Macron: “Non è il momento di trattare, Kiev combatta fino a costringere Putin a trattare”; Sunak: “La Nato cambi il trattato per sostenere Kiev”. Zelensky: “Se vince, Mosca punterà le armi sui Paesi vicini”.
Come possiamo apprendere NESSUNO A MONACO SEMBRA VOLERE LA PACE: o non è il momento (di grazia, quando sarebbe il momento?); o si vogliono cambiare le regole (di solito, lo chiedono/fanno i bambini quando perdono nei loro giochini); o si raccontano balle (le armi di tutti sono puntati su tutti, dai tempi della classica ‘guerra fredda’); o, ancor peggio, si sostiene di voler battere la Russia per farne uno spezzatino attraverso una riduzione territoriale.
Quindi?
Ancora si vuol fare credere a una e una sola narrazione, del tipo “noi buoni, loro cattivi?”.
Ancora vogliamo affamare i popoli europei spingendoli/obbligandoli al riarmo, al munizionamento? Una volta ci sarebbero state le barricate nelle piazze, al grido di “più pane, niente cannoni”.
Se gli USA e la GB vogliono continuare nel loro sostegno militare CONTRO la Russia e poi CONTRO la Cina, lo facciano: a loro spese e a loro rischio (tanto, stampano moneta a ritmo vertiginoso…). E ricordino alla NATO, i capi di governo/stato, che essa è uno strumento DIFENSIVO e non OFFENSIVO. E neanche offensivo per “prevenire” un possibile, eventuale, potenziale, attacco.
CHE SCOPPI LA PACE e che ciascuno si ASSUMA LE PROPRIE VERE RESPONSABILITÀ SENZA COINVOLGERE GLI ALTRI, specie attraverso la MENZOGNA.
Il Ministro nordio accoglie il beato giudice Livatino
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Il giudice ragazzino: Rosario Livatino
Rosario Livatino
Reliquia di Rosario Livatino
Al ministero della Giustizia il 20 gennaio 2023 è giunta la reliquia di Rosario Livatino, magistrato siciliano dichiarato beato dalla Santa Madre Chiesa.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha accolto la reliquia nella sala ministeriale dedicata al Giudice. Nordio ha ricordato Rosario Angelo Livatino con queste parole: “ Le spoglie, l’esperienza e la tragica fine ci dimostrano che anche in questo mondo c’è spazio per coniugare la fede nell’uomo con la fede nella giustizia divina”.
Parole importanti soprattutto se si tiene conto del fatto che Livatino è il primo magistrato riconosciuto e dichiarato beato dalla Chiesa Cattolica. Papa Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”. La Sua reliquia è stata esposta nel ministero della Giustizia per volontà della Venerabile Arciconfraternita Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, che ne ha curato l’esposizione.
La “Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris”, ossia la sua reliquia, è costituita da una teca contenente la camicia che Livatino indossava il giorno in cui fu ucciso dalla mafia mentre si recava a lavoro il 21 settembre 1990.
Livatino è noto come il “giudice ragazzino”,così definito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, un testimone della storia italiana che ha donato la sua vita per la legalità e per la giustizia. Livatino era un giudice sicuro di sé, capace di condurre inchieste “scomode” e percorrere strade sconosciute (come quella che ha portato alla confisca dei beni ai mafiosi). Estremamente credente, rispettoso delle regole e con una visione del mondo della criminalità e politica corrotta molto ampia. Riponeva grande fiducia nel corpo della Guardia di Finanza in quanto capace di coniugare sia l’attività investigativa economico finanziaria sia applicare la legge.
Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952. Dopo gli studi classici, si laureò nel 1975 in giurisprudenza a Palermo. Vinto il concorso in magistratura, nel 1979 divenne sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e qui prestò servizio fino al 1989.
Criminalità organizzata, tangenti e corruzione: furono questi i nemici che Livatino combatté in questi anni. Dopo aver compreso il forte legame tra la politica siciliana e la mafia, diede vita, insieme ai magistrati Cardinale e Saieva, a indagini a tappeto su tutto il territorio agrigentino. Queste poi portarono al maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Rivera; il maxi processo si concluse con quaranta condanne e Livatino stesso interrogò gli onorevoli Bonfiglio, Di Leo e Mannino.
La sua tenacia, gli ideali e il suo coraggio spaventarono sia la politica corrotta sia i mafiosi siciliani che decisero di mettere a tacere il “giudice ragazzino”. Così, fu ucciso il 21 settembre 1990 sulla ss640 Caltanissetta – Agrigento da quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina.
La stampa: omicidio del giudice
Infatti, dopo averlo speronato dall’auto dei killer, il giudice iniziò a scappare nella campagna limitrofa ma uno degli inseguitori gli sparò un primo colpo ad una spalla.
Nonostante questo, Livatino continuò la sua fuga ma dopo poche decine di metri fu ucciso con un colpo di pistola. Tra i primi che accorsero sul luogo del delitto vi furono Elio Spallita, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.
La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento
L’omicidio di Livatino mise in luce una ferita nel rapporto tra Stato e magistratura: la solitudine. I magistrati dispongono di un grande potere nella lotta alla mafia quando sono nell’esercizio delle loro funzioni, ma dopo il lavoro sono soli, abbandonati e privi di alcun tipo di protezione. Per questo motivo, dopo l’omicidio del giudice, Roberto Saieva e Fabio Salomone, magistrati e suoi colleghi, denunciarono lo Stato di aver abbandonato tutti i magistrati nella lotta alla mafia. Stessa cosa fece il giudice Francesco Di Maggio che all’Unità disse “ Dietro la bara di Livatino non può nascondersi tutta la magistratura”.
Le sue parole tuonarono come accusa verso lo stato e provocarono numerose polemiche.
Con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua passione Livatino ci ha mostrato cosa significa essere uomini rispettosi delle leggi e buoni cristiani.
Partiti sfiduciati dal 60% degli Italiani.
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Questo il vero dato significativo di queste elezioni: il 60% degli Italiani ha dichiarato di non credere più nel sistema dei partiti.
Il crollo dei votanti deve essere letto e non deve essere trascurato dai nostri governanti: ma come è possibile sostenere di essere alla guida del paese quando si ha il consenso di nemmeno il 25% dei cittadini, è probabilmente delirio di onnipotenza.
Così come è immorale, nonché da incoscienti, pensare di andare avanti con un piano di governo quando più della metà del paese ha dichiarato di non credere nel sistema che lo regge.
Esagerato direte voi, sono poi solo due regioni!
Vero ma sono le due regioni che in assoluto sono le più significative del paese.
In queste ore si sente parlare invece di consolidamento della posizione, di tenuta della maggioranza, di perdita di consenso ma perché i cittadini non capiscono…
Tutte grandi fesserie, figlie di una cecità politica ormai arrivata al paradosso di auto convincersi di essere, invece, la vista di Dio.
Il sistema dei partiti con la sua ottusità sta creando una maggioranza al di fuori di se stesso, maggioranza che non accetterà ancora a lungo di essere governata da uno sparuto 20% della popolazione.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a vari fenomeni politici, sempre piccoli e, se vogliamo, insignificanti nel percorso della storia, me che dovevano far riflettere il sistema dei partiti e chi lo governa per avviare un nuovo modello di governo del paese che fosse più in linea con le aspirazioni del popolo.
In primis gioca l’obbligo di interpretare lo spirito italiano, così come modellato da secoli della sua storia, un popolo profondamente non razionale, venendo da secoli di profonda credenza religiosa che facilmente scade nel soprannaturale e nel gigionesco mondo degli aruspici.
Un popolo che ha forti legami famigliari e comunque tribali, radicati come non mai in uno spirito di necessaria appartenenza a qualcosa o a qualcuno, fino a smontare il credo politico e sociale a favore del primo fabulatore arrivista.
Una massa sociale che ha radicato geneticamente il ricordo della sua grandezza passata e che oggi rivive come ispirazione sociologica, come ricerca di una dimensione che nel primeggiare possa trovare una sua ragione, ma che spesso si arrocca, quasi come un topolino da labirinto impazzito, in falsi miti ed illusioni di successo, dallo sport a personaggi di indubbia cialtroneria, soprattutto politici, sportivi ma anche mondani, presi ad esempio da generazioni immature e favolistiche, poco inclini alla fatica della riflessione e della ragione, ma più succubi di facili esplosioni di effimero successo.
Questo popolo è stato allevato dal sistema dei partiti con una progressiva serie di iniezioni di droghe post moderne, dalla televisione spazzatura ad una scuola trasformata a babysitteraggio costoso e poco formativo.
Su questo popolo il sistema dei partiti ha continuato a vivere lucrando l’anima della sua stessa fiamma di sopravvivenza.
Fu così che, già dopo la prima guerra mondiale, il popolo italiano decise di scrollarsi di dosso il sistema dei partiti lasciando ampio a spazio a quello che per un ventennio fu esperienza nuova, corporativa ma situata in un periodo storico che ben poco spazio lasciava ad una costruzione sociale prospettica e soprattutto gestita da personaggi usciti da un periodo come la prima guerra mondiale dove la bassezza dell’uomo era stato imprinting tragico sulle coscienze.
Dopo la seconda guerra mondiale il sistema corporativo del ventennio venne sostituito ancora una volta dal sistema partitico, forse per troppa fretta, per incapacità, o forse perché il momento richiedeva un sistema che nuovamente abbindolasse il popolo per riuscire a gestire, con una ristretta cerchia di oligarchi politicizzati, il Paese.
In 75 anni della repubblica abbiamo avuto 68 governi gestiti da 31 presidenti del consiglio, l’instabilità fatta persona, un paese che nella ingovernabilità pone la sua ragione di vita, che peraltro gli viene proprio imposta dal sistema partitico che lo regge.
Infatti un sistema partitico come quello italiano trae la sua linfa vitale proprio dal continuo avvicendarsi delle situazioni di governo, perché la stabilità richiede spesso decisioni scomode che il sistema dei partiti non può prendere, specificatamente per la sua natura effimera alimentata da un consenso becero e legato ad una ignoranza diffusa nella sua massa elettiva.
Nel 1994 il popolo italiano vede in un poliziotto di borgata con le manie da sceriffo il salvatore della patria e gli permette di affondare un transatlantico sicuramente da tirare in secco per le riparazioni, ma non certo da affondare in toto.
Eppure in quel momento quel poliziotto era visto come il William Wallace dè noi altri, il salvatore della patria e, nell’ebrezza della distruzione, nessuno si è accorto che il tutto fu una mossa astuta per sostituire un gruppo di potere con altro gruppo di potere.
Meglio? Peggio?
il dato da leggere è l’aumento del debito pubblico oggi 2700 miliardi, nel 1990 667 miliardi di euro, ovviamente.
Insomma pur di abbattere quelli che il popolino riteneva, forse anche a ragione, dei “delinquenti affamatori” siamo rimasti a “muoia Sansone e tutti i Filistei…”
Anche in questo caso occorreva leggere nell’insurrezione di popolo che osannava la caduta, l’odio nei confronti di un modello di governo che il popolo non amava e rispettava più.
In questo percorso di evidente disamoramento del cittadino verso il sistema dei partiti, arriviamo alla nascita dei partiti dal nulla e del nulla, sull’onda della contestazione al secondo gruppo di potere, che approfittando del bulletto giudiziario ha scardinato solo le poltrone e non il sistema.
Qui la reazione del popolo è stata un grande messaggio, ancora non capito dai detentori del sistema partitico: pur di farti capire quanto non mi piace il sistema dei partiti voto il primo incapace che si presenta pur di non votare voi.
La cosa ancor più divertente che lo slogan dei partiti “protestanti” era proprio vota noi perché siamo incompetenti di politica e quindi non potremmo fare i danni che hanno fatto quelli prima… niente di più sbagliato perché in realtà il mix che venne fuori tra competenti ed incompetenti fu ancora più deleterio che ciò che avvenne nella prima repubblica.
Dopo questa carrellata veniamo a Noi oggi e vediamo che il 60% degli aventi diritto al voto non lo esercita più: questa è la tragedia di questo paese, che non permette più l’esercizio della democrazia, al punto da obbligare i suoi cittadini, per farsi sentire, a rinunciare ad un loro diritto costituzionale.
Nonostante questo atto violento da parte del popolo sembra che nessuno abbia intenzione di fermarsi e leggere correttamente il messaggio degli Italiani.
Pericoloso atteggiamento di chi ancora esercita il potere, pericoloso perché non andare a votare è un segno di disaffezione del cittadino ancora più pericoloso del rogo mediatico del 94, e chi oggi si culla nella sensazione di stabilità e di vittoria, dovrebbe invece notare che dalla sua parte ha solo il 25% del popolo e contro ha il 75%.
E Verrà un Giorno … che quel 75% non sarà più controllabile perché non avrà più niente da perdere.
E’ sempre meglio ricordare…
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Oggi si celebra IL GIORNO DEL RICORDO.
Una solennità dedicata a ricordare le vittime dell’odio, italiane, gettate vive o moribonde dagli jugoslavi di Tito nelle crepe carsiche dette ‘foibe’.
Gli oltre 350.000 italiani, profughi di quelle terre, spinti alla fuga dalle loro terre cadute in mano dei comunisti titini, dovettero abbandonare ogni cosa, dirigendosi in massa verso l’Italia.
È Storia che troppi furono gli italiani, intrisi e corrotti dall’ideologia comunista, che negarono ogni aiuto: persino negando la sosta nelle stazioni, negando l’acqua ai bambini e agli anziani, a tutti.
Drammi collettivi e individuali leniti – nel tempo, e solo in parte – dallo slancio e dalla generosità di Italiani che aiutavano altri Italiani, più sfortunati di loro.
Quanti uccisi così barbaramente e gettati nelle foibe, furono ritrovati alcuni anni dopo, e il recupero dei corpi suscitò dolore e sdegno negli Italiani. Il governo italiano insediatosi nel dopoguerra si era impegnato a corrispondere aiuti a quanti tutto avevano dovuto abbandonare in mani nemiche. Ma la “pratica” è ancora aperta, nonostante gli impegni solenni.
Quelli che sono qui sotto riportati, sono i pensieri di un Italiano, legato da sentimenti patri e famigliari a quegli Italiani cacciati da terre italiane cedute a mani ostili e avverse.
Le sue lucide, scarne ma pesanti parole, sono frutto dei suoi ricordi diretti: scavano drammaticamente, ancora oggi, l’animo di chi legge condividendo sofferenze e delusioni di altri nostri Fratelli Italiani.
Ma anche una ricorrenza solenne che deve aiutarci a cacciare dalle menti, dai cuori, dalle labbra, la parola “”guerra””: fin troppo frequentemente usata, in questi ultimi tempi.
Occorre lavorare per la PACE, respingendo ogni tentativo di fare passare le guerre ora come buone ora come cattive.
Le guerre tali sono, con tutti ciò che di tragico e luttuoso trascinano con sé.
L’Italia ripudia la guerra, recita solennemente la nostra Costituzione: ma la guerra, ogni guerra, è un puzzle composito, con mille sfaccettature.
Deve invece SCOPPIARE LA PACE, riconducendo gli Uomini dall’odio (troppo spesso immotivato) verso un Amore Universale condiviso con animo fraterno.
Questo è l’unico modo degno per celebrare le vittime di tutte le guerre. Che il grido possente MAI PIÙ GUERRE salga possente nel Cielo, riecheggiando di valle in valle.
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Mio bisnonno, italiano d’Istria, fu deportato sotto l’Austria nel campo di Katzenau, vicino Linz
Mio zio, della Regia Marina, rifiutandosi di collaborare coi tedeschi fu deportato allo Stalag B, tra Germania e Polonia.
Mia mamma, perché espresse compiacimento per Trieste italiana, fu incarcerata dalla polizia politica Yugoslava, la famigerata OZNA.
Mio padre, fuggito in quanto italiano dalla Yugoslavia, è stato sbattuto tra un campo profughi ed un altro fino ad arrivare nell’orfanotrofio di don Orione, a Roma.
Io e mia sorella, coi miei genitori, abbiamo vissuto al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma in una casa popolare di 48 mq per 30 anni.
Non una vita, ma tre generazioni in salita.
Antonio Ballarin
Il feroce riscatto di Lavarini
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Intervista al Barone Roberto Jonghi Lavarini, a seguito della notizia d’archiviazione del caso “lobby nera” di fanpage.
Il caso riguarda i presunti fondi illeciti a Fratelli d’Italia, per mano di Roberto Jonghi Lavarini, di Carlo Fidanza e di altre persone appartenenti alla destra milanese.
Il caso è nato da cento ore di riprese video, girate durante momenti conviviali o culturali degli indagati.
Ecco perché questa intervista, una delle prime rilasciate in esclusiva, dopo la notizia di archiviazione potrebbe essere intitolata
IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI: TANTO RUMORE PER NULLA
La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione per gli otto imputati nel procedimento aperto in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta Lobby Nera del team Backstair di Fanpage.it.
Che effetto le fa sapere che l’indagine è sul punto di essere archiviata?
Eravamo certi della nostra innocenza ma in Italia non si sa mai, invece, dobbiamo constatare che sia la Guardia di Finanza che la Magistratura di Milano hanno svolto il loro dovere con serietà e correttezza, senza farsi influenzare da pregiudizi politici e ideologici, appurando, dopo dodici mesi di attente indagini (perquisizioni, sequestri di documenti, cellulari e computer, pedinamenti e intercettazioni) che non è stato commesso alcun reato, punto!
È stata solo una infame operazione politica fuorilegge di spionaggio, infiltrazione, tentata corruzione, diffamazione aggravata a mezzo stampa, contro la destra italiana.
Roberto Jonghi Lavarini e l’avvocato Ruggeri
Ha ricevuto, o avete ricevuto dagli esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, che fingevano di non conoscervi, delle scuse ufficiali, o quantomeno delle telefonate per complimentarsi con Voi?
In realtà, a parte qualche tragicomico scivolone iniziale, nessuno ha poi più continuato a negare l’evidenza, ovvero che, sia nella destra italiana (direi europea) che nell’ambiente politico milanese sono conosciuto da tutti. Comunque, in questi mesi, senza fare nomi, sono rimasto in costante contatto con i massimi vertici di Fratelli d’Italia, ma anche della Lega e di Forza Italia. Alcuni di loro, oggi al governo, mi hanno espresso anche la loro solidarietà e oggi la loro felicitazione per l’archiviazione.
Sappiamo che non è nuovo a momenti di goliardia tra amici e conoscenti, e che spesso i media, dalle Iene, a la Gabbia e ad altre trasmissioni legate a certe correnti politiche, vi usano come bersaglio. Si è fatto un’idea del perché e per quale motivo, tra i tanti politici corrotti, vengono ad attaccare proprio lei, che pur facendosi chiamare “barone nero” risulta essere un “barone bianco in mezzo a lupi neri rapaci?”
Tutti conoscono, nel bene e nel male, la mia giovialità e cameratesca goliardia, quanto la mia militanza libera, coerente e disinteressata.
Certamente io non ero l’obiettivo ma solo l’aggancio e lo strumento per attaccare Fratelli d’Italia, in particolare e non a caso, proprio l’onorevole Carlo Fidanza che era capo delegazione al Parlamento Europeo e Responsabile Esteri del partito, su posizioni tradizionali di destra sociale. Io credo che qualcuno abbia voluto correggere la rotta, esattamente come è successo con
Gianluca Savoini e la Lega
Anni or sono venne eletto presidente di zona 3 a Milano. Le va di raccontarci un po’ della sua esperienza politica?
Ho 50 anni di età anagrafica e 36 di ininterrotta attività politica, sempre a destra.
A 14 anni mi sono iscritto al Fronte della Gioventù di Via Mancini, del quale sono stato commissario cittadino, poi dirigente provinciale del MSI di Giorgio Almirante, dirigente regionale di Alleanza Nazionale, segretario cittadino e dirigente regionale della Fiamma Tricolore di Pino Rauti, per dodici anni consigliere di zona di Milano e per una legislatura presidente a Porta Venezia.
Poi indipendente di destra, ho sostenuto, negli anni, varie iniziative movimentiste e candidati del Popolo della Libertà, della Lega e di Fratelli d’Italia, partito con il quale sono stato candidato e primo dei non eletti, alle elezioni politiche del 2018.
Altro che sconosciuto marginale: se non ci fosse stata questa inchiesta, oggi sarei certamente deputato in parlamento… Ed anche oggi, diversi candidati alle elezioni regionali lombarde e non solo, hanno chiesto il mio appoggio elettorale.
Pensa di fondare un partito politico o di candidarsi in futuro per il bene della sua città?
I partiti veri non ci sono più, da tempo, perché la politica e le istituzioni elettive contano sempre meno, come il popolo elettore. Non intendo certo fondare un nuovo partito ma sono fedele sostenitore del MSE (Movimento Sociale Europeo – Eurasia, piccolo ma storico movimento politico culturale, apartitico e transnazionale, rifondato nel 2000 da Roberto Bigliardo e Guido Mussolini, con la benedizione di Jean Marie Le Pen). Alle elezioni scegliamo, di volta in volta, la lista e il candidato migliori da votare.
Quali sono, secondo Lei, i valori da promuovere in una città come Milano? Quali benefici e innovazioni apporterebbe se venisse eletto a qualche carica?
Milano funziona da sola, da sempre, grazie al laborioso popolo ambrosiano.
Una buona amministrazione dovrebbe semplicemente assicurare a tutti i suoi cittadini, una città più efficiente, sicura e pulita.
La giunta comunale dovrebbe promuovere grandi opere ma lasciarle fare ai privati, pensando invece alla ordinaria amministrazione, concentrandosi a sistemare degnamente scuole e asili, case popolari, le buche nelle strade, senza aumentare il costo dei mezzi pubblici e senza massacrare i milanesi con multe inutili, date solo per fare cassa.
Detto questo, sinceramente, oggi non penso proprio a candidarmi, da nessuna parte…
Carlo Fidanza, Chiara Valcepina, Roberto Jonghi Lavarini
Progetti per il futuro?
Tanti ma di carattere culturale e professionale.
È noto che la mia seconda passione, insieme alla politica, siano gli ordini cavallereschi e l’araldica, le tradizioni che rappresentano l’anima profonda e spirituale della nostra civiltà eurasiatica cristiana…
E in questo momento storico ed escatologico, luci di speranza e rinascita le vedo solo nell’oriente ortodosso, ancora così solido e fortemente identitario…
E anche professionalmente, ad est, vi sono tante opportunità economiche e di sviluppo per i nostri imprenditori.
Ma il mio sguardo geopolitico futurista guarda anche all’India, alla Persia e all’Africa, dove ho solidi contatti, a riprova di chi mi accusa di essere razzista o xenofobo.
Prima di concludere, se vuole, ci lasci una massima o un motto, in modo da far appassionare i nostri lettori o ci dica qualcosa in più su di sé
Ragionate con la vostra testa, e siate protagonisti delle vostre scelte e del vostro futuro, amate la Patria e i Valori Tradizionali, e siate sempre pronti a difendere le Vostre Idee e i Vostri Ideali, quando questi siano Giusti e Onorevoli.
Buon lavoro presidente Maruotti
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Luigi Maruotti nominato Presidente del Consiglio di Stato
Luigi Maruotti è il nuovo Presidente del Consiglio di Stato.
Venerdì 13 gennaio 2023 il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla sua nomina di Presidente del Consiglio di Stato, l’organo di rilievo costituzionale, con origini antichissime, che conserva sia funzioni giurisdizionali che compiti di natura consultiva.
Il 20 gennaio c.a. il plenum del Consiglio di presidenza della Giustizia Amministrativa aveva espresso all’unanimità parere favorevole alla sua nomina.
Una immagine recente del neopresidente Maruotti
Luigi Maruotti succede a Franco Frattini
Luigi Maruotti, già Presidente aggiunto del massimo organo della giustizia amministrativa, succede a Franco Frattini, che aveva assunto la carica di Presidente del Consiglio di Stato il 29 gennaio 2022.
La nomina segue la sua prematura scomparsa la notte di Natale.
Appena una settimana fa Maruotti aveva celebrato, commosso, nell’aula di Pompeo del Consiglio di Stato, la sua commemorazione.
Grande è stato il cordoglio tributato al collega di una vita.
L’avvicendamento segue il rigoroso rispetto dell’anzianità di ruolo, in osservanza della prassi che da sempre contraddistingue il prestigioso istituto, solo raramente disattesa.
La sua straordinaria figura di giurista e la sua caratura morale hanno messo subito tutti d’accordo.
La galleria prospettica del Borromini nel cortile interno di Palazzo Spada a Roma, sede del Consiglio di Stato. La finta prospettiva del Borromini
L’eccellente carriera del neopresidente
Luigi Maruotti nel 1981 entra giovanissimo nei ruoli dell’Avvocatura Generale dello Stato, dapprima come Procuratore dello Stato e poi come Avvocato dello Stato.
Successivamente, è risultato vincitore dei concorsi come magistrato del TAR, nel 1984, e come consigliere di Stato, nel 1989, divenendo Presidente di Sezione del Consiglio di Stato nel 2010.
Ha presieduto nel corso del tempo la Terza, la Quarta, la Quinta e la Sesta Sezione del Consiglio di Stato. Circa un anno fa, per pochi voti, non è approdato alla Corte costituzionale.
Palazzo Spada: particolare del colonnato del cortile interno
Una autorevole figura di riferimento
Nessun dubbio che lo stimatissimo giurista partenopeo, ma originario di Sant’Agata di Puglia, che tanto lustro ha dato nel corso della sua carriera ad istituzioni come l’Avvocatura dello Stato e la magistratura amministrativa, sia la figura più autorevole a ricoprire la sesta carica dello Stato.
La levatura morale e intellettuale da sempre lo contraddistinguono come magistrato indipendente ed equilibrato.
Il Consiglio di Stato ha il compito di proteggere le libertà e i diritti fondamentali delle persone, di difendere l’interesse generale, di sorvegliare la qualità della pubblica amministrazione.
Luigi Maruotti, instancabile lavoratore e conosciuto anche per aver eliminato gran parte dell’ingente arretrato del Consiglio di Stato, è di sicuro la persona giusta.
Unanime il plauso anche del Consiglio Nazionale forense e del libero Foro.
Una autorevole figura di riferimento, in un momento in cui, più che mai, c’è l’esigenza di ridare fiducia nelle istituzioni e di rilanciare la giustizia come vero e proprio servizio a favore dei cittadini.
Sarà il neopresidente ad inaugurare l’anno giudiziario il prossimo 30 gennaio, in concomitanza con la cerimonia di insediamento, cui presenzieranno le più alte cariche dello Stato.
La mostra Art Déco Francia – Nord America iniziata il 21 ottobre 2022 e programmata fino al 6 marzo 2023.
La mostra è allestita al Trocadéro, nel Palazzo della Città dell’architettura e del patrimonio (Palazzo de Chaillot) ed è la narrazione ben riuscita ed inedita degli anni folli della Parigi di un secolo fa e dello effervescente scambio artistico ed intellettuale tra Francia e Stati Uniti dell’Art Déco, movimento molto in voga negli anni ‘20 e ‘30 del ‘900.
Foto di Joséphine Baker che balla alle Folie Bergére 1926
I FOLLI ANNI VENTIIN FRANCIA E IN AMERICA
L’espressione Art Déco deriva dalla sintesi di Esposizione internazionale di arti decorative e industriali che si tenne a Parigi nel 1925.
Con un percorso senza precedenti, incentrato non solo sull’architettura, ma anche sulla vita culturale e artistica di questo periodo, l’esposizione fa scoprire come l’Art Déco ha influenzato l’architettura, l’arredamento (presenti in mostra numerosi mobili, sedie, poltrone, divani), lo stile di vita e il gusto dei nordamericani, raccontando ed illustrando antefatti, temi e iconografie, attraverso centinaia di opere tra oggetti d’arte, piatti, vasi, sculture (Diana che gioca con due cervi di Paul Manship, uno dei principali rappresentanti della Art déco americana, Le quattro stagioni di Pier Fournier Des Corays), dipinti, disegni, decorazioni ed arredi degli artisti più in voga.
Manifesto dell’Esposizione universale di Chicago del 1933
LE OPERE
La sfida tra le due sponde dell’Atlantico viene sublimata anche attraverso sperimentazioni artistiche innovative ed invenzioni pittoriche sgargianti, riflettendo un dialogo incessante attraverso forme floreali spesso contorte ed elementi geometrici rigorosi, colori contrastanti, illustrazioni e pubblicità artistiche che riflettono i problemi principali del periodo e che si snoda anche nel design grafico nitido e giocoso delle locandine -esposte alla mostra – dei grandi magazzini di Chicago fondati nel 1852 da Marshall Field’s, (colui cui venne attribuita la celebre frase “il cliente ha sempre ragione”), acquistata nel 2005 dalla catena Macy’s.
Un viaggio affascinante che prosegue attraverso le pubblicità dell’ alta moda, (in mostra le tavole del rotocalco parigino La Gazzetta del Bon Ton, considerato un precursore delle riviste apparse nei decenni successivi), la danza (esposto il repertorio fotografico di Joséphine Baker che balla alle Folie Bergére nel 1926 il Charleston, ballo che da Broadway era nel frattempo approdato in Europa al teatro degli Champs-Elisées), il cinema (sono presenti stralci del film Ragazze che sognano, del 1930, della Metro – Goldwyn-Mayer, con Joan Crawford, ed altri film dell’epoca, La gabbia dorata del 1922, con Gloria Swanson).
La mostra riflette un dialogo incessante attraverso arti decorative, visive, architettura, progressi tecnici e porta lo spettatore nell’illusione di un mondo più bello, attraverso la personificazione dell’amore per l’opulenza, il design di lusso, le decorazioni con stile elaborato dell’ oggettistica in metallo, della carta da parati, delle lampade, dei tessuti, e financo degli arredi del Transatlantico Normandia, il tutto ispirato da un’eclettica gamma di fonti storiche, dall’arte tribale africana a quella dell’antico Egitto.
Manifesto dell’Esposizione universale di Chicago del 1933
L’ARCHITETTURA DECO A NEW YORK, CHICAGO E MIAMI
L’Art Déco ha viaggiato dalla Francia al Nord America in un faccia a faccia portato avanti in gran parte dagli architetti americani e canadesi, i veri fautori di questo movimento ed inventori di uno stile ibrido franco americano, che si formarono all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi e che, una volta tornati in America, costruirono e arredarono edifici Art Déco nelle città americane.
Sono esposti in mostra video, illustrazioni, progetti e raffigurazioni dei più famosi edifici icona di New York, come l’Empire State Building e il Chrysler Building e i manifesti dell’Esposizione universale di Chicago del 1933, un secolo dopo la sua fondazione, un inno al progresso e alla innovazione tecnologica.
Dopo l’uragano del 1926 l’Art Déco attraversa ancora una volta l’oceano ed ecco che, incorniciata da un edificio dalle proporzioni americane, a Miami Beach l’Art. Deco diventa Tropic Déco (sul punto video e immagini con didascalie oltre ad una interessante serie di cartoline postali raffiguranti i numerosi hotel Déco di Ocean street, tra cui il Leslie, il Nash Senator e il Neron).
Chiave di volta di tutte le arti, l’architettura porta a sviluppi stilistici in molte altre professioni: pittori, scultori, interior designer, ferraioli, muralisti sono un tutt’uno con gli edifici e accompagnano questa nuova architettura e quindi, dopo gli edifici, la gioielleria e la tavola si ispirano a questo nuovo stile le cui linee semplici e fluide contrastano con il precedente periodo dell’Art Nouveau (o Liberty o Arte Nuova).
Riproduzione di cartolina postale del Neron hotel a Miami beach
IL TROCADERO
Sebbene questa parabola creativa sia stata interrotta dalla crisi economica del 1929, gli architetti francesi hanno riportato con sé questo stile ibrido franco-americano, che negli Stati Uniti si è prolungato fino al 1940.
Ne è un esempio il Palazzo del Trocadéro, il cui modello in scala esposto alla mostra, rievoca il lavoro di Jacques Carlu nel 1934, che pensò alla sua modernizzazione sulla base dei suoi ricordi americani, dando vita ad un nuovo edificio, con la creazione di una spianata e l’apertura di una prospettiva grandiosa sulla città e sulla Torre Eiffel, che ancora oggi possiamo ammirare (interessanti la foto della Backer sulla Cadillac davanti alla spianata della vecchia facciata nonché il dipinto di Anne Carlu dedicato al famoso teatro nazionale di palazzo Chaillot).
La mostra rende bene l’idea del Déco come uno stile, un gusto (vedi le copertine della famosa rivista Vogue), un atteggiamento, un linguaggio, perché il Déco è glamour (nutrita la serie di boccette di profumi dal design esclusivo di Lucien Lelong e di René Lalique), fascino, eleganza, moda, (esposti vestiti di mussolina di seta bordati di perle e pezzi di vetro del 1925 e le calzature Salomé di André Pérugia ), ritmo, musica (jazz), ricerca del piacere di vivere, stile di vita, e tutto l’immaginario di un mondo che ha cercato di affrancarsi dalla banalità del quotidiano, dimenticando l’esperienza della guerra da poco conclusa.
Vestiti di mussolina ricamati
Commozione al consiglio di Stato per Ricordare l’ex Presidente
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È morto il 24 Dicembre il Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, ex Ministro degli affari esteri del governo Berlusconi e Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario per la Giustizia, Sicurezza e Libertà tra il 2004 e il 2008.
Il 12 gennaio la commemorazione presso la sede del Consiglio di Stato a Roma.
La toccante commemorazione in onore di Franco Frattini
La cerimonia in ricordo del compianto Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini si è svolta a Roma il 12 gennaio alle ore 12:30 presso la Sala di Pompeo di Palazzo Spada, l’edificio storico di Roma nel quale hanno sede il Consiglio di Stato e la Galleria Spada.
Un momento della commemorazione nella Sala di Pompeo a Palazzo Spada
Il ricordo del Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato Luigi Maruotti, collega e amico
Sono nomi illustri quelli che hanno rievocato Frattini: il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato Luigi Maruotti, che probabilmente a breve prenderà il suo posto, suo collega ed amico da sempre, haricordato che egli iniziò nel 1981 la sua brillante e prestigiosa carriera come Procuratore dello Stato presso l’Avvocatura Generale dello Stato, divenendo presto Avvocato dello Stato, Magistrato Tar ed, infine, giovanissimo Consigliere di Stato, dimostrando immediatamente di possedere le eccezionali doti di preparazione giuridica e l’altissima capacità professionale che hanno sempre accompagnato il suo così rilevante percorso istituzionale, nazionale e internazionale, nel corso del quale ha ricoperto importantissimi incarichi istituzionali e politici (è stato due volte Ministro degli Esteri, Ministro della Funzione pubblica, più volte deputato, Presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti – COPACO, Commissario europeo alla Giustizia, ecc.), “rimanendo sempre se stesso, mantenendosi sempre umile”.
Il Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato Luigi Maruotti mentre ricorda commosso il collega Franco Frattini
Maruotti, suo collega di concorso, lo ha frequentato sin dalla giovane età quando, entrambi Procuratori dello Stato freschi di nomina, si destreggiavano tra una udienza e l’altra, difendendo le cause dello Stato negli anni di piombo.
I commossi interventi del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa Sergio De Felice, dell’Avvocato Generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, degli Avvocati di libero foro
Il suo esempio, il suo impegno e dedizione costanti, accompagnati da saggezza ed equilibrio, hanno ispirato generazioni di Magistrati amministrativi, di Avvocati e Procuratori dello Stato, ha affermato commosso Sergio de Felice, Segretario Generale della Giustizia amministrativa, prescelto da Frattini stesso all’atto della sua nomina a Presidente del Consiglio di Stato.
La toccante cerimonia è proseguita con il saluto dell’Avvocato Generale dello Stato, Gabriella Palmieri Sandulli, che ha rammentato Frattini quando era suo collega all’Avvocatura Generale dello Stato, di poco più anziano di lei in quanto del concorso precedente, evocando la poliedricità di interessi che l’ha costantemente caratterizzato e la passione che ha sempre nutrito per lo Sport, inteso nella sua più nobile accezione, ricoprendo l’incarico di Presidente della Commissione Nazionale Scuole e maestri di Sci presso la FISI e, soprattutto, quello di Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport – CONI al quale, con entusiastico impegno, ha dato lustro e prestigio istituzionale. Recentemente era stato insignito del Collare d’oro olimpico del Comitato Internazionale Olimpico.
Il Presidente Frattini è stato un eccezionale Servitore dello Stato, dotato di un elevato senso istituzionale al quale si sono unite altrettanto eccezionali doti umane e intellettuali, grande cultura giuridica e disponibilità ad ascoltare, doti sempre unite a una grande signorilità e al rispetto verso gli altri. Così, unanime, il ricordo dei numerosi avvocati amministrativisti che hanno preso la parola.
Nel nome di Franco Frattini il varo della riforma del Codice dei contratti pubblici
Ha sempre profuso le sue energie senza risparmiarsi: da ultimo, era riuscito a far concludere in tempi rapidi e con risultati eccezionali il lavoro di revisione del Codice dei contratti pubblici, così che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 16 dicembre scorso, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di riforma, riservandogli un espresso e pubblico ringraziamento “per il grande lavoro svolto che ha contribuito al raggiungimento di un importante risultato”.
A seguito della sua prematura scomparsa era stata allestita la camera ardente proprio presso la prestigiosa Sala di Pompeo, al primo piano di Palazzo Spada, uno dei più eleganti palazzi romani del Cinquecento, ubicato in Piazza Capo di Ferro, adiacente a Palazzo Farnese.
Nella sala si erge una imponente scultura di Pompeo Magno, ritenuta essere quella ai cui piedi cadde Giulio Cesare.
Tutte le udienze sono state sospese alle12:20 per consentire ai Magistrati ed agli Avvocati di ritrovarsi nella Sala di Pompeo.
Consiglio di Stato, Sala di Pompeo, Natale 2015: Franco Frattini in compagnia di alcuni colleghi dell’Avvocatura dello Stato e del Consiglio di Stato, tra cui, a destra, Luigi Maruotti.
Il vuoto lasciato da Frattini
Quella di Franco Frattini è una figura indimenticabile che lascia un vuoto incolmabile nelle Istituzioni e nel Paese, ha concluso il Presidente Luigi Maruotti, ringraziando sentitamente tutti coloro che hanno partecipato la loro commozione ed il loro dolore.
PNRR o PRRRRRRRRR… ??
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Parte la progettazione per il Piano Scuola 4.0 sulla piattaforma dedicata che resterà aperta dalle ore 15.00 del giorno 28 dicembre 2022 alle ore 15.00 del giorno 28 febbraio 2023.
L’investimento prevede due azioni specifiche: Next Generation Classrooms e Next Generazione Labs.
L’azione “Next Generation Classrooms” ha l’obiettivo di trasformare almeno 100.000 aule delle scuole primarie, secondarie di primo grado e secondarie di secondo grado, in ambienti innovativi di apprendimento.
L’azione “Next Generation Labs” ha la finalità di realizzare laboratori per le professioni digitali del futuro nelle scuole secondarie di secondo grado, dotandole di spazi e di attrezzature digitali avanzate.
La parola d’ordine per rinnovare la scuola è “digitale” per tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Che dire? Il digitale è sicuramente un bene se aggiunto alle abilità analogiche, un disastro se in sostituzione ad esso!
Ma sembra che si vada in questa direzione.
Si legge che il Piano Scuola 4.0 sarà l’occasione per innovare la scuola!?!
Certamente, ma l’innovazione didattica sarà possibile senza però rinunciare ad insegnare le quattro abilità di base linguistiche (saper ascoltare, saper parlare, saper leggere e saper scrivere) insieme alle quattro operazioni della matematica.
Occorre insegnare l’analisi grammaticale, logica della frase e del periodo entro la scuola media, studiare storia e geografia, abolire nei licei l’alternanza scuola-lavoro, oggi rinominata PCTO.
In breve occorre tornare allo studio dei contenuti disciplinari e forse riusciremo a raggiungere adeguati risultati anche nelle tanto criticate prove INVALSI.
Pio Mirra
Ma se un domani non ci saranno più alunni ?
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Il calo demografico sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la situazione andrà sempre più peggiorando.
Gli allegati al Recovery Plan dello scorso anno svelavano che da qui al 2026, in classe avremo 1,1 milioni di studenti in meno.
Se guardiamo il periodo fino al 2033, si passerà da 7,4 milioni di studenti (ultimo dato disponibile 2021) a poco più di 6 milioni nell’anno scolastico 2033/34, con quote di 110-120mila ragazzi in meno ogni anno.
Tale effetto dell’andamento demografico si sentirà maggiormente alle superiori, dove si passerà rispettivamente da 2.659.068 a 2.168.614 studenti.
Anche nel territorio di Cerignola, comune della provincia di Foggia di 60.000 abitanti, si inizia a sentire l’effetto denatalità.
Gli studenti di Cerignola che nell’anno scolastico in corso frequentano la classe terza della secondaria di primo grado sono solo 654, che se tutti promossi sceglieranno uno tra i cinque istituti superiori presenti nel comune.
E allora che si fa? Si reclamizza l’offerta formativa negli open days scolastici con una e più promesse per un roseo futuro.
Tanto è il disorientamento dei ragazzi e delle loro famiglie, che dovranno scegliere uno dei 25 indirizzi di studio proposti dai cinque istituti cerignolani tra licei, tecnici, professionali, opzioni, corsi quinquennali e quadriennali a volte duplicati.
In teoria per 652 studenti e 25 indirizzi di studio potranno formarsi per l’anno scolastico che verrà solo 25 classi prime, 5 classi per istituto.
Ma quale scuola scegliere? Per una buona scelta è fondamentale investire nell’orientamento scolastico nella delicata fase di passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado, accompagnando i ragazzi verso una scelta consapevole.
L’orientamento diventa prezioso proprio perché favorisce scelte consapevoli, siano esse di studio o di prospettive di lavoro, ma è anche una fondamentale arma di contrasto al fenomeno della dispersione scolastica, che in Italia raggiunge ancora valori superiori alle medie europee.
Secondo l’ISFOL l’orientamento è un intervento finalizzato a porre la persona nelle condizioni di poter effettuare delle scelte personali circa il proprio progetto personale/professionale di vita.
Citando la stessa fonte, l’orientamento viene visto come elemento fondante dell’educazione permanente: un processo di educazione e di formazione integrale della persona che la conduce alla piena espressione della sua identità, professionalità e vocazione.
L’orientamento, quindi, mira alla finalità educativa dell’autonomia, ovvero alla capacità di muoversi in una società complessa e dinamica, che conferisce poche garanzie, compiendo scelte in linea con i propri scopi.
E invece?
Anziché puntare sul valore strategico dell’orientamento come strumento di lotta alla dispersione e all’insuccesso scolastico nella creazione di un sistema di orientamento centrato sulla persona e sui suoi bisogni, finalizzato a prevenire e contrastare il disagio giovanile e favorire la piena occupabilità e l’inclusione sociale le scuole sono impegnate a imbellettarsi in struggenti azioni di marketing che sono gli open days.
E allora il problema non è la “classe pollaio”, ma il numero dei “polli” che le scuole riusciranno a catturare nei colorati open days addirittura aperti un giorno alla settimana per tutto il periodo delle iscrizioni dal 9 al 30 gennaio.
Ammaliante il canto delle sirene per convincere un “pollo” in più e poi?