A.N.Co.Di.S. lotta estrema contro le ingiustizie

Seguiamo con grande attenzione l’Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici che sempre più sta illustrando il suo pensiero e dimostrando come la figura del collaboratore del Dirigente, il vecchio Vice Preside, ha sempre più importanza sopratutto oggi, momento nel quale tra reggenze e carichi onerosi di responsabilità del dirigente la figura del collaboratore diviene fondamentale.

La Scuola è purtroppo gestita con Miopia assoluta, gli stipendi sono troppo bassi e non c’è bonus che tenga per ripagare chi ci mette il cuore nella scuola. Certo c’è anche chi non si merita un euro, ma non si può colpevolizzare una categoria per due mele marce.

L’Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici si batte per una scuola giusta e noi siamo con lei.


COMUNICATO STAMPA

In merito al ritiro dell’emendamento Puglisi relativo al distaccamento dalle attività di docenza (ex esonero) per “un docente individuato dal dirigente reggente tra i soggetti di cui all’art. 1 comma 83 della legge 107/2015” nelle I.S. in regime di reggenza, l’Associazione Nazionale Collaboratori DS dichiara – con amarezza – che in Parlamento si continua a “giocare” con la Scuola Italiana ed i suoi lavoratori. Con la vicenda vaccini, infatti, si è voluto ancora una volta dare un altro duro colpo alla scuola. Si è dimostra l’insipienza e l’incapacità di guardare alla scuola in una visione di sistema unitario. Intanto si è usata una emergenza (gestione amministrativa vaccinazione alunni da parte delle scuole) per affrontare un’altra emergenza e cioè le scuole in reggenza (nel prossimo anno si stimano in circa 1900). E di mezzo ci siamo noi, i collaboratori dei ds, vittime di questi politici che usano le emergenze per fare scelte inadeguate, avanzando proposte risolutive ancora peggiori!! In questa vicenda, si sarebbe potuta trovare un’altra soluzione più ragionevole e senza costi: riassegnare a tutte le scuole che ne sono prive una unità di potenziamento consentendo al DS, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, di dare il distaccamento al suo collaboratore!! Si dava cosi una duplice risposta: ai ds – reggenti e non – che si sarebbero trovati in condizione di avere un collaboratore a tempo pieno; ai collaboratori che avrebbero dedicato tutto il loro servizi contrattuale e ben oltre alla governance della scuola. Adesso invece avremo molti collaboratori che dovranno assolvere al loro lavoro di docenza in condizioni tali da non potere svolgere la funzione loro conferita e DS che dovranno fare a meno di un collaboratore che assuma a tempo pieno deleghe e carichi di lavoro. E’ chi subirà i danni? Sicuramente gli alunni in primis e l’I.S. che si troverà a dover affrontare emergenze su emergenze con una governance depotenziata. E cosa diranno a tal proposito le OO.SS. e le Associazioni dei DS? Rinunceranno – come dichiarato da più parti – a prendere gli incarichi di reggenza?
Come mai per i tanti “distaccati” negli uffici, nei sindacati, nei settori degli uffici scolastici centrali e periferici si sono trovate le unità per la copertura mentre per i collaboratori dei DS tutto questo risulta complicato se non impossibile? La Scuola italiana è in una condizione di emergenza forse mai così acuta! A questo punto, il Governo deve intervenire per rimettere ordine in tutta questa vicenda che ha solo fatto altro danno alla già martoriata Scuola Italiana. Occorre un provvedimento d’urgenza che metta le scuole senza DS titolare o in aspettativa in condizioni di funzionare in modo efficiente ed efficace nel settore gestionale ed organizzativo. I Collaboratori in queste scuole – come hanno sempre dimostrato – sono pronti ad assumere impegni a favore delle loro I.S.: mettiamoli in condizione di farlo e di dimostrare la loro professionalità riconoscendo loro responsabilità con “incarichi annuali di gestione”. Un sistema complesso qual è la scuola di oggi necessità di scelte che devono guardare alla qualità didattica del servizio offerto ad alunni e famiglie tenendo però conto delle necessità organizzative e gestionali. Non può esserci una buona offerta formativa senza un’ottima governance affidata ai DS ed ai loro Collaboratori che devono essere messi in condizione di prestare il loro servizio con professionalità e competenza nell’esclusivo interesse dell’I.S. Per queste ragioni invitiamo tutti a riflettere sulle possibili soluzioni che dovranno essere prese dalle Istituzioni preposte – sempre con l’urgenza che ci caratterizza – entro l’inizio del prossimo anno scolastico. Ed ANCODIS è pronta a dare il proprio contributo di idee.

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo
Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo
Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa
Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa
Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze




Unipegaso, la prima Università a misura di Studente e non di Professore…

Stiamo svolgendo un’importante ricerca sulle università telematiche italiane ed i primi risultati hanno portato l’Università Telematica Unipegaso al primo posto per territorialità ed iscrizioni.

Il successo non è solo dato da un buon rapporto qualità prezzo, ma dall’efficacia delle lezioni e dalla loro qualità.

Abbiamo intervistato i rappresentanti degli studenti Unipegaso per capire la formula del fenomeno.

domanda: In poche parole, cosa significa Unipegaso?

Leyla Lunghi,COMMISSIONI PARITETICHE DOCENTI-STUDENTI “GIURISPRUDENZA”, ci racconta:

Per me l’esperienza Unipegaso si racchiude in poche ma significative parole, eccole:

Flessibilità: per la possibilità di fruire delle lezioni quando è possibile visti gli impegni lavorativi e familiari 
Competenza: perché le lezioni sono accuratamente preparate, e i docenti, in linea di massima, sono stimolanti nell’affrontare gli argomenti

Preparazione: di qualità e certamente all’altezza del titolo da conseguire, io ne ho le prove ogni giorno perché sul lavoro mi accorgo immediatamente della qualità del mio percorso accademico.

il mio impegno negli organismi di di Facoltà vuole rappresentare la mia espressione di passione e solidarietà fra alunni, sicuramente le rappresentanze studentesche servono a creare un gruppo che ha lo scopo di migliorare la propria attività di studio e il proprio apprendimento.

Per questo motivo le rappresentanze di facoltà promuovono la solidarietà tra gli studenti, in quanto c’è condivisione dei problemi e la possibilità di ragionare su come risolverli tutti insieme, non lasciando nessuno solo.

Antonio Brienza, COMMISSIONI PARITETICHE DOCENTI-STUDENTI “SCIENZE UMANE” , espone in modo molto chiaro il suo impegno negli organismi di rappresentanza:

” La mia esperienza personale vissuta presso l’Università Telematica Pegaso la descriverei al contempo una vera e propria maturazione cognitiva, affettiva, professionale ed esistenziale. Una valida opportunità che mi ha concesso la possibilità di coniugare brillantemente lo studio al mio prezioso lavoro, l’occasione di conoscere gente valida, cortese e disponibile,nonché l’irripetibile opportunità di costituire, in qualità di fondatore, il Consiglio dei Rappresentanti degli studenti Unipegaso e l’Associazione Alumni dell’Università Telematica Pegaso. Esprimo un ottimo giudizio in merito alla qualità del materiale didattico elargito dall’Ateneo, alla preparazione posseduta dai docenti, al decoro delle prestigiose sedi d’esame dislocate su tutto il territorio nazionale ed al consolidato spirito di squadra emerso dalla fattiva collaborazione tangibile tra i vari Organi di quella che rappresenta un’Istituzione Accademica di tutto rispetto. Al pari dei colleghi iscritti presso atenei tradizionali, posso fermamente asserire che lo studente immatricolato presso un ateneo telematico è da ritenere a tutti gli effetti un discente impegnato attivamente e consapevolmente nell’espletamento del proprio percorso di studi e che quindi, come tale, investe tempo, passione, sacrificio e dedizione nella costruzione della propria carriera universitaria; una carriera edificata sui valori portanti di una decorosa esistenza. Eletto Rappresentante studentesco nella CPDS della Facoltà di Scienze Umanistiche nel mese di Dicembre 2016, sono fermamente convinto che il miglior modo per raggiungere traguardi grandiosi nella vita, così come nello studio ed in ogni altro settore dell’esistenza, sia quello di collaborare attivamente in team e, dunque, valorizzare il lavoro di squadra che definisco una delle migliori strategie per realizzare obiettivi di tutto rispetto. Più che soddisfatto dell’esperienza sinora condotta presso questo Ateneo, e della fattiva collaborazione riscontrata quotidianamente sia con i Rappresentanti dei vari Corsi di Studio, che con i vertici dell’Ateneo, resto dell’idea che molto altro possa essere realizzato grazie al prezioso contributo di ciascuno di noi.”

Insomma un Ateneo a misura di alunno e non di Professore.

 




Nuovo concorso DS, il MIUR dimentica precari, vicari e ricorrenti, l’ennesima ingiustizia!

Voci, voci, voci, eppure sembra che ormai sia prossimo l’avvio del bando di concorso per dirigenti scolastici.

Al MIUR servono 2000 Presidi per colmare le sedi vacanti sulle scuole che ormai da anni vivono di reggenze, in una situazione di precarietà dell’azione amministrativa che mal si accorda all’importanza del ruolo che la scuola sempre più oggi dovrebbe avere.

Le regole d’ingaggio per l’assunzione dei duemila nuovi dirigenti prevedono il titolo di studio, laurea, 5 anni di ruolo in qualità di docenti, il superamento della prova di esame con due scritti ed un orale e la perfetta conoscenza del ruolo e delle norme collegate.

Fin qui tutto bene, ma ora iniziano le dolenti note e l’attenzione del MIUR si perde nei meandri della indifferenza rispetto a quello che veramente è la scuola reale.

Il MIUR infatti si è completamente scordato di avere almeno 10.000 persone che il ruolo di Dirigente Scolastico lo conoscono benissimo da anni (i collaboratori dei Dirigenti, gli ex vicepresidi) e che svolgono una importante funzione di supporto ai Dirigenti, spesso in realtà sono i veri dirigenti della scuola, conoscendo perfettamente il ruolo stesso.

A queste persone il MIUR non si è nemmeno rivolto dicendo un grazie per il lavoro svolto riconoscendo in questo concorso un punteggio per ogni anno svolto nel ruolo di collaboratore del Dirigente, no, anzi, praticamente ha ignorato queste fondamentali figure di riferimento della scuola italiana.

Inaccettabile! È gravissimo che venga dimostrato in modo così grossolano di non apprezzare una figura che spesso si sacrifica in maniera totale per la scuola e per gli alunni.

Ma non ci fermiamo qui: nel valutare i cinque anni di ruolo come docenti il MIUR ha ancora utilizzato un trattore per passare sopra i poveri precari della scuola, ignorando bellamente la sentenza 5011/2014 del Tar del Lazio, ove i giudici amministrativi hanno ribadito che per partecipare al concorso per dirigenti non è indispensabile essere docenti già di ruolo.

Sullo stesso piano si pone anche un’altra sentenza, sempre del TAR Lazio, la n. 9729 del 16 settembre 2014, patrocinata dall’Anief, attraverso cui si è stabilito che il servizio pre-ruolo deve essere valutato come quello di ruolo, seguendo quanto statuito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza emessa nel procedimento C-177/10 pubblicata l’8 settembre 2011.

Insomma MIUR pasticcione e incapace di capire il mondo che gestisce, ignorando bellamente anche le sentenze dei magistrati.

Infine, per non farsi mancare nulla, il MIUR non ha considerato che ancora ha in sospeso ricorsi del concorso precedente, circa 200, che potrebbero essere alla fine accettati ed il MIUR avrebbe fatto danno all’erario avendo più assunzioni in essere di quelle necessarie.

Il fatto che lascia stupiti è che nessun sindacato di categoria ha segnalato al MIUR queste “piccole” sviste, se non ANIEF ed UDIR, che sono in questo momento gli unici guardiani dei diritti dei lavoratori del mondo della scuola.

Marcello Pacifico, Anief Udir, tuona contro queste discriminazioni segnalando che la sua sigla interverrà prontamente ad impugnare legalmente il bando in uscita qualora non venissero ripristinate tutte le sfaccettature legali ad oggi bellamente ignorate.

Insomma solito pasticcio all’Italiana … anzi alla MIUR!

E concludiamo ricordando una frase di Einstein che ci sembra molto appropriata:

La teoria è quando si sa tutto ma non funziona niente. La pratica è quando tutto funziona ma non si sa il perché. In ogni caso si finisce sempre con il coniugare la teoria con la pratica: non funziona niente e non si sa il perché.

 

 

 




Dirigenti Scolastici: basta con l’ipocrisia!

In questi ultimi periodi c’è la caccia al Dirigente Scolastico, che dopo anni di stupido silenzio si trova ora a farsi carico di centinaia di responsabilità che negli anni gli sono state messe addosso da una politica furba e da una serie di sindacati che definire incapaci è solo fargli dei complimenti.

Sindacati che hanno permesso che sulla figura del dirigente scolastico, la meno pagata del pubblico impiego, venissero caricate responsabilità che nemmeno i dirigenti superiori delle Direzioni Regionali hanno.

E’ ridicolo e pazzesco che in un paese civile come il nostro si pensi che basti trovare un capro espiatorio per poter dormire tranquilli!

E non si venga a lanciare slogan come quello delle scuole belle, una ennesima vergogna, dove in un sistema scolastico che crolla vengono pitturati i muri e vengono spesi milioni e milioni di euro unicamente per far lavorare quelle stesse imprese di pulizie delle scuole che cinque anni or sono si erano viste ridurre i loro larghi compensi (su cui non guadagnavano certo i lavoratori) per riceverli di ritorno con la bella scuola appunto adesso (e anche qui i sindacati?).

Ma la vergogna maggiore è che uno stato che sa benissimo lo “stato” in cui versano i suoi edifici pubblici prenda quattro suoi dirigenti e li carichi di tutte le colpe per poi potersene pulire la coscienza!!!

Proprio pochi giorni or sono la notizia della condanna in primo grado, un mese di reclusione (con sospensione condizionale della pena), emessa dal Tribunale di Lagonegro nei confronti della Dirigente Scolastica Franca Principe, dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Pisacane” di Sapri, e dell’ingegnere Nicola Iannuzzi, responsabile della sicurezza della scuola all’epoca (sei anni or sono) a cui si riferiscono i fatti oggetto del giudizio. 

Per loro anche 15 mila euro di risarcimento immediato alla famiglia.

La cosa assurda è che la Dirigente non era nemmeno presente nella scuola e che la colpa dei fatti fu di una bidella che lasciò aperta una porta di sicurezza da cui poi i ragazzi passarono per andare su un tettino che crollò facendo finire uno di loro nel cortile sottostante (il ragazzo ora sta benissimo).

Questo esempio assieme a tanti altri rende chiaro come il Dirigente Scolastico sia oggi esposto ad una serie di rischi di cui certamente non può avere carico di responsabilità, perché dovrebbero essere attestati ai padroni degli immobili (di solito provincie e comuni) che ormai senza soldi non possono garantire le benché minime misure di sicurezza degli edifici stessi.

Siamo al ridicolo perché il Dirigente Scolastico è ritenuto responsabile per la sicurezza degli edifici scolastici ma non ha non solo le competenze, ma nemmeno i fondi per sistemare quanto evidentemente lasciato “crollare” dalle Provincie e dai Comuni.

Ma veramente è una vergogna che non si può sentire!

Fino ad ora l’unica voce che si è elevata a difesa dei dirigenti scolastici in modo serio e strutturato è un nuovo movimento, un sindacato fatto solo da dirigenti scolastici che sta alzando la voce proprio su questi elementi.

Abbiamo intervistato il Dirigente Scolastico Francesco Marchese, laureato in Ingegneria Meccanica ed in forza alla scuola I.C. “G. Mazzini” di Erice (TP) da poco  attivo sostenitore di questa nuova forza sindacale.

 

Ing. Marchese, Lei che ha lavorato anche all’ambasciata Italiana in Egitto, che idea si è fatto sul seminario UDIR di Milano del 15 Maggio 2017?

Il seminario UDIR di Milano ha visto la partecipazione in qualità di relatori di varie personalità di spicco del mondo della scuola (Ispettore Bruschi, dott.ssa Armone, dott. Perziani, dott. Gentile, dott Indelicato, dott.ssa Sanfilippo, dott.ssa Giannino, dott.ssa Wagner), del mondo della politica (Assessore Aprea) e delle istituzioni dello stato (dott. Zingale procuratore generale della corte dei conti,  dott. Scaglione Usr Lombardia, ing. Saccone).

Credo che la strada del coinvolgimento di esponenti di molte istituzioni, espressione di vari territori e multiformi esperienze, permetterà presto all’udir di accreditarsi facilmente non solo nel contesto scolastico, ma anche nel contesto lavorativo e politico che conta, nel contesto produttivo e decisionale che può aiutare la categoria dei Dirigenti scolastici nel lungo processo di valorizzazione della categoria.

Lei ritiene che un nuovo sindacato possa portare novità nel quadro delle sigle sindacali?

L’obiettivo dell’UDIR è quello di raggiungere entro dicembre la minima quota di rappresentanza che permetterebbe al neonato sindacato di sedere al tavolo della contrattazione. Questo consentirebbe all’UDIR di rappresentare le esigenze della categoria nelle giuste sedi di discussione e di concertazione.

Dall’interno si potrebbero scardinare posizioni appiattite e conformate,  spesso specchio più degli interessi della Dirigenza sindacale che della base dei dirigenti scolastici che loro stessi rappresentano.

I ricorsi già promossi e quelli in discussione nelle varie sedi giurisdizionali possono rappresentare una importante leva nei confronti del Ministero o degli altri organi decisionali governativi, capace di rapportare  la questione dei dirigenti scolastici nella giusta dimensione valoriale e perequativa delle altre dirigenze dello stato.

Per Lei aver aderito ad UDIR cosa significa?

Tesserarsi UDIR significa aderire ad un nuovo progetto di Dirigenza scolastica, avere la possibilità di costruire un nuovo sindacato che manca ancora di establishment, di struttura direttiva, ma che nel suo interno può incorporare figure e forze vitali giovani e dinamiche, pienamente formate non solo a svolgere il ruolo di Dirigente dello stato, ma a lottare per il riconoscimento giuridico, sociale ed economico del proprio lavoro e della propria professionalità.

Aderire ad UDIR permette ad un Dirigente scolastico di mettersi in gioco senza gerarchie prestabilite e/o consolidate, senza ideologie preordinate, senza soggezione nell’esporre il proprio disagio e le proprie idee, senza paura di sbagliare … perché non c’e niente di sbagliato nel lottare per la dignità della categoria o per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro strutturali ed economiche.

 Cosa pensa della manifestazione che si terrà il prossimo 25 maggio a Roma?

Penso che la manifestazione di protesta dei Dirigenti scolastici aderenti a varie sigle sindacali indetta a Roma per il prossimo 25 Maggio possa rappresentare un punto di svolta nella rivendicazione di diritti contrattuali ed economici dei DS.

La categoria della dirigenza scolastica ha bisogno di unione e compattezza; necessita di una seria e articolata riflessione sul ruolo riconosciuto con la Legge Bassanini del 2001 , necessita di riscoprire la fierezza e la dignità della funzione  attribuita dalla legge e attualmente spesso ingratamente svolta nel quadro territoriale di riferimento.

Penso che la sperequazione retributiva, interna alla categoria ed esterna nei confronti delle altre dirigenze dello stato, non ha motivo di esistere e contribuisce alla demotivazione lavorativa e al mancato affrancamento sociale che si addice al nostro ruolo.

La costituzione di un nuovo sindacato dei dirigenti scolastici, come UDIR, può accelerare e catalizzare alcuni fenomeni di protesta insiti nella categoria, che a tutt’oggi comunque non hanno avuto modo di trovare la giusta concretizzazione.

A nome nostro e di tutta la scuola italiana, ci aspettiamo una forte risposta da parte del MIUR e del governo a difesa della dignità del ruolo della categoria e della professionalità dei dirigenti scolastici.

 




La Maturità immatura!

Se cambiamo significati cambiamo però anche il nome: non possiamo più parlare di Maturità se il nuovo esame sarà svolto come imposto dalla nuova riforma.

Stupiti ed attoniti, questo è come si rimane guardando le nuove regole dell’esame di maturità, o meglio del passaggio di fine superiore.

Non è più un esame, ma solo una formalità che chiunque potrà superare, ed a cui chiunque sarà ammesso.

Quindi a che serve? decisamente a nulla, un poco come il titolo di studio ed il suo valore legale, oggi a cosa serve essere diplomati se questo titolo di studio sul mondo del lavoro non vale più a nulla??

Non vale più nemmeno nei concorsi pubblici!!!

Svuotare così la scuola pubblica di ogni significato non sarà una mossa per favorire quella privata?

Ma procediamo con ordine, oggi parliamo di maturità e di come in tutto questo cammino si sia riusciti a farla diventare immatura.

Il governo ha proposto che non serva più il sei in ogni materia per essere ammessi, ma solo la media del sei (compreso il voto di condotta) e non si faccia più la terza prova …

Ma, procediamo con ordine, mica che il nostro futuro maturando si confonda …

Il 14 gennaio scorso, sono stati pubblicati sul sito del ministero dell’Istruzione e della Camera i testi degli otto decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri riferiti alla legge 107, cioè sulla riforma scolastica del luglio 2015, in breve, la BUONA SCUOLA di Renzi …

Il testo che più degli altri ha fatto notizia, è l’atto 384: “L’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato”.

In particolare, l’art. 15, si occupa delle ammissioni dei candidati interni agli esami di stato finali delle superiori, cioè chi verrà ammesso alla maturità.

E qui viene il bello …

I requisiti necessari saranno quattro: uno è rimasto invariato, gli altri tre sono nuovi.

Sarà necessaria, come avviene oggi, la partecipazione ad almeno il 75% delle ore di lezione, cioè, uno studente potrà continuare a stare a casa un giorno su quattro che, comunque, frequentando i ¾ del monte ore annuale, avrà assolto l’obbligo di frequenza.

Così, è sempre più istituzionalizzata anche l’assenza strategica o la malattia psicosomatica per allergia a quel prof tanto spietato che vuol pure interrogarti nella sua materia professionalizzante…

In più, rispetto ad ora, sono previsti gli obblighi alla partecipazione alle prove Invalsi, allo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro ed infine, una votazione di ammissione non inferiore alla media di 6/10 compreso il voto di condotta.

Dunque, non sarà più richiesta la sufficienza in tutte le materie.

Questo significa che si potrà essere ammessi all’esame di stato anche con un 5 (o un 4 o un 3!!!) purché ci siano dei 7 (o degli 8 o dei 9) a compensare su altre materie.

Ed allora, il nostro candidato tipo potrà affrontare la maturità classica con un bel 4 in latino od in greco, il suo amico maturando dello scientifico potrà esibire il suo 4 in matematica od in fisica ed un futuro ragioniere rivendicherà il suo 4 in economia aziendale od in finanze …

Che, intanto, le insufficienze sono indicate in modo generico.

E’ irrilevante che siano nelle materie professionalizzanti … Vedi allora che le assenze strategiche hanno ragione di esistere? … Un mio alunno direbbe: “Prof, Dio c’è !!!”

Ci sono delle novità anche per le prove Invalsi: si introduce una nuova prova di inglese, oltre quelle già previste di italiano e della seconda materia. Però la prova Invalsi sarà requisito per l’ammissione all’ esame, ma non confluirà nel voto finale.

Da povera addetta al lavoro, in classe da 29 anni, mi auguro solo che i quesiti delle prove Invalsi proposti nelle superiori siano un po’ più accordati alle conoscenze richieste ed alle competenze certificate di alunni reali e non virtuali …

Perché, se considero gli Invalsi proposti negli esami di terza media, vi assicuro che, ogni anno, il MIUR partorisce un tale inventario di quesiti scollati dalla realtà scolastica in atto, che, mi chiedo, chi sia ad inventarli e che cosa vogliano verificare, se non servano solo per abbassare la media finale anche degli studenti migliori…

Oppure, dubbio amletico, i nuovi quesiti continueranno a dimostrare che i nostri alunni non sono come ci aspettavamo ed allora, rinforziamo l’errore, la prova Invalsi non consideriamola nel voto finale, usiamola solo per far vedere che la nostra buona scuola funziona…

Ma sì, va tutto bene…Il decreto prevede, sempre per l’esame di maturità, l’eliminazione della 3° prova e della tesina portata dal candidato introdotta dal ministro Fioroni nel 2007.

Eh sì, povero il nostro candidato, togliamo pure l’insonnia da “notte prima degli esami” eliminando il famoso “quizzone “… Intanto, nella vita, succede proprio così, è tutto sempre più facile…

Si dovrà portare, invece, un resoconto del periodo alternanza scuola-lavoro. A questo punto entreranno in gioco le certificazioni Eipass, sperando che, almeno questa volta, qualcosa migliori…E che gli addetti ai lavori sappiano di cosa si stia parlando …

La prima prova scritta resterà quella di italiano, la seconda riguarderà la materia che caratterizza il corso di studi, ed infine ci sarà il colloquio orale.

Infine, con il nuovo decreto, il voto finale resta in centesimi, ma si dà maggiore importanza al percorso fatto negli ultimi tre anni, in modo progressivo.

Il credito scolastico avrà un peso maggiore passando da 25 punti a 40 ( fino ad un massimo di 12 punti in terza, 13 in quarta, 15 in quinta ), le due prove scritte e l’orale potranno valere invece fino a 20 punti ciascuno.

E qui, almeno, si inizia a riconoscere il percorso più o meno meritevole e non solo la prestazione finale…

 




Educatori o Dis-educatori: Genitori o Dis-genitori?

 

Ci chiediamo se nell’era fortemente digitale esiste ancora il distinguo, quando si parla di genitori e figli, tra autorevolezza e autorità o meglio tra educatori ed educandi.

 

fondamentale la funzione educativa dei genitori, nella fruizione mediatica da parte dei figli, unitamente a quella ricevuta a scuola.

La motivazione principale che ci ha spinto a fare questa riflessione è quella di capire le reali necessità dei genitori e dei figli  ed eventualmente spronare gli addetti ai lavori  che operano nel settore della comunicazione ad una capillare e mirata azione di formazione nell’uso dei media da parte delle famiglie, con particolare riguardo ai giovani, passando attraverso gli ambienti educativi istituzionali.

 l’obiettivo è lanciare il fatidico “sasso nello stagno” per poi proporre al lettore una riflessione circa  la penetrazione dei media e degli strumenti relativi, per poter riflettere sulle abitudini  personali e familiari circa l’uso dei media; la relazione esistente tra la somministrazione dei media e abitudini e stili familiari; il rapporto esistente tra tempo dedicato alluso dei media e tempo dedicato ad altre attività.

Per aiutare nella riflessione piace citare una storiella semplice ma significativa.  

“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: Salve ragazzi com’ è l’acqua? I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’ altro e fa: Che cavolo è l’acqua?”.

La morale della storiella denuncia il fatto che a volte utilizziamo le tecnologie senza conoscere le relazioni fondamentali.

Possiamo, però,  dare alla storiella anche un risvolto educativo che è quello che il rapporto tra adulti e giovani deve essere visto come una relazione educativa non più all’insegna della trasmissione di sapere, ma nella direzione di una reciprocità, di una co educazione : i pesci anziani sono consapevoli che stiamo nell’acqua, perché hanno conosciuto altri tipi di ambiente, e quindi l’ acqua (il mondo digitale) non è per loro scontata, né invisibile.

Racconto sempre ai miei collaboratori che quando mi sono diplomato non esisteva ancora la parola “informatica” e tanto meno “digitale”, ma che avendo vissuto direttamente la rivoluzione  dell’informatica prima e del digitale dopo mi sento molto più tranquillo nell’oceano rappresentato da internet.

Chi ha vissuto il cambiamento, sa che quello in cui viviamo ora è qualcosa che prima non c era, che prima aveva un altra forma, e comportava altri tipi di abitudini; invece i nativi digitali non sanno che le cose possono stare diversamente: per loro, l’ ambiente è invisibile pur essendo i “giocolieri del digitale”.

Oggi si riscontra una difficoltà oggettiva nella comunicazione, bisogna dire tutto in poco più di 120 caratteri nell’uso della nuova messaggistica fatta di acronimi , abbreviazioni  che trasformano il lessico, ma non la struttura delle frasi. E’ una scrittura che si rifà alla discorsività del parlato, anche piena di errori. Ma ciò è un male?

Pare di no, non lo è perché la lingua si evolve e si adatta ai tempi.

Il grido di allarme rivolto agli educatori è quello  di non dimenticare  di trasferire ai giovani una corretta lingua italiana, ma forse è troppo tardi perché stiamo  già assistendo   all’introduzione della comunicazione per immagini e all’avvento delle intelligenze artificiali, ovvero macchine che simulano il comportamento umano.

Per inciso, stiamo pian piano avvicinando il “cyberspazio” teorizzato nei primi anni Ottanta da Gibson nel suo romanzo “Neuromancer”.

I genitori non devono sorridere troppo difronte alle acrobazie digitali dei figli ma  cercare di accompagnarli nella  scoperta delle nuove tecnologie.

I genitori non si devono spaventare se si sentono ignoranti nel confronto con i figli per quanto riguarda l’uso delle nuove tecnologie e neppure entrare in competizione, essi sono educatori a prescindere dalle proprie conoscenze.

Lasciare un ragazzino  da solo a navigare vuol dire esporlo a tanti pericoli, dal cyberbullismo alle varianti di carattere sessuale, pornografia (a cui hanno libero accesso), pedofilia e altre derivate “sessuali” come i “selfie intimi” del sexting e all’orizzonte si profila anche la vera e propria dipendenza in stile video-poker.

Accompagnare i propri figli nelle praterie digitali vuol dire documentarsi, saperne di più.

Ci sono regole fondamentali da cui non bisogna recedere, tipo telefoni spenti alla sera, ricavare spazi e tempi  assieme ai propri figli e quando si va “on-line” è importante farlo assieme  farlo insieme, per condividere i comportamenti corretti per comprendere come ci si comporta e prevenire i rischi della “rete”.

 

 Oggi l’autorevolezza dei genitori, soprattutto per quello che è l’era digitale,  richiede più consapevolezza, più conoscenza e più responsabilità, non bisogna abdicare dal proprio faticoso ruolo di educatori.

E’ recente l’esempio negativo di Cuneo  dove i padri e le madri dei ragazzi protagonisti di un disgustoso atto di bullismo nei confronti di un loro coetaneo hanno assolto i propri figli archiviando l’episodio come una «ragazzata».

Cari genitori, oggi le nuove tecnologie offrono nuovi strumenti educativi: è importante  sperimentarli assieme ai propri figli diventando complici evitando , però, una condizione paritaria che si possa trasformare in una pericolosa e diseducativa “amicizia”.

Le nuove  tecnologie stanno radicalmente modificando non solo il modo di educare, ma anche l’intrattenimento, la comunicazione, l’informazione, il commercio, l’amore, l’odio, la salute…Non si tratta, è evidente, di imparare ad usare uno strumento, ma di provare a  capire come esso stia modificando il nostro modo di relazionarci alla realtà.

 

La tecnologia non deve mai  sostituire le regole educative o pensare di poterla eludere, perché come esseri umani ne abbiamo bisogno per poter crescere e vivere. Uno dei punti principali dell’educazione digitale è  di fare in modo che il digitale non porti all’isolamento ma che, al contrario, offra ulteriori possibilità di incontro ma bisogna anche essere consapevole che  un bambino di 6 anni non deve possedere uno smartphone.

 




UDIR contro le sigle dello “status quo”!

Ci piacciono i combattenti, siamo sostenitori di chi prende in mano il proprio destino e prova a cambiarlo, è questo il motivo principale per cui la redazione di Betapress segue molto da vicino le iniziative del nuovo sindacato dei Dirigenti Scolastici UDIR.

 

 

Partito in sordina con un semplice convegno a Palermo lo scorso mese (leggi qui) oggi il sindacato UDIR ha già realizzato molti incontri ed ha ormai il 25% di quota di iscritti tra i presidi siciliani.

La battaglia che i Dirigenti iscritti all’UDIR vogliono portare avanti è quella della giusta retribuzione per le corrette responsabilità affidate al ruolo del dirigente scolastico.

Un argomento da sempre snobbato da tutte le sigle sindacali che invece portavano avanti ideologiche battaglie per il riconoscimento della dirigenza unica della pubblica amministrazione, senza ottenere gran ché…

Dopo il lancio dei primi comunicati stampa di UDIR tutte le sigle sindacali hanno preso a cuore il tema della retribuzione della dirigenza scolastica (ma dai… N.d.R.) emanando proclami ed organizzando convegni in extremis nelle stesse (o molto vicino) località dove si sono tenuti i convegni di UDIR.

A noi di Betapress pare che le “vecchie” sigle sindacali siano molto spaventate da questa nuova effervescente sigla che, tra l’altro, proprio nell’ottica di ragionare sul fatto che i dirigenti non hanno stipendi commisurati alle responsabilità che gravano su di loro, ha applicato la tariffa di iscrizione più bassa in assoluto.

A Roma, sabato 18 marzo 2017, si terrà ancora un incontro UDIR per stimolare i dirigenti a “fare qualcosa” come dice Marcello Pacifico, presidente Anief “qualsiasi cosa purché non sia quello che fate adesso, ovvero star fermi!!” 

In un mondo di sindacati che guardano alle tessere ed alle loro posizioni, non dimentichiamo che nel mondo del sindacato della scuola ci sono persone che occupano da più di vent’anni le stesse posizioni (alla faccia del largo ai giovani N.d.R.), questo UDIR potrebbe essere qualcosa di cui sentiremo parlare a lungo.

 




Confronto tra la scuola e i giovani nativi digitali

La denuncia di questi giorni di 600 professori sulla incapacità di tanti laureandi che non conoscono le regole base della lingua italiana, mi fa riflettere sul percorso formativo di questi giovani.

 

Come è possibile che questi giovani siano riusciti ad arrivare fino alla laurea con queste profonde lacune.

A mio parere i professori devono un po’ fare un “mea culpa” sul permissivismo scolastico degli ultimi venti anni che ha prodotto e produce una cultura mediocre.

I problemi della scuola non sono stati risolti da una “finta” apertura alla scolarizzazione di massa, anche con l’avvento di nuove tecnologie che invece di aiutare una maggiore evoluzione delle menti, stanno producendo un nichilismo preoccupante, giovani che conoscono a menadito un computer ma non riescono a coniugare correttamente il soggetto, predicato e complemento.

E’ vero che la scuola non ha fornito i frutti che si speravano, la causa, però, dev’essere ricercata nella mancata attuazione  di nuovi metodi di insegnamento, al mancato passaggio generazionale dei valori fondamentali di una società, alla mancata attuazione di nuovi metodi di insegnamento.

Oggi i giovani possono avvalersi di strumenti potentissimi eppure hanno una ignoranza disarmante, un Cartesio qualsiasi ne sapeva infinitamente di più di qualsiasi studente di oggi, capisco che sono al confine di un assurdo, non è un paradosso visto  che lo dicono i famosi 600 professori.

Di certo i “professori” devono stare molto attenti a  lamentarsi, perché le carenze maggiori sono nel sistema scolastico, infatti chi ne esce si trova sprovvisto delle più elementari nozioni che riguardano la vita sociale e il lavoro che, al contrario, richiede oggi sempre più una notevole precisione nelle attività e nel dialogo tra le persone, e non sto parlando dei social.

Gli studenti di oggi non sanno scrivere perché non hanno cultura, scrivono come zombi usando l’italiano con una approssimazione irritante.

Eppure la lingua è, se non l’unico, il principale e insostituibile mezzo di comunicazione.

Non so se i giovani d’oggi, oltre ad essere i maghi nell’uso delle tecnologie digitali, sanno che ciò che distingueva Leopardi da un qualsiasi altro individuo, rimasto anonimo nella sua epoca, era la  sua capacità di definire ciò che provava in termini ben precisi e reali: un linguaggio corretto, ricco ed efficace con cui avvolgeva la sua arte poetica. Cari professori, ammettiamolo, questa capacità linguistica manca alla maggior parte degli italiani, la cui povertà delle regole linguistiche è un difetto ben noto e socialmente disastroso.

Basta pensare ai discorsi indecifrabili della maggior parte dei politici che , ironia della sorte, dovrebbero occuparsi della “ buona scuola”.

Ma chi sono questi giovani “nativi digitali” del 4.0?

Coloro che nascono e vivono in simbiosi  con le  nuove tecnologie; che si confrontano in un dialogo virtuale privo di contatti con gli altri; influenzati facilmente dall’ideologia  e dalla visione della vita e della società che i mezzi di comunicazione di massa inculcano quotidianamente, impedendo o rallentando d’altronde una adeguata presa di coscienza della realtà effettiva.

Proviamo, per un attimo, a riflettere.

Quando i giovani sbagliano gli adulti si devono interrogare sul “come” e “perché”!

Gli adulti e gli insegnanti di oggi si devono appropriare del loro ruolo di educatori !

L’ignoranza  dei giovani d’oggi è unicamente il fallimento della generazione precedente   nel suo ruolo di genitori e insegnanti!

Io non sono immune da questa responsabilità ma almeno cerco di capire…

 




Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori

Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori…

 

 

Addio, caro Tullio, scusa la confidenza, ma mi sembra di averti sempre conosciuto.

Appena ho saputo della tua morte, ho pensato che veniva a mancare una STELLA della cultura italiana e che, per curioso caso del destino o per paradosso linguistico, ci hai lasciati appena dopo fenomenologie come Maria Stella, Gelmini… ed in piena epoca di una ministra riscaldata e neppure laureata, ma nemmeno esperta di scuola.

 Tutti e tre avete ricoperto il prestigioso ruolo di ministro della Pubblica Istruzione, ma con qualche “piccola differenza”…

Coscritta di tuo figlio, ho studiato linguistica all’università, proprio sulla tua traduzione di Saussure.

Ed allora, ancora non capivo come questa materia scolastica potesse essere scienza sociale e passione civile al contempo.

In quegli anni, tu m’insegnavi che una piena padronanza della lingua italiana è un elemento indispensabile alla vita intera di una società moderna, ma da studentessa non mi era proprio chiaro…

 Poi, sono andata in classe, ed ho capito quanto davvero lo studio della lingua deve concretizzarsi in una missione di civiltà.

Il tuo ideale di lingua della Costituzione italiana, precisa, nitida nella sintassi e trasparente nel lessico, ”Parole di tutti e per tutti”, come tu eri solito ripetere, mi rendeva sempre più consapevole del mio ruolo di insegnante.

Intanto, da vero addetto ai lavori, continuavi ad insegnarmi da linguista, da professore universitario e da ministro dell’istruzione, che tutti gli insegnanti dovrebbero essere concordi nel riconoscere il primato della linguistica nell’educazione scolastica.

Per te le scuole erano, ed avrebbero dovuto essere, il terreno dove occorre far maturare negli allievi una piena consapevolezza dei mezzi linguistici e la capacità di un loro uso appropriato. Per te, solo un’elevata competenza linguistica avrebbe assicurato un’adeguata cultura.

Ed inoltre, lo studio linguistico avrebbe supportato lo sviluppo della società e delle sue forme produttive.

Vale a dire che i livelli di istruzione realmente incidono sullo sviluppo economico di un’area geografica. Dunque, per te, solo riconoscendo la centralità dell’educazione linguistica a livello nazionale si sarebbero potuti raggiungere alti livelli di istruzione individuali e collettivi e rendere un paese produttivo e competitivo.

Ma, come si suol dire…” Dal dire al fare, c’è di mezzo il mare…”.

 In classe, ho misurato sul campo che cosa significa l’analfabetismo funzionale, cioè come i miei alunni, immersi nelle nuove tecnologie informatiche, sono più analfabeti dei loro nonni…

Infatti, essi sono nipoti dei primi alunni obbligati ad andare a scuola.

I loro nonni erano alunni dell’immediato  secondo dopoguerra.

I loro nonni erano studenti negli anni ’50, in cui il 60% degli adulti era privo di ogni istruzione e solo il 18% degli Italiani, compreso i toscani ed i romani, usava l’italiano anziché il dialetto.

Erano alunni che avrebbero scoperto come il sopraggiunto obbligo di istruzione di base assicurasse e confermasse lo sviluppo economico italiano. Infatti, nei favolosi anni ’60, tali alunni avrebbero verificato di persona che il boom economico era intrecciato alla crescita del livello di istruzione delle classi giovanili.

Dunque, la diffusione della conoscenza e dell’uso effettivo della lingua italiana era garanzia di un’affermazione sociale e di un impiego lavorativo.

E così, il “saper leggere, scrivere e far di conto “, era riscatto sociale e vantaggio economico… E fin qui tutto bene.

 Poi, però, è arrivata la scuola dei genitori dei miei alunni, periodo in cui il 95% della popolazione italiana, finalmente, raggiungeva il prezioso traguardo dell’uso dell’italiano nel parlare.

Anni in cui, tra Berlinguer che ti precedeva e Moratti che ti seguiva nel tuo mandato di ministro della pubblica istruzione, qualcosa iniziava a vacillare e tu già parlavi di analfabetismo funzionale.  da vero profeta, già segnalavi che parlare in italiano anziché in dialetto, non corrispondeva ad una sicura ed estesa padronanza lessicale e competenza testuale, che parlare in italiano non vuol dire conoscerlo, e se manca l’abitudine alla lettura, non ci può essere l’abilità di scrittura…

Ed arriviamo all’ epoca della nostra buona scuola, dove il 40% della popolazione è impreparata o si trova in penose difficoltà di fronte al compito di leggere o di produrre un testo articolato sul piano sintattico.

 Sapessi quanto è amaro, verificare ogni giorno, nell’esercizio della mia professione di insegnante, che gli alunni usano google traduttore anziché il vocabolario, che la maggior parte di loro non ama leggere, che le loro famiglie preferiscono acquistare l’ultimo smartphone che un classico della letteratura.

Ho capito che la cultura è libertà, ma che l’orientamento politico italiano degli ultimi trent’anni va in direzione contraria.

Infatti, i tagli degli investimenti nella scuola hanno abbassato la qualità del servizio fornito.

Ho imparato, vivendo dentro la scuola, che il carosello di riforme scolastiche degli ultimi governi, ha portato sempre più le risorse pubbliche e private lontano dall’istruzione.

Insomma, che i miei alunni patiscono per le scelte politiche delle ultime assurde riforme, e che l’orientamento della spesa familiare è riflesso delle scelte politiche in atto.

Dunque, caro Tullio, tu hai sottolineato la centralità dell’educazione linguistica e l’importanza dell’investimento nell’istruzione ai fini dello sviluppo economico di una società.

Tu hai rimarcato il fine prioritario di dotare ogni persona degli strumenti espressivi, conoscitivi ed operativi necessari a muoversi nello spazio sociale.

Tu hai perseguito in tutta la tua vita l’ideale civile di rendere ogni italiano che parla e scrive in italiano, un vero cittadino e non un suddito o un privilegiato.

Peccato che le cose siano andate un po’ diversamente, che la carente alfabetizzazione degli italiani degli anni ’50 –’60 , abbia lasciato il posto all’analfabetizzazione di ritorno della nostra  epoca, periodo in cui le nuove tecnologie rimandano ancor più fortemente alla “necessità di leggere e scrivere molto”…

I miei alunni, abili nella competenze oculo-manuali, giocano con il cellulare, ma  non sanno parlare, scaricano da internet  una valanga di dati che non sanno analizzare, impiegano un gergo tribale svuotato di ogni senso, dove l’unico significato è far parte del gruppo.

E di fronte all’ invito a leggere e studiare seriamente, mi girano un post pieno di strafalcioni semantici dell’ultimo idolo televisivo che , ignorando l’ impiego dei congiuntivi, partecipa con successo ad un reality o grida nei talk-show e soprattutto, “guadagna un pacco di soldi, mica come lei, prof…”

 

 

 

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antonella




La “Ministra” Riscaldata

Il giallo sul titolo di studio della neo ministra Valeria Fedeli è durato poco, Lei stessa ammette candidamente, una svista, un copia incolla fatto male… e va beh, certamente in un governo come questo, ennesimo calderone di gaffe e di sberleffi agli Italiani, cosa conta un titolo di studio.

In effetti concordiamo con la ministra, il titolo di studio non conta, conta l’esperienza e le capacità che la persona che svolge il ruolo di ministro può portare nella gestione del suo mandato.

Noi non pensiamo che se una persona non è laureata sia un incompetente o un delinquente o peggio un incapace totale indegno di qualsiasi ruolo, noi siamo convinti che la capacità e l’esperienza possano davvero fare molto, sicuramente più di un  titolo di studio, che se non collegato ad esperienza e capacità, veramente non ha valore.

Noi riteniamo che un Ministro dell’istruzione debba essere un profondo conoscitore del mondo della scuola, debba avere esperienza diretta del ruolo di insegnante, debba conoscere le tematiche legate al mondo della didattica sia nazionale che internazionale, debba essere conoscitore del lavoro delle scuole non solo in relazione agli alunni ma anche alla complessità amministrativa che si cela dietro una scuola, debba avere chiaro dell’attuale stato di abbandono della scuola italiana e soprattutto del grandissimo disagio sia dei docenti che dei Dirigenti Scolastici, ma anche del personale di segreteria tutto, collaboratori scolastici compresi.

Queste cose nemmeno un laureato ad Harvard le saprebbe, e quindi chissene frega del titolo di studio del ministro, viva invece la sua esperienza.

Un’esperienza pluriennale nel mondo della scuola, ove ha ricoperto più ruoli, durante la quale ha potuto vivere direttamente e sentire quasi come un profumo tutte le componenti chimiche della scuola, comprendendone a fondo le meccaniche.

Per fare tutto questo occorre quindi avere l’esperienza della ministra, tre anni alla scuola materna, poi dal 1979 al 2012 come delegata sindacale per la CGIL, in vari ruoli legati al mondo del settore tessile, dal 2013 ad oggi senatore della repubblica per il PD…

“il mio punto di forza è l’ascolto…” ci dice la ministra, forse, ma non certo l’esperienza…

Ma quindi perché invece che scagliarsi contro i suoi titoli di studio non è stata valutata l’esperienza nella materia?

Forse perchè se andiamo a vedere l’esperienza di tutti i ministri allora ci mettiamo le mani nei capelli??? 

Forse perchè ancora una volta agli Italiani viene messo davanti un fatto compiuto?

Una volta ci dicevano o mangi la minestra o salti dalla finestra! 

Ebbene forse è ora davvero di saltare dalla finestra, probabilmente ci facciamo meno male che mangiando questa ministra riscaldata…