Didattica capovolta, quando la scuola si raddrizza

Visto che la scuola sta andando con le gambe all’aria… parliamo pure della classe capovolta (flipped classroom), una rivoluzione copernicana della didattica, che, magari, è una strategia per rimetterla in piedi…

Ho seguito un corso di aggiornamento di Daniela Lucangeli che ha una cattedra di Psicologia dello sviluppo all’università di Padova ed ha lavorato in mezza Europa.

I bambini di sei anni ridono 300 volte al giorno, ha esordito.

Gli adulti lo fanno da zero a 11 volte.

Vuol dire che tutti noi, crescendo, perdiamo funzioni che sono vantaggiose: ridere attiva il sistema dopaminergico e migliora il sistema immunitario.

È un meccanismo salutare per il cervello, e per l’intero organismo.

Allora, come mai, evolvendo, regrediamo?!?.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un allarme: una delle grandi pandemie da fermare è la depressione infantile, che può prendere avvio da cattive condizioni di apprendimento e da relazioni umane insoddisfacenti.

Questa situazione critica non riguarda solo la complessità della vita familiare, ma si sviluppa anche a scuola.

Vuol dire che l’ambiente che determina lo sviluppo del potenziale umano è in realtà, nell’ottanta per cento dei casi, un ambiente dello star male.

Per capire come e perché a scuola succede questo, ha proseguito Lucangeli, dobbiamo considerare le variabili cognitive messe in gioco dai metodi d’insegnamento tradizionali.

Oggi gli studenti vengono sommersi da un’enorme quantità di informazioni che dovrebbero “imparare”, come se fossero anatre all’ingozzo…

Ma, mentre pretende che gli studenti “imparino”, la scuola di norma non fornisce loro nessuno strumento e nessun sostegno per “imparare”, cioè per gestire in modo sano e produttivo le informazioni che elargisce in maniera intensiva e incessante.

Dunque, chi insegna non può limitarsi a trasmettere informazioni, deve cambiare la mente dei suoi allievi, migliorando il loro modo di ragionare e di confrontarsi con la realtà.

Facile a dirsi, ma come si può fare?

Ecco, allora che Lucangeli ci ha parlato del cervello come di un bollitore chimico che riceve stimoli dall’intero ambiente: percepisce non solo le cose dette, ma anche il modo in cui vengono dette, e l’intenzione che governa e determina quel modo.

E poi percepisce il luogo fisico.

E, a scuola, percepisce la relazione con l’insegnante, la relazione con gli altri studenti…

Bisogna sapere che, quando sperimentiamo emozioni, nel nostro cervello si registrano due tipi di picchi.

C’è un picco collegato a emozioni positive come la gioia: il picco è altissimo e ha una brevissima durata.

Il picco tipico delle emozioni gravi – come la tristezza, l’ansia, l’angoscia e la paura – è più basso e molto più permanente nel tempo.

È questo il motivo per cui le emozioni negative e prolungate possono determinare patologie.

Allora, tornando alla scuola: se un bambino, mentre impara, prova paura, il circuito della memoria registrerà, collegandole, sia l’informazione trasmessa sia l’emozione. Se un bambino si sente impotente o inadeguato nei confronti di quanto impara, l’apprendere resterà connesso con il senso di inadeguatezza.

E se un bambino è terrorizzato dalla scuola, fuggirà della scuola.

L’intelligenza sociale nasce con il sorriso, già quando abbiamo pochi mesi, e un sorriso d’incoraggiamento è, in termini di cambiamento, molto più potente di decine di rimproveri.

Un altro grande nemico dell’apprendimento è il senso di colpa connesso con un giudizio negativo: per questo gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare i loro allievi negli occhi e a sorridere. E dovrebbero saper incoraggiarli a sbagliare.

In classe, il cervello degli studenti porta “dentro” quel che c’è “fuori”. Il cervello dell’insegnante che fa una lezione frontale, invece, porta “fuori” quello che c’è “dentro”.

Nessuno di questi due atti è propriamente creativo: il potere creativo del cervello si esprime nella sua massima potenza nel momento in cui le informazioni che ci sono “dentro” vengono selezionate, connesse tra loro, riconfigurate in nuovo sapere, più ricco ed autoprodotto.

Anche la parola “intelligenza” viene dal latino (intusligere, cioè leggere dentro). E intelligenza sociale vuol dire portar dentro, riconfigurare, e solo, dopo, portar fuori, in una nuova forma. Questo è vero apprendimento. Ed è permanente.

Eppure quel che si fa a scuola non è altro che apprendimento passivo a breve termine. Il nostro cervello non è stato creato per questo. Non è fatto per portar dentro una massa enorme di informazioni che dovrebbe poi sputar fuori tali e quali. Se si trova in questa condizione, il cervello prova malessere.

Dunque, se l’obiettivo è attivare i cervelli, la classe capovolta sembra essere una soluzione possibile, efficace e naturale.

L’intelligenza è tanto più potente quanto più conosce e modifica le informazioni, facendole così davvero proprie. Ma più il cervello è sovraccaricato, meno ha risorse per elaborare informazione intelligente. È come se diventasse pigro ed obeso.

Dunque, se l’obiettivo è attivare i cervelli, la classe capovolta appare una soluzione possibile, efficace e naturale. L’idea di base è semplice: nella classe capovolta viene ribaltato lo schema tradizionale di insegnamento e apprendimento.

In aula si discute, si lavora e si impara insieme sotto la guida dell’insegnante.

A casa, da soli o insieme, ci si documenta grazie a materiali didattici multimediali.

Nella flipped classroom si pratica, insomma, il learning by doing. Se tutto ciò ci sembra molto americano è solo perché ci siamo dimenticati di Maria Montessori, che agli inizi del secolo scorso già parlava di apprendimento attraverso l’attività, o di don Milani.

Dal primo convegno sulla flipped classroom sono passati solo due anni.

Un numero crescente di insegnanti ci crede, ci prova, ottiene risultati, coinvolge altri insegnanti.

Date un’occhiata, se insegnate.

E, perché no?, provate…

 

 

Antonella Ferrari




Compiti a casa addio!

Chi di noi, dopo una giornata di lavoro non ha avuto l’incubo di controllare che i propri figli avessero fatto i compiti di scuola?!?

Non dico bene, ma almeno tutti.” Basta compiti !!!”  era il mantra domestico di ogni figlio che continuava ad implorare la fine della tortura, fino a che, il povero genitore, capitolava, e si metteva a farli lui, i compiti, pur di chiudere quella tragicommedia quotidiana e di andare tutti a dormire…

Stavolta, il sogno di ogni figlio alunno diventa realtà.

E si concretizza in un progetto sperimentale che coinvolge la scuola primaria e la scuola media di cinque province italiane (Biella, Verbania, Milano, Torino e Trapani), 166 le classi campione coinvolte.

In passato, ci sono state diverse iniziative, più che altro petizioni ed appelli, per trasformare il metodo di apprendimento eliminando i compiti a casa.

Ora, si passa ai fatti, con un movimento su scala nazionale che ha deciso di percorrere la strada della sperimentazione.

L’idea è verificare il valore di una diversa organizzazione del tempo-scuola, per sollevare gli alunni dal peso dei compiti a casa, spesso svolti con il coinvolgimento dei genitori (se non con il ricorso a lezioni private).

Così, dopo le iniziative sui social del preside ligure Maurizio Parodi, autore della pagina Facebook “Basta compiti!” e di una petizione online che nei mesi scorsi ha raccolto quasi 25mila consensi, in Italia, cominciano a prendere forma esperienze concrete.

E, per la prima volta, parte un progetto che coinvolge le scuole di tre regioni: Piemonte, Lombardia e Sicilia.

Ad esordire nella sperimentazione, sono state 13 classi dell’istituto comprensivo Biella II, dell’omonima città piemontese, in cui, il fatto di non assegnare compiti a casa, è la conseguenza di una diversa organizzazione della settimana scolastica.

Nella primaria, il tempo scolastico è stato strutturato in modo da far studiare ai bambini, per due settimane, lo stesso macro-argomento, trattato dalle diverse colleghe in un’ottica interdisciplinare.

Le insegnanti della classe, infatti, svolgono le normali attività di mattina e consolidano le conoscenze di pomeriggio, con attività di diverso tipo, anche pratiche. Questo consente ai bambini di acquisire i contenuti con un ritmo bisettimanale, senza essere appesantiti da compiti a casa. Le lezioni, alla scuola elementare, prevedono per una settimana intera lo studio dell’italiano e, per l’altra settimana, della matematica, affrontando l’argomento con il contributo di tutte le discipline.

Al Biella II, dice la preside Vineis,” si sta pensando di estendere la sperimentazione anche ad alcune classi della scuola media. I primi risultati del progetto sono soddisfacenti, perché si tratta di una metodologia inclusiva che non lascia indietro nessuno e che evita la stratificazione delle conoscenze.

In altre parole, l’argomento che gli alunni studiano viene affrontato e concluso in tempi brevi e le conoscenze vengono consolidate”.

Il progetto, che prende le mosse da un manuale sulle difficoltà di apprendimento stilato in collaborazione con la Asl di Biella, ha coinvolto, nello scorso anno scolastico, 36 classi del biellese.

Quest’anno, coinvolgerà 90 classi della provincia di Milano e 40 di quella di Trapani.

Il progetto, però, sta per essere “esportato” anche in altre tre regioni: Toscana, Umbria e Lazio, con monitoraggio dei risultati da parte dell’università di Milano.

Questa nuova realtà potrebbe nei prossimi anni suggerire anche qualche tipo di riforma.

Riforma che, di sicuro, otterrà il consenso di genitori spesso esasperati per la quantità di compiti a casa assegnati.

E perché, senza la necessità di assegnarli, gli alunni meno fortunati, o addirittura quelli disabili, svolgono comunque l’intero lavoro scolastico a scuola.(  Non fa niente se contenuti, metodi ed obiettivi sono diversi a seconda delle potenzialità di ogni bambino… Non ci metteremo mica ad insegnare anche ai genitori ?!? )

Il sogno è imitare la Finlandia, il paese con le performance dei propri quindicenni al top in Europa, dove il grosso del lavoro si svolge a scuola e con meno ore di lezione.

Peccato, che il sistema scolastico finlandese non assomigli per niente a quello italiano, ma, di questo, ne parleremo nella prossima puntata…Giusto per lasciare dormire tranquilli, figli e genitori…

 

Antonella Ferrari




ANCODIS A CONFRONTO CON L’ONOREVOLE CENTEMERO

L’ Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici tratta il tema del middle management scolastico con l’Onorevole Centemero ed individua la necessità di formare le figure intermedie per poter al meglio rispondere alle esigenze della scuola.

Ci chiediamo però se non sia il caso di ripensare completamente gli organismi di vertice della scuola, dalla giunta esecutiva (ormai praticamente inutile) al consiglio di istituto.

Non ci dilunghiamo ma il mondo della scuola deve essere ripensato completamente, altro che autonomia scolastica (che oggi non c’è), altro che figure manageriali, altro che Dirigenza scolastica.

Basti pensare alle centinaia di cause che le scuole perdono nei tribunali perché l’Avvocatura si Stato delega i Dirigenti Scolastici ad andare in tribunale o anche solo alla endemica mancanza di fondi che non permettono certo l’autonomia, o al fatto che quando i fondi ci sono sono spesso pilotati non alla scuola ma per gestire corollari poco edificanti (vedasi scuole belle).

La Scuola è oggi un pantano legalizzato, chissà se l’Onorevole Centemero con l’aiuto di Ancodis si muoverà per fare qualcosa?

 


ANCODIS: ANCHE NELLA CAPITALE E’ COSTITUITO IL DIRETTIVO TERRITORIALE

 Ad un anno dalla prima assemblea dei collaboratori dei DS svolta a Palermo (5/9/2016) nella quale sono state poste le basi per la costruzione di una rete tra i Collaboratori del DS nelle diverse forme (I°-II°-Responsabili di plesso), si costituisce il Direttivo territoriale di Roma presieduto dall’Ins.te Carla Federica Spoleti che ringraziamo unitamente ai colleghi che in questi mesi hanno reso possibile questo importante obiettivo.

Dopo Palermo, Siracusa, Firenze, Pisa, Cuneo e Catania, mercoledi 6 settembre i collaboratori dei DS di Roma e provincia decidono di aderire ad ANCODIS contribuendo alla crescita della struttura dell’Associazione sul territorio nazionale.

Per ANCODIS è un importante risultato tenuto conto che in meno di un anno di vita ha già superato la soglia dei 500 iscritti e quotidianamente riceve mail di richieste di informazioni.

I Collaboratori dei DS in questo breve tempo hanno compreso l’importanza di diventare comunità nella scuola italiana a partire dalla necessità di condividere e confrontare esperienze lavorative che fino a quel momento restavano circoscritte alle proprie Istituzioni Scolastiche, decidendo di tenere aperto il dibattito sul loro ruolo e sul riconoscimento giuridico e contrattuale.

Nella stessa giornata (6/9/2017), una rappresentanza ANCODIS ha incontrato alla Camera dei Deputati l’Onorevole Centemero, responsabile Scuola ed Università di Forza Italia, che – riconoscendo fondamentale il ruolo dei collaboratori dei DS – ritiene che debba essere adeguatamente valorizzato nel moderno sistema scolastico.

Sono stati evidenziati i punti condivisi in accordo con il nostro documento programmatico: riconoscimento sotto l’aspetto giuridico del collaboratore del DS, poiché inserito nel D.Lgs 165/2001, poi di fatto mai regolamentato; riconoscimento economico con una retribuzione prevista nel prossimo CCNL e non al tavolo di contrattazione d’istituto con il FIS.

Abbiamo avuto la comune consapevolezza che si tratta di docenti che dimostrano quotidianamente nelle I.S. e, soprattutto in quelle in condizione di reggenza, di avere acquisito sul campo e con percorsi di autoformazione le competenze necessarie ad assolvere ruoli nella governance delle scuole.

Vede, dunque, in modo molto favorevole l’istituzione del Middle Management e la relativa formazione effettuata attraverso il MIUR stesso o enti riconosciuti su argomenti gestionali e amministrativi relativi al nostro comparto.

E’ ormai il tempo di stabilire negli strumenti normativi e contrattuali che il lavoro dei collaboratori – nei diversi ruoli e funzioni loro assegnate dal ds – debba avere un riconoscimento anche attraverso una carriera integrata a quella di docenti.

Ed in questo percorso non si potrà non rivedere la norma che ha posto il blocco all’esonero per il primo collaboratore unitamente al riconoscimento delle funzioni vicarie e le mansioni superiori.

Sulla funzione del Middle Management intorno al dirigente si è parlato ampiamente: l’Onorevole Centemero ritiene che le vigenti Figure Strumentali debbano rientrare tra gli obiettivi nel lavoro dello Staff che può arrivare al 10% dell’intero C.D.

Ritiene molto importante fare un distinguo tra la classica carriera dell’insegnante e la carriera integrata dei collaboratori secondo ruoli e funzioni, riconoscere l’esperienza maturata sul campo come collaboratore/Vicario e responsabile di plesso non facendo fare la preselezione per il concorso a D.S.. Per quest’ultimo punto occorre valutare e studiare con molta attenzione una forma di riconoscimento anche in sede concorsuale ma non è d’accordo con la richiesta di riserva dei posti.

Su quest’aspetto occorre lavorare per trovare possibili soluzioni per questo riconoscimento.

Ci ha chiesto le nostre esperienze e l’opinione sulla L.107/2015, sul potenziamento e la chiamata diretta chiedendo di segnalarle ogni nostra riflessione sull’argomento.

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Carla Federica Spoleti, Presidente ANCODIS Roma

 




Tutti Promossi! La Scuola perde il suo significato…

Bocciature “abolite” per decreto alle elementari e medie, nuovi esami e test Invalsi rivoluzionati in terza media.

L’anno scolastico ormai alle porte si apre con una serie di novità introdotte dalla Buona scuola che riguardano i bambini della primaria e i ragazzini della scuola media.

Per la scuola superiore occorrerà attendere ancora 12 mesi prima di vedere gli effetti della legge 107.

Il governo Renzi e il suo successore Gentiloni, che ha approvato le deleghe della riforma Renzi/Giannini, hanno dichiarato guerra alle bocciature: l’Italia è una delle nazioni europee con la dispersione scolastica più alta.

Alle elementari si potrà bocciare solo in caso di abbandono dell’anno scolastico o per le troppe assenze.

Una situazione che riguarda una fascia marginale di alunni: tre su mille in prima elementare e uno su mille nelle altre quattro classi della primaria. In pratica, non si potrà bocciare per il profitto, basta che l’alunno venga a scuola !!!

“Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”, recita il decreto legislativo 62 dello scorso mese di aprile.

Nei casi di promozione “agevolata”, le scuole dovranno attivare “specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”.

Oltre al danno anche la beffa !!!

La bocciatura sarà possibile sono se tutti gli insegnanti del consiglio di classe saranno d’accordo: “Solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”, spiega la norma.

Basterà un solo parere contrario per fare scattare la promozione ope legis.

Novità anche per le prove Invasi.

Oltre ai consueti test di Italiano e Matematica, in seconda e quinta, in quest’ultima classe i bambini verranno sottoposti a un’ ulteriore prova di Inglese.

Anche alla scuola media la promozione diventerà la regola generale: “Le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo”, prevede il decreto legislativo sulla Valutazione.

Tranne i casi di gravi infrazioni disciplinari e nei casi di “parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline”.

Situazioni in cui “il consiglio di classe può deliberare” la bocciatura, ma con adeguata motivazione.

Giusto se l’alunno  ha dato fuoco alla scuola può sperare di essere bocciato, perché insultare un prof o picchiare un compagno non basta !!!

Anche in questo caso potrà scattare la promozione in presenza di insufficienze in una o più discipline, a patto che le scuole avviino percorsi di supporto per colmare le lacune.

Le prove Invalsi, che da qualche anno si svolgono solo in terza media, non saranno più in concomitanza con gli esami conclusivi e non incideranno più sul voto finale.

Si svolgeranno entro il mese di aprile, saranno effettuate al computer – computer-based – e contempleranno anche una prova di Inglese.

Così come avverrà alla scuola elementare, tutta la fase di spoglio delle schede e di caricamento al computer degli esiti degli Invalsi sarà a carico degli insegnanti, come “attività ordinaria d’istituto”. E la partecipazione alle stesse costituirà requisito di ammissione agli esami.

Dopo anni di polemiche e dibattiti, l’esame di licenza media verrà semplificato: solo tre prove scritte – Italiano, Matematica e Lingue straniere – e un colloquio.

Per gli indirizzi musicali, durante lo stesso colloquio, è prevista una prova pratica relativa allo strumento studiato.

Alla media, più che le risultanze degli esami, la Buona scuola premierà la carriera scolastica.

Il voto finale sarà espresso in decimi – con eventuale lode – e scaturirà dalla media tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove d’esame.

E a presiedere gli esami sarà lo stesso dirigente scolastico dell’istituto in cui si svolgo gli esami.

Niente più presidente esterno. Scusate, ma proprio non ce la faccio…

Da parte mia, io non ho mai pensato alla bocciatura come forma di punizione o peggio di discriminazione, ma ho sempre ritenuto che essa altro non fosse se non il naturale esito di un percorso scolastico insoddisfacente, dove l’alunno in questione non ha raggiunto neppure gli obiettivi minimi che il corso prescelto ed i programmi di quell’anno scolastico richiedevano.

Come non si manderebbe in sala operatoria un chirurgo che non sa fare il suo mestiere, come non si affiderebbe un aereo a chi non lo sa pilotare, così non si può promuovere chi non lo merita, perché ciò provocherebbe un grave danno individuale e sociale al tempo stesso: individuale, perché chi viene promosso senza merito si illude di avere competenze e capacità che in realtà non possiede e lo si condanna, per di più, ad affrontare l’anno successivo  dei contenuti che non è in grado di apprendere; sociale, perché mettendo sullo stesso piano i capaci e meritevoli (così denominati dalla Costituzione) e gli incapaci e i lavativi, si crea la grave ingiustizia per cui, nel mondo del lavoro, sarà avvantaggiato chi possiede aderenze e amicizie varie, perpetuando il malcostume che – spesso solo a parole – tutti condannano.

La scuola sessantottina infatti, favorendo le promozioni di massa senza selezione, ha immesso nella società e nel mondo del lavoro una massa di incompetenti che hanno fatto carriera grazie al nepotismo ed alle raccomandazioni; e siccome queste aderenze le posseggono soprattutto le classi elevate, il risultato ottenuto è stato l’esatto contrario di ciò che la “rivoluzione” del ’68 si proponeva, cioè l’eguaglianza sociale.

Oggi ci sono anche altri motivi per cui nelle scuole si tende a promuovere in massa: le pressioni dei genitori, la paura di perdere classi e posti di lavoro, ecc.

Ma chi fa sul serio questa professione, chi crede davvero nella funzione formativa della scuola, non può accettare questi compromessi.

Se vogliamo che i nostri studenti imparino qualcosa e si formino veramente per una vita futura, dobbiamo essere selettivi; altrimenti i ragazzi, che non sono affatto sciocchi, smetteranno di dedicarsi del tutto allo studio, non appena avranno intuito che la promozione è garantita.

Ciò non significa ovviamente che la bocciatura sia un fatto sempre positivo o di per sé auspicabile; se è possibile è meglio evitarla, fornendo anzitutto agli studenti tutti gli strumenti per recuperare le loro carenze e soprattutto mostrando noi stessi amore e dedizione al nostro lavoro.

Io personalmente tendo ad essere indulgente con chi mi segue e mi dimostra impegno, anche se i suoi risultati non sono del tutto soddisfacenti, mentre non ho alcuna comprensione per chi viene a scuola, come dicevano ai miei tempi, “per scaldare il banco”.

E’ anche vero che esistono studenti che, pur impegnandosi a fondo, non riescono a raggiungere risultati accettabili, forse perché non adatti, per capacità o per inclinazioni, al corso di studi che hanno scelto; ma in questo caso, più che la bocciatura, sarebbe necessario un nuovo orientamento scolastico da parte della scuola.

Se i docenti del primo anno di un Liceo, ad esempio, si rendono conto dopo due o tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico che un alunno ha operato una scelta non adeguata alla sua personalità, è loro dovere chiamare i genitori e decidere insieme il passaggio ad altro corso di studi.

Non vedo nulla di disdicevole o di disonorevole in questa procedura; è molto più umiliante essere promossi a forza e costretti a seguire discipline e contenuti che non si è in grado di apprendere, tirando avanti a stento, con continui insuccessi e la necessità di dover effettuare anche lezioni private, con inutile dispendio di denaro e di energie.

Antonella Ferrari




Ritorno a Scuola!!! Ovvero ritorno ai problemi di sempre…

I primi a tornare in classe saranno gli studenti di Bolzano: convocati a scuola per il 5 settembre. Gli ultimi i coetanei che risiedono in Emilia Romagna, in Toscana, nelle Marche e in Puglia: per cui le vacanze dureranno dieci giorni in più e l’inizio sarà soft, visto che il primo giorno di lezioni coinciderà con un venerdì.

A prescindere dalle differenze regionali, quelle in corso sono giornate scandite dall’avvicinarsi della ripresa dei ritmi scolastici. Oltre a essere concentrati sul ritorno alla propria attività lavorativa, gli adulti devono dunque pensare anche all’anno scolastico che attende i loro figli.

A fotografare lo stato d’animo dei genitori, in particolare in questo periodo dell’anno, è una ricerca condotta dagli specialisti del Mott Children’s Hospital di Ann Harbor, afferente all’Università del Michigan.

Gli autori, analizzando le risposte fornite da 2051 adulti, di cui 1505 genitori di ragazzi con meno di 18 anni, hanno voluto redigere la «top ten» delle problematiche sanitarie che i genitori riconoscono con maggiore frequenza come un’insidia per i propri figli.

Il quadro che è emerso è un’istantanea fedele dei nostri tempi.

Mamme e papà che hanno figli in età scolare hanno riconosciuto il bullismo come il pericolo più imminente per la loro salute.

In particolare, i genitori della nostra epoca temono l’atteggiamento del bullo di un tempo, potenziato all’ennesima potenza dalla tecnologia, il cyberbullismo : ovvero quel fenomeno che porta la violenza a traslocare sul web, dove l’amplificazione attraverso i social network non conosce confini.

Quest’aspetto è stato rimarcato soprattutto dalle famiglie afroamericane, spaventate dalla possibilità che i propri figli possano finire ai margini del gruppo per il colore della pelle.

Ma in realtà l’emergenza è sentita a tutte le latitudini, anche in Italia, se da una recente indagine condotta dalla Società Italiana di Pediatria, condotta durante lo scorso anno scolastico su oltre diecimila giovani di età compresa tra 14 e 18 anni, è emerso che un ragazzo su tre ha subito un atto di bullismo in silenzio, mentre il 12 per cento degli intervistati ha dichiarato di essere stato intimorito attraverso la rete.  

Se c’è chi di questi episodi è stato vittima, c’è pure chi li ha commessi. Un adolescente su tre s’è dichiarato autore di un atto di bullismo. Risultati che confermano come «l’adolescenza sia un’età difficile, con la differenza che, rispetto al passato, le difficoltà emotive e comportamentali emergono più precocemente», afferma Alberto Villani, responsabile del reparto di pediatria generale e malattie infettive all’ospedale Bambin Gesù di Roma e presidente della Società Italiana di Pediatria. «L’attività di prevenzione, rivolta tanto ai bambini quanto ai genitori, deve avvenire con qualche anno di anticipo rispetto all’esordio dell’età adolescenziale». Certo, prevenire è meglio che curare…

 Ma, quello che preoccupa i genitori sono anche le conseguenze a lungo termine del bullismo, e non si sbagliano!!! Come rimarcato nel corso dell’ultimo congresso della Società Europea di Psichiatria, dal punto di vista della salute mentale, la quota dei bambini esposti a violenze e maltrattamenti che sviluppano successivamente disturbi mentali è molto elevata: oscillante tra il cinquanta e l’ottanta per cento.

Gli atti di bullismo subiti in età scolare possono implicare conseguenze importanti in età adulta: tendenza al suicidio raddoppiata o triplicata rispetto alla popolazione generale, al pari del possibile sviluppo di depressione maggiore, disturbi da stress post-traumatico, deficit della crescita, disturbi d’ansia.

A questi si aggiunge una predisposizione maggiore all’obesità, a comportamenti aggressivi e sessuali a rischio, all’abuso di alcol e sostanze e a una più alta esposizione a malattie croniche.

«Recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che le esperienze traumatiche nell’infanzia e nell’adolescenza attivano i sistemi ormonali e neurochimici dello stress, al punto che la risposta di tali sistemi diviene tossica – dichiara Silvana Galderisi, ordinario all’Università Luigi Vanvitelli di Napoli e presidente della Società Europea di Psichiatria -.

Le conseguenze possono essere molteplici: dai danni strutturali e funzionali al cervello e ad altri organi all’interferenza con la risposta del sistema immunitario. Fino alla compromissione, parziale o totale, della capacità della persona di rispondere in modo adeguato agli eventi stressanti che si presentano nel corso della vita».

Al novero dei comportamenti a cui prestare attenzione c’è anche il «Blue Whale».

«La dinamica è simile a quella del bullismo – sostiene lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo -.

In questo caso si assiste in poco tempo a un vero e proprio stato depressivo dei ragazzi, con un graduale distacco dalla realtà, che amplifica la mancata percezione del rischio e attiva gli adolescenti a reagire a questo stato attraverso la sfida».

Ecco spiegato perché il bullismo, con la sua variante «cyber», sia il primo timore che alberga nella mente dei genitori statunitensi, ma anche italiani.

I genitori d’oltreoceano, come pure quelli europei, si sono inoltre dichiarati preoccupati per la sicurezza informatica dei dispositivi che ogni giorno maneggiano i propri figli. L’avanguardia tecnologica informatica offre uno spettro più ampio dei rischi a cui i giovani possono ritrovarsi esposti, se non adeguatamente educati.

«Ecco perché di sicurezza informatica si dovrebbe parlare mentre i figli frequentano i primi anni di scuola – hanno messo nero su bianco i ricercatori statunitensi -.

Una semplice strategia efficace prevede di escludere le informazioni strettamente personali dai social network e dalle piattaforme di gioco condiviso».

Soltanto alle spalle si collocano le altre possibili insidie per la loro salute: come lo stress, gli incidenti stradali, la depressione, la dieta sbilanciata, la sedentarietà, l’uso di sostanze stupefacenti e il «sexting» (invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare).

 

Antonella Ferrari




Studiare fino a 18 anni? Quando le idee sono poche e pure confuse…

Belgio, Portogallo, Paesi Bassi e Germania. Sono questi i soli paesi europei dove l’obbligo scolastico arriva fino a 18 anni, mentre nella stragrande maggioranza dell’Unione l’età di uscita dagli studi è fissata a 16 anni, come in Italia.

La proposta di innalzamento dell’obbligo avanzata dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli farebbe dunque uscire l’Italia dal gruppo più ampio di paesi con una durata “standard” dell’istruzione obbligatoria.

Un aumento, quello voluto dalla titolare del Miur, collegato con la sperimentazione del diploma in quattro anni prevista dal recente decreto del ministero che, a partire dall’anno scolastico 2018/2019, coinvolgerà 100 classi dei licei e degli istituti tecnici, pertanto abbasso, alzo, corto lungo, ma che è?

Secondo l’ultimo rapporto sui sistemi educativi europei pubblicato dalla rete Eurydice, nella maggioranza degli stati Ue (Italia compresa) l’istruzione obbligatoria dura 9-10 anni e si conclude all’età di 15-16 anni.

Si sta sui banchi fino a 18 anni solamente in Belgio, Paesi Bassi, Portogallo e in Germania: in quest’ultima, in particolare, l’obbligo si ferma a 18 anni in 12 stati federali, mentre in altri 5 arriva fino a 19 anni.

Lo stesso avviene nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, dove si va a scuola obbligatoriamente fino a 18-19 anni.

C’è da sottolineare, spiega il rapporto Eurydice, che in questi paesi fra i 15-16 e i 18-19 anni gli studenti hanno la possibilità di frequentare percorsi in alternanza, che combinano corsi scolastici a tempo parziale con corsi part-time nei luoghi di lavoro.

In Austria, Polonia e in Inghilterra, dopo la conclusione ufficiale degli studi a 16 anni, gli studenti devono restare comunque nei percorsi di istruzione o formazione fino al compimento dei 18 anni di età, anche se – sottolinea il rapporto – la frequenza a tempo pieno non è obbligatoria.

I ragazzi possono infatti adempiere l’obbligo scegliendo corsi formativi full time o part time oppure percorsi di apprendimento basato sul lavoro.

Intanto, dall’anno scolastico 2018/2019 partirà la sperimentazione per “accorciare” la durata degli studi superiori a 4 anni, alla quale potranno partecipare sia le scuole statali che quelle paritarie.

L’avviso sarà pubblicato dal ministero entro la fine di agosto e gli istituti potranno aderire dal 1° al 30 settembre. Saranno stabiliti criteri comuni per la presentazione dei progetti, per «rendere maggiormente valutabile l’efficacia della sperimentazione», spiega il Miur in una nota.

Si potrà attivare una sola classe per scuola partecipante e un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande pervenute.

Ora, il vero problema, non è innalzare l’obbligo scolastico ai 18 anni!!!

Fosse per me lo porterei al conseguimento della laurea!!!

La questione è che se lo Stato obbliga a studiare fino ad una determinata età, deve, di conseguenza coprirne le spese.

Come prevede la nostra Costituzione lo studio è un diritto fondamentale di ogni cittadino, quindi, prima di pensare ad innalzamenti di età, si finanzino tutti quei giovani costretti ad interrompere gli studi non potendo, la famiglia, sostenere i costi, sempre maggiori per arrivare ad un diploma o ad una laurea.

Ma poi in tutta onestà a cosa serve?

Così come è arrivata, la boutade della ministra è ridicola: dopo tre anni di discussioni sulla riforma della scuola ( e purtroppo a riforma ormai approvata ed in buona parte mal attuata ) si incomincia a parlare di che cosa i nostri ragazzi debbano studiare e per quanto tempo.

Ma senza riformare programmi e curriculum, senza risorse economiche ed umane per le scuole, la discussione è solo parziale e sterile.

Obbligare i ragazzi a stare sui banchi due anni in più non basta per motivarli a studiare, occorre creare nuovi metodi didattici, dare nuovo impulso alla scuola creando programmi innovativi, utilizzando strumenti tecnologici moderni, certo per far tutto questo serve gente preparata e capace di trovare pensieri divergenti e creativi … ecco forse perché tutto quello che è venuto fuori è alzare l’obbligo di due anni.

S T A T O     G E N I O O O O O O O !!!

Anzi, gli studenti a rischio di dispersione scolastica, sono spesso borderline, vere mine del sistema, più stimolati dall’avviamento precoce ad un mestiere che dalla frequenza alle lezioni, più gratificati dall’apprendistato di una professione che dalle nozioni teoriche di discipline letterarie o scientifiche!!!

Se la proposta di prolungamento dell’obbligo scolastico fosse l’inizio di una vera discussione su come impostare la scuola superiore (medie comprese), questo sarebbe un ottimo avvio.

Purtroppo, siamo fuori tempo massimo per fare qualcosa a breve termine.

La riforma è stata appena fatta e la legislatura sta per finire.

Forse, sarebbe meglio contenere i danni della BUONA SCUOLA, anziché provocarne altri…

Ai posteri l’ardua sentenza… (anche se possiamo già intuire come sarà N.d.R.)

 

Antonella Ferrari

 




La Scuola di chi: Finocchiaro rimette gli alunni al centro.

Nella mia carriera di giornalista ho sempre cercato di inseguire verità e chiarezza, quantomeno questo è stato il mio intento.

Non sempre è stato possibile farlo, a volte perché la verità si nasconde nella bugia e spesso perché la bugia è la verità.

Quando però incontro una mente limpida e lineare, quando trovo qualcuno che nonostante le complicanze politiche e sociali riesce a dire la verità, allora ritrovo la serenità nel mio cuore, perché capisco che c’è una strada della verità, occorre solo farla vedere il più possibile.

Ho potuto conoscere personalmente Giampiero Finocchiaro, l’autore di “La Scuola di chi“, e nel recensire il suo libro ritrovo il gusto particolare di chi vede la verità sopra ogni camuffamento, di chi la insegue ad ogni costo, per il bene di qualcun’altro, quindi sicuramente eccellente sia nel cuore che nella mente.

La Scuola di chi è un libro scorrevole, scritto in modo lineare, in cui finalmente si svela l’inganno della scuola italiana: la scuola non è degli alunni!

Finocchiaro ci prende per mano e ci porta a comprendere come la Scuola sia diventata un contenitore di mille problemi e di mille bugie, di false promesse e di incredibili artifici, ma mai è stata a fianco degli alunni, dei ragazzi e paradossalmente anche quando la scuola riesce ad essere per le famiglie, comunque non è a pieno per gli alunni.

Usare la Scuola per tutto fuorché per il suo vero scopo è quantomeno strano, specie calcolando che gli alunni oggi non sono diversi dagli alunni di ieri, hanno solo necessità differenti perché il mondo degli strumenti a loro disposizione è cambiato.

Finocchiaro non si limita ad aprirci gli occhi sulla scuola ma indica anche un percorso per riportare la scuola agli alunni, per ridarle quella credibilità e quella dignità necessaria per un Paese importante e bello come il nostro.

Quindi un libro verità ma anche un libro di metodo, per aiutarci a capire cosa dovrebbe essere la Scuola e come fare per rimettere gli alunni al centro.

Consiglio a tutti di leggere questo lavoro di Giampiero perché bello, vero, semplice, profondo.

 

Corrado Faletti

 

per ulteriori approfondimenti consiglio il sito di Giampiero Finocchiaro

 

Giampiero Finocchiaro è Dirigente Scolastico, antropologo, ed ha realizzato oltre 20 tra libri e pubblicazioni in materia di scuola ed antropologia scolastica.




Convegno UDIR per i Dirigenti Neo Assunti

UDIR, sindacato nazionale dei Dirigenti Scolastici organizza a Napoli un importante incontro di aggiornamento per i Dirigenti Scolastici neo assunti mirato a dare le prime nozioni per permettere un sereno avvio della Scuola.

Gli argomenti trattati sono i più importanti per un Dirigente, contratto, organizzazione, organi collegiali, personale, RSU, insomma un importante vademecum per affrontare con tranquillità i primi giorni di incarico.

 

 




MIUR il dandy della Reggenza, ma fu vera gloria?

Lo Stato Italiano è a corto di soldi, da tempo, e ovviamente cerca di racimolare soldi dove è consapevole che nessuno si oppone.

Triste ma vero, oggi il nostro sistema scuola vede circa 2000 scuole senza Dirigenti.

Quale è allora la geniale soluzione a questa problematica? La Reggenza!

G E N I O O O O, stato geniale (si lo scriviamo apposta con la minuscola perché non merita granché rispetto), così risparmiamo ben 2000 stipendi!!!

Peccato che mettiamo dei Dirigenti part time in scuole che forse per rispetto ai genitori meriterebbero un Dirigente  a tempo pieno, forse togliamo comunque almeno parzialmente un Dirigente da scuole che dovrebbero averlo a tempo pieno, forse invece che sistemare una scuola ne roviniamo due, quindi invece che 2000 scuole senza Dirigente ne abbiamo 4000 in difficoltà.

Insomma una vera porcheria, tipica nel nostro Paese (questa la scriviamo maiuscola perché il Paese siamo noi e noi meritiamo rispetto dallo stato).

Ma perché vogliamo a tutti i costi distruggere la scuola italiana, forse vogliamo distruggerla per privatizzarla definitivamente?

Ma come si permettono questi politici degli ultimi anni di insultarci così pesantemente rispetto al futuro dei nostri figli e del nostro Paese?

Siamo al ridicolo, al totale ridicolo da parte di uno stato che non sa più dove è importante investire per il futuro del Paese.

Tenendo conto, inoltre, che ci sono anche figure nelle istituzioni scolastiche che potrebbero tranquillamente supportare questo momento di difficoltà, ma come sempre al MIUR forse, senza forse, non sanno come è fatta la scuola.

per questo aggiungiamo al nostro articolo una lettera giunta in redazione dagli amici di AN.CO.DIS. che come sempre perfettamente tracciano la realtà della Scuola.

 

da AN.CO.DIS.

 

Lettera ad un DS ……part-time: e prendiamoci sta reggenza!

 

In queste settimane, gli USR sono impegnati nella ricerca della soluzione per le circa 2000 scuole senza DS titolare che saranno assegnate in piccolissima parte ad “incarico di presidenza” ed in gran parte “con incarico di reggenza” ad impotenti DS che – in applicazione dell’art. 19 comma 5, della Legge n. 111 del 15 luglio 2011, così come modificato dall’art. 4, comma 69, della legge n. 183 del 12 novembre 2011 – devono farsi carico di assumere l’onere e l’onore di governare un’altra I.S. oltre quella di titolarità.

 

Le reggenze saranno dunque circa un quarto delle scuole con la conseguenza che quasi la metà delle scuole italiane avrà un dirigente scolastico ad incarico part-time.

 

Condizione davvero critica se si pensa alle responsabilità che dovranno assumere, alle criticità cui dovranno far fronte, al numero di plessi da gestire, alle necessarie relazioni con alunni, genitori, enti ed associazioni.

 

I nostri DS sono lasciati, loro malgrado, in una condizione difficile se non critica: per un anno scolastico avranno da gestire due staff, due collegi, due Consigli di Istituto ed un numero indefinito di riunioni, consigli, riunioni sulla sicurezza, gestione amministrativa dei vaccini (alunni e personale)…..emergenze e criticità varie!

 

Nella Circolare dell’USR del Friuli Venezia Giulia, per esempio, leggiamo: “In considerazione del prolungarsi dei tempi di attuazione della procedura di mobilità interregionale ex art. 1, comma 92, della L. 107/2015 per l’anno scolastico 2017/18 si ritiene di dover procedere al conferimento degli incarichi di presidenza e delle reggenze per assicurare un corretto avvio dell’anno scolastico”.

 

Considerato che i docenti inseriti nelle vigenti graduatorie per l’incarico di presidenza sono pochissimi (e non ci sorprendiamo affatto visto il blocco del 2006!), la gran parte delle I.S. senza un DS andrà ad incarico di reggenza.

 

E’ il caso di ricordare che la reggenza costituisce un incarico aggiuntivo di carattere obbligatorio, retribuito, ai sensi delle norme contrattuali vigenti e nella necessità di coprire tutte le sedi vacanti, qualora si rendesse necessario, si potrà procedere anche d’ufficio.

 

Per buona pace di Anp e del Presidente Dott. Rembado, pertanto, appare del tutto evidente che la proclamata indisponibilità ad accettare incarichi di reggenza non produrrà alcun effetto e – come ogni anno – avremo tanti, e forse molti, DS disponibili “all’annuale sacrificio”.

 

E poco importa della qualità della gestione, della valutazione di sistema, del progetto culturale, della mission: questa è la musica seppur molto stonata!

Al tavolo di questo gioco delle parti – MIUR con i suoi USR e DS con le loro associazioni e sindacati – vogliono sedersi i Collaboratori dei DS che – occorre dire a voce alta – con il loro servizio e la loro professionalità acquisita rendono questo gioco possibile e soprattutto più facile!!

 

Voi DS titolari/reggenti – lo sapete bene – trovate I.S. organizzate, con un piano di lavoro già strutturato, un collegio docenti consapevole delle difficoltà generate da condizioni di reggenza magari pluriennale ed, in ultimo, dei Collaboratori che durante l’estate hanno prodotto una grande mole di lavoro organizzativo e gestionale.

 

Ma per il MIUR ed il MEF, per le forze politiche di maggioranza e di opposizione tutto questo NON esiste!! Occorre immaginare solo per un attimo I.S. prive dei Collaboratori del DS (I° – II° – Responsabili di plesso!)

 

Questi docenti che certamente non fruiranno di tutti i giorni di ferie hanno “spianato” la strada al DS titolare/reggente che – di solito – conferma i collaboratori dell’I.S. tenuto conto di questo grande lavoro professionale propedeutico.

 

Per scoprire dopo qualche ora di dialogo che il Primo Collaboratore è anche un docente impegnato per 18 ore in attività di insegnamento! E che per questo lavoro di collaborazione svolto da anni con grande passione e spirito di servizio riceve meno di 100 Euro al mese!

 

Gentile DS titolare/reggente – lo sa benissimo – si troverà nella condizione di non avere un collaboratore a tempo pieno che possa dedicare tutto il servizio contrattuale e ben oltre alla governance della scuola di titolarità e affidata in reggenza.

 

La migliore condizione possibile per una scuola moderna: DS e I° Collaboratore ad incarichi part-time!!

 

Ciò nonostante, noi Collaboratori saremo presenti al vostro arrivo ad accogliervi nella “vostra” I.S..

 

E’ il nostro primo dovere; siamo pronti ad agire ed operare con la professionalità e la competenza che ci contraddistinguono. E potete anche confidare sulla piena collaborazione dei collaboratori delle istituzioni che il MIUR vi affida alla condizione di una gestione part-time.

 

E’ arrivato anche il momento nel quale vi chiediamo una parola forte, pubblica, puntuale sul nostro lavoro ed un sostegno convinto al riconoscimento giuridico e contrattuale del nostro lavoro.

 

Siamo al vostro fianco – e lo sapete bene – protagonisti della governance delle I.S.: chiediamo semplicemente di essere giuridicamente riconosciuti poiché di fatto già lo siamo!

 

ANCODIS ha già scritto in altri documenti e conferma oggi che nella Scuola 2020 non si potrà avere una adeguata offerta formativa senza una governance affidata ai DS ed ai Collaboratori che però devono essere messi in condizione di prestare il loro servizio con professionalità ed a tempo pieno nell’esclusivo interesse dell’I.S.

Circa il problema delle scuole senza DS titolare, ANCODIS conferma la sua proposta: nel caso in cui in una I.S. esistesse lo stato giuridico di reggenza, l’incarico di presidenza al Collaboratore del DS.

E’ un istituto normativo ancora in vigore al quale è opportuno ed urgente ritornare anche se in maniera diversa dal passato, ovvero affidandolo a docenti con esperienza nella governance. Molti tra questi hanno avuto modo di ricoprire il ruolo di collaborazione per diversi anni, sviluppando indubbiamente adeguate professionalità e capacità di organizzazione e gestione delle loro istituzioni scolastiche.

Occorre semplicemente dare la possibilità di accesso a quanti negli anni hanno dimostrato competenze nella governance della scuola e sarebbe, inoltre, un modo per investire sulle risorse esistenti garantendo una guida efficace ed a tempo pieno ad ogni istituzione scolastica che non è più possibile garantire con l’istituto della reggenze!!

Nella consapevolezza della difficoltà ma nell’auspicio di un urgente intervento legislativo, ANCODIS porge cordiali saluti ed augura ai DS “part-time” un proficuo e sereno anno scolastico nella certezza che ogni DS titolare/reggente avrà al suo fianco validi collaboratori (……… e possibilmente uno a tempo pieno!).

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze




Le Università a confronto

Al netto delle futili discussioni che prendono piede dai social network e da cui ogni giorno veniamo sommersi, penso che occorra dare voce a tutte le persone, giovani e non, che decidono di intraprendere un percorso universitario nella giungla delle offerte oggi presenti nel panorama italiano.

L’imperativo è migliorarsi professionalmente o trovare un posto di lavoro che dia la possibilità di una vera indipendenza economica.

Sino alla fine degli anni 80 le università statali italiane nel campo della formazione si equiparavano alle università private, ed erano prese a modello dalle altre nazioni. Con l’avvento delle nuove tecnologie e con la globalizzazione tale situazione è per così dire quasi stata completamente stravolta cambiando anche in modo drastico la didattica e tutti i metodi di insegnamento.

Dando uno sguardo ai dati del Miur notiamo che nell’anno accademico 2015-2016 risultavano attivati in Italia 9.985 corsi, a cui erano iscritti 1.641.696 studenti (immatricolati 260.755 di cui 39.469 private\telematiche) suddivisi in 92 sedi universitarie (comprese le 11 telematiche), Ora seppure il dato delle telematiche con i suoi 57.204 iscritti non sia elevatissimo è sicuramente sintomatico di una nuova idea di università che solo per motivi piu che altro economici non esplode con numeri ben piu corposi.

Senza entrare nell’offerta formativa universitaria, la vera differenza che si riscontra parlando con docenti e studenti è che le università telematiche garantiscono due elementi essenziali: organizzazione e network – chi studia nelle università telematiche non solo avrà accesso ad un architettura di servizi piu efficienti come libri, video lezioni, dispense, classi virtuali, chat con il professore, etc., ma usufruirà anche di una docenza più organizzata e motivata in conformità della richiesta formativa 3.0.

Sulla nuova università del futuro la qualità non basta più, occorre aggiungere ulteriori forme di coinvolgimento e studio non piu statiche e ingessate su vecchi schemi, ma piu corrispondenti alla richiesta del mercato del lavoro che esige una pronta formazione: laboratori e classi virtuali durante la formazione e nel post laurea corsi, stage e master.

Ed è proprio su questo che il divario tra pubblico e privato si acuisce, il pubblico è lontano anni luce dall’organizzazione delle private e telematiche, chi fa business sulla formazione tende ad investire prima ed enfatizzare poi i risultati, rispondendo nel migliore dei modi a coloro che hanno scelto quel tipo di università (che vede premiati i propri sforzi mentali ed economici) e proponendo agli altri possibili studenti l’auspicio degli stessi risultati.

Concludo dicendo che la realta delle telematiche oggi necessita di un ulteriore perfezionamento sul numero dei docenti rispetto al numero degli alunni, infatti se nelle università telematiche, nella media, ci sono circa 90 studenti per ogni docente, nelle tradizionali ce ne sono solo 30. E questo, se si calcolano tutti i docenti, sia quelli di ruolo (ricercatori, associati e ordinari) sia quelli straordinari e a tempo determinato.

 

http://www.anvur.org

http://statistica.miur.it/scripts/IU/vIU1.asp

Dati aggiornati al 23/01/2017

 

Francesco Melis