Il 3D del Covid

La fase del primum vivere non si è ancora consumata a giudicare dalle migliaia di vittime che la pandemia ci ha costretto a contare ma tutti i paesi pensano alla Fase II, al ritorno alla normalità.

Una normalità, purtroppo, divenuta concettuale.

Una proiezione nel futuro di un mondo che conoscevamo prima che il virus colpisse l’umanità intera.

Il problema è che finora l’approccio della comunità scientifica e politica è apparso lento ed imbrigliato nelle maglie della burocrazia pre Covid.

La ricerca di un vaccino che dovrebbe essere la principale soluzione alla pandemia sconta la complessità dei protocolli sanitari non più attuali in tempo di guerra.

Eppure, la ricerca ed il buon senso di ricercatori e medici hanno già delineato trattamenti che potrebbero sopraffare il virus e restituirci la normalità.

Il punto non è di secondaria importanza perché, senza la messa a punto di una cura e di terapie preventive che possano impedire il rischio di contagio, la Fase II potrebbe scontare paurose miopie  concettuali.

La sensazione, infatti, è che si guardi alla riorganizzazione del sistema con le cifre interpretative del mondo pre Covid ma senza un vaccino efficace si dovranno ridisegnare le modalità di convivenza sociale ed economica.

In questi giorni si sta affrontando la questione della riapertura delle attività, dei servizi pubblici e dei lavori divisi sulla base:

del più o meno elevato livello di contatto fisico

dell’esposizione al rischio di contagio.

Pensiamo ad esempio ai trasporti pubblici.

Ipotizzare di aggiornare la rete attuale ed i modelli di servizio esistenti scaricando i costi della prevenzione sui gestori o sugli utenti renderà il trasporto collettivo non più sostenibile.

Le società gerenti dovranno diluire il costo della prevenzione nei propri bilanci spesso già dissestati o scaricarlo sul costo del biglietto:

il che renderebbe privo di senso il principio di economicità alla base dei mezzi di trasporto collettivo.

La situazione non cambia per il trasporto aereo per il quale i costi operativi e conseguentemente il prezzo delle tariffe lieviteranno notevolmente cancellando dal dizionario la parola “low cost”.

Un ragionamento analogo riguarda il mondo della sport, della formazione e del tempo libero a cui si guarda con soluzioni vittime della stessa miopia.

Se si tratta di un complotto o di incidenti sfuggiti alla macchina del controllo potremmo pensare che il gioco è andato al di là di ogni limite e tra non molto si tornerà alle nostre abitudini.

Se così non è, se il virus, invece, esiste si dovrà accettare l’idea di un regime di convivenza reso più precario dai focolai di ritorno e dall’esistenza di pazienti asintomatici.

In questa situazione occorre immaginare scenari nuovi, forse visionari.

Non  sarà sufficiente, infatti, aggiornare leggi e regolamenti ai paradigmi del distanziamento sociale o del corretto uso dei dispositivi individuali di protezione.

Il modello economico post moderno si è evoluto attraverso transizioni economiche che hanno innescato dinamiche sociali.

Dall’agricoltura, all’industria e poi al terziario fino all’avvento dell’era digitale intere categorie di lavoratori hanno abbandonato le campagne e le periferie,

creando centri urbanizzati e polarizzati nei quali sono stati concentrati servizi e centri di convivenza sociale.

Il pianeta è divenuto globale ed ha offerto ad ognuno di noi la chance di vivere come cittadino del mondo.

Il Covid19 ha cancellato ogni certezza, aprendo per milioni di persone le porte alla paura della morte ed all’isolamento sociale.

Il paradigma del mondo post pandemico dovrebbe essere letto con le cifre delle “3 D”:

destrutturazione, de-globalizzazione e digitalizzazione all’interno di una rappresentazione grafica circolare che unisca i tre vettori in modo continuo ed aperto.


Il distanziamento sociale dovrà diventare la conseguenza di una ridefinizione dei modelli di produzione ed offerta piuttosto che il risultato di limitazioni alla libertà individuale
.

La destrutturazione dovrebbe riguardare la definizione organizzativa della convivenza civile ed il sistema dei servizi amministrativi a disposizione di cittadini ed imprese.

In questa direzione giocherà un ruolo fondamentale  la capacità dei governi di  rendere più sicura la mobilità dei fattori della produzione

(merci, capitale e lavoro) agendo sulle leve della flessibilità e della minore burocrazia.

Cittadinanza digitale e open government, temi già inseriti nei programmi di riforma della Pubblica  Amministrazione, rappresenteranno la stella polare di un progressivo processo di destrutturazione.

 La de-globalizzazione è un processo complesso.

Non è facile, infatti, convertire al localismo l’immaginario di diverse generazioni di individui.

Eppure il modello civile ed economico dell’era del post Covid dovrà basarsi sulla valorizzazione delle  periferie e ridisegnare  il profilo urbano,

economico e produttivo su basi di dispersione piuttosto che di concentrazione.

Nuovi presidi amministrativi decentrati e servizi commerciali di prossimità  vedranno rifiorire gli ambiti distributivi che i grandi centri commerciali hanno costretto a chiudere.

Chi è cresciuto negli anni settanta e ottanta (..quando non esistevano internet e gli smartphone ed il sogno di molti giovani era la carta inter-rail delle Ferrovie dello Stato)  troverà l’approccio visionario …

più sopportabile e forse anche più credibile.

Del resto nulla potrà essere immaginato come prima.

L’ultimo paradigma, la terza “D”, riguarda la transizione digitale, la digitalizzazione.

Un processo in atto che la pandemia ha accelerato creando una discontinuità per imprese private e la pubblica amministrazione.

Non si tornerà indietro su questo.

Le giovani generazioni viaggeranno forse di meno ma saranno protagoniste di un’era nella quale l’innovazione tecnologica  diventerà il

collante ed il fluidificatore di un sistema meno globale e strutturato che continuerà a comunicare ed a socializzare.

La destrutturazione e la de-globalizzazione, del resto, non potrebbero affermarsi al di fuori di un mondo digitale e connesso

perché il distanziamento sociale unito alla rottura di una coscienza collettiva globale, riporterebbero l’umanità all’età della pietra

La transizione digitale non si limiterà allo smart-working o alla formazione ed al commercio “on line” che trovano un formidabile campo di applicazione in questi mesi.

Le innovazioni si estenderanno alle applicazioni scaricate sui nostri telefonini  che semplificheranno le nostre giornate fino alla gestione dei processi relativi allo sviluppo dei “Big Data “ e della “Computer Vision”

che renderanno possibile il controllo di veicoli autonomi, la video sorveglianza anche nell’ambito della medicina preventiva oltre ad una sempre maggiore interazione tra uomo informazioni complesse e computer.

Il virus, se non sarà vinto da un vaccino, imporrà nuovi stili di vita ma anche nuove speranze.

L’unica cosa da fare è continuare a vivere accettando i  cambiamenti che inevitabilmente definiranno le nostre vite ma senza  rinunciare alla nostra umanità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus: andrà tutto bene?

Conte ed i fantastici 17

 




Fakes Origini???

 

Negli Stati Uniti continuano le inchieste per provare a far luce sul mistero delle origini del coronavirus.

Le certezze si fermano al fatto che il Covid-19 si è inizialmente manifestato in Cina e ora conta oltre due milioni di casi in tutto il mondo, circa la metà in Europa.

Dopo che gli Usa hanno avviato un’indagine sulla possibilità che il virus sia nato in un laboratorio di Wuhan e che si sia diffuso per incidente (la Cina ha prontamente smentito), il Washington Post ha raccolto e analizzato le tre teorie più diffuse sul contagio:

“Una è chiaramente falsa, una è possibile ma non supportata da prove note e una è sostanzialmente vera”.

Secondo la prima ipotesi, l’epidemia è collegata alla ricerca sulle armi biologiche, mentre la seconda sostiene che il coronavirus si è diffuso in un laboratorio a causa di un incidente.

A riguardo ci sarebbero “prove circostanziate”, scrive il Post in riferimento alle ricerche sui coronavirus dei pipistrelli, portate avanti dai ricercatori della sede di Wuhan del centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Questo, però, non dimostra che il nuovo coronavirus sia mai stato studiato in quel laboratorio e quindi non ci sono prove che si sia diffuso da lì.

La terza teoria, invece, è quella secondo cui il governo cinese avrebbe ingannato il mondo sul Covid-19.

Già in passato il Post aveva scritto dell’offuscamento di informazioni da parte della Cina: “Pechino è stata lenta nella condivisione dei dati, anche con gli esperti dell’Oms”,

scrive il giornale citando l’inchiesta dell’Associated Press,

secondo cui il gigante asiatico non avrebbe dato l’allarme per sei giorni, cruciali per la diffusione del virus.

Sulla seconda ipotesi, cioè che il Covid 19 si è diffuso in laboratorio a causa di un incidente, si è espresso anche Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008.

Ecco la sua teoria. 

Il coronavirus è un virus manipolato ed è uscito accidentalmente da un laboratorio cinese di Wuhan, dove si studiava un vaccino per l’Aids.

 

Questo è quanto spiegato, direttamente da Montagnier in un podcast francese specializzato in medicina e salute.

 

Secondo il professore, che nel 1983 ha scoperto l’Hiv come causa dell’epidemia di Aids, la Sars-CoV-2 è un virus è che stato lavorato e rilasciato accidentalmente da un laboratorio di Wuhan,

specializzato nella ricerca sui coronavirus, nell’ultimo trimestre del 2019.

 

“Con il mio collega, il biomatematico Jean-Claude Perez, abbiamo analizzato attentamente la descrizione del genoma di questo virus Rna”, ha spiegato Montagnier.

 

“Non siamo stati i primi – ha specificato – un gruppo di ricercatori indiani ha cercato di pubblicare uno studio che mostra che il genoma completo di questo virus ha all’interno delle sequenze di un altro virus, che è quello dell’Aids.

Il gruppo indiano ha ritrattato dopo la pubblicazione, ma la verità scientifica emerge sempre. 

 

La sequenza dell’Aids – ha concluso il Nobel – è stata inserita nel genoma del coronavirus per tentare di fare il vaccino”.

 

Sulla terza ipotesi, quella del volontario ritardo con cui il governo cinese ha dato l’allarme e, soprattutto della connivenza dell’OMS con la Cina, ecco quanto sta emergendo

 

Mercoledì 8 aprile, il New York Times titolava “Trump ha attaccato l’Oms sul coronavirus. Non è il solo”.

E sottotitolava: 

“I critici dicono che l’Organizzazione mondiale della sanità si è mostrata troppo fiduciosa con la Cina e non ha sottolineato i suoi primi passi falsi”.

Sì, Trump non è il solo.

Infatti, il 28 marzo, il vice primo ministro giapponese, Taro Aso, davanti al parlamento del suo paese, aveva ribattezzato l’OMS, organizzazione cinese della sanità, a motivo della sua subalternità a Pechino.

Il 31 marzo, il senatore repubblicano della Florida, Rick Scott, aveva chiesto l’ istituzione di una commissione d’inchiesta del Congresso

«sul ruolo dell’Oms nell’aiutare la Cina comunista a nascondere informazioni relative alla minaccia del coronavirus».

Del resto, già alla fine di febbraio, scriveva Micael Collins, del Council on Foreign Relations:

«Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus è stato uno strenuo difensore della risposta del governo cinese al Covid-19.

Il 28 gennaio Tedros ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping a Pechino.

Dopo quell’incontro Tedros ha lodato la Cina per “aver creato un nuovo modello per il controllo delle epidemie” e la massima leadership del paese per la sua “apertura alla condivisione di informazioni” con l’Oms e altri paesi».

In realtà, la Cina ha ritardato di tre settimane la comunicazione dell’epidemia al resto del mondo.

La Cina tramite le autorità regionali ha fatto arrestare i medici che avevano cercato di far conoscere la situazione.

La Cina, ancora a fine gennaio ha censurato in tutti i modi gli organi di stampa e i giornalisti cinesi che indagavano sugli avvenimenti!

Prosegue Collins:

«Nonostante le prove crescenti della pessima gestione dell’epidemia e la crescente indignazione dell’opinione pubblica cinese a riguardo della censura governativa, Tedros resta impassibile.

Il 20 febbraio alla Conferenza per la sicurezza di Monaco conferma il suo apprezzamento per la Cina dichiarando che “la Cina ha permesso al mondo di guadagnare tempo”.

Mentre si profonde in lodi nei riguardi della Cina, Tedros non ha perso tempo nel criticare altri paesi per il loro approccio all’epidemia.

Ha fatto appello alle nazioni perché non mettessero limiti ai viaggi dalla Cina e ha ammonito contro la “recriminazione o politicizzazione” dell’epidemia.

I media cinesi danno molto rilievo alle lodi di Tedros nei confronti di Xi Jinping e alle sue critiche ai governi stranieri».

Al filo-cinese direttore dell’Oms è attribuibile anche il ritardo nella dichiarazione ufficiale della pandemia:

«Più preoccupante è il ritardo di Tedros nel dichiarare il Covid-19 un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale

[Pheic nell’acronimo inglese, ndt].

Il 23 gennaio il comitato per l’emergenza dell’Oms si è spaccato sulla decisione di dichiarare una Pheic.

Facendo valere la sua autorità ultima, Tedros ha deciso di aspettare nonostante l’ammissione che “questa è un’emergenza in Cina”.

Una settimana dopo, ha dichiarato la Pheic.

A quel punto i casi di Covid-19 erano decuplicati arrivando a 7.781 in 18 paesi.

John Mackenzie, un membro del comitato esecutivo dell’Oms, ha dichiarato pubblicamente che l’azione internazionale sarebbe stata diversa senza il “riprovevole” offuscamento dell’estensione dell’epidemia da parte della Cina».

Ma da dove viene quest’ alleanza tra Tedros ed il governo cinese?

La Cina è stata un’importante alleata di Tedros Adhanom Ghebreyesus nella sua elezione a direttore generale dell’Oms il 23 maggio 2017.

Tedros, laureato in biologia, è stato prima ministro della Sanità e poi ministro degli Esteri dell’Etiopia, il paese dell’Africa orientale dove è indirizzata la maggiore quota di investimenti cinesi.

Da soli gli investimenti cinesi rappresentano il 60 per cento di tutti gli investimenti esteri diretti (Fda) in Etiopia, che l’anno scorso ammontavano a 2,5 miliardi di dollari.

Alcuni mesi prima dell’elezione Tedros fu invitato a parlare all’Università di Pechino, dove auspicò una più intensa cooperazione fra la Cina e il i paesi del Sud del mondo in materia sanitaria.

Il giorno dopo la sua elezione, Tedros confermò ai media statali cinesi che lui e l’Oms avrebbero continuato a praticare il principio “una sola Cina”, che esclude Taiwan da rapporti diretti con l’Oms.

Questo fatto ha già creato problemi in passato, e sembra averne creati anche in occasione di questa epidemia.

Wall Street Journal del 6 aprile ha dichiarato

«Dirigenti di Taiwan avvisarono l’Oms il 31 dicembre scorso che avevano prove che il virus si poteva trasmettere da un essere umano all’altro.

Ma l’agenzia, in omaggio a Pechino, non ha un rapporto normale con Taiwan. Il 14 gennaio l’Oms lanciava un tweet:

“Indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato chiare prove di trasmissione fra esseri umani”.

All’agenzia ci volle un’altra settimana per correggere queste informazione sbagliata».

Indizi eloquenti della subalternità dell’Oms alla Cina e in particolare del suo direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus non mancano.

Uno dei primi atti del nuovo direttore entrato in carica il 1° luglio 2017, fu di nominare ambasciatore di buona volontà dell’Oms per le malattie non trasmissibili nell’ottobre dello stesso anno niente meno

che Robert Mugabe, l’allora 93enne dittatore che in 37 anni aveva trasformato lo Zimbabwe,

paese a medio reddito, in un caso disperato di corruzione, malgoverno e miseria diffusa, senza parlare delle violazioni dei diritti umani su vasta scala.

Durante il suo lungo regno il Pil dello Zimbabwe è diminuito del 40 per cento, trascinando nel baratro i servizi sanitari: Mugabe, come i suoi ministri, si faceva curare all’estero.

Quali meriti aveva allora l’anziano presidente?

Senz’altro quello di essere l’alleato storico in Africa della Cina, il paese che aveva finanziato la sua organizzazione guerrigliera (lo Zanu)

al tempo della lotta contro il regime segregazionista dell’allora Rhodesia governata dai bianchi, mentre l’organizzazione rivale dello Zapu era finanziata dall’Unione Sovietica.

Alla Cina poi Mugabe dapprima come primo ministro e poi come presidente aveva aperto le porte dello Zimbabwe.

L’alzata di scudi internazionale contro la nomina, definita da alcuni «un insulto», convinse Tedros a ritirare il provvedimento nel giro di una settimana.

Non sono invece bastate le proteste di molte organizzazioni internazionali per la protezione della fauna selvatica e delle associazioni animaliste a impedire che l’Oms iscrivesse la medicina

tradizionale cinese nel suo Global Medical Compendium nel maggio dello scorso anno.

Com’è noto, molti rimedi tradizionali cinesi utilizzano parti di animali in via di estinzione, come tigri e rinoceronti.

L’Oms ha risposto strategicamente alle critiche affermando che l’inserimento delle pratiche cinesi nella sua guida non implica la sua approvazione dello sfruttamento di animali selvatici proibito da convenzioni internazionali.

L’influenza che la Cina sta esercitando all’interno dell’Oms è tanto più sorprendete in quanto la sua quota di partecipazione è molto inferiore a quella di un paese come gli Stati Uniti.

Nel biennio 2018-19 la Cina ha versato 86 milioni di dollari contro gli 893 milioni di Washington.

È facile intuire quale sarà uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump alle elezioni presidenziali del prossimo mese di novembre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Covid19, un nuovo futuro.

Coronavirus, stare dall’altra parte!




Cura a Casa il covid 19, forse sì!

Il Dottore Stefano Manera e le sue scomode verità sul Covid 19.

Stefano Manera, 44 anni, specialista in anestesia e rianimazione, ha partecipato al bando straordinario indetto dalla regione Lombardia.

È partito da Milano per la trincea dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, tra i più colpiti dall’emergenza coronavirus.

Anestesista e rianimatore in prima linea, Manera, è recentemente finito nell’occhio del ciclone per la sua versione dei fatti, a dir poco contro corrente.

Come redazione di betapress riprendiamo l’intervista di Massimo Mazzucco al Dr. Stefano Manera, trasmessa su Contro.tv.

Intervista diffusa anche da Gianluca Spina in un video intitolato

IO PENSO#38.

Secondo Manera, all’inizio era davvero una semplice influenza.

“Una malattia ancora sconosciuta, che all’inizio colpiva le persone più fragili e che adesso intacca anche giovani sani. La mia impressione è che chi si ammala abbia un substrato preesistente di infiammazione:

sovrappeso, diabete, ipertensione arteriosa”.

Per spiegare come una semplice influenza sia diventata poi mortale, sottolinea quello che è successo nei primi giorni del contagio, un passaggio fatale.

Le persone avrebbero meritato di essere curate sin dall’inizio, a casa, in modo efficace, ma questo non è stato possibile.

Perché?

Per il fallimento della medicina del territorio, impreparato e scoperto, nel gestire la prima fase del virus, quella virale.

All’inizio, i medici di base non hanno potuto, per mancanza di indicazioni adeguate, contenere l’evolversi del virus, e così chi aveva contratto il virus arrivava all’ospedale già in fin di vita, in condizione disperate.

Lasciare il paziente a casa, curato con solo la tachipirina, non è stato adeguato, perché poi i malati arrivavano in ospedale direttamente in fase 3.

Adesso, però, con l’esperienza acquisita, sappiamo come curare con farmaci adeguati, subito, a casa.

E qui il dottore Manera spiega come funzionano eparina e idroclorochina per i malati di Covid 19.

Farmaci economici che vanno però contro gli interessi delle grandi case farmaceutiche.

Racconta che stanno chiudendo i primi reparti di Terapia Intensiva (perché non più necessari), e suggerisce come si possa iniziare ad allentare il lockdown dei cittadini.

In tal senso, Manera sottolinea che non ha più senso isolare i pazienti dai loro cari.

Possono essere curati, a casa, e non strappati ai loro parenti.

E definisce condotta aberrante la morte dei malati per covid 19 isolati dalle loro famiglie.

Ma l’aspetto più sconvolgente di questa intervista di Massimo Mazzucco al Dr. Stefano Manera, medico chirurgo laureato in medicina e chirurgia, specialista in anestesia e rianimazione all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, sono le seguenti affermazioni

E’ già possibile instaurare una terapia domiciliare.

 Ci si può curare tranquillamente a casa, inutile il lockdown.

Vaccini, esperti di COVID-19 non ce ne sono e non ce ne possono essere in soli 2/3 mesi di esperienza, avere la presunzione di ritenersi esperto è un atto fuori luogo, non è possibile sapere ancora se questo virus determini immunità, abbiamo un virus che è in grado di mutare velocemente, e per tanto riuscire a identificare un vaccino in grado di determinare immunità su un virus che muta, è un’impresa molto complicata.

Sottolinea gli enormi interessi economici che pilotano la ricerca del vaccino sperimentato in tempi troppo brevi.

 

E’ inspiegabile altre sì accorciare il periodo di studio, come propongono, perché diventerebbe una sperimentazione fatta sulle persone e questi elementi determinerebbero una insicurezza di questo farmaco

  • 1 il vaccino sarà sicuro? 
  • 2 non mi crea malattie iatrogene? 
  • 3 questo vaccino mi dona una memoria immunitaria?
  • 4 quanta è durata la sperimentazione e di conseguenza quanto è sicuro?

Un farmaco sperimentato per 3 mesi, vuol dire che la sperimentazione è inesistente.

  • Una sperimentazione è composta da 3 fasi: fase in vitro, fase sugli animali, fase sull’essere umano, il tempo minimo è 2 anni.
  • Saltare questi passaggi è un’imprudenza elevata, il farmaco dovrebbe servire per curare, non ammalare
  • I medici dovrebbero fare prevenzione, in occidente non si fa prevenzione, perché non ci sarebbero guadagni per le case farmaceutiche

Quali sono le cause del virus secondo il Dottore:
«I veleni: elementi nocivi nell’aria o nell’acqua che beviamo. Per questo si pensa che il virus abbia colpito le zone più inquinate d’Italia. Di certo, quando tutto sarà finito, nulla dovrà tornare come prima».

Ed infine sottolinea l’importanza della prevenzione individuale per ridurre lo stato infiammatorio preesistente nello stato della popolazione.

Parla di rimedi della nonna, cioè di sane abitudini comportamentali snobbate dalle case farmaceutiche, perché contro gli interessi economici.

Dunque, noi di betapress ci chiediamo:” Perché bloccare tutto per un errore di approccio?”

Ed ancora” Se ci voleva un tempo di comprensione, questo periodo non poteva essere diminuito o annullato dall’ OMS?”

“Perché l’OMS non ha saputo o voluto dirci come stavano andando le cose?”

“E perché continuano ad ingannarci con la storia del vaccino per prolungare il lockdown?”

“Chi, come e quando saranno risarcite milioni di persone per tanto disastro economico, strazio sanitario e comportamento aberrante?!?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calo dei contagi???

 

Covid19, un nuovo futuro.




La sottomissione di Gregge

Ormai credo non sia più discutibile: ci sono cose che palesemente non vanno.

Ci sono dati che palesemente sono falsi e siparietti che sembrano costruiti ad hoc.

Eppure se ci si pensa bene siamo arrivati qui da un lungo cammino pre costruito:

sanità azzerata da folli rincorse a pareggi di bilancio senza scopi definiti, scuola distrutta negli anni da mancanza di fondi ed incompetenza, politica sempre più dei cani arrabbiati e non dei signori, industrie e posti di lavoro persi, ricerca inesistente, università ridotte alla stregua di licei, profondità di pensiero del paese lasciate in mano ad orde di ignoranti dichiarati.

Un popolo che non sa né leggere né scrivere, è un popolo facile da ingannare.”
CHE GUEVARA

Eccoci qua, popolo ignorante, senza ossatura industriale, in mano ai titanici sforzi della nostra PMI che più di tanto non può fare, sotto il controllo di uno stato di polizia fiscale perché altro non gli rimane.

Ed ecco che ingannarci è uno scherzo da bambini, basta dire quattro cavolate davanti ad un microfono et voilà il gioco è fatto.

Siamo lì, pronti a berci tutto purché sia una cosa momentaneamente rassicurante e che ci dica che siamo al sicuro, che tutto è a posto, che andrà tutto bene.

“Le masse sono abbagliate più facilmente da una grande bugia, che da una piccola.”
ADOLF HITLER

Eppure nonostante anni di storia non impariamo mai.

Bugie enormi, raccontate perché ormai non abbiamo più la memoria storica, bugie infinite che si perdono in rivoli di fake news, abbaglio di menti povere.

Siamo solo l’ombra di un popolo, appendiamo le bandiere alle finestre per coprire con la loro ombra le nostre mancanze.

Ci danniamo per capire chi ha inventato il MES ma non ci preoccupiamo del perché c’è.

Ci lamentiamo che il nostro paese dovrebbe ricevere quintali di miliardi di euro per parare il colpo della pandemia, ma non ci rendiamo conto che la pauperizzazione del nostro paese, perpetrata negli ultimi decenni, ci ha resi inermi di fronte a qualsiasi crisi.

Siamo una famiglia senza risparmi e con debiti con gli strozzini sia europei che mondiali.

Non avendo più un tessuto industriale in grado di reggere i colpi di un mercato asfittico e paranoico cadiamo come il colosso dai piedi d’argilla.

Ma ancora non ce ne stiamo accorgendo, ancora siamo stati messi in un bozzolo di sicurezza a suon di DCPM.

Il Popolo stava forse rendendosi troppo conto dell’imbecillità del suo governo ed allora ha giocato facile la paura, la pandemia, che forse poteva essere affrontata prima e meglio, ma magari farlo prima non era utile.

“Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. La sovranità gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione.”
BENITO MUSSOLINI

Cosa governa le masse? la Paura, la paura del diverso, dell’immigrato, della crisi, della pandemia.

No, certo che non sono uguali, è uguale solo il modo in cui vengono usate, puntualmente e spregiudicatamente.

Oggi non c’è più un governo italiano, oggi c’è un governo ombra che non ha interesse verso il popolo, ma cura altri interessi, che accetta la distruzione sistematica del tessuto produttivo a favore di potenze che non hanno a cuore il nostro paese e la nostra gente.

I fatti di quello che vi dico sono davanti a tutti voi, sono nella perdita della grande impresa italiana, nella distruzione dei marchi italiani, nella distruzione della scuola italiana, che oggi più che mai ha dimostrato la sua inadeguatezza (si difende solo perché il personale della scuola ha ancora una sua dignità), nei 2400 miliardi di debito pubblico, nella sanità mancata.

Sono nella banale mistificazione dei fatti: prendete subito 600 euro ma per farlo dovete richiedere il codice inps per accedere alla domanda, codice che vi viene dato se vi va bene dopo un mese (?!?!?! ma che c…o).

E nemmeno è più rimasta la dignità perché un governo per prendere decisioni nomina task force ad minchiam di gente che di certo voti non ne ha presi, perché per affrontare quelle problematiche noi abbiamo messo al governo delle persone, abbiamo votato delle persone che devono loro risolvere le cose, non affidare ad altri la responsabilità di risolverle.

Ma la piantiamo di passar sopra la sovranità del popolo????

Certo che un popolo gregge…

“Il popolo non è organizzato; perciò l’espressione della sua volontà è una mistificazione, perché i suoi organizzatori, i suoi mediatori – i partiti – hanno perso il contatto con il popolo.”
ADRIANO OLIVETTI

Io vedo un percorso pericoloso verso la sottomissione di gregge, utilizzando la paura e la preventiva distruzione di ogni risorsa dello stato.

L’uso criminale dei mezzi d’informazione, la mancanza assoluta di onestà intellettuale, non aver dato al popolo la possibilità e gli strumenti per leggere correttamente anche i media è l’atto criminoso più vigliacco dell’ultimo secolo.

“La nuova fonte di potere non è il denaro nelle mani di pochi, ma l’informazione nelle mani di molti.”
JOHN NAISBITT

Il fumo negli occhi, le risse tra politici, le continue polemiche, i battibecchi che portano molto lontano dalla verità, la facilità con cui la nostra attenzione ormai vaga su mille argomenti senza approfondirne nemmeno uno, l’iracondia che leggiamo in tutte le comunicazioni.

 

“Si dominano più facilmente i popoli eccitandone le passioni che occupandosi dei loro interessi.”
GUSTAVE LE BON

Da questo periodo usciremo forse avendo sconfitto il covid (ma a caro prezzo e poi non ne sono così sicuro), ma pagando un tributo altissimo sull’altare della nostra sovranità nazionale… infatti il duro colpo che è stato dato alla PMI è forse l’attacco peggiore al nostro paese degli ultimi anni.

Per ora aiuti non ce ne sono!

La cassa integrazione non è un aiuto è solo un palliativo, perché la produzione è ferma immobile, posticipare i pagamenti delle imposte non serve ad una mazza di niente perché le aziende prima o poi le dovranno pagare ed ora che non guadagnano nulla non possono certo accantonare.

La possibilità di ricevere prestiti agevolati è solo un modo per mettere ulteriori cappi al collo degli imprenditori, non dico nulla del contributo dei 600 euro perché è offensivo.

lo stato riceverà mille e mille miliardi dalla CE (balle) e comunque anche se fosse mica li regalano, li rivogliono (giustamente direi), quindi cosa abbiamo risolto?

Forse dobbiamo pensare a nuovi modi di supporto alle imprese, ricapitalizzazione con partecipazione dello stato, ti metto dei soldi ma poi parteciperò ai tuoi utili, utilizziamo il patrimonio artistico che possediamo per creare fondi di investimento per finanziare il capitale delle imprese.

Oppure facciamo cose strepitose, usciamo dell’europa che non ci ha aiutato manco per scherzo e creiamo una nuova unione italia-cina, la comunità Italina o Cinaliana.

Ma no, continuiamo a lamentarci dei governi, di conte, di salvini, di zingaretti, della meloni, di grillo, di dimaio, ma si dai andiamo avanti così!

Ma io vi esorto amici italiani, incominciamo a lamentarci di chi ha votato in tutti questi anni, incominciamo a lamentarci di noi, della nostra dignità, della dignità del nostro Paese.

“Il primo bene di un popolo è la sua dignità.”
CAMILLO BENSO, CONTE DI CAVOUR

Questa credo che un poco l’abbiamo persa, primo passo verso la sottomissione di gregge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conte ed i fantastici 17

Coronavirus, italiano addio, etica addio, riprendiamoci il paese, Avanti Savoia!

 




il silenzio degli innocenti … e dei colpevoli.

La strage degli innocenti, anziani, però…

Anziani, spesso con diverse patologie e non autosufficienti, ricoverati in strutture al massimo della loro capienza, con familiari e visitatori che entrano ed escono dall’edificio tutti i giorni.

Gli elementi per rendere le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) dei moltiplicatori del contagio c’erano tutti.

Ora, un’ indagine nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, fotografa la situazione all’interno delle strutture.

Su un totale di 4629 Rsa in Italia, di cui 2166 contattate dall’Iss, 577 hanno risposto alle domande, il 24% sul totale delle strutture nel Paese.

Secondo la ricerca, su 44.457 residenti (in 572 strutture, al 1° febbraio 2020) fino alla data di compilazione del questionario (tra il 26 marzo e il 6 aprile) i morti sono 3.859, l’8,4% (nel calcolo del tasso di mortalità sono stati compresi i nuovi ingressi dall’uno di marzo).

La Lombardia, con 1.822 decessi calcolati da febbraio, è in assoluto la regione che ha registrato più morti nelle residenze, a grande distanza da tutte le altre regioni.

Il Veneto è seconda per numero di morti (760).

La Lombardia è anche la regione che in Italia presenta la maggiore concentrazione di case di cura per anziani (677), seguita sempre dal Veneto, che ne ha 521.

La percentuale di decessi sugli ospiti delle strutture in Lombardia è del 47.2%, quella del Veneto del 19.7%.

A livello nazionale, dei 3.859 soggetti deceduti, 133 erano risultati positivi al tampone e 1.310 presentavano sintomi simil-influenzali.

 Il 37.4% dei morti aveva i sintomi del Covid-19.

Il tasso di mortalità fra i residenti, considerando i decessi legati al Covid-19, è del 3.1% a livello nazionale, ma sale fino al 6.8% in Lombardia.

«Da un ulteriore approfondimento, risulta che in Lombardia e in Liguria circa un quarto delle strutture (rispettivamente il 23% e il 25%), presenta un tasso di mortalità maggiore o uguale al 10%», spiega il rapporto.

 

Il caso Lombardia 

In Lombardia, il 51.3% di coloro che erano positivi al Covid-19 e che presentavano sintomi, è morto.

Al 6 aprile, in Lombardia risultano ancora 163 positivi al Covid-19 (risultati da tampone) nelle strutture del territorio.

Nella regione, il 49,7% dei deceduti è morto tra il 16 e il 31 marzo.

L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Giulio Gallera, in conferenza stampa ha dichiarato di aver diffuso un primo documento di linee guida destinate alle Rsa del territorio il 23 febbraio, indicando alle strutture di limitare fortemente gli accessi dei visitatori esterni.

Una seconda comunicazione l’8 marzo, per bloccare totalmente le visite dei parenti e prescrivere che tutti coloro che avevano una sindrome simil-influenzale fossero isolati, a prescindere dal tampone.

In alcune strutture la chiusura però è arrivata tardi: il quotidiano di Pavia La Provincia Pavese scriveva il 21 marzo «chiuse da oggi le Rsa Pertusati e Santa Croce».

A Milano sta facendo discutere il caso del Pio Albergo Trivulzio, la più grande residenza sanitaria assistenziale d’Italia, dove secondo un’inchiesta di Repubblica si è registrato un numero di morti anomale e i contagi non sono stati comunicati.

Il Trivulzio in una nota si è giustificato dicendo che su un totale di 1.012 persone all’interno della struttura, a marzo si sono registrati 70 decessi, in linea con quelli dell’anno precedente.

La procura di Milano ha aperto un’inchiesta mentre il viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri ha annunciato di avere mandato gli ispettori.

Anche la direzione regionale ha voluto istituire una commissione esterna di controllo, annunciata all’inizio di questa settimana.

 

Tamponi e mascherine: le Rsa senza protezioni 

Secondo l’Istituto superiore di sanità, le Residenze sanitarie assistenziali «sono strutture importanti e fragili nella dinamica di questa epidemia. Oltre alle misure in essere è molto importante adottare una speciale attenzione nella prevenzione e controllo».

Ma i problemi sono molti, in Lombardia e non solo.

Secondo la ricerca dell’Iss, a livello nazionale (547 Rsa rispondenti) l’85.9% delle strutture ha riportato la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale, mentre il 17.7% ha riportato una scarsità di informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l’infezione.

L’11.9% segnala una carenza di farmaci, il 35.1% l’assenza di personale sanitario e l’11.3% difficoltà nel trasferire i residenti affetti da COVID-19 in strutture ospedaliere.

E’ evidente che le Rsa non erano preparate a gestire l’emergenza, le Rsa sono luoghi dove si accolgono persone anziane non autosufficienti e pluripatologiche, non sono ospedali.

Pensare che il Covid-19 non potesse entrare lì è stato l’errore più grave. Bisognava cominciare a preparare molto prima i gestori su cosa fare quando il contagio sarebbe arrivato.

Ma fino a due settimane fa, lo sguardo di Regione Lombardia, è andato solo in direzione degli ospedali, dopo quasi un mese e mezzo che il contagio era avviato», dice Valeria Negrini, presidente di Confcooperative-Federsolidarietà, l’ente che unisce 1200 cooperative che svolgono servizi nel terzo settore, tra cui l’ambito delle Rsa, nel territorio lombardo.

Nelle Rsa della cerchia di Confcooperative-Federsolidarietà, i problemi ricalcano quelli sollevati dall’Istituto superiore di sanità.

«Le consegne di mascherine e dispositivi di protezione stanno migliorando, ma non in maniera sufficiente. I tamponi sono ancora limitati, ci si è concentrati sui casi sintomatici e non c’è stato tracciamento dei potenziali positivi.

Solo dieci giorni fa si è iniziato con le ATS che hanno iniziato a chiedere alle strutture quanti tamponi avessero bisogno per avviare un primo screening di casi sintomatici, paucisintomatici e di contatti a rischio di queste persone», spiega Negrini.

Anche per il personale sanitario si riscontrano problemi simili a quelli degli ospedali.

«Non è così chiaro se il test sia estendibile a tutti gli operatori», dice Negrini.

«Le ATS chiedono la lista dei paucisintomatici da tamponare, ma ufficialmente solo il personale che rientra dalla quarantena va tamponato per essere sicuri che non sia più contagioso».

Secondo il sondaggio Iss, su 560 strutture sul territorio nazionale, il 17,3% ha dichiarato una positività per SARS-CoV-2 del personale della struttura. In Lombardia questa percentuale sale al 34.6%.

Anche l’isolamento costituisce un problema per molte strutture:

se a livello nazionale il 47% delle Rsa dichiara di poter disporre di una stanza singola per i residenti con infezione confermata o sospetta, o stanze dove poter mettere più di una persona (30%), il 24.9% dichiara di avere difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid-19.

L’operazione è difficile soprattutto per le strutture più piccole (a livello nazionale, la media è di 80 posti letto a struttura).

«Nelle strutture con 40 o 50 posti spesso non ci sono gli spazi per riorganizzare», spiega Negrini.

Negrini denuncia inoltre come non sia stato fornito il personale medico adeguato a trattare i casi di Covid.

«Pneumologi e infettivologi sono figure fondamentali.

La Regione deve dire alle ASST (Aziende socio sanitarie territoriali, ndr) di fornire consulenza specialistica e personale specifico alle Rsa, e deve stabilire che vada fatta per tutto il territorio lombardo».

Nell’indagine dell’Iss, su 568 strutture che hanno risposto alla domanda, il 63.9% dice di non aver ricevuto una consulenza ad hoc per la gestione clinica e/o di prevenzione e controllo per COVID 19.

 

Negrini: «La Regione ha sbagliato a usare le Rsa per i pazienti Covid»

Negrini definisce inaccettabile la richiesta da parte di Regione Lombardia alle Rsa di accogliere pazienti Covid-19 per alleggerire la pressione sugli ospedali:

una questione sollevata anche dal vicepresidente del consiglio regionale lombardo Carlo Borghetti e dal capo delegazione Pd in commissione sanità Gian Antonio Girelli.

L’assessore Gallera, in conferenza stampa il 7 aprile, ha detto:

il numero di pazienti Covid positivi trasferiti in Rsa è stato «limitatissimo», 150 pazienti spostati in 15 strutture

le persone sono state collocate in palazzine e padiglioni separati, con personale dedicato e solo su disponibilità delle singole Rsa

questa scelta «ha salvato delle vite».

Ma per Negrini «la richiesta in sé aveva una logica sbagliata.

Qualche Rsa si è contagiata per aver accolto pazienti Covid».

Regione Lombardia, peraltro, ha chiesto disponibilità alle Rsa ad accogliere pazienti non classificati come Covid (ma potenzialmente positivi, provenendo dall’ospedale), il che potrebbe rappresentare un’ulteriore fonte di contagio all’interno delle strutture.

La situazione è ancora critica.

«Il tampone viene fatto solo in alcuni casi.

Le morti sono attribuite al coronavirus solo se risulta un tampone positivo.

Che ci sia una sottostima nel numero di morti è indubbio», ha detto Giovanni Rezza dell’Iss.

G.V., un infermiere di una residenza privata convenzionata a Cinisello Balsamo, racconta che un intero piano della Rsa in cui lavora è diventato un reparto Covid.

Ci lavorano 6 infermieri, un medico e operatori assistenziali (OSS e ASA), per 109 ospiti ed hanno cominciato a fare i tamponi ai pazienti soltanto a partire da questa settimana.

Per il momento ne sono stati selezionati 8, nonostante il numero dei sospetti sia molto superiore.

Tutti sono risultati positivi, e quattro di questi sono già morti.

I dpi inizialmente erano «inesistenti», dice G.V.

Avevano solo mascherine chirurgiche usa e getta che hanno tenuto per due giorni di fila.

Ogni settimana muoiono 3-4 persone, ma nessuno è ancora stato portato in ospedale, in parte perché i familiari si sono opposti, in parte perché la direzione sanitaria ha ritenuto che intubarli fosse inutile.

Lo stesso G.V. ha probabilmente contratto il Covid una decina di giorni fa. Con la febbre a 37,5, è stato mandato a casa e messo in isolamento fiduciario per 14 giorni.

Nel frattempo, un’altra sua collega si è ammalata.

Facevano già turni da 12 ore.

Lui dovrebbe tornare al lavoro alla fine di questa settimana: sarà tra i primi a cui viene fatto il tampone.

Nel frattempo, la struttura è stata segnalata all’ATS.

«A questo punto, al rientro mi aspetto di tutto», dice.

E noi di betapress con lui, perché la strage degli innocenti, anziani, continua, ora dopo ora, giorno dopo giorno…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calo dei contagi???

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.




Scuolexit???

Il ritorno a scuola

Sembra proprio che l’Europa non esista neanche più sulla carta.

Non c’è un punto di contatto, tra i diversi stati membri europei, né sulla gestione dell’emergenza sanitaria, né sulle risposte alla recessione economica, né sulla ripresa delle attività lavorative.

Basta guardare cosa sta succedendo alla scuola.

In Italia, epidemiologi e medici, chiamati a dare consulenza al governo italiano, propendono per la chiusura delle scuole fino a settembre.

Il Miur si interroga su come riprendere le attività scolastiche salvaguardando le misure di sicurezza, prima di tutte il distanziamento sociale, ma non ha né certezze sulla didattica a distanza, né verità sull’organico in presenza.

In Francia, invece, si ritorna a scuola a maggio.

Ad annunciare un graduale rientro in classe è stato il presidente francese Emmanuel Macron nel suo messaggio ai francesi.

Il ministro dell’Istruzione Michel Blanquer ha precisato che sarà progressivo e “non da un giorno all’altro”.

Il criterio seguito dal governo francese sarà soprattutto sociale: saranno gli alunni delle zone più in difficoltà a riprendere prima degli altri.

“Bisogna salvare gli studenti che potrebbero andare alla deriva a causa del confinamento”, ha avvertito Blanquer, aggiungendo “Sono le fasce più fragili che ho innanzitutto in testa”.

Viceversa, in Danimarca, tutti a scuola dal 15 aprile

 

A fare la scelta più drastica sono stati i danesi: la premier Mette Friedriksen ha annunciato di riaprire asili nido e scuole dell’obbligo da mercoledì 15 aprile.

L’idea del governo danese è che per riprendere una vita normale, chiedendo ai genitori di tornare a lavorare è necessario che i bambini e i ragazzi tornino in classe.

Il governo di Copenhagen è pronto a innestare la retromarcia nel caso in cui il numero dei contagi, ora basso, dovesse crescere di nuovo.

 

Da mercoledì dovrebbe scattare la fase due anche in Norvegia: riaprono asili nido e scuole primarie.

 

In Spagna, si spera di tornare a scuola tra maggio e giugno

 

La Spagna che è stata colpita gravemente dal Coronavirus come l’Italia sta da alcune settimane riflettendo sulla questione dei giovani e dell’educazione.

La settimana scorsa si è riunita la commissione che si occupa dell’emergenza e l’indicazione è di provare con aperture scaglionate, diverse da regione a regione a seconda della condizione dell’epidemia, a partire da maggio.

A Madrid sperano di cominciare a riaprire a giugno, non tutte le scuole ovviamente. Ma il messaggio è positivo.

 

In Germania la decisione definitiva non è stata ancora presa (è prevista mercoledì 15), ma l’accademia delle scienze nazionale, l’Accademia Leopoldina, ha raccomandato un graduale allentamento delle restrizioni.

 

Per le scuole si prospetta un rientro a scaglioni, per età:

prima i ragazzi delle elementari e quelli delle medie, perché sono quelli ai quali la chiusura delle scuole fa più danno esasperando il ritardo di chi è già svantaggiato.

Secondo l’avviso degli esperti si dovrebbe partire dagli studenti delle ultime classi di ciascun livello dividendoli in gruppi al massimo di 15 alunni e concentrandosi solo su alcune materie:

tedesco, matematica e per le scuole secondarie anche la lingua straniera.

Il rientro a scuola dei ragazzi delle superiori è visto come meno urgente: loro infatti sono quelli che possono continuare a giovarsi con maggior profitto della didattica a distanza.

Sono senza parole.

Ma perché mai gli altri stati europei hanno tutte queste certezze e verità?!?

Programmi, scadenze, priorità ed esecutività…

Se è vero che la scuola è palestra di vita, è mai possibile che in Italia alleniamo i nostri alunni all’incertezza sul da farsi, educhiamo i nostri allievi a procrastinare le scelte di campo:

insegniamo a temporeggiare per poi rincorrere gli eventi quando ormai la situazione è precipitata?!?

Se è vero che la scuola è un microcosmo sociale, allora è vero che in Italia navighiamo a vista, scorgendo sempre e solo la punta dell’iceberg?!?

Se il Titanic ha un so che di romantico, la nostra povera Italia, è proprio solo “nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello…”

Mi auguro solo che i nostri cari politici che continuano ad invocare il modello Italia come esempio da seguire nella gestione dell’emergenza, inizino ad aprire gli occhi!

Direi anche che comincino a valutare se non c’ è forse un modello extra-Italia, più efficace ed efficiente, a cui conformarsi, perché anche noi italiani abbiamo tanto bisogno di certezze e verità, almeno tra i banchi di scuola…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo




L’origine di tutti i mali.

Sono convinto che l’origine di questa crisi sia stato il colossale fallimento del mercato e delle politiche neoliberali che hanno intensificato i profondi problemi socio-economici.

Si sapeva da tempo della possibilità che si verificassero pandemie dovute soprattutto alle trasformazioni dell’epidemia di SARS.

Per limitare i danni avrebbero potuto lavorare sui vaccini, sullo sviluppo di una protezione per potenziali pandemie da coronavirus, e con lievi modifiche avremmo potuto avere i vaccini disponibili oggi ma è più redditizio fare nuove creme per il corpo che trovare un vaccino che protegga la gente dalla distruzione totale.

La crisi sanitaria del coronavirus è molto grave e avrà gravi conseguenze, ma sarà temporanea, mentre ci sono altri due gravi orrori per l’umanità: la guerra nucleare e il riscaldamento globale.

Il problema più complesso da risolvere, però è quello che riguarda il cambiamento di mentalità, tema trattato ampiamente nella mia tesi di laurea.

Mi riferisco alla transazione di uno sviluppo sostenibile e non solo tanto all’attenzione a chiudere il rubinetto dell’acqua mentre si lavano i denti, a ridurre gli sprechi alimentari, a minimizzare il consumo di energia, ad avere migliori stili di vita, tutti elementi comunque importantissimi “a prescindere”, ma mi riferisco alla trasformazione della cultura e dei modelli con cui interpretiamo, e quindi trasformiamo nella direzione voluta, la realtà.

La trasformazione che dobbiamo operare riguarda i parametri con i quali misuriamo il successo di un Paese e il benessere collettivo e dei singoli, oltre che la sua equità e la sua sostenibilità nel tempo.

Non esiste nessun sistema economico sano se non c’è la biosfera sana. Perché per definire il “profitto” lo si trae dagli elementi economici e dal lavoro delle persone.

Non può crescere il PIL di una nazione all’infinito ma alla fine bisognerà fare i conti con quella stagnazione perché saranno finite le materie prime o le fonti di energia.

Affiancare al PIL indicatori di benessere “a tutto tondo” non è una pura operazione tecnico-statistica, ma un passo fondamentale verso un cambiamento della cultura dominante, il quale può avere impatti rilevanti sulle preferenze collettive e quindi sulle politiche, fermo restando che, per un Paese come l’Italia caratterizzato da un alto debito pubblico, l’esigenza di produrre il reddito necessario per farvi fronte si pone in maniera più pressante rispetto ad altri Paesi meno deboli.

Ci troviamo, quindi, in un momento critico della storia umana e non solo a causa del coronavirus.
Questo dovrebbe portarci alla consapevolezza dei profondi difetti del mondo, delle profonde e disfunzionali caratteristiche dell’intero sistema socio-economico, che deve cambiare se vogliamo sopravvivere nel futuro.

La crisi del coronavirus ci induce a pensare a quale tipo di mondo vogliamo, un mondo in cui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con la consapevolezza che senza un cambiamento radicale non riusciremo mai a realizzare la trasformazione al tempo dell’Antropocene.

D’altronde, questo è esattamente ciò che Papa Francesco intende quando si richiama alla necessità di una “ecologia integrale” in grado di tenere insieme l’ecosistema e quello che ho chiamato “sociosistema”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ing. Raffaele Falzarano




Conte ed i fantastici 17

A pensar male si fa peccato ma spesso  ci s’indovina.

Lo diceva uno che di politica e accordi di palazzo se ne intendeva.

Giulio Andreotti, un politico che ha attraversato oltre mezzo secolo di attività parlamentare ed istituzionale nei momenti più difficili della storia contemporanea del nostro paese, deve aver pensato male molte volte a giudicare dalla longevità della sua carriera.

E pensare male, oggi, purtroppo, è facile perché non mancano paradossi ed incompetenze a tutti i livelli amministrativi e di governo.

Così la decisione di dotare l’apparato politico di un team per la fase II costituito da 17 tecnici guidato dal manager Vincenzo Colao suscita qualche lecita perplessità.

È evidente che il mondo post covid sarà diverso da quello che abbiamo lasciato e che la società dovrà convivere con il distanziamento sociale, lo smart working e la de-globalizzazione.

È altresì facile da immaginare che via via che l’epidemia rallenterà la sua devastante corsa la riapertura delle attività diventi un soggetto di attualità che presupponga competenze e capacità manageriali non di poco conto.

Questo spiega gli intenti nobili alla base del gruppo tecnico che annovera:

top manager, economisti, sociologi, una psicologa ed uno psichiatra, un fisico, uno specialista del lavoro, un’avvocato, un commercialista ed un esperto di disabilità.

Perché pensare male, allora?

Il Governo fino ad oggi ha operato nel quadro dell’emergenza con lo strumento dei decreti legge che hanno  limitato la dialettica parlamentare.

Il Premier Conte ha esercitato con abilità le leve della comunicazione e la difficile partita in Europa con la consapevolezza che non sarà, tuttavia, possibile procrastinare all’infinito la chiusura delle piazze e le decisioni politiche fondamentali.

Le misure di sostegno all’economia  ed il nodo degli aiuti comunitari che è stato rinviato al Consiglio Europeo convocato per fine aprile sono ancora allo stato iniziale ben coperti da una sorta di segreto istruttorio.

La nomina di un super manager ed un team di esperti nasconde, per questi motivi, obiettivi ben più ampi del miglioramento dell’azione dell’esecutivo.

Vi sono almeno due strategie che possono riposare nell’intento di cementare il governo mettendolo al riparo dai giudizi dell’opinione pubblica, dai conflitti interni e dall’opposizione parlamentare.

La prima riguarda la tenuta e la popolarità dell’esecutivo di fronte all’agenda delle prossime scadenze.

L’emergenza virale è divampata in un quadro economico mondiale già in buona parte recessivo.

Le misure di sostegno verranno alla fine prese con o senza adesione al Meccanismo Europeo di Stabilità.

Il paese vedrà venire alla luce nuove tasse, una patrimoniale e tagli alla spesa pubblica ed alle pensioni.

Si tratterà di decisioni impopolari che colpiranno un sistema economico indebolito ed un quadro sociale instabile generando conflitti e vuoti di consenso che potrebbe essere più conveniente scaricare su una squadra di tecnici piuttosto che sul premier ed i suoi uomini.

Conte andrà al prossimo Consiglio d’Europa con le spalle più forti e sarà facile pretendere dal super manager Colao ed i suoi economisti una “moral suasion” sull’ineluttabilità delle decisioni da prendere in sede comunitaria, anche se assistite da ipotesi rigoriste.

Un modus operandi che troverà applicazione per tutte le manovre che si abbatteranno sui risparmi di famiglie ed imprese e che dovranno comunque essere assunte.

Si può pensare ad un modo politically correct di togliere le patate dal fuoco ad un governo segnato dall’insicurezza e travolto dalle emergenze delle ultime settimane.

C’è poi un secondo obiettivo non meno importante.

La necessità di portare a termine la legislatura con un governo “politico” e procedere all’elezione del Presidente della Repubblica in un quadro di maggiore stabilità.

Negli ultimi tempi, infatti, l’ipotesi di un ribaltamento di Conte in favore di un governo tecnico stava prendendo piede.

L’idea era quella di riconciliare l’azione politica intorno ad una figura di ampio respiro internazionale in grado di far contare di più l’italia in europa e sui mercati internazionali.

Una scelte dovuta alla luce del degenerare della situazione economica e delle scelte necessarie per il rilancio dell’economia.

È evidente che un governo tecnico avrebbe ri attualizzato le dinamiche politiche già in atto nel paese ed evidenziato lacune e ritardi nelle azioni assunte negli ultimi mesi.

Non è chiaro di chi sia stata la decisione di nominare una squadra di specialisti guidata da un manager già noto al mondo della finanza internazionale da affiancare al governo in carica, né i ruoli che verranno distribuiti per dotare il nascente team di poteri e ovviamente di centri di decisione e responsabilità.

Alcuni hanno già immaginato ad una polizza assicurativa offerta a Conte dal Quirinale.

Non è altre sì da escludere che l’iniziativa abbia messo d’accordo Partito Democratico e renziani   molto più disponibili ad una manovra economica a guida europea e certamente più spaventati di un ritorno di consenso negativo durante la Fase II.

Per capirci, quella, cioè, che dovrà misurarsi obbligatoriamente con le nuove regole della vita sociale ed economica ma anche con le maggiori tasse ed imposte.

La cosa certa è questa:

il Premier dovrà fare, ancora una volta, buon viso a cattivo gioco e confrontarsi con un un corpo tecnico che potrebbe rivelarsi utile per appannare la responsabilità delle scelte impopolari, ma anche fornire il profilo del prossimo Presidente del Consiglio e la lista dei nuovi ministri.

La politica è l’arte del possibile, ma le risposte non mancheranno ad arrivare e, come spesso accade, anche le sorprese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus, italiano addio, etica addio, riprendiamoci il paese, Avanti Savoia!

Coronavirus: l’Italietta, come al solito…

CORONABOND e ITALEXIT: FALSI PROBLEMI




CHI, COSA, QUANDO, DOVE, PERCHÉ …

“Oggi più che mai l’informazione influenza la nostra vita e la nostra sicurezza. Le notizie sono una cosa seria. Fidatevi dei professionisti dell’informazione…”

Questo è il testo di un comunicato che viene insistentemente diffuso da reti televisive, invitandoci a diffidare delle fake news, cioè delle false notizie o, più in generale, delle notizie inventate, in tutto o in parte, che danno dei fatti una versione distorta quando non addirittura ingannevole.

La pratica delle fake news spesso crea una verità fittizia adattata alle aspettative e alla emotività della gente.

L’avvertimento di fare attenzione all’informazione che viene divulgata sarebbe superfluo se chi fa di professione il comunicatore avesse sempre ben presente la Regola delle 5W  che viene dall’inglese come pure dall’inglese viene fake news.

Le 5W, come ogni giornalista ben sa, stanno per Who (chi), What (che cosa), When (quando), Where (dove) e Why (perché) e sono i pilastri sui quali poggia la notizia da diffondere.

Se ci si attiene a questa vecchia ferrea norma è ben difficile che si divulghino notizie fasulle.

Oltre che promemoria tecnico per determinare e mettere in sequenza i contenuti di un pezzo, la regola ha anche una valore morale, un metro deontologico cui si può aggiungere, volendo essere rigorosi, un ulteriore elemento:

le circostanze come indicava già otto secoli fa San Tommaso d’Aquino.

Nel suo libro Summa theologiae egli accanto agli elementi precursori dell’attuale Regola delle 5W poneva anche il Quantum (quanto), il Quomodo (in che modo) e il Quibus auxiliis ( con quali mezzi). 

Così impostata, l’informazione non poteva e non può che attenersi al corretto e lineare rendiconto della realtà. 

Il guaio è che oggi nel fornire notizie e dati su un certo argomento si è passati dall’informazione alla narrazione.

Quindi dalla esposizione chiara e ordinata dei fatti si è passati, per dirla in inglese, allo storytelling il cui scopo è anche quello di coinvolgere, affascinare e stupire: in definitiva, influenzare il pubblico cui le news sono dirette.

Un tempo questo obiettivo era appannaggio del marketing e della pubblicità per far incontrare la domanda e l’offerta di beni e servizi in un finale happy end.

Tutti contenti perché il valore percepito di una acquisto era soddisfacente per l’acquirente ed il prezzo pagato era remunerativo per il venditore.

Oggi, dello storytelling si è appropriata anche la comunicazione politica.

E qui sta il rischio perché la narrazione si distacca in tutto o in parte dal reale e spesso costruisce una verità sostitutiva, una “rappresentazione “ avvincente ma falsa.

Ci sono atti del Governo e del Parlamento che sbalordiscono per come sono presentati, si pensi a Salva Italia, Svuota carceri, Spazza corrotti, Pace fiscale ed altri che, più che provvedimenti normativi, sembrano accattivanti titoli di romanzi che affascinano le folle e ne catturano il consenso, agevolando chi governa nel mantenere e consolidare il proprio potere.

 

 

 

 

 

 

 

La libertà di stampa

L’indipendenza di Stampa

 




La meraviglia è dietro l’angolo

 

La nostra società era già intimamente infettata dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie ben prima dell’arrivo del Covid-19.

Ed oggi, nel giorno di Pasquetta 2020, è solo tutto più evidente.

Pensavamo che i nostri tempi non ci avrebbero potuto riservare sorprese inedite ed invece eccoci giunti a un incrocio storico decisivo, a una crisi che ci domanda una presa di responsabilità collettiva.

Cosa ne sarà di me?

Del mio lavoro, del mio futuro, della mia vita e di quella dei miei cari?

Per tentare di calmare questa crisi d’ identità, continuano a dirci che siamo in una guerra, dove occorre sacrificarsi compatti, in nome del ritorno alla normalità, normalità che ci stiamo lasciando alle spalle, non per colpa nostra, ma per un microscopico virus.

Ma non è così!

Perché, oggi essere responsabili e realisti significa non voler più ritornare alla normalità, significa evitare di ricostruire quella normalità indesiderabile ed irrazionale antecedente il virus.

Andare avanti significa dare risposte nuove alle nostre vite singole e in comune, accompagnando studio tenace, impegno concreto e proposta realizzabile per ogni passo futuro. 

Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è tempo di ricostruire una società malata, ma di costruire una società più giusta dove nessuno sia lasciato ai margini economici, sociali, territoriali.

Se dovessimo decidere di percorrere questa strada, potremo trovare sul nostro cammino alcune sfide irrimandabili, locali e globali al medesimo tempo.

Una è quella ecologica.

I virus sono connessi alla distruzione degli ecosistemi e delle biodiversità, all’urbanizzazione selvaggia, all’agricoltura e all’allevamento intensivo, all’inquinamento e ai cambiamenti climatici in generale.

Ci uccidono molto più queste cose che il Covid-19, che è soltanto l’ennesima dimostrazione di quanto vi sia la necessità irrimandabile, pena un futuro pieno di fenomeni catastrofici, di definire un modello di sviluppo generativo e non estrattivo, in grado di produrre salute e benessere e non più di sottrarne.

Un’altra riguarda il modello di lavoro e consumo.

In pochi giorni, la fragilità delle lunghe e disperse catene globali della produzione è emersa con forza.

La globalizzazione capitalistica, non solo non ha prodotto uno spazio liscio dove tutti abbiamo le stesse opportunità (moltiplicando forme di disuguaglianza e sfruttamento) …

ma sta dimostrando la sua incapacità di affrontare dei cambiamenti se non mettendo a rischio milioni di posti di lavoro.

Tutto il contrario dell’efficienza, tutto a discapito di chi lavora.

È tempo di mettere in discussione il cosa e il come si produce, puntando sull’innovazione tecnologica, la formazione permanente, i diritti e le tutele, la piena democrazia nei luoghi di lavoro.

In terzo luogo, se non stiamo attenti, anche a emergenza conclusa le nostre libertà continueranno a essere compromesse da misure straordinarie.

Lo erano già, sia per le disuguaglianze economiche e sociali, che impediscono di poter esercitare i propri diritti di cittadinanza e dunque di avere la stessa voce, che per lo strapotere dei grandi colossi del mondo digitale che mettono a valore i nostri dati e influenzano le nostre opinioni e comportamenti.

Sul controllo democratico dei dati e sulla trasparenza del web si giocherà un’altra sfida decisiva.

Per fortuna, la rinnovata fiducia nella scienza ci aiuterà a dare risposte migliori alle paure legittime, spazzando via al tempo stesso quelle indotte dalle balle xenofobe.

E soprattutto, stiamo capendo che le paure e l’incertezza si affrontano con più benessere e sicurezza collettiva, investendo sui servizi, sul lavoro, sul reddito delle persone, sulla sanità, l’istruzione, il welfare, la ricerca. 

Immaginare una nuova universalità della cittadinanza non sarà essenziale soltanto per migliorare materialmente le vite della maggioranza delle persone, ma anche per rafforzare la qualità della democrazia e della convivenza.

Anche nei piani alti della Bce e di tutti gli altri attori della governance europea e mondiale si stanno rendendo conto che non si può andare avanti in questo modo, ma è troppo tardi per dare loro credito.

Occorrerà dare battaglia per costruire un nuovo sistema economico, finanziario, fiscale a favore della maggioranza delle persone e non più di pochi privilegiati.

Infine, la sfida più importante siamo proprio noi.

Dobbiamo ingaggiare una lotta innanzitutto con noi stessi, con i sentimenti dominanti e diffusi che sono un misto di impotenza di fronte al mondo, anche quando siamo consapevoli che va male, e di paura di non riuscire a realizzarsi professionalmente e personalmente.

Ciò ci ha spesso costretto ad arrenderci e a conformarci agli eventi, anche a quelli più ingiusti e umilianti.

Ammettere a vicenda le nostre paure, i nostri problemi, i nostri desideri, è il primo passo per liberarci dalla zavorra del senso di impotenza, del sentirsi spettatori del mondo e unici responsabili del nostro destino individuale:

scoprendo che l’unico modo per cambiare anche le nostre singole vite è diventare attori, costruendo con tanta pazienza, solidarietà e cura, una nuova volontà collettiva.

Con il dolore per le morti e i contagi, la sofferenza per la perdita dei posti di lavoro, per le distanze, i progetti interrotti, lo smarrimento individualizzato ma condiviso, questo virus ci sta costringendo ad aprire gli occhi e a respirare aria nuova come mai avevamo fatto.

Probabilmente entreremo sul serio in una nuova recessione globale. Altrettanto probabilmente l’Europa per come l’abbiamo conosciuta non esisterà più.

Le premesse per alcuni cambiamenti epocali ci sono tutte.

O ci prendiamo in carico la costruzione dei giorni che verranno o purtroppo collasseremo insieme a chi ci proporrà strade già battute.

Siamo immersi in un mondo ingiusto e malato da ben prima dell’arrivo del coronavirus, dove tutto ciò che era tremendamente irrazionale veniva presentato quasi sempre come l’unica strada possibile e praticabile.

Ci sembrerà impossibile e servirà tanto impegno, entusiasmo e soprattutto tanta immaginazione per coniugare pragmatismo e utopia, ma …

ad ognuno di noi, segnato per sempre da questa emergenza, sta il compito di costruire, in ogni luogo, da quelli di lavoro alle città, dal più piccolo paese alle università, un’alternativa credibile, realistica e praticabile di società.

La storia non è finita e ci meritiamo molto di più dalla vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus: andrà tutto bene?