quando è troppo è troppo!

Adesso basta! L’esasperazione della Confcommercio

Confcommercio replica al nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte: “Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro”

La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini e il direttore regionale Franco Marinoni commentano il nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte.

La loro è una forte critica e una precisa presa di posizione.

Siamo governati da incompetenti senza coraggio, senza visione, senza rispetto.

Il discorso del premier Conte di ieri sera – approssimativo e confuso, per nulla rassicurante – è solo la punta dell’iceberg di una situazione insostenibile.

Di questo passo il tracollo del sistema Paese è vicino, a partire da quello dell’economia”.

“Sconcerto e dolore. Queste sono le uniche emozioni che provo dopo una intera notte insonne –  prosegue la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini – in questi due mesi abbiamo fatto la nostra parte con responsabilità, come era giusto e doveroso, abbiamo stretto la cinghia sforzandoci di riporre fiducia in una classe dirigente che, a dire il vero, ormai da molti anni mostra purtroppo tutte le sue inadeguatezze, che la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce.

Ora, però, ha messo un’altra volta all’angolo il mondo delle imprese, rinviando ancora una volta la ripartenza ma soprattutto, ed è quello che più ci preoccupa, senza illustrare piani concreti di sostegno e di modulazione del futuro prossimo.

Le nostre imprese sono allo stremo e non hanno più margini per navigare a vista come ci viene richiesto”.

“Dietro il paravento delle norme di sicurezza anti-contagio questa classe politica pare nascondere l’incapacità di assumersi responsabilità nei confronti del Paese e l’incapacità a progettare una vera ripresa – aggiunge il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Certo, con molte prescrizioni e molti veti, ma almeno cominciando a prendere dimestichezza con la situazione che si presenterà da qui ai mesi a venire, fino a che non finirà l’epidemia.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro. 

E quello che più sconcerta è che gli interventi di sostegno al sistema economico restano poco più che proclami, incapaci di incidere nella realtà delle cose.

Credito a fondo perduto, moratoria fiscale e su tutti i pagamenti, sostegno al reddito: di questo ha bisogno l’Italia.

Ma anche di progetti seri per la ripartenza”.

I due rappresentanti di Confcommercio continuano: “Se la prima preoccupazione di tutti deve essere la salute, qualcuno ci spieghi perché aprire un negozio, un bar o una qualunque altra attività nella quale entrerebbero al massimo una o due persone alla volta, con guanti e mascherine e nel rispetto di tutte le regole necessarie, viene considerato più pericoloso che aprire una fabbrica con centinaia di lavoratori.

Credo proprio che il buon senso abbia abbandonato chi ci governa –  prosegue aspra la presidente Lapini – I commercianti, i baristi, i ristoratori, gli agenti di viaggio, quelli immobiliari e di commercio, i tour operator, gli albergatori, le guide turistiche, i parrucchieri, le estetiste e tanti altri imprenditori, insieme ai loro collaboratori e alle loro famiglie, non sono più disposti a sopportarlo.

Si chiede al mondo delle piccole imprese un sacrificio troppo grande senza dare in cambio misure concrete compensative”.

“Siamo stati in casa, abbiamo spento le luci delle nostre attività in silenzio, con un sacrificio enorme, abbiamo passato il nostro tempo ad organizzarci con le aziende, con le banche, con le scadenze, con la certezza che, dopo una prima fase di sgomento che sarebbe durata un mese (e sarebbe stato già terribile!) avremmo potuto riprendere a lavorare – spiega la presidente –

ma quello che Conte ha detto ieri sera senza dare nessuna spiegazione scientifica e tecnica, è inaccettabile.

Ha scambiato la nostra ubbidienza, il nostro senso del dovere in sudditanza.

Non è così!

Noi non faremo la fine della rana bollita.

Non siamo disposti ad abituarci a questa situazione senza farne parola”.

“Non ci condannerete al fallimento trovandoci inermi – conclude la presidente di Confcommercio Toscana – siamo pronti a reagire con la forza della disperazione, con la forza del nostro orgoglio, con la forza della nostra onestà, lealtà, determinazione, passione e desiderio di ricominciare per il benessere della nostra collettività”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di un medico al Ministro Conte




il silenzio degli innocenti … e dei colpevoli.

La strage degli innocenti, anziani, però…

Anziani, spesso con diverse patologie e non autosufficienti, ricoverati in strutture al massimo della loro capienza, con familiari e visitatori che entrano ed escono dall’edificio tutti i giorni.

Gli elementi per rendere le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) dei moltiplicatori del contagio c’erano tutti.

Ora, un’ indagine nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, fotografa la situazione all’interno delle strutture.

Su un totale di 4629 Rsa in Italia, di cui 2166 contattate dall’Iss, 577 hanno risposto alle domande, il 24% sul totale delle strutture nel Paese.

Secondo la ricerca, su 44.457 residenti (in 572 strutture, al 1° febbraio 2020) fino alla data di compilazione del questionario (tra il 26 marzo e il 6 aprile) i morti sono 3.859, l’8,4% (nel calcolo del tasso di mortalità sono stati compresi i nuovi ingressi dall’uno di marzo).

La Lombardia, con 1.822 decessi calcolati da febbraio, è in assoluto la regione che ha registrato più morti nelle residenze, a grande distanza da tutte le altre regioni.

Il Veneto è seconda per numero di morti (760).

La Lombardia è anche la regione che in Italia presenta la maggiore concentrazione di case di cura per anziani (677), seguita sempre dal Veneto, che ne ha 521.

La percentuale di decessi sugli ospiti delle strutture in Lombardia è del 47.2%, quella del Veneto del 19.7%.

A livello nazionale, dei 3.859 soggetti deceduti, 133 erano risultati positivi al tampone e 1.310 presentavano sintomi simil-influenzali.

 Il 37.4% dei morti aveva i sintomi del Covid-19.

Il tasso di mortalità fra i residenti, considerando i decessi legati al Covid-19, è del 3.1% a livello nazionale, ma sale fino al 6.8% in Lombardia.

«Da un ulteriore approfondimento, risulta che in Lombardia e in Liguria circa un quarto delle strutture (rispettivamente il 23% e il 25%), presenta un tasso di mortalità maggiore o uguale al 10%», spiega il rapporto.

 

Il caso Lombardia 

In Lombardia, il 51.3% di coloro che erano positivi al Covid-19 e che presentavano sintomi, è morto.

Al 6 aprile, in Lombardia risultano ancora 163 positivi al Covid-19 (risultati da tampone) nelle strutture del territorio.

Nella regione, il 49,7% dei deceduti è morto tra il 16 e il 31 marzo.

L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Giulio Gallera, in conferenza stampa ha dichiarato di aver diffuso un primo documento di linee guida destinate alle Rsa del territorio il 23 febbraio, indicando alle strutture di limitare fortemente gli accessi dei visitatori esterni.

Una seconda comunicazione l’8 marzo, per bloccare totalmente le visite dei parenti e prescrivere che tutti coloro che avevano una sindrome simil-influenzale fossero isolati, a prescindere dal tampone.

In alcune strutture la chiusura però è arrivata tardi: il quotidiano di Pavia La Provincia Pavese scriveva il 21 marzo «chiuse da oggi le Rsa Pertusati e Santa Croce».

A Milano sta facendo discutere il caso del Pio Albergo Trivulzio, la più grande residenza sanitaria assistenziale d’Italia, dove secondo un’inchiesta di Repubblica si è registrato un numero di morti anomale e i contagi non sono stati comunicati.

Il Trivulzio in una nota si è giustificato dicendo che su un totale di 1.012 persone all’interno della struttura, a marzo si sono registrati 70 decessi, in linea con quelli dell’anno precedente.

La procura di Milano ha aperto un’inchiesta mentre il viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri ha annunciato di avere mandato gli ispettori.

Anche la direzione regionale ha voluto istituire una commissione esterna di controllo, annunciata all’inizio di questa settimana.

 

Tamponi e mascherine: le Rsa senza protezioni 

Secondo l’Istituto superiore di sanità, le Residenze sanitarie assistenziali «sono strutture importanti e fragili nella dinamica di questa epidemia. Oltre alle misure in essere è molto importante adottare una speciale attenzione nella prevenzione e controllo».

Ma i problemi sono molti, in Lombardia e non solo.

Secondo la ricerca dell’Iss, a livello nazionale (547 Rsa rispondenti) l’85.9% delle strutture ha riportato la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale, mentre il 17.7% ha riportato una scarsità di informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l’infezione.

L’11.9% segnala una carenza di farmaci, il 35.1% l’assenza di personale sanitario e l’11.3% difficoltà nel trasferire i residenti affetti da COVID-19 in strutture ospedaliere.

E’ evidente che le Rsa non erano preparate a gestire l’emergenza, le Rsa sono luoghi dove si accolgono persone anziane non autosufficienti e pluripatologiche, non sono ospedali.

Pensare che il Covid-19 non potesse entrare lì è stato l’errore più grave. Bisognava cominciare a preparare molto prima i gestori su cosa fare quando il contagio sarebbe arrivato.

Ma fino a due settimane fa, lo sguardo di Regione Lombardia, è andato solo in direzione degli ospedali, dopo quasi un mese e mezzo che il contagio era avviato», dice Valeria Negrini, presidente di Confcooperative-Federsolidarietà, l’ente che unisce 1200 cooperative che svolgono servizi nel terzo settore, tra cui l’ambito delle Rsa, nel territorio lombardo.

Nelle Rsa della cerchia di Confcooperative-Federsolidarietà, i problemi ricalcano quelli sollevati dall’Istituto superiore di sanità.

«Le consegne di mascherine e dispositivi di protezione stanno migliorando, ma non in maniera sufficiente. I tamponi sono ancora limitati, ci si è concentrati sui casi sintomatici e non c’è stato tracciamento dei potenziali positivi.

Solo dieci giorni fa si è iniziato con le ATS che hanno iniziato a chiedere alle strutture quanti tamponi avessero bisogno per avviare un primo screening di casi sintomatici, paucisintomatici e di contatti a rischio di queste persone», spiega Negrini.

Anche per il personale sanitario si riscontrano problemi simili a quelli degli ospedali.

«Non è così chiaro se il test sia estendibile a tutti gli operatori», dice Negrini.

«Le ATS chiedono la lista dei paucisintomatici da tamponare, ma ufficialmente solo il personale che rientra dalla quarantena va tamponato per essere sicuri che non sia più contagioso».

Secondo il sondaggio Iss, su 560 strutture sul territorio nazionale, il 17,3% ha dichiarato una positività per SARS-CoV-2 del personale della struttura. In Lombardia questa percentuale sale al 34.6%.

Anche l’isolamento costituisce un problema per molte strutture:

se a livello nazionale il 47% delle Rsa dichiara di poter disporre di una stanza singola per i residenti con infezione confermata o sospetta, o stanze dove poter mettere più di una persona (30%), il 24.9% dichiara di avere difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid-19.

L’operazione è difficile soprattutto per le strutture più piccole (a livello nazionale, la media è di 80 posti letto a struttura).

«Nelle strutture con 40 o 50 posti spesso non ci sono gli spazi per riorganizzare», spiega Negrini.

Negrini denuncia inoltre come non sia stato fornito il personale medico adeguato a trattare i casi di Covid.

«Pneumologi e infettivologi sono figure fondamentali.

La Regione deve dire alle ASST (Aziende socio sanitarie territoriali, ndr) di fornire consulenza specialistica e personale specifico alle Rsa, e deve stabilire che vada fatta per tutto il territorio lombardo».

Nell’indagine dell’Iss, su 568 strutture che hanno risposto alla domanda, il 63.9% dice di non aver ricevuto una consulenza ad hoc per la gestione clinica e/o di prevenzione e controllo per COVID 19.

 

Negrini: «La Regione ha sbagliato a usare le Rsa per i pazienti Covid»

Negrini definisce inaccettabile la richiesta da parte di Regione Lombardia alle Rsa di accogliere pazienti Covid-19 per alleggerire la pressione sugli ospedali:

una questione sollevata anche dal vicepresidente del consiglio regionale lombardo Carlo Borghetti e dal capo delegazione Pd in commissione sanità Gian Antonio Girelli.

L’assessore Gallera, in conferenza stampa il 7 aprile, ha detto:

il numero di pazienti Covid positivi trasferiti in Rsa è stato «limitatissimo», 150 pazienti spostati in 15 strutture

le persone sono state collocate in palazzine e padiglioni separati, con personale dedicato e solo su disponibilità delle singole Rsa

questa scelta «ha salvato delle vite».

Ma per Negrini «la richiesta in sé aveva una logica sbagliata.

Qualche Rsa si è contagiata per aver accolto pazienti Covid».

Regione Lombardia, peraltro, ha chiesto disponibilità alle Rsa ad accogliere pazienti non classificati come Covid (ma potenzialmente positivi, provenendo dall’ospedale), il che potrebbe rappresentare un’ulteriore fonte di contagio all’interno delle strutture.

La situazione è ancora critica.

«Il tampone viene fatto solo in alcuni casi.

Le morti sono attribuite al coronavirus solo se risulta un tampone positivo.

Che ci sia una sottostima nel numero di morti è indubbio», ha detto Giovanni Rezza dell’Iss.

G.V., un infermiere di una residenza privata convenzionata a Cinisello Balsamo, racconta che un intero piano della Rsa in cui lavora è diventato un reparto Covid.

Ci lavorano 6 infermieri, un medico e operatori assistenziali (OSS e ASA), per 109 ospiti ed hanno cominciato a fare i tamponi ai pazienti soltanto a partire da questa settimana.

Per il momento ne sono stati selezionati 8, nonostante il numero dei sospetti sia molto superiore.

Tutti sono risultati positivi, e quattro di questi sono già morti.

I dpi inizialmente erano «inesistenti», dice G.V.

Avevano solo mascherine chirurgiche usa e getta che hanno tenuto per due giorni di fila.

Ogni settimana muoiono 3-4 persone, ma nessuno è ancora stato portato in ospedale, in parte perché i familiari si sono opposti, in parte perché la direzione sanitaria ha ritenuto che intubarli fosse inutile.

Lo stesso G.V. ha probabilmente contratto il Covid una decina di giorni fa. Con la febbre a 37,5, è stato mandato a casa e messo in isolamento fiduciario per 14 giorni.

Nel frattempo, un’altra sua collega si è ammalata.

Facevano già turni da 12 ore.

Lui dovrebbe tornare al lavoro alla fine di questa settimana: sarà tra i primi a cui viene fatto il tampone.

Nel frattempo, la struttura è stata segnalata all’ATS.

«A questo punto, al rientro mi aspetto di tutto», dice.

E noi di betapress con lui, perché la strage degli innocenti, anziani, continua, ora dopo ora, giorno dopo giorno…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calo dei contagi???

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.




L’origine di tutti i mali.

Sono convinto che l’origine di questa crisi sia stato il colossale fallimento del mercato e delle politiche neoliberali che hanno intensificato i profondi problemi socio-economici.

Si sapeva da tempo della possibilità che si verificassero pandemie dovute soprattutto alle trasformazioni dell’epidemia di SARS.

Per limitare i danni avrebbero potuto lavorare sui vaccini, sullo sviluppo di una protezione per potenziali pandemie da coronavirus, e con lievi modifiche avremmo potuto avere i vaccini disponibili oggi ma è più redditizio fare nuove creme per il corpo che trovare un vaccino che protegga la gente dalla distruzione totale.

La crisi sanitaria del coronavirus è molto grave e avrà gravi conseguenze, ma sarà temporanea, mentre ci sono altri due gravi orrori per l’umanità: la guerra nucleare e il riscaldamento globale.

Il problema più complesso da risolvere, però è quello che riguarda il cambiamento di mentalità, tema trattato ampiamente nella mia tesi di laurea.

Mi riferisco alla transazione di uno sviluppo sostenibile e non solo tanto all’attenzione a chiudere il rubinetto dell’acqua mentre si lavano i denti, a ridurre gli sprechi alimentari, a minimizzare il consumo di energia, ad avere migliori stili di vita, tutti elementi comunque importantissimi “a prescindere”, ma mi riferisco alla trasformazione della cultura e dei modelli con cui interpretiamo, e quindi trasformiamo nella direzione voluta, la realtà.

La trasformazione che dobbiamo operare riguarda i parametri con i quali misuriamo il successo di un Paese e il benessere collettivo e dei singoli, oltre che la sua equità e la sua sostenibilità nel tempo.

Non esiste nessun sistema economico sano se non c’è la biosfera sana. Perché per definire il “profitto” lo si trae dagli elementi economici e dal lavoro delle persone.

Non può crescere il PIL di una nazione all’infinito ma alla fine bisognerà fare i conti con quella stagnazione perché saranno finite le materie prime o le fonti di energia.

Affiancare al PIL indicatori di benessere “a tutto tondo” non è una pura operazione tecnico-statistica, ma un passo fondamentale verso un cambiamento della cultura dominante, il quale può avere impatti rilevanti sulle preferenze collettive e quindi sulle politiche, fermo restando che, per un Paese come l’Italia caratterizzato da un alto debito pubblico, l’esigenza di produrre il reddito necessario per farvi fronte si pone in maniera più pressante rispetto ad altri Paesi meno deboli.

Ci troviamo, quindi, in un momento critico della storia umana e non solo a causa del coronavirus.
Questo dovrebbe portarci alla consapevolezza dei profondi difetti del mondo, delle profonde e disfunzionali caratteristiche dell’intero sistema socio-economico, che deve cambiare se vogliamo sopravvivere nel futuro.

La crisi del coronavirus ci induce a pensare a quale tipo di mondo vogliamo, un mondo in cui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con la consapevolezza che senza un cambiamento radicale non riusciremo mai a realizzare la trasformazione al tempo dell’Antropocene.

D’altronde, questo è esattamente ciò che Papa Francesco intende quando si richiama alla necessità di una “ecologia integrale” in grado di tenere insieme l’ecosistema e quello che ho chiamato “sociosistema”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ing. Raffaele Falzarano




Beatrice Peronaci

In questo periodo di Covid-19, il mondo scolastico ha messo in luce  criticità  – ha dichiarato Beatrice Peronaci, responsabile provinciale dei giovani di Forza Italia – che sono state sottovalute a partire dall’attuale ministro della pubblica istruzione.  Partiamo dal presunto possesso  ed  utilizzo dei devices come i pc, smartphone, tablet, stampanti :  anche laddove tutte le famiglie fossero fornite degli adeguati strumenti, non si può dare per scontato che conoscano il corretto utilizzo dei vari programmi e applicazioni. Per non parlare della connessione di cui, purtroppo, non tutti possono usufruire.  Se consideriamo l’utenza, trattandosi di scuola primaria e cioè bambini tra i sei e gli undici anni,  essi necessitano di essere seguiti, passo dopo passo nello svolgimento dei compiti. Proporre  lezioni in streaming, classi virtuali, video lezioni ed altre attività multimediali, per le famiglie e i bambini può diventare un impegno troppo gravoso, specialmente se si considera che molti genitori sono impegnati di per sé nello smart working, contendendosi nella maggior parte dei casi i dispositivi tra i membri della stessa famiglia. Inoltre poiché sono tante le famiglie di origini straniere che a stento conoscono la lingua italiana, è stato sottovalutato il divario socio-economico-culturale già esistente in condizioni “normali” ma che  viene accentuato dalla pratica adottata creando discriminazioni ancora più evidenti.  Infine registriamo una mancanza di uniformità in quanto ogni dirigente scolastico impartisce ai docenti direttive diverse, creando così grosse differenze nello svolgimento della didattica a distanza, anche all’interno della stessa provincia. Constato tutto ciò, riteniamo opportuno – ha concluso la responsabile provinciale dei giovani di forza Italia – che si torni il prima possibile, seppure con i limiti oggettivi della didattica on line e che le criticità che ho evidenziato, ad una uniformità ed una normalità scolastica. In tal senso,  proponiamo innanzitutto l’annullamento delle giornate di recupero debiti del primo quadrimestre e riteniamo che ad oggi sia importante continuare il programma e terminarlo dove è possibile; la  promozione o la bocciatura dovrebbero avvenire  in base ai risultati del secondo quadrimestre, lasciando agli insegnanti la decisione di come gestire eventuali insufficienze derivate dal primo o dal secondo quadrimestre;  Infine chiediamo che il Ministero della Istruzione faccia al più presto chiarezza sull’esame di maturità. Infatti  nonostante le difficoltà, bisogna dare indicazioni più chiare per lo svolgimento della prova più importante del loro percorso scolastico.”

 

Andrea Vaccaro




Lettera di un medico al Ministro Conte

Lettera di un medico al Ministro Conte

Ecco il testo integrale della lettera che il Segretariato Italiano Dei Giovani Medici ha indirizzato al Presidente Del Consiglio Conte.

Avremmo potuto modificarla nei contenuti o inasprirla nella forma.

Ma non è nel nostro stile.

Come redazione di betapress, abbiamo il dovere di informarvi senza filtri.

E, voi lettori, avete il diritto di sapere.

E, state attenti, non è una fake news, ma pura verità.

Al più presto, seguirà intervista.

Intanto, cari lettori, leggete e suggeriteci pure altre domande da porre direttamente al Segretariato Italiano Dei Giovani Medici.

“All’attenzione del Primo Ministro e del Governo Italiano

Gentile Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. Giuseppe Conte,

siamo il Segretariato Italiano Giovani Medici. Ma non siamo solo una sigla, non ci facciamo forza solo di un logo. Noi siamo medici, alcuni più giovani di altri, ma medici. Alcuni di noi sono impegnati nella gestione dell’emergenza sanitaria in prima linea, alcuni più stanchi di altri, ma sempre stanchi.

La nostra stanchezza non deriva solo dall’oneroso lavoro che, affiancati da tutto il personale sanitario, siamo chiamati a fare. Oggi questa prova è solo una delle tante, più difficile di altre sicuramente, ma solo una delle tante che ogni giorno siamo chiamati a sostenere.

Ogni giorno Ci scontriamo con carenze strutturali, ogni giorno siamo oberati dal lavoro, ogni giorno siamo in prima linea, ma solo in questa occasione Vi ricordate di Noi.

Ogni giorno, mai come ora, dobbiamo sopperire a tutte le carenze del nostro Sistema Sanitario, carenze create da un’errata programmazione degli specialisti e dei medici di medicina generale, oltre che un’inadeguata gestione strutturale.

Ma allora perché il Governo se ne è accorto solo ora? Perché se ad ogni nostro collega è sempre stato chiesto di fare il lavoro di 10 persone, oggi gli viene chiesto di fare il lavoro di 30 persone.
Per sopperire a ciò siamo costretti a ricorrere, ben prima dell’emergenza, alla richiamata di medici in pensione, all’arruolamento di medici in formazione, al depredare le forze del personale sanitario.

Chiediamo una semplice cosa ora che il Velo di Maya è stato squarciato da questa calamità: la lungimiranza.
Se vogliamo evitare che questo succeda ancora, se vogliamo che ai Cittadini siano garantiti i loro fondamentali diritti per la tutela della Salute, si necessita di un’adeguata programmazione dei contratti di formazione, perché le mancanze di oggi, che saranno aggravate dal pensionamento di molti medici, non si ripresentino domani.
Ogni anno fino a 10000 colleghi vengono tagliati fuori dalla possibilità di intraprendere un percorso formativo di specializzazione.

Per tanto tempo questo è sembrato adeguato, ma ora non basta più, anche se come spiegato mai è bastato. Lei ha affermato che non si dimenticherà della classe medica, degli sforzi che oggi sta facendo. Se vuole alleviare questi sforzi, almeno nel futuro, allora Ci ascolti.

Abbiamo scritto al Ministero dell’Economia e delle Finanze, al Ministero della Salute, al Ministero dell’Università e della Ricerca. Ad oggi, probabilmente, saranno circa 22500 i candidati che parteciperanno al prossimo concorso, con sole 8300 borse, o poco più, stanziate ad oggi.

Chiediamo da tanto, forse troppo tempo l’aumento dei contratti di formazione specialistica e di formazione in Medicina Generale, e tra promesse e mancanza di risposte non possiamo più andare avanti, consapevoli che tale comportamento mina il nostro Sistema Sanitario e il futuro di tanti Giovani Medici.

Le auguriamo e Vi auguriamo un Buon Lavoro,
Segretariato Italiano Giovani Medici”

Non aggiungiamo altro se non la piena sottoscrizione di quanto segue.

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Non più soluzioni tappabuchi, è ora di riformare in maniera seria e completa la programmazione e la formazione medica!

 

 

Il primo bene di un popolo è la sua dignità




Ormai è finita, di Giacomo Mammucari

Nessuno l’avrebbe mai detto, mai pensato o immaginato.
Non l’ho guardato.
Non ho guardato quel banco, il mio compagno.
Il banco era mio compagno intendo.
Lasciamo stare quella ragazza dai capelli camaleontici che mi era sempre vicino.
Che in realtà era vicino anche al mio compagno, il banco.
Era testardo e duro di comprendonio, ma si lasciava far tutto: scrivevo sopra il suo volto, delle volte veri e propri disegni, altre volte tatuaggi di pennarelli indelebili.
E quando lo prendevo a pugni non si arrabbiava, mi faceva da spalla per un pisolino leggero, interrotto dalle urla stridenti degli altri compagni, i banchi.
Il mio compagno, il banco, non era solo: c’era lei, signora e regina, che schiena a schiena, era serena.
La mia compagna, la sedia, era sempre quella e sempre con me la portavo: altro che amore che porti nel cuore!
La compagna, la sedia, lei era il mio vero amore!
Era spesso contesa per le sue gambe fine e i suoi pantaloni blu, perché ti rilassava ed era comoda, o poco più.
Il mio compagno il banco era spesso geloso, ma quando io andavo via sapevo con certezza che avrebbero stretto amicizia.
Per lo meno lo speravo, o mi sarei sentito in colpa per averli lasciati soli. E ora soli parlano di me e dei nostri momenti vissuti anch’essi soli.
E poi c’erano loro, che sapevano tutto, che apprendevano come spugne, i miei compagni i muri.
Loro si che parlavano con saggezza, bastava avvicinarsi ad essi che la versione di latino veniva perfetta.
Altre volte insultavano pesantemente, forse stanchi di tutta quella gente ma erano sempre protettivi quei miei cari amici.
Ai muri la lavagna, diciamo anche lei mia compagna, non andava molto a genio.
Appesa ferendoli con chiodi, la lavagna, diciamo mia compagna, amava di più i professori e forse chi la rendeva splendente, i collaboratori.
E io tutto questo non l’ho guardato.
Non ne ho sentito le voci, non l’ho toccato, non gli ho parlato o salutato.
No, sono andato via ridendo e scherzando, ma chi mai avrebbe detto sarebbe stato l’ultimo dell’ anno. Ma che dico: l’ultimo di una vita intera.
Ma il banco, la lavagna, la sedia e i muri, i miei compagni, mi hanno fatto apprezzare anche ciò che li riempiva e li rendeva grandi.
Con loro il vuoto non c’era, diciamo, con quelle poche persone che eravamo!
E con loro, i professori, genitori un po’ troppo pretenziosi.
I miei amici fidati, quelli che non ho mai sopportato, sono rimasti lì, per sempre, nei segni e nei ricordi indelebili dei miei compagni.
Che fai adesso, piangi?

Giacomo Mammucari
5^ G
Liceo Falconi di Velletri