. E’ difficile non ammettere, con Aristotele, che il fine della società civile e dello Stato consiste nella cura della pubblica utilità, nel bene comune, che permette a ciascuno, secondo le sue legittime esigenze, di vivere bene e felicemente.

Il dissenso nasce invece intorno al modo di svolgersi nel dinamismo sociale: lotta o cooperazione pacifica tra i gruppi e le classi che si formano nella società secondo gli interessi diversi?

Se questi interessi sono necessariamente contrapposti, è difficile sfuggire a una dialettica di intesi, urti, conflitti; ma quella necessità non è ineludibile, se gli interessi sono tra loro componibili e soprattutto se si stabilisce una reale subordinazione e convergenza al bene comune.

In realtà nel mondo moderno si sono acuiti i conflitti tra i gruppi di interessi che si sono formati in seguito alla duplice rivoluzione dei secoli XVIII-XIX, politica e industriale, in una situazione caratterizzata da uno stato di inferiorità economica e sociale del mondo del lavoro di fronte a quello del capitale; situazione creatasi soprattutto a causa dell’ideologia e della pratica politica del liberalismo, cui il principio chiave era il “laissez faire”, ossia l’assoluta libertà di azione, iniziativa, arricchimento per tutti senza controlli e pianificazioni sociali, quindi, praticamente, a vantaggio dei più forti, dei più fortunati, a volte dei più disonesti.

Senza dubbio il liberalismo ha una sua spiegazione storico-sociologica, in quel periodo di trasformazione aperto con la rivoluzione industriale, che esigeva un immediato impiego di capacità umane e di mezzi finanziari, mentre la società non disponeva di strumenti organizzativi e giuridici per guidare il processo evolutivo. Mancava pure un senso diffuso del bene comune, anche per l’eclissi subita dallo spirito cristiano che, in altre forme, aveva creato e animato la comunità medioevale.

In tale situazione si innesta il marxismo, che vi sovrappone elementi arbitrari derivanti dalla sua concezione materialista della storia, secondo la quale la produzione, e con essa lo scambio delle merci prodotte, è la base di ordinamenti sociali diversi secondo i diversi modi in cui la produzione e la distribuzione si effettuano. Le classi sociali derivano dal modo capitalista di determinare il processo economico, con la formazione, da una parte, di ingenti capitali, accantonati in poche mani e in via di una sempre maggiore concentrazione, e dall’altra di un proletariato, ossia di una classe di nullatenenti, che non possedendo i mezzi di lavoro e di produzione (capitale) sono costretti ad alienare il loro lavoro e quindi se stessi, in una forma moderna di servaggio, a vantaggio della classe capitalista che compra il loro lavoro pagando a basso prezzo i vantaggi che ne ricava per la posizione di forza e di privilegio in cui si trova. Di qui, inesorabilmente, il contrasto, l’odio, la lotta tra le due classi.

La realtà della condizione umana

Tale concezione non è basata su leggi ed esigenze essenziali della natura umana, ma su di una certa interpretazione di fatti storici, su di un giudizio assiologico secondo il quale la storia di ogni società sinora esistita deve – in quanto presenta in varie forme l’antagonismo tra una minoranza dominante e una minoranza dominata – venire considerata come regime di sfruttamento della maggioranza da parte della minoranza, e quindi di alienazione dell’essenza umana negli sfruttati ad opera di coloro che, nel mondo moderno, privano il proprietario del frutto del suo lavoro.

Ma i fatti storici, qualunque sia il giudizio da pronunciare su di essi, vanno inquadrati in una metafisica dell’uomo e della società, che purtroppo il marxismo rifiuta a priori, proprio per non trovarvi il principio di scardinamento della propria ideologia e di annullamento della sua efficienza pratica.

Ma all’uomo bisogna sempre tornare: alla sua ragione, ai suoi sentimenti più autentici, al moto istintivo della sua natura.

Ora se l’analisi del suo comportamento può attestare la frequenza della lotta; quella della realtà più intima e vera ci dice che vi è nella natura umana una fondamentale tendenza all’amore, alla fraternità, e alla pace. La radice metafisica di tale tendenza è nella legge per cui nessun essere tende a distruggere se stesso; così non vi tende la persona umana, nè la società, che è una comunione di persone: come dice il Vangelo, “ogni regno diviso in se stesso sarà devastato ed ogni città divisa contro se stessa non potrà reggere” (Mt. 12, 25).

Per la società non vi è consistenza senza l’unità di fondo, riflesso della stessa unità della natura umana. Solo su quella piattaforma è possibile aprire un largo spazio alla libera disputa e competizione, che allora non mina ma rafforza la comunione: quella che San Tommaso chiamava la concordia, dimensione profonda della pace, la quale ammette la diversità delle opinioni e la libertà delle scelte senza compromettere la l’unità intorno ai beni principali.

Ma tutto dipende dalla metafisica che si segue e si mette a base della propria ideologia.

Nella metafisica Hegeliana-marxista-leninista, l’essere si risolve in un movimento dialettico, in un divenire contraddittorio, che procede per antitesi, urti, eliminazioni, da cui è caratterizzata anche l’ente storico, il divenire sociale. Il divenire, anzi prevale sull’essere; il moto sul suo principio.

La metafisica classica e cristiana è caratterizzata invece da una triplice affermazione di base: a) il primato dell’essere sul divenire; b) la dinamica dell’essere che tende e s’apre nell’agire; c) il finalismo dell’essere che nell’agire tende alla perfezione come totale realizzazione di sè. In questo quadro metafisico si inserisce la realtà sociale, come complesso di relazioni tendenti alla realizzazione della comune perfezione – il bene comune – secondo la postulazione della natura che nel suo dinamismo operativo rispecchia l’esigenza unitaria dell’essere.

Rilevamenti del comportamento umano

La metafisica dell’unità e della pace come base della socialità prende l’avvio dall’osservazione dei fenomeni espressivi delle più genuine tendenze umane nella convivenza, dove il moto più istintivo e connaturale agli uomini è di aiutarsi a vicenda, volersi bene, collaborare, di stringere amicizia. L’asocialità è un fenomeno patologico.

E’ vero però che, di fatto, alla collaborazione, all’amore, alla comunione, si accompagna nell’uomo l’egoismo che fa nascere i contrasti inter-individuali e lede in radice l’unità e l’organicità della società. E’ un dato di fatto da cui non si può prescindere, ma che non giustifica l’assunzione della lotta come principio di base nella metafisica e nell’etica della società. Così la lotta di classe può essere imposta in determinate condizioni storiche, ma è indebitamente assunta come criterio di interpretazione della storia e canone metodologico per l’azione. Vuol dire che dinanzi al dualismo immanente alla natura storica dell’uomo, sempre conteso tra il demone dell’egoismo e l’angelo dell’amore, si farà appello a un superiore intervento risolutivo e salvifico: è il senso della redenzione operata da Cristo, che si riflette nel Cristianesimo come messaggio e come operazione storica di umana solidarietà. Anche a lume di storia appare questo valore redentivo del Cristianesimo per cui l’uomo ritrova l’unità interiore e opera nel mondo per il ristabilimento della comunione sociale perduta con il peccato.

Di questa unità esiste una capacità naturale che si rileva dalla solidarietà degli uomini nelle tendenze fondamentali, nei bisogni, nel male e nel bene, nell’anelito alla salvezza, nella connaturale socialità.

Quando l’unità soprannaturale si attui, dalla sfera religiosa e mistica la nuova forza della solidarietà irradia un senso unitario in tutti i campi del vivere umano, quasi per riportare il mondo al regno dell’innocenza originale, che nei rapporti sociali avrebbe dovuto essere caratterizzato dalla comunione dei pensieri e delle volontà intorno al bene essenziale dell’uomo, a cui ogni altra considerazione e azione doveva essere subordinata. Anche i miti dell’età dell’oro (rimpianto di ere passate), in sogni utopistici (ipotesi di un paese ideale presente) e le aspirazioni millenaristiche (collocamento della società nel futuro), riflettono in sè questo atteggiamento essenziale dello spirito umano. Lo stesso comunismo, almeno all’inizio, si presentò nel mondo con questa carica ideale di un novo millenarismo: la quinta età, quella del nuovo umanesimo, dell’uomo libero e felice.

La legge del solidarismo

In rispondenza delle istanze e le leggi più genuine della natura umana, si può formulare una dottrina della società (se non proprio un’ideologia, sempre un po’ mitica), che si può nominare solidarismo, in cui massimamente si affermano i valori di unità, coordinamento, organicità, collaborazione nella vita sociale. L’uomo come persona, secondo tale sistema, che vuol superare sia l’individualismo che il collettivismo (entrambi viziati di materialismo, e quindi mortificanti per lo spirito umano), torna a essere il primo soggetto della vita sociale, il portatore e creatore di valori nell’ordinamento funzionale relativo alle finalità temporali ed eterne nella comunità e società di cui fa parte.

E’ chiaro che tutte le cosiddette attività sociali e tutte le istituzioni da cui vengono canalizzate e servite, prendono un senso nuovo e un giusto posto nel quadro della solidarietà.

Non potranno essere lasciate a se stesse le attività sociali, anche se resterà sempre inviolata la sfera della libera attività individuale, che non può essere oggetto di coordinamento sociale, ma solo di promozione, di aiuto, di protezione; e ancor meno si svolgeranno indipendentemente da ogni ordine e programma le attività degli agenti sociali, siano essi individui (ad esempio dirigenti) o gruppi e classi che hanno un peso nella società in ordine al bene comune. Il solidarismo esige il massimo di unità nel massimo di libertà.

Sarà compito della società e del suo principio unificatore, l’autorità, inculcare nei cittadini i principi della solidarietà e della collaborazione, di ispirarvi le leggi e fondarvi la stessa costituzione dello Stato, e di promuovere, coordinare, disciplinare le attività sociali nel rispetto di quelle esigenze fondamentali, che sono le basi ideali del solidarismo: libertà della persona umana e bene comune.

Don Walter Trovato




“Quel desiderio di Libertà”

I social, in questo caso Facebook, attraggono l’attenzione delle “Istituzioni”, dei “Potenti”, delle grandi “Economie”, delle “Genti buone”, delle “Genti cattive”, delle Persone Semplici, delle Persone Strutturate. Insomma un grande calderone, in alcuni casi un “grande fratello, dove tutti scrivono, raccontano, producono propaganda, magari tendendo ad autocelebrarsi, a promuovere se stessi, le proprie idee, anche le più strampalate, o idee altrui, in quella che si ritiene, quasi sempre impropriamente, la massima libertà, dimenticando o non conoscendone il significato della parola e le sue complesse implicazioni.

Essere libero.

Definizione assai complessa, come rileviamo dal famoso dizionario della “Treccani”, a cui possiamo aggiungere tutte le disquisizioni etico, morali, filosofiche e religiose che vi appartengono.

Ancor più complessa, se la associamo alla parola “indipendenza”.

Condizione di chi o ciò che è indipendente. (fonte Treccani)

E’ forse proprio in questi ambienti, i “Social”, che spesso nascono tanti presupposti per potere indirizzare le popolazioni a perdere le libertà e le proprie indipendenze, magari utilizzando erroneamente proprio quella che viene chiamata “libertà”.

Significativo il libro scritto dal Sociologo e Pedagogo Corrado Faletti, dal titolo “Ho 5.000 amici” dove “l’Apparire” ha sostituito “l’Essere”, nei social, arrivando idealmente ad ipotizzare che chi appare e’ “libero” e ritiene di essere possessore della propria Indipendenza.

E’ da questo il motivo per cui l’autore ha sentito l’esigenza di inserire una “proposta di legge” che regolamenti i “social”. Essi infatti hanno generato grande confusione nella interpretazione della libertà e dell’indipendenza, con risvolti sociali spesso assai pericolosi, anche se di non facile collegamento a quelle errate interpretazioni.

E’ in questa ottica che scoprendo quasi per caso una testimonianza su Facebook, che riportiamo a seguire virgolettato, abbiamo ritenuto opportuno sottoporlo all’attenzione dei lettori.

Ringraziamo l’autore, Andrea Pinasco, che abbiamo provveduto a contattare.

Una testimonianza che parla di quella libertà ed indipendenza che i giovani di qualche decennio fà, fin da quando avevano 13 anni agognavano…

Andrea Pinasco, imprenditore noto per i Kit di elaborazione delle “Vespa” Piaggio utilizzate dai molti, allora giovani, di quella generazione che “sognavano” il motorino a 14 anni, per “guadagnarsi” un minimo di indipendenza e di “libertà”.

Una libertà che consisteva anche nell’elaborare quei motorini, nel suo caso la Vespa della Piaggio, assai diffusa tra i giovani studenti dei licei, e degli istituti superiori.

“Motorini” che riempivano gli atri e gli spiazzali davanti le scuole, e che oggi invece sono scomparsi.

I giovani di oggi non hanno voglia di libertà? Di indipendenza?

Ma andiamo al racconto che ha colpito il Nostro interesse e che intendiamo offrirvi come spunto di riflessione.

Da Facebook: di Andrea Pinasco.

“Il conto alla rovescia cominciava quando si compiva 13 anni. A scuola e fuori non si parlava d’altro, qualcuno comprava Motociclismo, altri andavano dall’Agente Piaggio a tempestarlo di domande.

Il sogno era sempre lo stesso, il motorino, si sognava il Corsarino o il Guazzoni ma ci si sarebbe accontentati della vespetta o anche del Ciao.

A 18 anni la macchina poteva attendere, ma a 14 il motorino no.

Ricordo il primo giorno con la mia 50s. Percorsi piú di 100 km. dritto in sella come un fuso e con in viso un’espressione fiera, che non ho mai più ritrovato.

Andai subito dalla nonna poi da tutti gli amici. Con il suo lento ronzare, un motore della potenza di un frullatore da bar, la mia vespetta mi faceva sentire un principe.

Gironzolando, incontrai un gruppo di coetanei motorizzati, ci sfidavamo tra noi e parlavamo per ore delle moto che avremmo avuto un giorno, le più gettonate, la MotoBi e la Morini Corsaro veloce.

Parlavamo anche di altro, famiglia e molto timidamente ragazze, nacquero belle amicizie e grandi avventure.

La domenica si partiva tutti insieme, eravamo un branco di giovani lupi che, spesso solo con i soldi della benzina in tasca, scoprivano il mondo.

Certo, sul dritto, gli Itom e i morini erano più veloci, ma il mio amico “Stoppa” ed io, nel misto stretto eravamo imbattibili.

Ora tutto è cambiato, non so se in meglio o in peggio, ma l’età media dei motociclisti si avvicina ai 50 anni, i ragazzi si incontrano in rete e davanti alle scuole i nugoli di motorini sono spariti.

Non mi preoccupa che i ragazzi di oggi non abbiano più la passione per i motori o la velocità come avevo io, per me una passione vale l’altra purchè sia genuina.

Però, il fatto che non ci sia più il desiderio di quella libertà, di quella indipendenza, che solo muovendosi da soli si può avere, questo, mi spaventa un pò.”

Questo scritto, pone tanti spunti di riflessione, probabilmente “banali”, ma che drammaticamente, banali non sono.

Tanti, certamente, avranno da criticare, e lo faranno.

Oramai la libertà sembra essersi trasformata in quel pensiero che pochi impongono ed a cui tutti gli altri debbono sottostare.

Vogliamo così ricordare un altro libro, “Il mondo al contrario”, scritto da un Generale Plurititolato, Roberto Vannacci, che ha avuto il coraggio di scrivere tutte quelle “banalità” (privo di originalità, ordinarietà, ovvietà, Fonte Treccani) che oggi, la maggior parte dei cittadini Italiani pensa, riconosce, ma che non ha il coraggio di esprimere. Libro che in poche settimane ha venduto tante copie da battere ogni record in Italia, e che forse per questo ha suscitato la critica di coloro i quali, parlano di libertà confondendola per…

Ettore Lembo




Trump e Harris

Le vere “differenze” tra Trump e la Harris:
non solo politiche ma anche morali e religiose

A leggere i giornali italiani (e non solo) all’indomani del confronto televisivo notturno tra Trump e Harris in vista delle elezioni americane di novembre, sembrerebbe che l’aspetto principale sul quale i commentatori si sono soffermati sia stato l’ “eleganza dialettica” e la sicurezza della candidata democratica, rispetto alla “rozzezza” e “trivialità” di quello che è considerato il solito populista e reazionario ex-presidente repubblicano.
Da un lato all’altro dell’Atlantico i “voti” delle testate mainstream della sinistra internazionale sono stati più o meno 60/65 per Harris e 35/40 per Trump, come a dire che il tycoon è ormai già spacciato rispetto a una sorpresa inaspettata quale si sarebbe rivelata la vice-presidente uscente, sino a pochi mesi fa considerata dagli stessi ambienti progressisti una esponente politica sbiadita e poco affidabile.
Siamo ormai tutti piuttosto smaliziati per capire che dietro a questa lettura così benevola e incoraggiante per la Harris ci sia un altro tassello della strategia “dem” solita, che consiste nel promuovere l’immagine del proprio candidato oltre ogni ragionevole livello di oggettività e nel demolire invece senza pietà l’immagine del contendente repubblicano: “character assassination” si dice in termini tecnici, cioè uccisione morale dell’avversario attraverso attacchi concentrici, spietati e spesso basati su esagerazioni e falsità palesi, così da indurre l’elettorato ad abbandonare l’ipotesi di votarlo perché “tanto ha già perso”!
La realtà risulta però ben diversa, sia sul suolo statunitense, sia da noi: anche la Meloni e il suo centro-destra di governo era dipinto in termini truci prima del voto nel 2022: i “giornaloni” italiani dicevano che sarebbero arrivati al potere i “fascisti”, ci sarebbe stata una svolta “reazionaria”, saremmo tornati al “ventennio” e così via. Si è visto che invece niente di tutto questo è successo, anzi c’è chi critica l’esecutivo guidato da “Giorgia” perché ritenuto troppo benevolo e un po’ piegato alle pressioni europee ed internazionali.
Allora proviamo a fare una breve analisi dei punti salienti del confronto Trump-Harris e a vedere dove starebbero le reali differenze se vincesse l’uno piuttosto che l’altra.
Verrebbe da dire che il nodo centrale delle due visioni politiche, che risultano abbastanza antitetiche risieda nel patrimonio morale, culturale e religioso che i due candidati incarnano.
Proviamo a spiegare: partiamo dall’aborto, tema da sempre divisiva in tutte le società occidentali. Il fatto che i parlamenti abbiano votato per assicurare alle donne il “diritto” di interrompere legalmente la loro gravidanza non significa che l’aborto smetta di essere quello che semplicemente e diremmo “biologicamente” sia: vale a dire la soppressione consapevole, deliberata e tutelata legalmente di un essere umano, maschio o femmina, il/la quale non potrà vedere la luce a cui avrebbe diritto perché qualcuno (la madre biologica e con lei il padre naturale) glielo vuole impedire per sempre.
Ebbene, mentre la Harris ha rivendicato a spada tratta la sua difesa a oltranza del “diritto” ad abortire, impegnandosi a ribaltare nuovamente la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che, il 24 giugno 2022, aveva annullato la sentenza Roe v. Wade del 1973, che garantiva il diritto costituzionale all’aborto. Trump dal canto suo ha riproposto la sua visione, favorevole il più possibile a tutelare la vita nascente (salvo nei casi più orribili di violenza carnale), confermando l’intenzione – se eletto – di mantenere l’attuale assetto legislativo che trasferisce la regolamentazione dell’aborto ai singoli stati, molti dei quali in questi ultimi tempi hanno già introdotto leggi più restrittive. Dove sta la differenza tra i due? La risposta è palese: sul piano valoriale, morale e anche religioso, Trump è convinto del valore intrinseco della vita umana sin dal concepimento e fa di tutto perché non venga spenta arbitrariamente; sul piano civile ritiene che lo Stato centrale non debba farsi demiurgo e consentire una strage di bambini, ma che invece il passaggio veramente democratico sia quello che ciascuno degli stati che compongono gli Stati Uniti (appunto!) d’America decida per proprio conto, in maniera libera e consapevole.
Chi dei due è più “democratico”? A noi sembra che lo sia senza ombra di dubbio proprio Trump, a dispetto di quanto ci dica l’ossessionante campagna mediatica orchestrata da tivu e giornali progressisti per dipingerlo come un violento sovvertitore della legittimità democratica.
Prendiamo un altro esempio: gli immigrati irregolari. Sotto Biden ne sono entrati a milioni dalle frontiere sud col Messico. Ebbene, Trump ha denunciato il degrado umano e materiale nel quale questa “accoglienza” condanna tali nuovi ingressi, citando tra l’altro un po’ infelicemente, il caso di coloro che avrebbero mangiato “gatti”. Si è fatta ironia mondiale sui social e sui media “dem” in tutto il mondo, dicendo che si trattava di una fake, ma in realtà non lo era. C’era infatti stato un caso forse ripetuto più volte di immigrati haitiani e di altri paesi del centro America che avrebbero catturato e si sarebbero cibati di papere di un lago del Minnesota, come avevano denunciato le autorità locali, perché poverissimi e non in grado di acquistare cibo.
Riguardo all’immigrazione, ancora una volta, Trump invoca severità e frontiere chiuse per evitare che le persone arrivino in maniera incontrollata e poi vivano di stenti oppure delinquono, come purtroppo avviene non solo in Usa ma anche da noi (il caso di Viareggio è molto eloquente, al riguardo!).
Ci chiediamo perciò chi voglia più bene al popolo americano e anche agli stessi immigrati: Trump che vuole evitare disordini, tensione sociale, criminalità? Oppure la Harris che pur di apparire “accogliente” si pronuncia a favore di una immigrazione incontrollata? La risposta è ovvia: il candidato repubblicano.
E che dire delle aperture e della vicinanza della Harris al movimento “woke”, del rifiuto delle culture occidentali sulle quali si è basata finora la società americano? Di nuovo il confronto è tra chi sta dalla parte della tradizione come Trump e invece di chi vuole, come la Harris, un ambientalismo dogmatico e totalizzante, la diffusione del gender e la demolizione della famiglia tradizionale, la limitazione della libertà di espressione in nome di presunte “fake news” con conseguente censura sistematica di chi non è politically correct, per non parlare della cancellazione dei simboli e dei valori del passato tra cui i fastidiosi insegnamenti cristiani che dicono che certe cose sono “peccato” e che invece il mondo woke e progressista non vuole sentire….
Stesso discorso si potrebbe fare sull’economia e sul desiderio di Trump di rappresentare le classi lavoratrici più povere dell’America degli stati centrali, con lo slogan “Make America great again”, rispetto ai democratici della Harris che invece sono i portabandiera del potere della finanza internazionale globalista e materialista, concentrata sulle due sponde degli Usa.
Quindi, per concludere: pur con tutte le contraddizioni umane che un personaggio come Trump può avere (pensiamo al suo analogo in Italia: Silvio Berlusconi), ancora una volta si prefigura la scelta etica e anche “religiosa” tra votare un uomo e un mondo (quello di Trump) dove non tutti sono perfetti ma almeno puntano a leggi giuste e rispettose della morale naturale e dei valori religiosi. Oppure votare dall’altro lato (così come da noi in Italia col Pd e similari), lo schieramento della Harris che punta su globalismo, centralismo e umiliazione dei livelli intermedi, limitazione delle libertà personali in campo sanitario, culturale e di libertà del pensiero, immigrazione incontrollata e distruttiva, rinnegamento del passato e della storia profonda dei popoli.
Speriamo che gli americani sappiano scegliere bene, puntando sui valori sani della conservazione e della difesa di vita, famiglia e della società pluralistica, libera e – perché no? – anche religiosa.

Il Credente




TRE LIBRI PER UN’IDEA

Non c’è più Religione…

 

E’ in uscita il terzo libro di Corrado Faletti, “Non c’è più Religione! O forse c’è né troppa! Game Over”.

L’autore, scrittore, sociologo, pedagogista, anche in questo caso mi ha chiesto di scriverne la prefazione che potete leggere nei rispettivi libri.

I tre libri, “Italia Paese Interruptus”, “Ho 5.000 Amici” e “Non c’è più Religione! O forse c’è né troppa! Game Over”, trattano temi assai diversi, Storico, Sociale e Religioso.

Tuttavia, nonostante le loro diversità tematiche, i tre libri, costruiscono un percorso che evidenzia come le principali problematiche, cui il mondo di oggi si trova a dover affrontare, abbiano forti influenze, storiche, sociali e religiose.

Così, è sempre importante affrontare i problemi nella loro interezza, ponendosi sempre degli obiettivi, cosa assai diversa dai programmi, che certamente sono importanti, ma vengono dopo

Questo lo rileviamo nel primo libro, nel secondo rileviamo l’impatto sociale che certi “strumenti” possono avere, con conseguenze assai “particolari” che possono modificare drasticamente le relazioni sociali.

Il terzo, dimostra l’importanza della religione, nonostante un sempre più diffuso falso ateismo, che lascia le porte aperte al pericoloso sviluppo di sette e superstizioni, evidenziando l’esigenza dell’essere Umano nella ricerca, non solo di se stessi, ma della vita.

Libri che non cercano lo scontro, ma il dialogo, non cercano la verità assoluta, ma il “Buon Senso”.

Libri che sono propedeutici ad aprire serie discussioni, per trovare le soluzioni, fissandone gli obiettivi.

Invito quindi a leggere a seguire, l’intervista a Corrado Faletti rilevato da Noi sulla pagina di Betapress.

NON C’E’ PIU’ RELIGIONE

Ettore Lembo

 

ho 5000 amici il nuovo libro di Faletti su Betapress

 

Italia paese interruptus