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CyberBullismo, indigniamoci finalmente.

Come redazione di betapress, vogliamo ritornare su quanto accaduto lunedì scorso durante il Convegno “I GIOVANI E I SOCIAL NETWORKS”, celebrativo della Giornata Nazionale del Bullismo e del Safer Internet Day 2021.

Come a tutti chiaro e come espressamente denunciato, nel nostro precedente articolo “Far West digitale”, alcuni studenti, nel corso dell’evento, hanno saputo esprimere “il peggio di sé” e lo hanno fatto, purtroppo, proprio in occasione di un incontro che voleva essere di formazione e di sensibilizzazione su temi di estrema importanza.

E’ superfluo precisare che l’USR Ambito Territoriale di Novara si è immediatamente attivato per riuscire a dare un nome e un volto ai responsabili dei gravissimi comportamenti messi in atto e che gli stessi saranno naturalmente sanzionati e, soprattutto, invitati a riflettere sulla gravità delle loro azioni.

Vogliamo invece, esprimere e condividere con i nostri lettori, la preoccupazione per la “violenza digitale”, espressione di un fenomeno, il cyberbullismo, la cui pericolosità ha assunto portata e dimensioni ancora più spaventose nel difficile periodo che stiamo attraversando.

Nelle azioni scorrettissime degli allievi possiamo pure leggere paura, confusione, rabbia di ragazzi che probabilmente (anzi quasi certamente) non possiedono gli strumenti per riconoscere, dare un nome e gestire emozioni complesse.

Spesso troppo complesse per un giovane adolescente.

Tutti noi sappiamo bene, per esperienza e formazione, come le emozioni, se non gestite e incanalate, possano essere distruttive e come il senso di impotenza e le fragilità possano sfociare in comportamenti sbagliati, talvolta prevaricatori e assolutamente irrispettosi di regole, situazioni e persone.

Ma qui non si cercano alibi e motivazioni a comportamenti inaccettabili.

Qui, urge sottolineare la priorità del compito della SCUOLA, come ISTITUZIONE.

La Scuola deve individuare strategie e interventi al fine di prevenire, scoraggiare e contrastare fenomeni di prevaricazione, di violenza e, più in generale, di evidente disagio come quelli che vi abbiamo raccontati.

Fatti ancor più gravi se pensiamo che sono avvenuti addirittura alla presenza di figure istituzionali rilevanti per ruolo, prestigio e merito.

E allora, cosa si può fare?

Primo. Serve indignarsi, noi adulti e con noi, i nostri studenti, per non restare indifferenti dinanzi a comportamenti ai quali, loro e nostro malgrado, hanno dovuto assistere.

Secondo. È fondamentale proseguire nei percorsi di educazione alla legalità, al riconoscimento e alla gestione delle emozioni, al rispetto e alla costruzione della persona in relazione all’altro, al corretto utilizzo della parola.

Terzo. Chiedere aiuto alla politica (e qui viene il bello!)

Di sicuro, affinché la Scuola possa realizzare il suo ideale democratico e formativo, occorre porre al centro la persona.

I problemi della comunicazione in rete non si possono risolvere solo in termini di controllo e di protezione. 

La famiglia e la scuola devono rinnovare ed intensificare il loro forte impegno educativo per la crescita e lo sviluppo delle capacità critiche, intellettive ed etico-sociali dei giovani.

Ma i nostri cari politici, almeno loro, dovrebbero darci il buon esempio!

Ed invece, che esempio ci danno nella loro comunicazione in presenza, ma soprattutto sui social?!?

Come possiamo noi genitori e docenti far riflettere i nostri figli ed alunni sull’etica della comunicazione, quando, ogni, giorno, in tv e on line  essi assistono alla prevaricazione verbale, al sopruso personale, all’ingiuria collettiva?!? 

Caro nuovo Ministro, Le chiedo, può cercare insieme ai suoi nuovi colleghi di governo di dare un’etica alla comunicazione politica?

Questa è la prima competenza richiesta, comportarci da persone civili, voi, noi e loro, i nostri giovani.

Questo è davvero il compito urgente, quello che oggi dobbiamo continuare a sentire ancora più forte.

Noi adulti, saremo con loro, giovani, e recupereremo la loro e la nostra fiducia, solo così, imparando a rispettarci, nei gesti e nelle parole.

A partire da oggi, attivandoci, concretamente, per realizzare percorsi di responsabilizzazione e di rispetto, utilizzando tutti gli strumenti di cui disponiamo, nelle nostre case, nelle nostre scuole, ma anche nelle vostre aule di governo.

Visto che da quest’anno l’Educazione Civica è ritornata nei programmi scolastici, noi di Betapress, ci auguriamo il vostro buon esempio, cari politici, per riuscire a promuovere sul piano concreto l’elevazione del costume civico e democratico dei nostri studenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bullismo e Cyberbullismo sempre attuali.

Far West digitale

Cyberbullismo: sempre più giovane il Cyber Bullo

 




Mattarella, fu vera gloria?

L’attuale politica italiana e le istituzioni democratiche sembrano vivere una fase difficile nella quale si mescolano luci ed ombre, nuovi totem e vecchi tabù.

Purtroppo un giudizio equilibrato sulla situazione contingente è difficile per diverse ragioni.

Vi è dapprima un fenomeno di socializzazione della politica reso più agevole dalla diffusione  delle reti “social” che ha permesso iniezioni di democrazia diretta.

Vi è poi una crisi agonizzante dei partiti politici tradizionali che per decenni hanno regolato e gestito il consenso elettorale rendendolo coerente con il funzionamento del gioco democratico.

È evidente che la nascita e lo sviluppo di movimenti politici, fondati sulla denuncia piuttosto che sui programmi, ha scomposto lo scenario politico rendendolo più volatile.

Una tendenza che, sebbene con contenuti diversi, ha funzionato anche a ritroso con il divenire “movimento” di  partiti politici di tradizione consolidata: pensiamo alla Lega ma anche allo stesso Partito democratico.

Il fenomeno delle “sardine” degli ultimi mesi rappresenta forse l’emblema del movimentismo rancoroso e privo di contenuti politici che può condizionare, in un modo o nell’altro, la vita democratica di un Paese.

Per questo una valutazione di ampio respiro della situazione politica non può prescindere dalle osservazioni appena enunciate e la posizione del Quirinale, in questo particolare momento storico, dovrebbe essere letta con profondità di campo.

Il Presidente Mattarella, eletto nel 2015 con una votazione sofferta, è stato testimone della nascita della politica “liquida” e di movimento, sostenuta anche da nuove cifre e strumenti della comunicazione, che ha unito insieme rottamatori (Renzi..) e urlatori (Grillo) ma anche intenti eccessivamente populisti da un lato o pericolosamente antieuropeisti dall’altro.

Un quadro politico che ha sdoganato, nel 2018, l’idea stessa che si potesse procedere alla messa in stato di accusa, per alto tradimento, del capo dello Stato per il veto sulla  nomina di un ministro nella formazione del primo governo Conte.

Protagonisti del dibattito furono i rappresentanti del Movimento 5 Stelle ai quali fecero eco altri esponenti, anche del centro destra.

L’articolo 87 della Costituzione assegna al Presidente della Repubblica il ruolo di rappresentante dell’unità della nazione.

Un’unità che la rivoluzione digitale in atto e la seduzione di temi populisti possono contribuire, pur involontariamente, a diluire nell’alveo di un facile qualunquismo.

La scelta di non sciogliere le Camere, nella sofferta crisi politica ancora in corso, deve  essere, pertanto, letta come estremo tentativo non già di negare un voto elettorale che quasi sicuramente consegnerebbe il paese al centro destra,  visibilmente in vantaggio nei consensi, ma piuttosto di scongiurare un esito elettorale che vedrebbe  esplodere le forze politiche attuali, movimentiste e non, in favore di un correntismo multidirezionale che difficilmente aiuterebbe a generare un assetto politico stabile.

Certo anche che la posizione scelta dal presidente ulteriormente favorisce il centrodestra che si ritiene osteggiato dalla scelta e pure il cittadino normale fatica a comprendere invece il tentativo di mitigazione, giusto o sbagliato, che lo stesso Mattarella ha posto in atto.

È sufficiente una lettura critica delle tensioni in atto, all’interno delle forze politiche, per rendersene conto.

Soltanto la storia farà forse chiarezza sul periodo storico che stiamo vivendo.

Crediamo tuttavia che sulla posizione del Presidente Mattarella, alla fine, saranno le luci a prevalere sulle ombre.

 

La Redazione di Betapress




Far West digitale

Ma non prendiamoci in giro…

Il Safe Internet Day, la teoria e la realtà.

Sono insegnante referente cyberbullismo in un I.C. di Novara.

Ieri, in occasione della Giornata Mondiale del Bullismo e del Safe Internet Day, le mie classi hanno partecipato al Convegno on line

“I Giovani e i social network” coi ragazzi della CPS Novara.

La teoria.

Il coordinamento e la progettazione curati dalla prof ssa Gabriella Colla, referente Cyberbullismo e Bullismo dell’Ambito Territoriale di Novara, con presenti, on line, la Dott ssa Rosanna Lavezzaro Questore di Novara, il Prof Andrea Crivelli Consigliere per l’Istruzione della Provincia di Novara, la Dott ssa Patrizia Grossi ASL Novara e la Prof ssa Elena Ferrara, USR Piemonte.

La crème della crème, per dirla alla francese.

La pratica.

Alle ore 11, in classe, con presente i miei alunni, mi collego al link.

Così fanno i miei colleghi, ciascuno controlla i propri studenti, presenti a scuola. Siamo impazienti di vedere cosa succede.

Si collegano tutti gli alunni delle scuole medie e superiori che hanno aderito al progetto ed è subito evidente che il link è stato condiviso con alunni responsabili e corretti, o per lo meno controllati, perché in classe con il prof. presente e, soprattutto, senza in mano uno smartphone per fare danni.

Ma che il link è stato condiviso anche con ragazzi scorretti, per niente responsabili, di sicuro non controllati, perché in classe da soli (almeno spero che non fosse presente un insegnante mentre facevano quello che sto per raccontarvi), o perché a casa, da soli, davanti al computer.

In questo periodo, a Novara, la didattica è in presenza al 100% per le medie e al 50% per le superiori.

Bene, anzi no, male.

Alcuni dei ragazzi che si sono collegati da casa, soli, senza controllo, oppure, può anche essere, qualche ragazzo a scuola, che si è sottratto ad ogni controllo, ha dato il meglio, anzi no, il peggio di sé.

Ma andiamo con ordine.

Subito, sin dall’inizio, è stato evidente, non sono state rispettate le elementari forme di netiquette digitale.

Per chi ancora non lo sapesse, quando ci si collega bisogna tenere il microfono spento e la telecamera attivata.

Non solo, chi da mesi, come la sottoscritta, cerca di confrontarsi con le trappole della DAD, sa benissimo che è assolutamente necessario il controllo delle impostazioni da parte dell’insegnante, per impedire che un alunno possa giocare a silenziare il microfono della prof che parla o a spegnere la telecamera quando si è interrogati.

Dunque, mi chiedo, possibile che gli organizzatori dell’evento non abbiano pensato che prevenire è meglio che curare, dando in mano a degli esperti digitali la gestione informatica del convegno?!?

Ieri, invece, era tutto un grande show, microfoni accesi con un inventario di rumori in diretta, alunni che accendevano e spegnevano le telecamere nelle loro stanze, studenti che riapparivano mascherati, che ridevano, scherzavano, e che poi interagivano tra di loro scrivendo in diretta delle grandi stupidaggini sulla chat della piattaforma.

Ma soprattutto, studenti, abili disturbatori dell’evento che strategicamente, a tavolino, direi, ne boicottavano la riuscita.

Come?

Semplice, applicando quello che imparano nei video di Scuola Zoo, un inventario di giochi informatici per “congelare” l’immagine di chi sta parlando, oppure per disturbare con apparenti problemi di interferenza audio, la connessione di chi parla.

E così gli interventi di tutto rispetto di questo enorme impegno collettivo e sforzo sociale si è disperso in un mare magnum di anarchia e mancanza di rispetto in diretta.

Ma per correttezza li riportiamo:

Noi Nativi Digitali di Luciano Fiorenza Politecnico di Milano Facoltà Cybersecurity; I pericoli dei Social Networks di Andrea Pensotti ITIS “Fauser” Novara-CPS Novara; Social Networks e Internet : come tutelarsi dal punto di vista giuridico di Viola Albertinazzi – Luiss Roma Facoltà di Giurisprudenza; L’Importanza del Relazionarsi in Presenza e a Distanza della Dott Barbara Camilli Associazione Psicologia Utile; l’Importanza della Comunicazione e dell’Ascolto Peer to Peer delle Prof sse Ida Angiulli e Valentina Martes referenti Cyberbullismo ITI “Omar” Novara; Comunicare ai bambini ai ragazzi i pericoli della Rete con Bruno Testa fumettista ed infine Il Battello del Rispetto con Vittoria Lorenzetti fotografa.

L’acme è stato raggiunto quando, in tempo reale, sulla chat della piattaforma, mentre i relatori parlavano, venivano postati giudizi irrispettosi, commenti volgari e persino bestemmie in un’escalation di violenza digitale.

I miei alunni, prima divertiti, poi stupiti ed attoniti, erano inchiodati alla lim per vedere in tempo reale, fino a che punto gli altri, i bulli, potevano arrivare.

Erano persino eccitati dallo spettacolo, finché, ho deciso di spegnere il computer ed ho cercato di gestire l’emergenza.

Ho detto loro che gli irresponsabili verranno individuati e puniti, che fare in diretta su una piattaforma digitale delle cose simili, significa firmare la propria condanna, che l’evento era registrato e che rimane traccia di tutto quanto scritto in chat.

Che la polizia postale rintraccerà i bulli e punirà a dovere.

Che ci sarà una sanzione disciplinare per gli alunni coinvolti.

Che è previsto un coinvolgimento penale dei ragazzi o dei loro genitori, qualora fossero minori…

Ma manco mi ascoltavano.

Se volevamo verificare in diretta a che punto siamo arrivati, bene, ci siamo riusciti.

Credetemi, non avrei voluto scrivere quest’articolo.

Ma come insegnante referente cyberbullismo ho il dovere morale di prendere posizione.

E come giornalista, il diritto di cronaca e di critica mi obbliga a dire quanto siamo in pieno FAR WEST digitale.


Nota del Direttore: resta evidente che indipendentemente dall’ambiente oggi i ragazzi sono maleducati, cafoni e pure un poco (tanto) ignoranti, e questo non dipende dal digitale.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonella Ferrari

 

Bullismo e Cyberbullismo sempre attuali.

Il Digital Divide

 




Safer Internet Day

Dal 2004 il 9 febbraio di ogni anno si celebra in Europa il Safer Internet Day (SID), evento nato con il Safer Internet Action Plan che fu elaborato per il periodo 1999-2004.

Il piano aveva l’obiettivo di incoraggiare la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo dell’industria connessa ad Internet promuovendo l’uso sicuro di Internet e lottando contro i contenuti illegali e nocivi.

Il programma (1999) si articolava su tre piani:

  • creazione di un ambiente più sicuro mediante l’istituzione di una rete europea di linee dirette (hotline), incoraggiamento dell’autoregolamentazione e dell’elaborazione di codici di condotta;
  • sviluppo di sistemi di filtraggio e di classificazione;
  • iniziative di sensibilizzazione.

Nel corso degli anni, l’Europa ha comunque continuato a promuovere iniziative (Safer Internet Plus) con la finalità di realizzare Internet come un luogo sicuro per i ragazzi.

Anche quest’anno, quindi, il 9 febbraio si celebra il Safer Internet Day 2021, giunto alla sua 18ma edizione, e il tema è “Together for a better internet” (insieme per un internet migliore).

L’iniziativa è gestita dai Safer Internet Centres esistenti in ciascuno Stato membro.

L’iniziativa è finanziata dall’Unione Europea e la giornata viene celebrata online in più di 170 paesi del mondo.

Mariya Gabriel, Commissario europeo per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, ha dichiarato: “I giovani hanno bisogno di sentirsi sicuri e responsabilizzati quando navigano nel mondo online per poter godere appieno del mondo digitale. Con il Piano d’azione europeo per l’alfabetizzazione digitale, mettiamo l’alfabetizzazione digitale al centro del panorama educativo europeo, promuovendo l’alfabetizzazione digitale per combattere la disinformazione online, sostenendo educatori e insegnanti e assicurando un e-learning di qualità“.

Il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton ha dichiarato: “La crisi del coronavirus ci ha costretti a spostare la maggior parte delle nostre attività quotidiane online e quando lasciamo i nostri figli navigare in internet, vogliamo che siano protetti. Siamo determinati a garantire che la trasformazione digitale porti benefici a tutti in modo sicuro. Ciò che è illegale offline dovrebbe essere illegale online. Ora ci aspettiamo che l’industria tecnologica faccia la sua parte nel rendere internet più sicuro senza indugio e in linea con le regole dell’UE“.

La Commissione europea con il comunicato stampa dell’8/2/2021 precisa che la Direttiva sui servizi di media audiovisivi (Audiovisual Media Services Directive – AVMSD) richiede alle piattaforme di condivisione video online di limitare l’accesso dei bambini a contenuti dannosi e le regole per le piattaforme digitali.

Inoltre, la legge sui servizi digitali e la legge sui mercati digitali, proposte nel dicembre 2020, includono obblighi specifici per le grandi piattaforme per affrontare rischi significativi per il benessere dei minori.

Il Safer Internet Day, comunque, è l’occasione per evidenziare quanto la protezione dei dati personali e la privacy siano importanti unitamente, ovviamente, agli aspetti di sicurezza informatica.

Le piattaforme digitali online, quali titolari del trattamento, sono obbligate al rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e precisamente del Regolamento UE 2016/679 e del codice privacy italiano (D.Lgs. 196/2003, così come modificato dal D.lgs. 101/2018).

Per la Repubblica di San Marino la disciplina in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali è la L. 171/2018 che è in vigore dal 5/1/2019.

Tuttavia, quando si parla di minori non si può fare riferimento unicamente alle norme.

La famiglia è il nucleo primario della società e resta il principale contesto all’interno del quale i minori si relazionano con i propri genitori.

I genitori, da parte loro, esercitano la responsabilità genitoriale sui figli minori e sono tenuti a svolgere il controllo sebbene senza una profonda interferenza sulla loro sfera personale.

Tale controllo dovrebbe essere esteso anche alle attività che i minori compiono online.

Del resto, ciò è espressamente indicato nel citato GDPR, ove si fa riferimento al consenso “prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale” sul minore di anni 13 (questa l’età minima per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, ma dipende dal singolo Paese; in Italia è fissata a 14 anni).

La questione può apparire semplice, ma in realtà non lo è affatto in quanto è molto difficile controllare l’età effettiva e, ancora di più, la vera identità di colui che chiede l’accesso ad una risorsa online.

Sarebbe necessario un intervento legislativo sulla identità digitale che – al di là dello SPID italiano – sia valida quanto meno a livello europeo e anche interoperabile tra gli Stati membri.

Sono allo studio alcune proposte sulla identità digitale, ma il problema, comunque, per i minorenni resta.

Il discorso è ampio e meriterebbe maggiori spazi di approfondimento.

Bisogna investire su campagne di informazione e sensibilizzazione per accrescere nei minori la consapevolezza del valore che hanno dati personali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nicola Fabiano




Data Protection Day 2021

 

Il 28 gennaio 2021, si è celebrata la 15ma Giornata della protezione dei dati personali – Data Protection Day.

Infatti, il 26 aprile 2006, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha deciso di lanciare una Giornata della protezione dei dati, da celebrare ogni anno il 28 gennaio.

La Convenzione 108 è stato il primo trattato internazionale vincolante sulla protezione dei dati e un modello per molti altri regolamenti sulla protezione dei dati.

Quest’anno, poi, si è celebrato anche il 40mo anniversario della apertura alla firma della Convenzione 108 del Consiglio d’Europa per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali.

Infatti, il 28 gennaio 1981 a Strasburgo veniva aperto il Trattato n. 108 (riferimento è ETS No.108) del Consiglio d’Europa alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri.

Il titolo del Trattato n. 108 è “Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale”.

La Convenzione 108 (ETS n. 108) è entrata in vigore l’1 ottobre 1985 con 5 ratifiche. L’Italia l’ha firmata il 2 febbraio 1983 e ratificata il 29 marzo 1997, ma la data dell’entrata in vigore è l’1 luglio 1997.

Questa Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale obbligatorio che ha per scopo la protezione delle persone contro l’uso abusivo del trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, e che disciplina il flusso transfrontaliero dei dati.

Oltre alle garanzie previste per il trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, la citata Convenzione 108 bandisce il trattamento dei dati «delicati» sull’origine razziale, sulle opinioni politiche, la salute, la religione, la vita sessuale, le condanne penali, in assenza, di garanzie previste dal diritto interno.

Il 18 maggio 2018, dopo 7 anni di intenso lavoro e negoziati, viene adottato dalla 128a sessione ministeriale del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, tenutasi a Elsinore, in Danimarca il Protocollo (CETS n. 223) che modifica la Convenzione 108.

Essa, quindi, viene rinnovata in una versione modernizzata denominata Convenzione 108+.

La Convezione 108+ si compone di complessivi 31 articoli ed entrerà in vigore con la ratificazione da tutte le Parti del Trattato STE 108, oppure l’11 Ottobre 2023, se a tale data ci saranno 38 parti del Protocollo.

Allo stato attuale risultano 10 ratifiche e 33 firme non seguite da ratifica. L’Italia l’ha firmata il 5 marzo 2019 e non ancora ratificata; San Marino l’ha firmata il 16 luglio 2019 e non ancora ratificata.

Il mese di maggio del 2018 ha visto anche l’applicazione del Regolamento UE 2016/679, meglio noto come GDPR (acronimo di General Data Protection Regulation), che costituisce la disciplina europea sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.

Al citato regolamento, per l’Italia, si aggiunge la disciplina del codice privacy (D.Lgs. 196/2003).

A chi forniamo i nostri dati personali e perché?

È necessario acquisire consapevolezza.

Il salto di qualità può essere fatto unicamente con una consapevolezza adeguata al tema che affrontiamo o che ci proponiamo di affrontare.

Quali sono le sfide da affrontare?

Tra le principali sfide, va menzionata certamente la pandemia da COVID-19, i quali effetti sono sotto gli occhi di tutti: questa, tuttavia, non è solo valutabile da un punto di vista medico e sanitario e presenta diverse questioni legate proprio alla protezione dei dati personali.

Da un lato, è innegabile che dall’inizio della pandemia ci sia stato un incremento esponenziale dell’uso delle tecnologie e delle risorse digitali disponibili, ma si è parlato poco dei rischi collegati alla privacy e alla protezione dei dati personali.

Dall’altro, il trattamento di grandi quantità di dati sulla salute delle persone fisiche va effettuato nel pieno rispetto della legislazione vigente e con l’adozione di tutte le opportune misure di sicurezza.

Inoltre, in questi ultimi tempi si parla molto di vaccini e il contesto internazionale si sta interrogando sulla liceità di soluzioni quali il vaccine passport o immunity passport.

Altra sfida è quella dell’Intelligenza Artificiale (AI).

La Commissione europea da tempo ha creato il gruppo di esperti denominato “AI High Level Group” e il CoE ha creato il Comitato ad hoc sulla Intelligenza Artificiale (CAHAI).

Inoltre, proprio il 28 gennaio il Consiglio d’Europa ha pubblicato le linee guida sul riconoscimento facciale, affermando la necessità di una regolamentazione rigorosa per prevenire le violazioni dei diritti umani.

Ulteriore sfida, come ho già detto in diverse occasioni e da ultimo nel mio libro, è quella relativa alle Neuroscienze.

In particolare, esiste un allarme legato all’impatto che le tecnologie adottate nell’ambito delle neuroscienze possono avere su protezione dei dati personali e privacy.

Si tratta di un aspetto che negli USA stanno osservando da tempo, ma – in ragione dell’approccio alla privacy di quel Paese – con risultati aderenti al loro impianto costituzionale.

Questi fenomeni vanno valutati attentamente; senza dubbio l’etica è un elemento fondamentale.

Il mio approccio, basato sul modello relazionale denominato DAPPREMO (acronimo di Data Protection and Privacy Relationships Model), potrebbe essere utile per approfondire questi aspetti.

Il tema delle neuroscienze in relazione all’impatto su protezione dei dati personali  e privacy, senza dubbio, potrebbe essere quello di maggiore importanza per i nostri tempi, tanto che – provocatoriamente – ho lanciato l’idea di una nuova categoria di diritti che ho definito “neuroprivacy rights”.

 

 

 

 

 

 

 

Nicola Fabiano

Privacy e azienda: la chimera della non applicabilità.

Cyber Psicologo e la privacy




Fuga da whatsApp

Un messaggio sibillino di WhatsApp e un tweet di Elon Musk: et voilà, in tantissimi hanno deciso di passare a Signal, abbandonando la più famosa app di messaggistica.

Ma attenzione: è o non è una bufala?

WhatsApp negli scorsi giorni ha diramato un messaggio di avviso sull’aggiornamento privacy per il 2021.

Questo ha seminato il panico tra molti utenti, complice anche un tweet di Elon Musk che telegraficamente ha scritto: “Use Signal” (usate Signal).

La convinzione (vera o sbagliata?) di molti utenti è che Signal non richiederà un aggiornamento sulla privacy e nuovi termini entro l’8 febbraio, diversamente da quanto impone WhatsApp.

In tutta questa vicenda, anche WhatsApp ci ha messo del suo, va detto: il messaggio arrivato agli utenti era tutto fuorché chiaro e il team si è mosso davvero tardi per cercare di riparare all’errore.  Numerosi giornali, tra cui anche The Indipendent, hanno rassicurato che la nuova privacy WhatsApp 2021 non influirà in alcun modo sull’utilizzo dell’app in Italia e nel resto d’Europa.

Ma intanto continuano i download di Signal che, per inciso, lavorano con gli stessi standard di sicurezza e con la stessa crittografia end-to-end.

Di tutta questa confusione sta approfittando Signal, che in questi giorni sta registrando un boom di download, al punto che si stanno registrando numerosi ritardi sull’invio del codice di verifica.

A questo punto sia chiaro che ognuno è libero di usare l’app di messaggistica che preferisce, ma quello che è bene sottolineare è che alla base della situazione scoppiata negli scorsi giorni c’è disinformazione e strumentalizzazione.

Basta dire che, come ha precisato anche Facebook, che possiede WhatsApp, i protocolli di privacy a cui le due piattaforme devono attenersi sono gli stessi, essendo imposti dalla normativa europea.

Ma, giusto per capirci un po’ di più, incominciamo a documentarci ed andiamo a vedere cosa dicono gli esperti, per esempio, Luca Accomazzi, programmatore, divulgatore, insegnante, ma soprattutto esperto di  GDPR (General Data Protection Regulation). 

Ha letto e commentato il GDPR per la prima volta nel 2014.

(Luca Accomazzi, tanto per dirne una, ha messo le mani su un calcolatore (Apple) nel 1980. Ha insegnato informatica prima alle superiori e poi all’università tra il 1988 e il 2014. Su Internet dal 1992, da fine 1997 con la sua Accomazzi.net si dedica principalmente alla creazione di commerci elettronici sul web e, di recente, soprattutto a portare su Amazon le medio-grandi imprese italiane. Ha pubblicato circa trenta libri di divulgazione, principalmente per Feltrinelli ma il più recente con crowdfunding su Kickstarter).

Ecco quanto scrive su QUORA, Luca Accomazzi, rispondendo alle perplessità della gente comune, come me…

Perché Elon Musk ha proposto Signal come alternativa di WhatsApp? Cosa c’è dietro?

Non è una questione tecnica e neppure tanto di sicurezza (anche se Signal è più sicuro di WhatsApp e questo si dimostra facilmente: se io chiamo Pinco Pallo su Signal non lo sa nessuno tranne me e Pinco Pallo. Se lo chiamo con WhatsApp lo sa anche Mark Zuckerberg — e tutti quelli a cui Mark Zuckerberg lo dice).

È una questione di privacy.

Mark Zuckerberg ha comprato apposta WhatsApp e lo usa per profilarmi, scoprire chi sono i miei amici, quando li chiamo, per quanto li chiamo… Non cosa gli dico — questo no.

Quali sono le applicazioni per smartphone poco conosciute che usate giornalmente?

Il mondo è pieno di ingenui che per chattare usano WhatsApp (il programma che è stato usato per violare lo smartphone dell’uomo più ricco del mondo[1] ).

E anche di altrettanti ingenui che usano Telegram, una app sulla cui sicurezza gli esperti hanno forti dubbi da diversi anni[2].

In pochissimi invece per le chat e le chiamate in voce usiamo Signal, un programma sicuro e protetto al punto che che un sacco di governi di destra a cominciare dall’amministrazione Trump stanno facendo pressione per vietarne l’uso[3] .

 

[1] Guardian: Saudi prince’s account used to hack Jeff Bezos via WhatsApp

[2] https://pdfs.semanticscholar.org/93fe/3a5e70d64964e775ea77dcfaee218b8e62e1.pdf

[3] The broken record: Why Barr’s call against end-to-end encryption is nuts

 

Queste le FAQ.

“Ma senti, io sono una persona onesta e non ho segreti, perché devo preoccuparmi della sicurezza”.

Ah, va bene, se non hai mai scritto in vita tua un messaggio del tipo “stasera usciamo?” (il che informa gli svaligiatori di case che hanno campo libero), se tutte le volte che scrivi un messaggio ti fermi per cinque minuti a pensare come un malvivente potrebbe usarlo contro di te, non ho altre obiezioni.

“Ma sono una suora di clausura, non possiedo niente, non ho attività sessuale, mando un messaggio all’anno in chat per augurare buon santo natale di resurrezione a mio fratello”.

Usa Signal per farlo e sarà opera buona. Se anche i messaggi più innocenti viaggiano in Signal, il volume di messaggi Signal sarà così grande che delinquenti, ficcanaso e dittature troveranno impossibile trovare i segreti che vorrebbero violare in mezzo a questo mare di comunicazioni cifrate.

“Ma Accomazzi, tutte le mie amiche del club della canasta usano WhatsApp!”

Convincile a cambiare, visto che non costa niente. Ma qualcuno dovrà pur cominciare.

“Ma chi lo dice che è davvero sicuro?”

Lo fanno i migliori crittanalisti dell’accademia di tutto il mondo.

Ma siccome i loro discorsi sono estremamente tecnici e li capiscono solo quelli che ne masticano, fatti bastare questa citazione.

Usate Signal e qualsiasi cosa venga prodotta dalla casa Open Whisper Systems. — Edward Snowden.

Perché per vedere un sito si è obbligati ad accettare i cookies, se è in tutela della mia privacy, non dovrei deciderlo io?

Come dicono i poliziotti, tutte le volte che non capisci una cosa concentrati sul flusso dei soldi.

Ma innanzitutto diciamo che esiste una cosa chiamata “cookie tecnico” dalla normativa che è quello che mi permette di riconoscere un visitatore registrato.

Un ipotetico sito senza cookie tecnici è un sito dove non puoi fare login.

O, per dirla in altre parole, è un sito dove ogni volta che vuoi fare una operazione che lascia traccia (come mettere un prodotto in un carrello, o vedere cosa c’è in quel carrello) devi contestualmente rimettere username e password — il che sarebbe ovviamente scomodissimo.

Ma questi cookie non danno fastidio né destano preoccupazione.

Nel resto di questa risposta ci concentriamo invece sugli altri cookie, a volte chiamati “cookie di profilazione”.

Su tutto quello che paghi, ovviamente, decidi tu.

Quando entro sul sito di Amazon Prime Video per guardarmi un filmetto, una volta che mi sono autenticato come cliente pagante non ho nessun problema.

E ti garantisco che se entri come cliente pagante sul sito della mia azienda per commissionarmi una cosa qualsiasi non c’è mezzo cookie di profilazione.

Se però pensi ai sistemi informatici dove ottieni servizi ma non paghi quattrini (per esempio Facebook, Instagram, motore di ricerca Google, Google Docs, e mille altri…) allora devi renderti conto che, non essendo cliente pagante, tu sei invece merce.

Quei siti sono cibo per pesci — nessuno pensa che il pesce paghi il mangime che il pescatore butta in acqua per attirare le prede. E come un salmone vieni pescato, pesato, misurato e venduto a tranci.

L’avviso “stiamo per profilarti” è una pallida protezione che i legislatori europei hanno costretto gli autori del sito a mettere, per difendere un po’ l’elettore.

Siamo ancora, non averne dubbi, in tempi di Far West, dove gli sceriffi sono pochi e presidiano come meglio possono poche grandi città, ma ricchi possidenti, bandidos e ladri di bestiame la fanno da padrone quasi dappertutto.

Quell’avviso di cui ti lamenti dice “stiamo per vendere la tua anima ai pubblicitari, e non c’è nulla che tu possa fare per impedircelo, ma purtroppo l’Unione Europea ci obbliga ad offrirti di non venire pesato e misurato in ogni più minuscolo orifizio.

Ti offriamo dunque il sistema più scomodo possibile, il minimo per rientrare nel lecito, per farlo.

Se lo farai, a malincuore ti venderemo come pesce generico e non come esemplare della tua razza, sesso, età, dimensione eccetera”.

Non sei convinto? Guarda allora qui, dal primo gennaio 2021 Apple ha introdotto l’obbligo per gli autori di app di dichiarare se catturano i dati degli utenti, e se si quali; e cosa ne fanno.

 

Facebook sta litigando con Apple — hanno comprato a loro spese milioni di dollari di paginoni sui quotidiani per protestare contro l’iniziativa appena descritta[1] [2] — perché a far così si spaventano i pesci che poi non abboccano più. 

Oh, hanno usato parole diverse: “Apple è contro l’internet free (parola che in inglese significa anche “libera” ma stavolta nel contesto significa “gratis”).

E “i siti saranno costretti a introdurre forme di pagamento”!

Ma il senso è quello.

Note a piè di pagina

[1] Facebook criticizes Apple’s iOS privacy changes with full-page newspaper ads

[2] Facebook hits back at Apple with second critical newspaper ad

Lo so, l’articolo era lungo, ma la questione è spinosa, ed io per prima voglio essere consapevole di quello che faccio, e ve lo dico già, vi assicuro non finisce qui…

 

 




Prof, ha sentito cosa è successo?

Ha scioccato tutta Italia la morte della bambina che per prendere parte alla Black out challenge su Tik Tok si è legata una cintura alla gola, finendo per soffocarsi.

Una tristissima vicenda, con tragico epilogo, che ha messo in allarme tutti i genitori di adolescenti e preadolescenti sul pericolo che corre in rete.

Non è la prima volta che accade, e la Blackout Challenge è solo l’ultima pericolosa moda in circolo sui social.

Ma quello che mi ha scioccato, ancor più, è stato ascoltare la versione dei miei alunni, la “loro” versione della sfida, il loro giocare alla roulette russa ai tempi dei social.

Alcuni miei alunni preadolescenti mi sono sembrati persino estranei alla tragica morte della bambina di 10 anni di Palermo, come se quello successo a lei, non riguardasse loro, loro che partecipano alle stesse sfide o per lo meno, le seguono sui social.

“E’ una gara prof., vince chi resiste più a lungo, chi non molla, puoi farlo tu il video, ma è meglio se ti prende il tempo chi ti filma…”

E così ho scoperto che la famosa black out challenge”, virale su TikTok, è per alcuni di loro una “figata”.

Ma non solo, che ci sono altre sfide, a dir poco assurde, come quella di posizionarsi allineati in tre e saltare, quello in mezzo deve saltare mentre gli altri due gli fanno lo sgambetto, in contemporanea, falciandogli le gambe, e così quello in mezzo cade all’indietro di schiena, ma vince chi resta in piedi “è solo questione di coordinarsi…”

Sono senza parole.

Di chi è la colpa?!?

Dei social che sono l’incubo dei nostri giorni, perché inducono ragazzi e ragazze a fare cose idiote, per il solo scopo di prendersi una manciata di like?!?

Dei genitori, che hanno dato un cellulare a una bambina di dieci anni?!?

Della scuola, che non ha saputo educare all’uso di questi strumenti?!?

O magari, la colpa la daremo agli amici che hanno coinvolto la ragazza nella sfida?!?

Punteremo il dito su questo e su quello, e illustri psicologi televisivi lanceranno il loro armamentario di giudizi su una generazione ormai persa e senza valori, su famiglie ormai disperate o su insegnanti incapaci e demotivati.

Certo, i social contengono trappole, insidie, pericoli.

Sarebbe da ciechi non vederli.

Ma non ha neppure senso pensare di eliminarli tutti o di vietarli in blocco.

I ragazzi di quell’età li vedono come un paradiso da raggiungere a qualunque costo, creando profilo falsi, anzi si compiacciono di falsificare l’età e di postare foto trasgressive…

Per me, prima di proibire, sarebbe bello parlarci, magari, con i ragazzi e le ragazze di quell’età.

Ne verrebbero fuori cose molto interessanti.

A me capita di farlo tutti giorni.

E vi assicuro che più ci parlo e meno riesco a trovare un solo colpevole.

Ho capito che quando una bambina di dieci anni si stringe una cintura al collo non è colpa di TikToknon è colpa della famiglia, dei social, della scuola, degli amici

Non è colpa di nessuno, ma la responsabilità è di tutti.

Ho capito che i social non sono il male.

Che anzi, proprio in questo periodo, per molti sono stati una salvezza, un modo per darsi forza a vicenda, per tenere vivi i contatti.

Ho capito che il male comincia molto prima.

Il male è non essere visti, non essere ascoltati, non avere nessuno vicino che ti chiede come stai.
Il male è doversi fare del male per ottenere un minimo di attenzione e considerazione.
Il male è il vuoto che trovi fuori, nel mondo, quando provi a farti sentire.

Il male non è che bambini e adolescenti passino troppo tempo soli con un cellulare.
Il male è che passino troppo tempo da soli, punto.

I ragazzi non li salvi cancellando TikTok.
I ragazzi li salvi chiedendo loro, tutti i giorni: “Come stai?”.

E fermandoti lì tutto il tempo che serve per ascoltare davvero la loro risposta, anche se sei stanco e, tu per primo non ce la fai più…

E questo è il punto di vista dei minorenni più fragili della nostra epoca.

Poi, per il punto di vista dei genitori, per cercare di dare loro un supporto su come combattere i pericoli delle sfide iniziate per gioco, per noia o per ottenere visualizzazioni dai loro figli, ecco i consigli della Polizia Postale che tutti i genitori dovrebbero leggere:

  • Parlate ai ragazzi delle nuove sfide che girano in rete in modo che non ne subiscano il fascino se ne vengono al corrente da coetanei o sui social network;
    Assicuratevi che abbiano chiaro quali rischi si corrono a partecipare alle challenge online.

I ragazzi spesso si credono immortali e invincibili perché “nel fiore degli anni”: in realtà per una immaturità delle loro capacità di prevedere le conseguenze di ciò che fanno potrebbero valutare, come innocui comportamenti letali.


Alcune challenge espongono a rischi medici (assunzione di saponi, medicinali, sostanze di uso comune come cannella, sale, bicarbonato, etc), altre inducono a compiere azioni che possono produrre gravi ferimenti a sé o agli altri (selfie estremi, soffocamento autoindotto, sgambetti, salti su auto in corsa, distendersi sui binari, etc).

Monitorate la navigazione e l’uso delle app social, anche stabilendo un tempo massimo da trascorrere connessi.

  • Mostratevi curiosi verso ciò che tiene i ragazzi incollati agli smartphone: potrete capire meglio cosa li attrae e come guidarli nell’uso in modo da essere sempre al sicuro.
    Se trovate in rete video riguardanti sfide pericolose, se sui social compaiono inviti a partecipare a challenge, se i vostri figli ricevono da coetanei video riguardanti le sfide segnalateli subito a www.commissariatodips.it
    Tenetevi sempre aggiornati sui nuovi rischi in rete con gli ALERT che vengono pubblicati sul portale www.commissariatodips.it e sulle pagine Facebook Una Vita da Social e Commissariato di PS Online.

 

Così, prima di andare in giro a cercare di chi è la colpa, proviamo ad assumerci ciascuno la propria responsabilità, proviamo a fare rete per combattere, insieme, i pericoli della rete…

Io, almeno la penso così, parola di mamma, di insegnante e di referente cyberbullismo…

Fonte: Polizia Postale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Distanziamento A-sociale

 




Qui e là …

… “IN PRESENZA” … “A DISTANZA” …

L’ultimo DPCM prevede per il 18 gennaio il ritorno in presenza a scuola, seppur con il limite del 50%, ma l’Ordinanza regionale lascia le scuole superiori pugliesi a distanza fino al 23 gennaio.
Dal 5 marzo dell’anno passato la scuola non è più Scuola. Il maledetto virus ha stravolto le nostre vite e oggi, quasi ad un anno di distanza, si continua a sfogliare la margherita con il dilemma tra “didattica in presenza” o “didattica a distanza”.
Nonostante tutte le sue storture, la didattica a distanza ha permesso di continuare le attività didattiche ed è stata utile e salvifica in piena emergenza. Ma oggi non possiamo più parlare di situazione di emergenza, ma di situazione di pandemia, che per essere governata necessita di una rimodulazione dell’organizzazione scolastica, non estemporanea, ma frutto di programmazione.
Certo il distanziamento, le mascherine e il gel igienizzante hanno fanno sì che le scuole siano sicure, non causa di contagi significativi al loro interno, tuttavia non possono non risentire del della situazione epidemiologica esterna, perché i casi di positività al covid o i contatti stretti generano a scuola un pericoloso effetto domino tra gli alunni, i docenti ed il personale ata.
Non possiamo andare a scuola con la paura, la preoccupazione. Questa non è scuola. Che si tema l’arrivo della terza ondata non un segreto. Il rischio di aprire e poi richiudere c’è.
L’emergenza è per definizione una circostanza imprevista, quindi non possiamo continuare a parlare di emergenza in riferimento alla scuola, il problema ha acquisito una connotazione strutturale, perché per anni si è disinvestito sull’istruzione, sui trasporti e servizi, sulla sanità ed oggi ci viene presentato il conto.
E allora? Per tornare in presenza ed evitare che ogni regione vada in ordine sparso è necessario vaccinare il personale scolastico, sottoporre tutta la popolazione scolastica a test rapidi, dotare ogni scuola di termoscanner per la rilevazione della temperatrura, di sistemi di aereazione di classe per lo più sottodimensionate, risolvere il sovraffollamento dei mezzi di trasporto pubblico.
Bisogna stare sui fatti, sui casi concreti e su questi prendere decisioni: riaprire oggi la scuola sarebbe un rischio eccessivo.
Continuiamo con la didattica a distanza, consapevoli di tutte le sue storture, ma altrettanto consapevoli del grande rischio di tenere tutti in classi sempre più numerose e in aule non adeguatamente dimensionate e con difficoltà al ricambio aria, adesso che le temperature non permettono di spalancare le finestre.
La Scuola con la S maiuscola è solo in presenza, ma ciò vale in periodi ordinari e non straordinari come quello che stiamo vivendo, proseguiamo con la didattica a distanza, aspettando i primi effetti dei vaccini e non rischiare di provocare una terza ondata di contagi che sarebbe più deleteria delle precedenti.
Ai nostri ragazzi possiamo dire “Non è vero che questo sia un anno perso. Dimostrate il contrario, studiate non per il voto, ma per voi stessi, dimostrando così di essere più capaci di chi dovrebbe decidere per voi”.

Pio Mirra

Dirigente Scolastico




“La Musica Dell’Anima”

Un dono bellissimo.

Uno dei doni più belli che l’anno 2020 mi abbia fatto, è stato imbattermi nel Team giornalistico di BetaPress.it, con cui ho il piacere e l’onore di collaborare.

Un giorno, nella chat della Redazione, compare l’invito di “Perth” – pseudonimo di Federico Pertile, Capo Redattore Musica del giornale online – a far girare il link di un video di beneficenza.

 

Un dono nel dono!

Un click e sono sul Canale YouTube. È un video musicale, la rivisitazione di “Plush” degli Stone Temple Pilots. 

A eseguirla cinque amici sulla cinquantina appassionati di musica “grunge” che, ispirati dalle parole “Would you even care?” – “Te ne prenderesti cura?” – decidono di suonare, insieme dopo tanto tempo, una delle loro canzoni preferite. 

Che cosa c’è di speciale in tutto questo? 

C’è che questi ragazzi hanno scelto di esprimere quel che hanno nel cuore in un Linguaggio universale alla portata di tutti: quello musicale.

In barba ai limiti imposti dall’emergenza sanitaria sugli spostamenti e sulla realizzazione di eventi dal vivo, un video clip diventa un atto d’amore, un pretesto per dire: “Ehi, noi ci siamo, siamo qui e siamo pronti a dare una mano.”

 

Il segreto per essere felici.

Per Simon (voce), Rige (basso) e Perth (chitarra e background vocals), i tre musicisti intervistati che si fanno portavoce anche dei due amici non presenti – Gas (tastiere) e Alba (batteria) –  basta avere una passione ed esprimerla con tutto il cuore, in piena libertà, per dar vita a qualcosa di bello, di utile e speciale.

Ed ecco che due formazioni, “Slim Simon’s Boys” e “UEMMEPI”, si riuniscono in un super gruppo allo scopo di condividere la Bellezza della musica Grunge, suscitando in chi l’apprezza un gesto di solidarietà concreta: una donazione a favore dei numerosi progetti dell’ONG “AVSI”, a sostegno di quattrocento bambini e cinquemila famiglie bisognose in Italia e nel mondo.

I numerosi progetti umanitari di AVSI trovano supporto e promozione anche grazie al generoso contributo dei volontari dell’Associazione Santa Lucia.

Da circa un ventennio, oltre a iniziative locali come le cucine popolari e le case di accoglienza per minori, l’Associazione cura la realizzazione di un fantastico Evento di Beneficenza: la “Cena di Santa Lucia”.

Per saperne di più clicca qui.

Per guardare il video autoprodotto e autofinanziato dai cinque musicisti e dai loro amici, clicca qui. 

Nella descrizione del video trovi anche le modalità con cui puoi fare la tua donazione. Anche un euro è importante per restituire il sorriso a bimbi, ragazzi e famiglie che stanno attraversando un periodo di disagio, soprattutto dal punto di vista finanziario.

Infine, per guardare la video intervista realizzata venerdì 8 novembre 2021 in occasione del settimanale “Soul Talk”, clicca qui.

Alla prossima!

Ondina (Jasmine Laurenti).




Il senso dell’abbandono

Nella vita può capitare di essere abbandonati o di abbandonare, qualcuno, qualcosa, un luogo, sempre questo fatto, sia che sia voluto sia che sia subito, genera un senso di spiacevolezza, di tristezza, di inadeguatezza, di paura.

Questo perché il nostro organismo percepisce un cambiamento e reagisce, generando in noi una reazione che può assumere varie forme, dalla disperazione al disinteresse.

La tipologia di reazione dipende molto dal nostro vissuto e da eventuali richiami al nostro passato che questi eventi portano alla nostra memoria, spesso un abbandono infantile dimenticato può scatenarsi durante un abbandono nell’età adulta miscelando così nelle nostre reazioni un amarcord di difficile interpretazione.

Viene facile quando pensiamo all’abbandono ragionare in termini di perdita di una persona cara o di interruzione di un rapporto affettivo, in realtà uno degli abbandoni più pericolosi è quello dal lavoro.

Un licenziamento può generare un trauma  sociale molto forte perché la rottura di un rapporto amoroso ha una eco verso una persona, colei/colui che ha interrotto, nel caso di perdita del posto di lavoro l’eco si espande a livello sociale fino a far sentire l’abbandonato inadatto non tanto all’ex partner ma alla società tutta.

 Nell’abbandono, di qualsiasi natura esso sia, vi sono varie fasi che susseguono all’evento traumatico e che devono essere gestite con la massima attenzione per poter riequilibrare lo stato psicologico di chi ha perso qualcosa.

la prima fase è sicuramente quella dello stupore, molti la definiscono della negazione, ma credo che sia più giusto vederla come un momento di meraviglia, in cui la nostra mente non riesce a connettere il fatto ai suoi motivi, anche perché i motivi spesso non sono quelli dell’abbandonato ma dell’abbandonatore.

Da qui la sensazione di stupore che poi si trasforma in mancato riconoscimento dei motivi dell’abbandono e pertanto della loro negazione.

Questo è il momento più doloroso perché la nostra anima si rifiuta di credere e di razionalizzare un perché, quindi subentra un momento di panico emotivo che pochi riescono a gestire.

In questa fase conta molto poco gestire la persona cercando di spiegargli motivi o situazioni, la cosa migliore è portare l’individuo su un campo differente, in un certo senso allontanarlo dal suo sbigottimento e farlo vivere su argomenti più congeniali.

Nemmeno è utile sminuire l’abbandonatore perché ancora lo stesso riveste un ruolo fondamentale nell’abbandonato, ma è molto più importante in questa prima fase consolidare le caratteristiche dell’abbandonato riportando alla sua memoria le doti per le quali le persone lo stimano.

In coda a questa fase di stupore subentra la sottofase della negazione in cui tutto diventa senza senso perché quanto per l’abbandonato aveva valore nella relazione, qualsiasi essa sia (lavoro, sentimentale, affettiva), non è servito a mantenerla, di conseguenza la negazione del valore è un modo di difesa dalla perdita.

Proprio in conseguenza della perdita di valore subentra la seconda fase ovvero quella della rabbia o meglio del risentimento,

Questo risentimento si rivolge verso la perdita, ovvero l’ex partner, il datore di lavoro, il destino, dio, etc.

E’ proprio in questa fase che occorre una grande capacità di intervento per poter indirizzare la rabbia ed i sentimenti ostili verso un bersaglio neutrale, occorre scaricare a terra tutta l’adrenalina che la consapevolezza della perdita attiva nell’organismo.

E’ il momento delle grandi azioni, perché lo scatenarsi adrenalinico nel nostro organismo scuote mille altre emozioni contrastanti fra loro che innalzano il livello di astio nei confronti dei presunti oggetti della perdita.

In questa fase è fondamentale poter fare un intervento razionale ma soprattutto in grado di indirizzare la rabbia verso un qualcosa di tangibile, riconoscendo uno per uno i sentimenti scatenanti, identificandoli anche nella loro origine più profonda e permettendo all’individuo di convogliare la propria rabbia più verso il riconoscimento degli elementi scatenanti che verso il soggetto scatenante.

La gestione lucida di questa fase permetterà una serena consapevolezza.

La consapevolezza introduce le due fasi successive, il bisogno di trovare una quadra, una specie di tentativo di patteggiamento per riportare la situazione allo stato originario, è in questa fase che si fanno gli errori più comuni, telefonare continuamente, cercare un accomodamento, fare i fioretti o accendere le candele in chiesa, arrivando inevitabilmente alla fase della depressione.

La fase della depressione può essere quella definitiva, ovvero quella in cui il soggetto se non correttamente aiutato, trova un rifugio oscuro ma sicuro, rifugio nel quale il mix di consapevolezza e sensi di colpa ma anche la mancanza di soluzioni porta l’abbandonato a percorrere la strada della ricerca della privazione sensoriale, non si cercano più stimoli (che inevitabilmente generano ricordi), ci si estrania dal mondo e si cerca rifugio in quelli che definirei i beni stordenti, alcool, droga, evitando tutto ciò che faceva parte del mondo precedente, persone comprese.

In questa fase il ricordo di quanto perso diventa assoluto, perché rabbia e consapevolezza ci hanno fatto già bruciare tutto il brutto che abbiamo cercato per allontanare il dolore della perdita, quindi in questa fase diviene acuta la sensazione di mancanza.

Proprio in questa fase è necessario consumare tutto il dolore, fino a rimanerne esausti.

Solo così si potrà aprire l’ultima fase ovvero quella dell’accettazione.

Questa è una fase che richiede tempo ed è molto legata a come l’abbandonato è riuscito ad affrontare le prime fasi soprattutto quella della depressione.

L’Accettazione non elimina il dolore, lo mette solo al suo giusto posto incasellandolo ed archiviandolo, permettendo all’abbandonato di riprendere il suo percorso con un bagaglio esperienziale maggiore.

Quello che in tutte queste fasi sarà un elemento comune è il senso dell’abbandono, una sorta di emozione continua, un taglio dell’anima che rimarginandosi ci tiene vivi e che spesso è quello che ci aiuta a superare la fase della depressione.

Il senso dell’abbandono è qualcosa di concreto che entrerà a far parte del nostro bagaglio emotivo, un importante imprinting che la nostra intelligenza emotiva saprà gestire nei casi successivi spesso portandoci a mediare in situazioni simili o a trovare soluzioni differenti.

Il senso dell’abbandono è il vero valore che ci rimane dopo un lutto, la perdita di un amore, la perdita di un lavoro o simili.

Il senso dell’abbandono è il vero valore, perché permette di continuare liberamente e senza alcun velo a pensare ad un amore, ad una persona cara, ad un’esperienza vissuta tenendo tutto come patrimonio del cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Covid19 = aumento della depressione