La bellezza salverà il mondo

È importante circondarci di bellezza?

La bellezza di un ambiente, può migliorare l’indole di un individuo?

“La bellezza salverà il mondo” faceva dire Dostoevskij al principe Myškin dalle pagine de L’Idiota.

Per qualche minuto, poniamoci il problema sollevato da questa chiosa.

La bellezza influisce su di noi? E come?

La bellezza ci migliora?

Qual è il rapporto di causa ed effetto tra ambiente e socialità?

Alziamo la posta: 

nei quartieri degradati c’è la malavita perché i quartieri sono degradati o viceversa: la malavita esiste perché prospera nel degrado?

Questa è la provocazione sollevata dal prof. Alessandro Bianchi, Rettore dell’Università Telematica Pegaso, nella sua prolusione all’evento Ri-Genera Tour.

Ri-genera è un ciclo di appuntamenti di formazione itineranti coordinato dal prof. Bianchi e dal prof. Mauro Minelli, presidente del Corso di Studi in Scienze Motorie della stessa Università.

Il tema del ciclo è stato il rapporto tra ambiente e salute.

Un ambiente bello, curato, civile, nel senso etimologico del termine, ovvero adatto al civis, al cittadino, un ambiente così fatto, può influire sulla buona condotta e sulla buona salute dell’individuo?

La responsabilità dell’urbanista, di chi architetta la sinfonia del nucleo abitativo, è forse quello di impattare così profondamente sull’anima umana da indirizzarne l’indole?

La responsabilità del nutrizionista è quello di e proteggere l’organismo dall’impatto dell’ambiente esterno preparandolo al meglio?

Forse sì.

Se è facile pensare che un ambiente salubre facilita il nostro benessere fisico, pensare che un ambiente bello e armonioso possa aiutare il nostro benessere sociale richiede uno sforzo in più.

Ma non perché non sia giusto e logico, ma perché non siamo abituati a pensarlo.

La bellezza salverà il mondo?

Forse sì, o, comunque, può essere usato come strumento impattante.

Allontaniamoci per un attimo dai contenuti fedeli della lezione e facciamo una riflessione parallela.

Nel 1969 il professor Philip Zimbardo fece un esperimento che dimostra la viralità dell’atto vandalico.

Prese due auto identiche e ne posteggiò una nel Bronx, quartiere povero e periferico, un’altra nella ricca e tranquilla Palo Alto.

Nella prima parte dell’esperimento, accadde quello che tutti ci aspettiamo possa accadere: dopo una settimana, la macchina posteggiata nel Bronx venne smantellata e depredata di ogni pezzo; la macchina posteggiata a Palo Alto restò intonsa.

La seconda parte dell’esperimento, portò ad un interessante stadio successivo.

I ricercatori ruppero un vetro della macchina posteggiata a Palo Alto; in poco tempo la stessa auto fu oggetto di furti e vandalismo che ridussero la vettura come la gemella del Bronx.

Ecco quindi che si nota che quando ci troviamo davanti a qualcosa già manomessa o sgradevole, una parte di noi si ritiene giustificata a portare avanti il disordine.

Quando una strada è piena di cartacce, ci sentiamo più giustificati a buttare anche noi un rifiuto fuori dal cestino rispetto a quando ci troviamo su una strada pulita.

Quando visitiamo città ordinate e pulite, ci sentiamo in dovere di essere ordinati e puliti a nostra volta.

Com’è bello l’animo umano che si adatta all’ambiente circostante e come è potente la vocazione di chi vuole e può, col suo operato, migliorare gli animi.




Chi è lo schiavo e chi è il padrone?

Riflessioni a seguito della lettura de La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe

Noi, che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, che troviamo, tornando a sera, il cibo caldo e visi amici, consideriamo la nostra umanità.

L’incipit di questo articolo è chiaramente una parafrasi della poesia “se questo è un uomo” di Primo Levi.

Ho scelto queste parole perché, lo confesso, sono in difficoltà nel trovarne di mie.

Come tanti, sono una lettrice di romanzi, di essi mi piace il fatto che, naturalmente, passano sottobanco una serie di stimoli che da sola non saprei neppure di voler cercare.

Purtroppo questo non è del tutto un bene perché non sempre quello che troviamo è quello davanti a cui vogliamo trovarci.

Il lettore sa che può capitare che si legga per il piacere di farlo e poi, alla fine, ci si ritrovi come “scomodi”.

Un sorta di spina nella carne, come mutuava Kierkegaard da Paolo di Tarso.

Ma forse la letteratura, come l’arte in genere, potrebbe essere questo: un pungiglione.

Alle volte potrebbe venire da pensare che se concilia non è arte.

Ma torniamo alle mie scelte letterarie che, per caso, questa volta sono ricadute su “La capanna dello zio Tom” di Harriet Beecher Stowe, romanzo celeberrimo, soprattutto per i solutori di parole crociate.

Romanzo notissimo, dicevo, ma nei confronti del quale io, oltre al nome di Tom inserito più volte nelle caselle in senso orizzontale o verticale, non ero andata.

L’incipit sembra quello di un classico romanzo dell’Ottocento che racconta le romantiche (nel senso etimologico del termine) dinamiche dei personaggi 

Andando avanti le cose cambiano velocemente e arrivano già le prime avvisaglie della vergogna.

Per chi come me avesse sottovalutato la trama del romanzo, la capanna dello zio Tom racconta le dinamiche della schiavitù nell’America dell’Ottocento, di come venivano percepiti e trattati di schiavi e di come fosse mortificante e mortificata l’umanità degli schiavi e dei padroni.

Oltre ai personaggi con nomi e caratteri, i protagonisti trasversali del romanzo sono la religione cristiana, la cultura e la schiavitù.

Le vittime, come in tutti i romanzi, siamo noi lettori che pensiamo di passare qualche ora di benessere e ne usciamo scossi.

La storia è ambientata nella prima metà del 1800, per un periodo lungo una vita (quella di Tom), siamo prima del 1850 e siamo in America.

Quello che fa pensare è che si tratta di meno di 200 anni fa, un lasso di tempo che interessa ancora le storie di qualche bisnonno, praticamente l’altro ieri.

La schiavitù

In America, la terra dei grandi sogni e della libertà, era accettata la schiavitù ed esistevano gli schiavi, bene mobile del patrimonio umano.

In Europa, non da meno, la prima rivoluzione industriale portava in seno e dava alla luce la classe operaia paragonata nel corso del romanzo, a una simile schiavitù.

Il pretesto letterario è la storia di Tom: schiavo fedele venduto controvoglia dal suo amato padrone e in attesa di essere riscattato per tornare dalla sua famiglia.

Tom, viaggiando con un carico di schiavi e l’altro, attraversa stati e fiumi e incontrata tanti schiavi, tanti padroni e tanti mercanti di schiavi.

Gli schiavi dalla descrizione della storia hanno nella loro essenza il marchio di infamia della loro origine cattiva (ovvero legata alla cattività), di loro si pensa che non abbiano affezioni né sentimenti umani, anche il padrone più progressista e pio li guarda con benevolenza ma non riesce a vederli come pari a lui.

Più simili a quelli che per noi oggi sono gli animali domestici che agli uomini, gli schiavi portavano le catene ai piedi e dentro l’anima.

Chi conosce il romanzo, la tematica e la critica, sa che questo romanzo ha gettato le basi per tanti stereotipi che descrivono lo schiavo negro americano.

Può piacere o non piacere, può apparire troppo sentimentale o penoso o, addirittura, riduttivo, ma è comunque un documento e una testimonianza.

Le storie raccontate sono vere e i sentimenti sinceri ed è questo che destabilizza e scuote dal torpore

La religione


La religione viene offerta loro come placebo per sopportare i dolori e diventare esempi di santità; dà la forza per cambiare vita ed è il pretesto e la strada per acculturarsi.

Leggere la bibbia e scrivere alle persone care, sono le leve che spingono i protagonisti a voler imparare a leggere e scrivere.

La religione è la doppia leva che, se da un lato spinge i padroni – soprattutto le donne – alla carità, dall’altro lato legittima la schiavitù.

La cultura

La cultura distingue schiavi da padroni.

Chi sa leggere e scrivere ha diritto di avere sentimenti perché anche il più sciocco e vuoto personaggio, grazie alla cultura, è un uomo e non uno schiavo.

Lo schiavo che sa più o meno leggere diventa prezioso e acquista valore commerciale, lo schiavo che sa leggere e scrivere, si è insinuato nella società.

E tutto questo, lo ripeto, avveniva meno di 200 anni fa.

E oggi dove sta la nostra schiavitù?

Di che colore è la pelle dei nostri schiavi?

E quella dei padroni? 

Noi chi siamo? Schiavi o padroni?
Ci sono persone che, crediamo, non abbiano i nostri stessi sentimenti?
Ci sono persone rispetto alle quali, crediamo di avere passioni inferiori?

C’è qualcosa di tangibile che ci fa sentire superiori o inferiori ad altri?

C’è per caso una schiavitù che sopportiamo perché pensiamo non ci riguardi o sia naturale?

Quanto devono essere recenti le disumanità perché possiamo dimenticarle o ignorarle?

Riferimenti:

Poesia Se questo è un uomo di Primo Levi

https://www.riflessioni.it/testi/primo_levi.htm

Audiolibro de La capanna dello zio Tom

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-s/harriet-beecher-stowe/la-capanna-dello-zio-tom-audiolibro/




Il nuovo ruolo della truffa per cuori solitari le app di incontri.

Siamo ormai nel 2018 ma il mondo dei single è ancora inquieto.

Sei solo, vuoi trovare la tua  o il tuo compagno di vita?

Usa questa chat, vedrai cosa troverai …

La redazione di Betapress ha deciso di fare un piccolo viaggio all’interno del mondo delle app per single e vi posso dire che abbiamo trovato veramente il regno della truffa.

Abbiamo sperimentato molte app per single e quello che abbiamo trovato è solo truffa, truffa, truffa.

Per aiutarci in questa ricerca ci hanno aiutato Giovanni Aietta e Federica Bonini, i due nostri infiltrati speciali che si sono iscritti a tutte queste presunte app di incontri.

 

Come primo dato vi diciamo che abbiamo sperimentato 23 chat o app di incontri in circa 4 mesi ed il solo risultato che possiamo confermare è di aver speso per entrambi oltre 200 euro.

risultati validi nessuno.

 Ecco un piccolo schema:

contatti ricevuti giovanni 1486 federica 8900.

contatti falsi giovanni 1486 federica 2000.

In pratica il povero Giovanni è stato continuamente tempestato da bot di intelligenza artificiale che hanno solo prosciugato il suo conto continuando a tirarlo in conversazioni inutili, non fornendo mai contatti esterni alla app in cui giovanni era iscritto.

Per Federica sorte leggermente migliore perché qualche contatto era reale, ma poi rivelatosi pericolosamente insano di mente o dedito esclusivamente alla ricerca di sesso.

Alla fine i due nostri amici in realtà altro non erano che la nostra redazione che ha cercato di capirci qualcosa, due contatti falsi dietro i quali c’eravamo noi di betapress.

Non si preoccupino tutti gli sposati che hanno contattato Federica, ci faremo i fatti nostri e non divulgheremo l’elenco di tutti quelli che poi dalle nostre ricerche (quasi tutti) sono risultati sposati, ma pure incapaci di usare identità mascherate visto che poi da una banale ricerca sul web li abbiamo trovati quasi tutti.

Unica cosa che ci sentiamo di dire agli amici che cercano l’anima gemella: risparmiate i soldi, non usate nessun programma di incontri, sono truffe ben organizzate.

Se poi continuerete a farlo vuol dire che avete soldi da buttare.

Agli sposati che si mettono in mano a queste chat non abbiamo consigli da dare se non quello di fare attenzione perché dietro a queste chat spesso ci sono anche dei ricattatori.

A tutti comunque una considerazione: in questa società odierna il vuoto delle nostre anime sembra essere veramente insopportabile.

 

 

 

Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

 

Il mondo delle chat come espressione di vero dramma della solitudine

 

 




L’Opinione

Quel “ fare finta di fare finta…..”, dove tutti sanno ma dove tutti fanno finta di non vedere, di non sentire, di non capire, una caratteristica tipicamente “italiana”.

Tutti sapevano, da anni si diceva, si documentava, si denunciava …. ( oggi tutti ne parlano…) ma come nostro “costume” tutto diventava “nulla”.

L’Assioma del “fare finta di fare finta” una finzione doppia quindi, è quello che per oltre 50 anni “ L’Italia che s’è desta….” ha utilizzato e ha continuato a praticare in tante forme e in tutti i campi, dalla politica alle istituzioni, dalle grandi aziende ai grandi delle finanze. Oggi giornata di lutto per i morti del ponte ”Morandi” ( sarebbe interessante sapere anche come questo “grande” ingegnere abbia ottenuto quegli incarichi ) di Genova, ieri per i morti di … domani per i morti di … quasi sempre cronache di tragedie annunciate, di malaffare, di ingiustizie, di corruzione!

Davanti a queste tragedie tutti piangono, tutti ne parlano, tutti, tutti scrivono, dietro messaggi ben confezionati ( con tanta musica come colonna sonora ) o tutti a fare cose che sanno più di “rappresentazioni” che di vera consapevolezza ! Tragedie rimaste nel vuoto…. come le vittime dei terremoti,  morti non per i terremoti ( che è un evento del tutto naturale )  ma per le incompetenze dei tanti “ ing. Morandi” ( ce ne sono ancora tanti in giro ) che hanno costruito case e palazzi ….da crollo e le ditte che nelle “mazzette” navigano sicuri nell’oceano.

Poi ci sono anche quelle tragedie “invisibili” quelle che uccidono pian piano, che non fanno notizie da copertina… sono quelle stragi quotidiane che si consumano tra indifferenze e rassegnazione ( come il Petrolchimico di Siracusa o l’Ilva di Taranto… tanto per fare due esempi ); poi ci sono anche dei media, o programmi TV, son quelli che cercano di “ non fanno finta di fare finta…..” denunciando, presentando fatti, misfatti e oltre…… come Le Iene o  Report…..( tanto per fare solo due esempi…) ma che sempre più spesso restano solo “spettacoli” di prima serata perché quell’Italia che s’è desta…” non ha voglia di farli propri!

Ma oggi … tutti uniti per l’ennesima “tragedia annunciata” !

Sento da ieri sera “Genova nel cuore” … musiche e parole “emozionanti” ma fino a ieri dov’era?

Ipocrisia e finzione, tra segnalati e raccomandati, all’uomo di tizio o di caio … basta con le doppie finzioni, la “dignità” inizia da una giustizia “giusta”, dalla trasparenza, dall’autenticità e dal cambiamento … in tutti i luoghi e in tutte le forme! Un pensiero per Rita Borsellino….., che senso ha piangere sulla sua bara se ad oggi ancora non si vogliono conoscere quelle verità “ oscurate “?

Facciamo “finta di fare finta……” fa bene a tutti!

Prof. Renzo Menga