Banche offshore? rogatorie internazionali? e chi li becca più (i mafiosi ovviamente)?
|
Un nostro amico collaboratore si è trovato invischiato in qualcosa di più grande di lui, di cui abbiamo già accennato link e di cui vi parleremo più avanti grazie anche alla collaborazione di CCEditore, ma oggi vi vogliamo anticipare qualcosa che sembra la trama di un film.
Le banche sono sempre state oggetti interessanti per la mafia e comunque per qualsiasi sistema di criminalità organizzata, il perché è molto semplice, spostano masse economiche, coprono movimenti di denaro, facilitano il riciclaggio di denaro, permettono la creazione di lobby di interesse tra molte categorie (imprenditori, politici, faccendieri, etc.); non ci sembri strano che da sempre le banche sono state l’oggetto del desiderio di tutti i boss mafiosi, criminali o politici che siano.
Non se la prendano i politici onesti, almeno quei pochi che ci sono, ma accettino tutti la realtà dei fatti, che, peraltro, loro sanno benissimo.
Sarebbe inutile ora ripercorrere i ben noti, ai nostri lettori e comunque a tutto il popolo italiano, scandali dei nostri ultimi decenni, inutile veramente, può invece essere utile raccontare alcuni fatti in modo nuovo e più collegato, interlacciato, senza aver la pretesa di indovinare tutto subito, ma come diceva qualcuno, ” a pensar male si fa peccato ma la si imbrocca…”.
Gli investigatori, soprattutto quelli americani, hanno come motto “segui i soldi” e seguendo questa idea hanno ottenuto validi successi, ma se il motto vero fosse invece “segui chi controlla”?
Non è che la criminalità organizzata negli ultimi decenni è passata da cliente privilegiato delle banche internazionali a proprietaria o comunque controllante delle banche stesse?
Dite di No?
Ritenete che non sia possibile?
Noi crediamo invece che sia possibile e che sia successo, più volte di quello che pensiamo.
Pensateci, controllare una banca, possederla, quale criminale non vorrebbe realizzare un sogno del genere?
Ma a volte è sufficiente mettere nelle posizioni di vertice uomini controllabili e senza scrupoli (direttori generali e presidenti), basta controllare quelli, e nelle banche italiane non è poi stato un caso così raro.
Ebbene a questo film daremo il titolo di MUS Mafia United System inc. dove per mafia si può intendere l’acronimo di qualsiasi organizzazione criminale, una rete organizzata che controlla le banche del mondo, e forse arriva anche alle banche centrali, in effetti altrimenti certi accadimenti non si spiegherebbero.
Dal piccolo Direttore di banca regionale affiliato al politico importante di turno, al cda della banca internazionale sotto il controllo di un fondo monetario influenzato dai poteri mafiosi.
Questo scenario vi pare troppo da film?
Ebbene lo vedremo.
Perché puntare su una didattica per competenze?
|
Ho iniziato a insegnare nel 1986, ho visto generazioni di studenti formarsi sui banchi di scuola e diventare affermati professionisti.
Ho dedicato tempo e passione, ricerca, metodo e innovazione e ritengo non sia possibile mettere a bando le conoscenze dichiarative per puntare solo sulle competenze.
La “didattica per competenze” non ha alcun fondamento teorico, scientifico, epistemologico e allora perché tanta enfasi sulle competenze?
Perché anche in campo educativo la globalizzazione ha condotto ad una omologazione dei processi della formazione per farli diventare funzionali ai processi della produzione.
Non è importante formare “cittadini”, ma “lavoratori”.
E allora la “didattica per competenze” si muove lungo la direttrice di processi orientati al mercato del lavoro.
In quest’ottica le prove standardizzate internazionali OCSE-PISA, puntando sulle competenze, impongono solo processi addestrativi dettati dal mondo dell’economia e non a caso l’OCSE è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
Ma l’attenzione esasperata al mondo del lavoro, non è tra l’altro giustificata dalla repentinità dei suoi cambiamenti, che proprio per questo richiederebbe, al contrario, una formazione più tarata sulle conoscenze dichiarative e logico-critiche.
Inoltre spostare il baricentro delle attività didattiche sul concetto di “competenza” mette profondamente in discussione la scuola basata su presupposti per alcuni superati, come la lezione frontale, la classe, l’aula.
E a questo considerato vecchiume da rottamare si contrappongono una serie di misure moderne, spacciate come più efficaci: la flipped classroom, la scomposizione del gruppo classe, la Lim, il notebook e in generale le nuove tecnologie informatiche.
Si disprezza tanto la lezione frontale, solo trasmissiva, ma per esperienza, può essere molto coinvolgente, se il docente è capace di sviluppare empatia, consentendo a tutti gli studenti, bravi e turbolenti, di partecipare con successo al dialogo educativo.
Così facendo, la lezione frontale, che molti pedagogisti vorrebbero abolire, è invece essenziale, perchè è essenziale prima presentare l’argomento e poi eventualmente approfondirlo con uno studio-ricerca da parte degli studenti anche autonomo.
Chi può negare questa riflessione?
Non è vero che la lezione frontale è noiosa.
Non è la didattica frontale che non appassiona, bensì la modalità e la finalità con le quali viene proposta. Ma ritorniamo alle “competenze”.
La “marcia sulle competenze” parte da molto lontano, dal mondo anglosassone nel campo dell’organizzazione del lavoro con mansioni e compiti predefiniti in senso fordista e taylorista e poi sfocia nel capitalismo contemporaneo, di quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale o industria 4.0, che ha trasformato la scuola in una fetta di mercato e con l’autonomia scolastica in un’azienda e il preside nel suo amministratore delegato.
Quindi non bisogna perdere tempo con la cultura, con la letteratura, con la scienza o con l’arte, ma promuovere competenze.
Non è il “saper fare” che ciascuno di noi deve perseguire quotidianamente con i propri studenti.
Non è il “sapere procedurale” che accompagna nelle nostre attività didattiche l’approccio teorico, fondamento induttivo o deduttivo di ogni esperienza culturale, laboratoriale e non, cognitiva e metacognitiva.
È, piuttosto, il “saper essere” esecutori, lavoratori “ammaestrati” a competenze elementari, come le 8 competenze chiave di cittadinanza prescritte dall’UE. Così si vuole garantire il life long learning?
Non si educa più alla convivenza, alla condivisione, alla solidarietà, al rispetto attraverso percorsi di conoscenza di ampio respiro, bensì si “addestrano” giovani a compiti specifici, basati sulla performance, sul risultato, sul traguardo, sull’affermazione di sé sull’altro.
Alla centralità del pensare, viene sostituita la centralità dell’agire.
Le competenze diventano allora un insieme di esecuzioni, di prestazioni, pratiche, individuali e sociali, tutte orientate al lavoro e all’occupabilità, intese come finalità fondamentali dell’istruzione.
Ma la scuola, a dispetto di un mondo che sempre più privilegia istintività, immediatezza, disintermediazione, spontaneità acritica, superficialità (e che ha trovato nei social network la perfetta espressione di questa nuova, pervasiva dimensione dell’esistenza), deve mantenere il valore della conoscenza, della cultura, del pensiero, della ricerca, dell’indagine, della comprensione della complessità.
E si continua a parlare con eccessiva enfasi di competenze, anche nel primo ciclo di istruzione, senza che i nostri ragazzi apprendano conoscenze certe.
Si dimenticano le quattro abilità di base linguistiche (saper ascoltare, saper parlare, saper leggere e saper scrivere) insieme alle quattro operazioni della matematica, quando invece occorrerebbe tornare allo studio dei contenuti disciplinari e forse riusciremo a raggiungere adeguati risultati anche nelle tanto criticate prove INVALSI.
[Pio Mirra, ds IISS Pavoncelli, Cerignola – FG]
La giustizia muore ogni giorno, poco a poco. Le Banche vere sono morte già da anni.
|
Che in Italia parlare di giustizia sia difficile lo sanno tutti, che in Italia la giustizia sia facilmente utilizzata come bomba ad orologeria è fatto noto, che in Italia i poteri forti ed i soldi agevolino l’uso strumentale della giustizia è sotto gli occhi di tutti, ma ci piace riprendere da linkedin questo breve post di un nostro collaboratore che la dice lunga su molti temi legati all’argomento e che riprenderemo a breve per approfondirlo ulteriormente.
Oggi è un giorno triste.
Si è consumata un’altra occasione per giustiziare la Giustizia, sotto gli occhi consapevoli di chi dovrebbe praticarla e garantirla.
Ho perso in appello contro il mio ex Datore di lavoro bancario.
Sullo sfondo una vicenda di #Riciclaggiointernazionale, #camorra #banca e sua #fiduciariaitaliana per la quale venni processato e assolto con formula piena nel 2015 durante la mia permanenza professionale nel Principato di Monaco, dove lavoravo come Dirigente dipendente di un Istituto Bancario italiano.
La mia estraneità ai fatti, in un Paese libero, sarebbe stata provata in 10 minuti, non più.
Non fu così.
Fui assolto ma il Datore di Lavoro non venne, nonostante le prove e la prassi, neanche indagato per #ResponsabilitàAmministrativaex231.
Ora che ho perso l’appello su una causa per danni, dove in primo grado avevo avuto una CTU richiesta dal Giudice, quindi successivamente… completamente disattesa…, capisco sempre di più il paradosso di questa italietta chiusa tra #politica e #massoneria.
Difendere l’istituzione Bancaria oltre ogni ragionevole dubbio è il Mantra.
Ma mi chiedo: è possibile riuscirci ancora quando dirigenti apicali muoiono cadendo da una finestra, oppure quando funzionari della #Bancaditalia vengono sospesi per aver smascherato le truffe coperte dietro operazioni finanziarie opache legate al traffico dei #diamanti, o quando #giornalisti spariscono dal mezzo televisivo per cause non note.
Emergono, in queste vicende, le punte di Iceberg che cominciano, però ad avvicinarsi, gli uni agli altri, aprendo le porte a vicende che potrebbero collegare affari di #ndrangheta a #omicidi, al #riciclaggiointernazionale.
Scriverò molto presto su questo argomento dando spazio a fatti inediti che parlano della vendita di una Banca off shore a personaggi, in odore di criminalità organizzata, avvenuti tra il 2011 ed il 2014 dei quali avevo, perso, memoria.
Collegare i fatti diventa un imperativo morale per l’amore che deve legarci al nostro Paese.
Salone del Libro di Torino: la cultura come amica.
|
Apre oggi il salone del libro di Torino, importante evento, baluardo di difesa culturale tra gli ultimi rimasti.
La manifestazione attira ogni anno lettori da tutt’Italia e non solo, lasciandoci sperare che non tutto sia perduto.
Oggi la presenza vede tutte le età, giovani e meno giovani, alla ricerca di un momento di ricerca di senso, di profondità che la società moderna ha perso.
“Cerchiamo il senso del tempo” ci dice Giovanna, studentessa di quinta liceo “e io spero di trovarlo nella gioiosa lentezza del girare una pagina”.
Forse questo è proprio il senso del salone, ritrovarsi con un giusto tempo per la riflessione, la cultura che ritrova il suo tempo per esserci amica.
Molti gli stand, sembra un mercatino veneziano, tante le offerte presenti sui banconi degli editori, di certo possono sembrare anche troppe, gli studenti girano per gli stand con mappe ed indicazioni preparate per loro dai loro professori, forse per non farli perdere nei meandri delle viuzze tra uno stand e l’altro, qualcuno sbocconcella un panino ed ingurgita una bibita seduto per terra.
Oggi noi invece ci siamo presi il tempo per osservare, sedendoci a turno in mezzo agli stand, botteghe moderne di sogni, ed abbiamo davvero osservato, intristendoci per un mondo che cambia come non vorremmo, per la perdita di un’amica, la fantasia.
I ragazzi passano veloci tra le botteghe, qualche domanda distratta, qualche sbuffo, dando l’idea di dover timbrare una sorta di cartellino, una corsa per raggiungere tutti gli stand indicati nel loro ruolino di viaggio.
Noi siamo seduti in alto sul loggione e guardiamo, sperando che la consapevolezza di un bisogno di tempo mentale per capire ritorni fra noi, ritorni in quei ragazzi che vediamo muoversi come formiche in uno scenario atomizzato.
Siamo sull’orlo di cedere alle macchine l’ultima nostra caacità, quella di sognare.
Pensare, lavorare e festeggiare con le mani
|
Anche quest’anno, la scuola steineriana Maria Garagnani di Bologna ha festeggiato l’arrivo della Primavera.
Sabato 13 e domenica 14 maggio la scuola di via Morazzo ha così celebrato dalle 10 alle 18, la festa di primavera, con il patrocinio del Comune di Bologna.
La festa della Primavera è resa possibile ogni anno da genitori, insegnanti e amici che donano tempo e talento per raccogliere fondi a sostegno della pedagogia steineriana.
Ma che cos’è la scuola steineriana?
E che cosa ha da offrire in alternativa alla scuola tradizionale?
Pensare con le mani. L’approccio educativo delle scuole steineriane.
Sono trascorsi ormai quasi 100 anni da quando Rudolf Steiner (1861-1925), di cui a febbraio è ricorso il novantottesimo anno dalla sua morte, ha fondato un approccio educativo innovativo.Un approccio che si basa su alcuni capisaldi che in Italia la scuola tradizionale sembra valorizzare sempre di meno. Uno di questi capisaldi è il lavoro delle mani.
Imparare a pensare con le mani è principio pedagogico volto a valorizzare l’importanza di educare il bambino o ragazzo nella sua interezza.
Le scuole steineriane sono diffuse in tutto il mondo e accompagnano il bambino dal pre-asilo ai 18 anni. Viene offerta una formazione alternativa a quella tradizionale, pur incorporando elementi comuni ad altri approcci pedagogici. Ecco perché nel piano di studi le materie accademiche vengono integrate da attività manuali, artistiche e artigianali.
I laboratori artigianali della festa di primavera
Seguendo questa linea la festa di primavera della scuola bolognese è stata caratterizzata dall’allestimento dei laboratori artigianali dei ragazzi, con manufatti in feltro di pura lana, palline in lana cardata e filata per fare collane, bracciali.
È stata allestita una sala erbe aromatiche e fiori.
Sono stati organizzati “giochi di una volta” e danze popolari.
E non poteva mancare la cena nella sala polivalente della scuola, a tema “La Primavera nel piatto”, organizzata dall’ VIII Classe assieme alla cuoca e al gruppo cucina.
Tutto questo si è svolto nella cornice dell’architettura della scuola “Maria Garagnani” che già di per sé abbraccia i bambini attraverso il linguaggio della forma, dei colori e dei materiali.
Pulsanti e manualità dimenticata
Secondo i principi della pedagogia steineriana, lavorare con le mani non sviluppa solo le facoltà intellettuali, ma anche le competenze emotive, sociali e le capacità fisiche. Questo in un’epoca in cui i bambini sono particolarmente desti nel pensiero, ma le loro mani rischiano di addormentarsi, pur essendo abilissime a trovare il pulsante giusto.
Il fascino della tecnologia e delle comodità che ci circondano potrebbero farci dimenticare la spinta all’agire.
Lo stimolo che i nostri pensieri ricevono continuamente, davanti ad un computer, guardando un film o anche ammirando un’opera d’arte, ci possono davvero annichilire l’impulso a fare, a creare, a modellare?
Locandina Festa di primavera scuola steineriana Maria Garagnani di Bologna
Lavorare con le mani
La scuola tradizionale, un tempo molto più attenta (basti pensare ai corsi di “applicazioni tecniche alle scuole medie), sembra essersi forse dimenticata delle discipline manuali.
In un’epoca in cui non si deve più tagliare la legna per riscaldarsi o accendere una candela per farsi luce, è sufficiente fare un click.
Proprio per questo la pedagogia steineriana ritiene che bisogna farle muovere, le mani, cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o scavando nella terra.
Ciò al fine di evitare che la nostra manualità rischi di appisolarsi comodamente davanti alla esorbitante offerta di prodotti finiti.
Se le mani dei bambini, secondo Steiner, sono in grado di dipanare una matassa, possono rendere anche i loro pensieri meno ingarbugliati.
È probabile che pensieri si risveglino più vitali e ricchi di immaginazione, chiari e liberi. Per Steiner le mani sono le antenne della nostra anima: inviano segnali di cura alla parte più profonda di noi, rasserenando l’anima.
Ecco che emerge chiaro e forte il filo conduttore della festa della primavera, che ci riconduce all’esigenza che i bambini imparino a pensare con le mani il prima possibile.
Il lavoro a maglia
Il lavoro a maglia, ad esempio, può essere sottoposto ai bambini sin dalla prima classe.
L’attenzione, intrecciando il filo sui ferri, sarà tesa a non perdere un punto. Così una maglia unita all’altra con movimento ritmico formerà un “tessuto”, rafforzando il filo del pensiero.
Attacchiamo un bottone, invece di schiacciarlo!
Sembra questo il motto della scuola steineriana, che suona però un po’ superato nella scuola tradizionale, forse un po’ troppo irretita dalla matassa burocratica piuttosto che da quella dei gomitoli di lana.
Totopapa
|
Conservatori? Progressisti?
Chi verrà eletto al soglio pontificio dopo Francesco I?
Un tradizionalista secondo lo stile pre conciliare? Un moderatore che seguirà le orme dei successori di Paolo VI e che strizzerà l’occhio al mondo conservatore?
Un progressista moderato sullo stile di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che unirà tradizione a progresso?
O un semirivoluzionario che sulla scia di Francesco I, troverà la quadra con le varie realtà non cattoliche, tentando di unirle tutte sotto un’unica realtà, ponendo così fine a secoli di scismi e di separazioni all’interno del mondo Cristiano?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Ecco il video di Simone Gambini
Beni culturali: “salviamo il salvabile” il messaggio di Vittorio Sgarbi
|
Presentazione del libro “Per la tutela del patrimonio culturale” di Raffaele Tamiozzo
Il libro scritto da un giurista ma comprensibile anche per i non addetti ai lavori.
I beni culturali e la normativa
Il 19 aprile è stato presentato a Roma il volume “Per la tutela del patrimonio culturale” dell’Avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo.
L’opera di Raffaele Tamiozzo, edita da Gangemi, ricostruisce in maniera minuziosa e dettagliata la materia di beni culturali dal punto di vista giuridico.
L’autore affronta, infatti, l’indagine storica e l’analisi critica della vigente normativa.
L’autore del libro l’avv dello Stato Raffaele Tamiozzo
Un libro scritto da un giurista ma pensato per gli archeologi
La chiarezza della esposizione, in una così complessa materia, rende il libro strumento utilissimo, fruibile non solo dai giuristi, ma anche dagli archeologi e da tutti coloro che quotidianamente offrono il loro servizio alla tutela dei beni culturali.
Un Avvocato dello Stato prestato all’Università
Il libro costituisce la sintesi delle lezioni di Legislazione e Diritto dei beni culturali, tenute dall’autore alla Sapienza, agli studenti delle Facoltà di Lettere, Scienze umanistiche e Scienze e Tecnologie per la conservazione dei beni culturali.
Le recenti riforme nel settore dei beni culturali
Il testo cura particolarmente l’aggiornamento della normativa, in ragione delle numerose innovazioni medio tempore intervenute.
Il volume affronta anche la recente riforma dei reati contro il patrimonio culturale attuata con la legge n. 22 del 2022.
Raffaele Tamiozzo, l’avvocatura dello stato e il recupero del patrimonio culturale all’estero
Raffaele Tamiozzo ha concluso la sua gloriosa carriera come Vice Avvocato Generale dello Stato nel 2014.
Ha sempre difeso lo Stato con competenza e passione.
Come Avvocato dello Stato ha avuto modo innanzitutto di difendere, rappresentare ed assistere le pubbliche amministrazioni statali nelle controversie giudiziarie.
Come vice avvocato Generale, al culmine di una prestigiosa carriera, ha diretto la IV sezione dell’avvocatura Generale che si occupa tuttora della difesa di beni culturali oltre che del
Ministero dell’interno, un altro dei gangli vitali dello Stato.
Particolare del salone con il mappamondo della biblioteca Casanatense
Gli incarichi governativi
Tamiozzo ha parallelamente, ricoperto importanti e delicati incarichi governativi.
È stato capo di gabinetto di Spadolini quando nel 1974 fu creato il Ministero dei beni culturali e dell’ambiente.
Il settore era prima assorbito dal Ministero della pubblica istruzione.
La biblioteca Casanatense sede dell’evento
L’evento si è celebrato nella prestigiosa sede della biblioteca Casanatense, una delle più belle e antiche di Roma, aperta al pubblico dal 1701. È ubicata nel vecchio convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva a Roma, nel cuore della città, tra il Pantheon e Fonata di Trevi.
Un momento dell’evento
Dal cardinale Casanate a Paganini
Deve la sua nascita al cardinale Girolamo Casanate (1620-1700), che lasciò ai domenicani del convento la sua raccolta libraria.
La raccolta vanta 400.000 volumi 6000 manoscritti e 2.200 incunaboli.
Si trovano anche 90 manoscritti del violinista e compositore Niccolò Paganini nonché l’archivio del pianista e compositore Giovanni Sgambati.
Una delle sale della biblioteca casanatese
Codex Casanatense
Un altro dei pezzi forte della collezione è il Codex Casanatense del 1889 composto da settantasei illustrazioni ad acquarello.
Si tratta di un codice miniato portoghese del XVI secolo in cui sono raffigurati popoli e culture lontani, al limitare degli oceani Pacifico e indiano.
Le acquisizioni successive
Con successive acquisizioni la biblioteca si arricchì di opere riguardanti sia le tradizionali discipline religiose e teologiche che studi di filosofia e diritto romano, di economia e opere riguardanti la città di Roma.
La Casanatense è attualmente biblioteca del Ministero della Cultura
Con l’avvento della legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, la proprietà della Casanatense passò definitivamente allo Stato italiano e tuttora è una delle biblioteche del MInistero della cultura.
I saluti della neo direttrice della biblioteca Lucia Marchi
La direttrice della biblioteca Lucia Marchi, da poco a capo della Biblioteca, ha elogiato il libro per aver saputo affrontare con chiarezza e sintesi la Legislazione complessa dei beni culturali.
Un problema di stretta attualità: la tutela dei beni culturali dagli atti vandalici.
Il problema della tutela dei beni culturali, ha affermato la direttrice, viene ancor prima della loro valorizzazione.
La dott. ssa Marchi con rammarico ha sottolineato che lo Stato italiano ha dovuto pagare 40.000 euro per ripulire la facciata palazzo madama.
Le azioni vandaliche di recente commesse in nome di una non meglio precisata tutela della natura e dell’ecologia non si giustificano in alcun modo.
Anzi sviliscono la nostra civiltà e ci fanno tornare indietro dei secoli più bui.
Fa cenno inoltre alla difficile valorizzazione dei beni culturali, alle Convenzioni internazionali, al patrimonio archeologico
subacqueo.
Particolare di una sala della Biblioteca Casanatense
Patrimoni da difendere. L’intervento della Prof.ssa Valeria della Valle
La Prof. ssa Valeria della Valle, è una celebre linguista, già docente di linguistica italiana alla Sapienza.
Nel suo intervento affronta la tematica dei linguaggi settoriali ed in particolare di quello giuridico e burocratico.
Ne tratteggia l’attuale oscurità e la poca trasparenza.
Ciò crea non poche difficoltà ai i cittadini non esperti.
Riconosce nel libro uno strumento prezioso in quanto la terminologia giuridica utilizzata è molto semplificata.
Quando pensavano di distruggere il Vittoriano
Ricorda taluni episodi indicati nel volume.
Alcuni di essi riguardano il Vittoriano, quando si pensava di distruggerlo. Oppure la
Caserma di via Tasso, che viene tutelata per il suo valore storico.
Un momento dell’evento, con il collegamento dell’On. Vittorio Sgarbi
Dal Caffè greco in via Condotti all’ archeologia industriale degli zuccherifici
Oppure la Fiaschetteria di via della Croce, il Caffè Greco in via Condotti, sino ad arrivare agli esempi di archeologia industriale, come l’ex zuccherificio Eridania di Codigoro (Ferrara) 2009.
Viaggi nel tempo. Sara Iannone
Presidente della Associazione “L’Alba del Terzo Millennio
Sara Iannone ripercorre il libro come un viaggio nella storia dei beni culturali e della loro conservazione.
Partendo dall’antica Roma, arriva fino a Napoleone e alle recenti politiche della restituzione, passando per il fondamentale art. 9 della Costituzione.
L’intervento delle archeologhe a capo dei siti più visitati del mondo
Le archeologhe di fama internazionale Daniela Porro e Alfonsina Russo ci raccontano la loro non semplice attività quotidiana a capo dei siti archeologici più visitati del mondo.
L’intervento della Dott. ssa Porro sovrintendente speciale per l’archeologia a Roma
La dott. ssa Porro Daniela Porro, Soprintendente Speciale per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, nell’evidenziare l’importanza del testo dell’avv dello Stato Tamiozzo dichiara che “non è un semplice testo ma è qualcosa di più”.
Il Comando carabinieri per tutela del patrimonio culturale e il traffico dei beni culturali
Ricorda altresì l’importante l’attività , esaminata dal volume di Tamiozzo, del Comando carabinieri per tutela del patrimonio culturale, posto alle dipendenze funzionali del Ministero della cultura.
Si tratta di un reparto speciale dell’Arma dei Carabinieri, fondato nel 1969 e assorbito all’epoca nel Ministero della Pubblica istruzione prima che venisse creato il ministero dei beni culturali nel 1974. Svolge attività di prevenzione e repressione a tutela del patrimonio culturale italiano. Collabora strettamente con l’Avvocatura dello Stato.
L’intervento di Alfonsina Russo direttricedel Parco archeologico del Colosseo
La dott. ssa Risso, direttrice del Parco archeologico del Colosseo, il sito più visitato al mondo, ribadisce l’importanza della lotta al traffico dei beni culturali.
Nella attività di prevenzione e repressione a tutela del patrimonio culturale italiano il Comando e l’Avvocatura dello Stato hanno recuperato 3000 reperti archeologici e importanti pezzi di museo.
I gioielli di Villa Giulia e dell’antica Cerveteri
Indimenticabile è il ritrovamento dei gioielli trafugati a Villa Giulia, museo archeologico etrusco, nel 2013
Ed ancora il cuore della Cerveteri etrusca rinverdito dal ritrovamento di antichi reperti trafugati e del cratere di Eufronio, in sinergia con tutti gli organi dello Stato.
Ricorda la Legge 42/2022 e la problematica del danneggiamento beni culturali, purtroppo al centro della cronaca per le ripetute azioni vandaliche registrate sia in Italia sia all’estero.
L’intervento del dott. Salvatore Italia, consigliere centrale della Società Dante Alighieri
Il dott. Salvatore Italia, consigliere centrale della Società Dante Alighieri ha infine offerto una analisi capitolo per capitolo dell’opera.
È partito dalla definizione di bene culturale come testimonianza materiale di civiltà sino ad arrivare al moderno concetto
di fruizione del bene culturale.
“Si fruisce cioè che ha valore eterno” ha affermato. Ha poi evidenziato la importanza dei beni di interesse religioso nel nostro Paese.
L’intervento dell’autore Raffaele Tamiozzo
Infine è intervenuto l’autore, ringraziando i presenti e ricordando la giovanile esperienza governativa con Spadolini.
“Andiamo a Dubai ma magari non conosciamo il quadro di Guido Reni nella chiesa accanto”, ha sottolineato con rammarico.
Il suo pensiero e la sua gratitudine va ai valentissimi funzionari del Ministero della Culturale che rimangono spesso soli nella difesa quotidiana dei beni culturali
“La tutela dei beni culturali supera tutte le altre tutele fatta eccezione della salute”, afferma, ricordando la difficile lotta a tutela dei beni culturali.
Il salone principale della Biblioteca Casanatense
L’avvocatura dello stato e il recupero delle opere d’arte trafugate
Sono numerosi i ricordi che riaffiorano nella sua mente, sia nella sua attività di avvocato dello stato che di consulente giuridico del ministero dei beni culturali.
Arte precolombiana a Milano
Ad esempio il prezioso lavoro della dott.ssa Valeria Petrucci, presente in sala. Fu nominata perito dal Tribunale di Milano, in quanto massima esperta di arta precolombiana. Riconobbe tra 10.000 reperti molti pezzi autentici di arte precolombiana. La perizia fu determinante per la loro restituzione all’Ecuador.
Questo nonostante che l’Italia non avesse ancora ratificato la Convenzione Unesco per la restituzione.
I bronzi di Riace e le Olimpiadi di Los Angeles nel 1983
Che dire poi dei richiestissimi quanto fragilissimi Bronzi di Riace, appena restaurati, che non approdarono alle Olimpiadi di Los Angeles in quanto gli esperti ne sconsigliarono la trasferta.
Gli Stati Uniti sdegnosi rifiutarono le tre tele di Raffaello Caravaggio e Tiziano offerte in loro sostituzione.
Conclusioni di Vittorio Sgarbi. Proteggiamo il nostro paesaggio!
Vittorio Sgarbi sottosegretario al Ministero della Cultura interviene da remoto mediante un collegamento video. Conclude l’incontro con un monito: “proteggiamo anche il paesaggio!”
Il paesaggio italiano, giuridicamente fa parte del patrimonio culturale insieme ai beni culturali (Dlgs. N. 24 del 2004).
Purtroppo, “è stato distrutto negli anni 60 in nome di una violenza consumistica e edilizia selvaggia”.
Per colpa di Piani regolatori insufficienti ed in nome di una violenza ingiustificata, ha proseguito Sgarbi, distruggiamo i paesaggi del Salento, del Molise, della Calabria, della Sicilia, della Tuscia.
Il paesaggio italiano, “paradiso di paesaggio, non può essere distrutta dalle pale eoliche e dal fotovoltaico”.
Un paesaggio sfregiato e umiliato
La distruzione sistematica del paesaggio, ha continuato Sgarbi, è giustificata da una malsana esigenza ecologista. “E noi rischiamo di perderne l’identità millenaria”.
Rischio della perdita di identità millenaria del nostro paesaggio
Il paesaggio è l’identità della storia millenaria dell’Italia.
Ed è questa oggi la nostra trincea. “Stiamo distruggendo il nostro patrimonio culturale in nome di una mitologia grottesca, la transizione ecologica”.
La tutela del patrimonio agricolo
L’ultimo monito è per la difesa del patrimonio agricolo.
Le masserie, i muretti a secco, rappresentano la continuazione ideale della nostra storia.
È un patrimonio che non dobbiamo stravolgere.
Salviamo il salvabile
“Salviamo il salvabile” è stato il l messaggio dell’On. Sgarbi e di tutti i protagonisti del riuscitissimo convegno. L’evento ha tenuto incollati alla sedia il numerosissimo pubblico presente nel sontuoso salone della biblioteca. Tra i presenti, tra gli altri, anche l’ex ministro Vincenzo Scotti e il critico d’arte Davide Salvatori, responsabile artistico del patrimonio sonoro della Rai.
Va da sé che gli stessi ambienti della antica biblioteca rappresentano, da soli, la testimonianza del valore eccelso del nostro patrimonio culturale.
Particolare della sala di lettura della Biblioteca Casanatense
Il ghiaccio che non dimentica: una carota ricorda i test nucleari
|
Il ghiaccio che non dimentica: una carota ricorda i test nucleari.
Nel ghiaccio antartico tracce dei test nucleari del passato
È coordinata dall’Università di Firenze la ricerca che ha documentato e misurato in una carota di ghiaccio (un cilindro di ghiaccio perforato a partire dalla superficie di un ghiacciaio) la presenza di plutonio, dovuta agli esperimenti a partire dagli anni ’50.
La carota di ghiaccio estratta in Antartide dal gruppo di ricerca dell’Università di Firenze si è rivelata un vero e proprio “archivio ambientale”.
Il lavoro del team
Il team coordinato da Mirko Severi, Rita Traversi e Silvia Becagli, è riuscito a misurare tracce di plutonio-239, risalenti a test nucleari condotti molti decenni fa.
carota di ghiaccio appena estratta dal carotiere durante le fasi di misurazione e logging
La ricerca è avvenuta grazie alle attività di perforazione, estrazione e analisi di un cilindro di ghiaccio perforato a partire dalla superficie di un ghiacciaio (altrimenti detto “carota” ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Chemosphere.
“Il plutonio-239 è un marker specifico per valutare gli effetti sull’ambiente dei test nucleari iniziati negli anni ‘50 e condotti fino agli anni ‘80″
Spiega Mirko Severi, associato di Chimica analitica dell’Ateneo fiorentino.
“Si tratta, infatti, dell’isotopo fissile primario utilizzato per la produzione di armi nucleari.
Il suo ritrovamento, in primo luogo, è utile per determinare una datazione accurata degli strati nevosi: dal punto di vista glaciologico, la presenza di plutonio-239 nelle carote di ghiaccio permette, infatti, di attribuire i campioni agli anni in cui venivano condotti i test sulle armi nucleari”.
il campo di Little-Dome C (Antartide) allestito per la perforazione profonda nell’ambito del progetto Beyond EPICA.
A partire dal 1952, infatti, sono stati eseguiti numerosissimi test con ordigni nucleari.
In particolare, durante i primi esperimenti venivano fatti esplodere in atmosfera e la radioattività sprigionata poteva arrivare anche in posti remoti e lontani dall’esplosione, come l’Altopiano Antartico, dove il team dell’Università di Firenze ha eseguito il carotaggio.
I commenti
Il commento di Rita Traversi, associata di Chimica analitica Unifi:
“L’esistenza di tale materiale radioattivo in un posto così isolato, nella parte centro-orientale del continente a oltre 3mila metri di altitudine, dovrebbe indurre a riflettere su quanto l’azione dell’uomo impatti sul nostro pianeta.
I tempi di permanenza nell’ambiente del plutonio-239 sono lunghissimi, la sua concentrazione si dimezza in 24mila anni”.
Le attività del team sono frutto di un’esperienza avviata negli anni ’90 – nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica) – con progetti di ricerca in Antartide tuttora in esecuzione.
Nello specifico, la ricerca pubblicata su Chemosphere si basa su una carota della lunghezza di circa 120 metri, prelevata tra il 2016 e il 2017e poi trasportata e analizzata nei laboratori Unifi delpolo scientifico di Sesto Fiorentino.
la fase di estrazione dal carotiere
Il commento di Silvia Becagli, tecnica del gruppo di ricerca:
“A differenza degli studi precedenti basati su tecniche di misurazione della radioattività che necessitavano di grandi quantità di campioni (qualche chilo di ghiaccio)le analisi condotte nei laboratori Unifi hanno permesso di raggiungere risultati soddisfacenti con campioni dal volume molto più ridotto.
Tale ‘snellimento’ è un vantaggio importante poiché generalmente i campioni da analizzare vengono suddivisi tra vari gruppi di ricerca; quindi, a una minore necessità di materiale per condurre le ricerche corrisponde una maggiore possibilità di eseguire ulteriori tipi di analisi”.
Lupo Migliaccio Segretario nazionale della Democrazia Cristiana
|
Si è appena concluso il XX congresso della Democrazia Cristiana, l’unica legalmente valida, che ha visto l’avvicendamento del vecchio segretario, il Professore Nino Luciani, che è stato sostituito dall’Avvocato Lupo Migliaccio di San Felice, che da oggi guiderà il partito già di Zaccagnini, Moro, Andreotti e compagni (forse compagni non è molto adatto).
Alla Presidenza riconfermato Gabriele Pazienza, che è stato il motore di questo cambiamento.
Un DC rediviva, che negli ultimi anni non ha certo brillato per chiarezza e messaggi, basti pensare che ci sono ancora sette DC, o che almeno si dichiarano tali, in Italia.
Quella del Segretario Migliaccio sembra però l’unica che legalmente può dire di essere la discendente o la continuazione della Democrazia Cristiana scudo crociato.
“Il nostro programma non è complicato, perché questo paese non ha bisogno di cose roboanti, ha bisogno di ritrovare se stesso e di costruire un futuro più a misura di cittadino; dobbiamo tornare indietro per andare avanti” così esordisce il nuovo Segretario “scuola, lavoro, tasse, queste cose le dicono sempre tutti, ma poi nessuno fa nulla. Noi vogliamo rimettere al centro dell’azione politica i diritti del cittadino, così come li sancisce la costituzione, senza ma e senza se. Vediamo chi sarà capace di ostacolarci, vediamo chi vorrà rimboccarsi le maniche”
Betapress: come vede il futuro di questo paese?
Migliaccio: “Oggi questo paese non ha un futuro, ha solo un presente tenuto insieme dal fil di ferro! Non è questione di destra o sinistra, ma nemmeno di centro se vogliamo, è questione di cuore e passione.”
Betapress: Quindi non è questione di soldi o di potere?
Migliaccio: “I soldi servono ed il potere è necessario per avviare i cambiamenti, chi dice il contrario è uno sprovveduto, quello che conta è chi deve esercitare la gestione di entrambi. Abbiamo lasciato in mano il paese prima a coloro che ormai erano in politica da 40 anni, poi ai ragazzini sprovveduti, adesso a chi è stato all’opposizione da sempre. Ora non servono dei professionisti, servono dei veri Italiani che agiscano come il buon padre di famiglia, quindi con competenza e con cuore.”
Betapress: Ma la DC non è stata quella che ha, in fondo, generato questi mostri che Lei cita?
Migliaccio: “In parte, nessuno è senza colpa, a partire da chi ha votato sempre con una mano sugli occhi. La DC infatti è stata nella sua tana a leccarsi le ferite per molti anni, ha lasciato (sbagliando) che i suoi spazi venissero presi da forze politiche che non avevano nel loro midollo la stessa spina dorsale che ha avuto la DC, anche quando poi si è polverizzata davanti ai propri errori.”
Betapress: ed oggi cosa ci sarebbe di differente dagli altri?
Migliaccio: “Una grande consapevolezza dei bisogni del Paese, la capacità di riconoscere i propri errori, l’umiltà di non pensare di avere tutte le ricette in tasca, ma soprattutto la certezza di non aver bisogno di ricoprire posti politici. Nelle nostre fila ci sono personaggi di alta levatura professionale, accademica, umana, etica, di ogni età, accomunati da una fede incrollabile nel paese. In questo momento non ci interessa acquisire poltrone, ci interessa molto di più fare opinione, risvegliare la coscienza degli italiani, in modo che nel voto ritrovino la propria parola e la propria capacità di dare un futuro alla nazione.”
Betapress: In pratica state “tornando” per essere la coscienza del paese?
Migliaccio: “Non speriamo tanto. Vorremmo solo poter essere quella vocina che riesce a dire le cose che gli italiani solo pensano.”
Betapress: ultima domanda, ma come la mettiamo con le sette DC?
Migliaccio: “Non esistono sette DC, ne esiste solo una, che sarà ben lieta di accogliere tutti quelli che oggi dicono di essere, sbagliando, la DC. Se chi lo dice ci crede è ben accetto, altrimenti partiremo a difendere l’unità che ci contraddistingue, al fine di far capire chi siamo.”
NATURA AMICA
|
La Collega Dr.ssa Fiorella Ialongo, mi ha messo a parte di una bella iniziativa fiorita – è il caso di dire – a Campoverde di Aprilia (nella fertile e alacre terra Pontina): una iniziativa che premia il lavoro e l’intraprendenza di Imprese e singoli usi alla massima laboriosità e – sotto il profilo squisitamente merceologico – posti ai vertici di quella piramide che, oltre che coinvolgere il mondo del lavoro e della produzione, coinvolge il complesso delle stesse filiere dell’agro-alimentare e della zootecnia. Il mio interesse a questo bell’evento – rammentando che senza la cura della Natura e dei suoi frutti, l’essere umano non potrebbe certo alimentarsi di surrogati impropri, peraltro trattati ampiamente in modo chimico, per essere definiti seriamente ‘prodotti alimentari’ – trova origine nel particolare momento che vive l’Italia.
Assistere un giorno sì e l’altro pure al fiorire (fiori del male?) di idee o iniziative tese a influire pesantissimamente sulla zootecnica o sulla produttività agricola italiane, è come assistere ai tiri di prova di un plotone d’esecuzione, prima che – aggiustato il tiro – procedano a giustiziare una parte enorme del made in Italy, della produzione, della qualità di comparti da sempre fiore all’occhiello tanto dei produttori che dell’Italia stessa.
Non parliamo poi del devastante impatto che si avrebbe sul mondo del lavoro, se queste filiere subissero attacchi rovinosi per mano di Bruxelles.
C’è poco da girarci attorno: l’Italia è da anni al centro di attacchi concentrici che l’hanno via via spogliata di aziende prestigiose, o hanno visto entrare in vigore normative tali da riverberarsi negativamente sulla nostra produttività come pure sui nostri prodotti. Prodotti di eccellenza, che, tra ‘semafori’ e mille pseudo-motivazioni, hanno il fine di mortificare produzione, vendita e lavoro.
Quando entro in un supermercato, mi sorgono mille domande: carni (di cui non è dato conoscere con precisione la filiera, che non si sa quanto pregiate o come e quanto trattate possano essere) in vendita e provenienti da Francia, Olanda, Austria, Belgio: così che trovare delle carni italiane (sappiamo quanto rigorosi siano gli standard produttivi e di controllo di questo prodotto) è diventato raro.
Lo stesso dicasi per tanti altri prodotti, riguardo ai quali resto persino diffidente. Non parliamo poi di ‘insetti’, ‘vermi’, blatte’ o quant’altro: il cui cibarsi lascio certamente ad altri pellegrini del cibo, ma che – vi assicuro – non trova riscontri nelle altre nazioni, così come vogliono farci credere (ci sarà chi possa utilizzare qualcuno di questi materiali, ma sono soggetti in zone estremamente povere, o personalmente in tale condizione).
Motivo che, unito alle altre recentissime notizie, mi porta a ritenere che sì, c’è gente (odiatori dell’Italia e degli Italiani? Del genere umano?) che, con grande costanza, si adopera per depauperare tutto ciò che sia espressione della creatività, dell’imprenditorialità, delle peculiarità produttive, dell’Italia.
Sono anni che, tutto ciò che è italiano, e che rappresenta l’italianità (ossia, vanto per l’Italia) è sotto assedio, suscitando bramosie di conquista: in ordine di tempo, le ultime nostre peculiarità a essere seriamente minacciate sono salute, libertà (vedasi ‘sistema (cinese) dei crediti’, e spersonalizzazione: ciascuno di noi non sarà più ‘persona’ ma solo un numero, un codice, un input) e risparmio (si pensi: se tutta questa mole andasse a far parte di un sistema di cryptovaluta, le posizioni di ciascuno – ancorché ancorate al nome – sarebbero ancorate al soggetto e a tutto ciò che risulta alla base della sua schedatura; così che lo stesso denaro che, se depositato in una banca non è più suo (sotto il profilo della ‘proprietà’), se confluente in una massa indistinta non sarà suo doppiamente, e basterà un click perché il gestore del tutto gli possa impedire di avere accesso a ciò che (un tempo che fu) era ‘suo’.
Un plauso quindi agli organizzatori e ai partecipanti di questa interessante kermesse di Campoverde, esaltazione della nostra capacità produttiva, della nostra cura per la Natura, della nostra passione per il cibo sano e gustoso, della nostra stessa ‘inventiva’: tutte condizioni premianti, a fronte delle quali saremo al loro fianco nel sostenerne le scelte, l’amore che ripongono nel loro lavoro, e la volontà di proseguire nell’opera. Complimenti a tutti! Giuseppe Bellantonio
Di seguito, l’articolo sopra citato, a firma della Dott.ssa Fiorella Ialongo, da cui abbiamo tratto gradito spunto per l’intervento.
…Solo l’agricoltura, che senza dubbio è molto vicina e quasi consanguinea alla sapienza, è priva tanto di scolari che di maestri” (‘De Re Rustica’, Lucio Giunio Moderato Columella)
Prendendo spunto dalla precedente citazione, in occasione del ponte del 1° maggio, potrebbe essere interessante trascorrere una giornata di intrattenimento ed informazione, di aggregazione sociale e di incontro con i professionisti dell’agricoltura. Senza dimenticare la possibilità di gustare specialità enogastronomiche a km. ‘zero’ e provare esperienze dal gusto antico ma sempre attuali. Il riferimento è alla XXXVI° Mostra Agricola di Campoverde che terminerà il primo Maggio, e si tiene presso l’Area Fiere di Campoverde ad Aprilia (LT).
I dati che ci sono giunti dai primi giorni dell’evento sono molto confortanti: sono andati sold-out i ca. 350 stand dedicati ad agricoltura, floricultura, innovazione, enogastronomia, bestiame, macchine ed attrezzature agrozooalimentari.
Di sicuro interesse anche gli spettacoli in programma quali, ad esempio, le prove di abilità di attacchi carrozze curate dalla Fitetrec Ante, il Western Show, i convegni, gli eventi curati da giornalisti specializzati nel settore come Tiziana Briguglio e Roberto Ambrogi dell’ARGA Lazio.
Detto diversamente, la Mostra Agricola di Campoverde ha visto crescere nel tempo la propria importanza. Si tratta di un risultato che premia sia l’impegno degli organizzatori, sia le finalità della manifestazione. Essa, infatti, ha tra i suoi fini quello di mettere in contatto, attraverso gli stand, i consumatori con i produttori. I secondi possono far conoscere ai primi la qualità del proprio marchio a un prezzo competitivo: contatto rafforzato dal piacere di una stretta di mano e di un sorriso, recuperando anche l’aspetto relazionale, troppo spesso punito dagli acquisti on-line.