Perdere lo Sport…

Non sprechiamo questa occasione! Facciamo tesoro del momento e potenziamo lo Sport!

 

Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno di gioco di squadra.

C’è un grande “fine comune”: sconfiggere o, quantomeno contenere, un avversario strano, invisibile e molto pericoloso ma dobbiamo avere ben chiaro chi sia il nostro nemico. 

 

Da troppe parti si legge invece un astio, quasi paragonabile a quello che ebbe la Chiesa cattolica nel medioevo, verso il mondo del calcio in primis e dello Sport in generale. Additati come “untori” chi si faceva legittimamente una corsetta o un allenamento in solitaria.

Il continuo paragone tra lo “stipendio” dei calciatori e quello di tante altre categorie, come sei i primi fossero il male assoluto, non è certo venuto meno anche in presenza di una pandemia. 

 

A titolo informativo i calciatori, considerando la sola Serie A, per gonfiare un po’ i numeri che se no sarebbero peggiori, sono circa 500 persone che si presume siano i migliori in Italia, e alcuni nel mondo, a fare il loro lavoro – come sancito dalla famosa legge 91 del 1981 -. Un lavoro che muove ogni anno svariati miliardi di Euro, -1,3 i soli diritti TV della Serie A  molti dei quali finiscono nelle casse dello Stato, tra tasse, contributi, etc. etc. Bene, quasi la metà di loro guadagna meno di 500 mila Euro all’anno (come un buon dirigente o professionista che peraltro ha un arco lavorativo sicuramente più ampio) e solo il 35% circa – parliamo di 150 persone – incassa più di 1 milione.

Ecco servito il sensazionalismo che tanto piace ai giorni nostri.

 

Si poteva invece chiedere aiuto al Calcio ed allo Sport, come sta ipotizzando la Premier League inglese, per creare quello spettacolo meraviglioso, magari anche solo in tv, che avrebbe agevolato le “non” attività del periodo di “quarantena” ma, purtroppo, non riusciamo a toglierci di dosso una visione Marxista della realtà, una perenne  lotta “di classe”,  che “di classe” ha ben poco, come se ci fosse sempre e solo da contrapporre dei “privilegiati” chissà per quale diritto divino lo saranno diventati! e gli altri, quelli che la non ci sono arrivati.

Una costante lotta tra il vincente ed il perdente dove, quest’ultimo, invece che fare tesoro della sconfitta e, magari, imparare da chi ha fatto meglio di lui, cerca costantemente di delegittimare il successo ottenuto dal primo. 

 

Forse in questo momento ci sarebbe bisogno di molto più Sport perché, come dice un bellissimo documento della Federazione della Ginnastica, questo ci aiuta oltre che a star meglio, quindi agevolando anche il nostro Sistema Sanitario Nazionale, che in questo momento ne ha tanto bisogno, – si parla di stime di un risparmio tra i 4/5 miliardi all’anno grazie all’attività fisica e allo Sport – anche rispettare le regole, oltre che, con un po’ di ambizione, a farne di migliori: 

 

“facendo nostre le regole della competizione, ci abituiamo anche a formarci un sistema di regole che ci dettano “come giocare” nella vita di tutti i giorni e costruire un sistema di valori che ci servono per orientare le nostre scelte e le nostre decisioni … e il nostro stile di vita”

 

Attenzione infine a quello che ci ha detto il Presidente della LND Cosimo Sibilia che prevede una diminuzione del 30% delle società sportive nel mondo del calcio, ma è facilmente riportabile a tutte le discipline o quasi, questo vorrà dire una perdita di persone nell’avviamento allo Sport ovvero in quelle strutture ed in quegli istruttori che svolgono un ruolo importantissimo nella crescita e nella formazione dei ragazzi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indipendenza di Stampa




DP World Tour Championship

Si è disputato a Dubai dal 21 al 24 novembre il DP World Tour Championship, la gara conclusiva dell’European Tour, stagione 2019. Per un professionista di golf, così come per un appassionato, il modo più efficace per trovare ispirazione ed imparare è quello di copiare, cercando di rubare qualcosa dai quei giocatori che hanno dimostrato di essere i migliori in questa stagione sul circuito maggiore.  Per farlo, devi seguirli da vicino e per il resto è un po’ come a scuola: puoi studiare imparando a memoria oppure cercando di capire il concetto.

Neanche a dirlo il risultato è molto simile anche se, sul campo da golf, riprodurre esattamente i colpi dei grandi campioni è praticamente impossibile, si può invece cercare di comprendere le loro scelte tecniche e strategiche per fare proprio il concetto e riprodurlo secondo le proprie capacità.

Quale migliore occasione quella del DP World Tour Championship, che si disputa ormai da più di dieci anni a Dubai sullo splendido percorso dell’Earth Course al Jumeirah Golf Estates. Con me in campo c’erano dei giornalisti di alto livello come l’amico Michele Gallerani, Stefano Cazzetta, Gianni Piva e Prisca Taruffi quindi non farò una cronaca della gara perché farei solo una brutta, bruttissima, figura. Vorrei invece condividere alcune pillole che, secondo me, possono essere utili a tutti gli appassionati di golf.

La prima riguarda il percorso: appena entrato al golf ho mi sono trovato di fronte alla buca, 16 vista dal green verso il tee. Dieci anni di professionismo e qualche migliaia di buche giocate non mi hanno impedito di stupirmi quando la buca che mi ero prefigurato un par 4 dritto con un green relativamente facile se non fosse per un bunker al centro del fairway che richiedeva un tee shot preciso, ma che probabilmente non necessitava un driver, rimaneva nella mia immaginazione per lasciare spazio ad una buca completamente diversa; sempre un par4, ma con un pronunciato dog-leg verso destra. Necessario, o quasi, il driver dal tee, con conseguente aumento della difficoltà per evitare il bunker in mezzo al fairway, ed un secondo colpo che, a causa del dislivello e dell’acqua che circondava il green per tre lati, soprattutto quello lungo, non lasciava certamente tranquilli anche gli ottimi giocatori in campo. Insomma tutt’altra buca. Qualche volta converrebbe sempre girarsi indietro per vedere come sono le buche al contrario e magari scoprire come giocarle al meglio.

La seconda è sugli italiani in gara. Francesco Molinari e Guido Migliozzioltre ad Andrea Pavan erano i tre italiani in campo. Il primo, arrivava come defending champion della Race to Dubai, anche se in uno stato di forma non ottimale. Sta lavorando tantissimo e anche dal campo pratica ho potuto notare un piccolo particolare dello swing che non stava funzionando e che ci accomuna… la speranza non muore mai! Tuttavia mi ha impressionato il colpo che ha fatto alla buca 15, un corto par 4 con una distesa di bunker in mezzo al fairway. Finito sulla sinistra con un colpo di partenza molto aggressivo, Francesco, dalla zona desertica che contorna il campo, ha fatto un colpo basso a giro (da destra a sinistra), veramente straordinario. Un colpo che non ti aspetti da un giocatore come lui che viene dipinto come il “regolarista” per eccellenza, fino addirittura a diventare monotono. Che sia sintomo di cambiamento verso un gioco più estroso? Quanto a Milgiozzi è ammirevole la sua capacità di ambientarsi sul Tour in cosi poco tempo, certo l’esperienza del suo coach, Alberto Binaghi e le due vittorie aiutano, ma era la prima volta che lo vedevo sul massimo circuito e sembrava fosse un veterano.

La terza riguarda uno dei più longevi giocatori sul circuito, l’inglese Lee Westwood, che secondo me è un esempio straordinario per l’atteggiamento sul percorso. Per descrivere quello che sta facendo mi passano per la mente le parole del capitano dell’ultima Ryder Cup, Thomas Bjorn quando nel Rolex Media Day, intervistato da Dough Connelly ha detto che non smetterà di giocare fin quando gli piacerà viaggiare e continuare ad impegnarsi. Ecco, Lee, sembra avere una tranquillità sul percorso totale che gli consente di esprimersi ancora al meglio e non fare una smorfia quando lui, noto per tirare i ferri i modo eccellente, colleziona 3 flappe consecutive tra le buche 3, 5, 6, per poi concludere comunque un buon giro.

L’ultima pillola sembra quasi doverosa, non c’erano dubbi su chi fosse l’uomo da battere, la star della settimana: Rory McIlroy, il più forte al mondo tra gli esseri umani perché sono molti i dubbi sulla natura umana di Tiger Woods, forse il più forte golfista di tutti i tempi. Rory impressiona per la naturalezza sul campo da golf, per la sua pratica pre-round dove effettua serie di tre colpi; uno con il draw (lieve effetto da destra a sinistra), uno dritto ed uno con il fade(lieve effetto da sinistra a destra). Padroneggia appieno il suo gioco e l’eagle alla 18 del primo giro ne è la riprova. Impressiona anche per la qualità e la potenza sul drive, forse alcuni tireranno più lungo o più dritto ma guardandolo da vicino ed ascoltando il sibilo della pallina nell’aria appena parte si capisce subito che è una spanna sopra tutti.

Alla fine però a vincere è stato uno spagnolo Jon Rahm che ha dimostrato di essere il più affamato e determinato giocando una 72esima buca di altissimo livello ed intelligenza tattica. Recuperato proprio qualche minuto prima dall’inglese Tommy Fleetwod e consapevole che gli sarebbe servito un birdie (4 colpi) all’ultima buca per vincere ha piazzato il primo colpo in fairway ed il secondo si è protetto sul bunker di destra per evitare il ruscello che taglia a metà tutta la buca e precludersi la vittoria. Dal bunker ha fatto un colpo ottimo che ha dimostrato anche la sua confidenza con il gioco corto. La pallina ha rimbalzato ad inizio green per poi rotolare dolcemente verso la buca e si è fermata a meno di un metro dall’obiettivo. Da li non si è lasciato sfuggire il putt per la vittoria e la gloria… oltre che a ben 5 milioni di euro! Il tutto davanti a decine di migliaia di spettatori presenti sul percorso e a quasi 500 milioni davanti alle televisioni di tutto il mondo. Numeri che ci fanno sognare, ad occhi bene aperti, quando toccherà a noi con la Ryder del 2022!

 




Giù le mani dallo Sport, noi stiamo con il CONI!

Lo guardiamo in TV, leggiamo di lui sui giornali, a volte ci appassiona, altre volte ci fa arrabbiare, altre volte ancora ci fa litigare o abbracciarci.

Lo giudichiamo, lo condanniamo e alla fine lo salviamo perché spesso lui salva noi.

È lo sport.

Lo sport è una grande famiglia fatta di tennis, pallavolo, golf, ping pong, curling, nuoto, calcio, boxe, basket, surf…

Lo sport fa parte delle nostre vite, ci ha formati ed emozionati, a chi lo ha praticato, ha dato un imprimatur di vita; dietro lo sport ci sono gli atleti, gli eroi i semi dei.

Le storie di sport sono storie di eroi.

Persone che spostano di continuo la banda dei propri limiti personali, danno l’esempio e toccano i cuori.

Questo patrimonio culturale e formativo è talmente importante che in Italia, quando non ha avuto un ministero dedicato, ha sempre goduto almeno di un ufficio all’interno dei ministeri di governo.

 Chi è appassionato di sport o lo vive attivamente, in questo periodo è particolarmente in fibrillazione per via dell’articolo 48 del DEF (Documento Economia e Finanza) che vorrebbe rimodulare la gestione dei fondi dedicati allo sport e la loro destinazione d’uso.

 Per capirci qualcosa, visto che l’articolo 48 sull’argomento non conta più di 50 righe e che per capire la vera portata di una azione così importante serve qualcuno che da queste poche righe sappia tirar fuori tomi di storia dello sport, ho chiesto ad un collega di redazione di aiutarmi a capire.

Lui fa parte del CONI, è un golfista professionista e sta scrivendo una tesi di laurea sulla storia dello sport, si chiama Andrea Vaccaro e in questo articolo vi racconterò cosa ho imparato da lui dopo più di un’ora di conversazione.

 Ovviamente non entrerò nello specifico tecnico – a quello ci penserà Andrea nei modi e tempi per lui più congeniali – io condividerò un pezzettino di quanto mi ha concesso lui dandomi modo di capire e riflettere perché, lo confesso, non mi ero resa conto dell’importanza di questo argomento.

Prima di parlare con Andrea, nonostante il mio passato da agonista, non avevo considerato quanto lo sport fosse importante, dal punto di vista storico, culturale, politico e imprenditoriale.

Chi tocca lo sport, tocca delicatissimi equilibri e si prende grandissime responsabilità.

 Il punto della questione sollevato dal DEF è “chi gestirà lo sport?”

 Oggi il settore dello sport è gestito e coordinato dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) che segue le federazioni, distribuisce i fondi e si occupa delle attività ed iniziative a livello nazionale e nei rapporti internazionali.

Il CONI si occupa solo di sport ed è una istituzione stabile e affidabile.

Per spiegare cosa si intende con questi due aggettivi, basterà dire che, tra gli enti pubblici, il CONI è uno dei pochi che chiude l’anno con un bilancio attivo.

In più, nella storia giudiziale dei presidenti del CONI non si contano condannati e lo stesso dicasi per la maggior parte dei presidenti di federazione.

In poche parole – mi spiega Andrea – il CONI ha fatto quello che avrebbe dovuto fare la politica: mettere l’onestà come condizione essenziale e non come motivo di vanto.

 Ecco perché, dopo tanta fatica, spostare il piano di azione del CONI alla politica fa paura: perché, improvvisamente, quello che fino ad oggi è stato un punto di riferimento stabile (con tutte le sue dinamiche interne) con il nuovo DEF diventa incerto.

Ed è proprio questo il punto che mette inquietudine nel mondo degli sportivi: l’incertezza.

L’incertezza della nuova gestione, della riorganizzazione delle responsabilità e dei criteri e modalità di erogazione dei fondi, perché da tutto questo dipende la possibilità di allenamento ottimale degli atleti.

Una preparazione atletica è fatta di pianificazione, gradualità e continuità; la federazione si preoccupa di fare in modo che le sue condizioni di allenamento sia ottimale, ovvero che le strutture siano adeguate e le risorse disponibili.

Un atleta che si allena per quattro anni in vista delle Olimpiadi, deve sapere che può conquistare con le proprie forze il diritto di andare alle Olimpiadi e che le federazioni faranno di tutto per garantirgli le migliori condizioni di allenamento.

In Italia lo sport è legato alle decine di federazioni e migliaia di società sportive che formano, allevano e migliorano persone che diventeranno atleti, campioni o anche semplici praticanti.

Queste federazioni, al di là delle quote associative dei loro atleti, hanno bisogno di fondi.

Fondi per le strutture, innanzitutto, per le gare, per le trasferte, per la cura degli atleti.

Questi fondi hanno bisogno di essere erogati in fretta e bene.

 Oggi il CONI grazie al 40% degli incassi che lo sport genera per lo stato, si occupa anche della cansulenza sulle infrastrutture e di alcuni progetti nella scuola nonostante questo sia dovere del Ministero dello Sport che gestisce il restante 60%.

La nuova proposta però, prevedrebbe che al CONI restasse solo il 10% dei fondi e che sia il governo, assieme a tutti gli altri incarichi, a gestire direttamente nomine, distribuzioni dei fondi e azioni.

 Quando chiedo ad Andrea quale potrebbe essere una buona gestione dei fondi per lo sport, mi risponde che lo sport dovrebbe essere come la magistratura: completamente indipendente, il presidente del CONI dovrebbe essere Ministro dello sport senza diritto di voto.

In più, in una gestione ideale, il CONI non dovrebbe avere il 40% ma il 100% dei fondi per lo sport, dovrebbe potersi occupare anche dell’educazione fisica nelle scuole e la gestione degli impianti sportivi, inclusa la ricostruzione e la manutenzione.

Lo sport – mi spiega – si può benissimo gestire da solo attraverso i suoi proventi: scommesse, gare ecc… e crea altri indotti, come la vendita di oggetti e attrezzature, creazione di villaggi sportivi e movimentazione di atleti da tutto il mondo; insomma quello dello sport è oggi uno dei possibili  e innovativi sbocchi imprenditoriali.

Dopo tutto questo, ho chiesto al mio collega se la paura che viene vissuta in questo momento, è relativa a un rischio reale.

La risposta mi è piaciuta molto e mi ha fatto molto riflettere.

Lo sport storicamente è più forte di qualunque avversità.

Il rischio è a breve tempo non a lungo.

Il problema contingente è che il breve tempo interessa e incide sul periodo di preparazione di un atleta olimpionico; ma sul lungo tempo, lo sport vince sempre.

Un esempio per tutti è quanto è successo nel 1450 in Scozia, quando il parlamento aveva bandito la pratica del calcio e del golf; nel breve periodo il parlamento è riuscito a imporre il proprio volere ma il presente ci dice che nel lungo periodo lo sport ha avuto la meglio.

E questo non solo perché gli atleti hanno a che fare con eroi e semi dei ma perché lo sport porta ricchezza, crescita, coesione e miglioramento; lo sport è il simbolo del miglioramento inarrestabile.

Lo sport porta inevitabilmente emulazione e per questo ha una forza migliorativa che altre realtà non hanno.

 Ovviamente quella del DEF è solo una proposta di legge e prima di poter parlare veramente di quello che accadrà, ci saranno tante riunioni, tanti confronti, tanti studi che porteranno solo alla fine a un decreto attuativo del quale, in realtà, adesso, non si riesce ancora a vedere la forma.

A noi resta l’insegnamento che lo sport vince contro ogni avversità e per una volta non faremo il tifo per una squadra ma per lo sport tutto.

 

 




Sport individuali e spirito di squadra

Come funziona la kick boxing e perché mi ha insegnato un anomalo concetto di gioco di squadra

La kick boxing è uno sport da combattimento individuale.

Nella kick sono fondamentali tre cose

  • tempismo

  • spazio

  • reattività

Nella kick boxing si combatte uno contro uno, nello spazio del tatami, senza uscire, prendendo meno punti possibile e facendone più che si può, parando e contrattaccando, giocando di anticipo e non cedendo mai al dolore.

Nella kick boxing lo scontro è 1 contro 1 ma ogni atleta sfida 5 avversari:

  • sé stesso,

  • l’altro combattente e

  • 3 arbitri che dovranno dichiarare il suo punto.

Nella kick boxing si prendono tante botte, prima, durante e dopo la gara.

Al di là se poi se ne esce campioni o meno, la kick boxing è una allegoria della vita.

Se vuoi vincere devi agire velocemente, nel momento giusto e nello spazio esatto.

Questo e molto altro è quello che insegnano tutti gli sport da combattimento e tutte le discipline marziali

ed è per questo che è importante praticare questo genere di attività.


La kick boxing poi ha anche un altro aspetto che mi piace molto ed è quello delle GARE A SQUADRE.

Nella gara a squadre ognuno combatte contro un avversario dell’altra squadra.

L’ordine viene deciso dalla squadra secondo varie strategie ed è segreto fino al momento in cui si sale sul tatami

questo vuol dire che non saprai chi è il tuo avversario finché non te lo trovi di fronte.

Ogni atleta combatte e accumula punti per la squadra.

Alla fine vince la squadra che ha fatto più punti in tutto.

Questo è quello che ho imparato dalla kick boxing:

La kick boxing è uno sport di squadra anomalo: ognuno gareggia per portare più punti alla squadra e per sostenere col proprio impegno il compagno più debole.

Ogni atleta sa che dovrà lavorare in un combattimento uno ad uno per vincere quell’incontro e per accumulare punti

ma anche per aiutare il compagno che non ne ha fatti abbastanza.

Nessuno può far finta di combattere,

nessuno si può imboscare

ognuno deve essere presente a sé stesso lì e in quel momento e deve rendere conto del proprio contributo alla squadra.

O si vince o si perde e ognuno ne è responsabile.

Si combatte da soli in un’ottica di vittoria comune

questo ho imparato dalla kick boxing.

Questo penso quando penso a un lavoro di squadra:

ognuno combatte il proprio incontro in un ottica di bene comune

ognuno cercherà di recuperare i punti persi dal compagno

ma non potrà combattere al posto suo.




“SPIRIT OF THE GAME” AI TEMPI DEI SOCIAL

Non ho la tessera della Lega, quindi penso di essere al di sopra di ogni sospetto, ma nei giorni scorsi ho avuto la fortuna di guardare il video di un intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, (con delega allo Sport) l’On. Giancarlo Giorgetti al Meeting di Rimini.

In questo intervento, Giorgetti, ha parlato di una cosa che a me sta particolarmente cara: la disintermediazione (o sua la mancanza) tra “piazza” e “palazzo”. Una piazza forse fin troppo “social” ed un palazzo che non lo è quasi per nulla, come uno dei problemi della nostra società.

Sono innamorato del golf e dello Sport, ci ho scritto anche un libro, e sono fermamente convinto della capacità dello Sport stesso di superare ogni difficoltà – e la storia mi da ragione – , come quando alla fine del 400 il parlamento scozzese ha cercato di fermare il golf ed il calcio, o nel medioevo quando l’influenza della Chiesa cattolica era cosi forte da arrivare a tacciare di infamia gli Atleti. Oggi in Scozia si giocano ad ottimo livello sia il calcio che il golf e lo Sport negli oratori è qualcosa di naturale come in tutte le missioni che fa la Chiesa nel mondo. Dai confronti, o gli scontri, lo Sport ne è sempre uscito alla grande.

Proprio questo essere “troppo social” mi ha fatto riflettere quando ho letto alcuni articoli su metropolitanmagazine.it , di Andrea Demolli, una penna senza dubbio talentuosa (di sicuro più di me!), ma che sui contenuti fatica a trovarmi d’accordo, non certo per la voglia di competizioni sempre più corrette, quanto nel merito, diagnosi e soprattutto terapia sono, a mio modo di vedere, molto discutibili.

Ne prendo due ad esempio: “Rubare a Golf, perché?” e “Golf e Ladri: come riconoscere chi ruba?”. Articoli sicuramente animati dalla nobile voglia di giocare sempre nel totale rispetto delle regole, ripeto, condivisibile.  – Chi ha letto Amo lo Sport (se è sopravvissuto) è al corrente del mio sentirmi talmente tanto tradito dal tennis che mi sono concentrato sul golf, proprio per un’ingiustizia subita. –

Tuttavia ci sono passaggi che ritengo molto “da piazza” e, che forse, sono ancora più preoccupanti dei colpi tolti e delle palline messe in gioco. Innanzitutto mi ha colpito l’idea di una “gogna mediatica”, anche se definita come “ipotesi estrema” dall’autore stesso e, da quello che sembra, limitata al Circolo di appartenenza. Dissento nel modo più assoluto!

Far importare il peggio dei comportamenti della nostra società nello sport è proprio il contrario di quanto dovremmo fare!

Ed è totalmente contrario ai principi che animano Sport da sempre. Per dirla con il Barone Pierre de Coubertin “riunire tutti gli uomini di buona volontà” …per diminuire le differenze tra classi sociali, fermare le guerre e altro per, in sostanza, migliorare la società, non certo indirizzare lo Sport verso il peggio della società.

Anche per quanto riguarda le pene in questo caso, forse, converrebbe fare un giretto nel “palazzo” ovvero nel Regolamento di Giustizia della Federgolf, uno dei più severi nel panorama sportivo italiano, dove, all’art. 17 sono elencate le pene che spettano a chi compie irregolarità. La pena minima, per irregolarità di gioco sul campo, è di sei mesi che paragonato alla giornata di squalifica del Calcio, il nostro Sport nazionale, evidenzia la severità del nostro Regolamento.

Allo stesso modo, da appassionato di Diritto Sportivo, mi permetto di ricordare due cose fondamentali: nello Sport l’omessa denuncia è un illecito a sua volta e, sempre nello Sport, mi perdoneranno la semplificazione i fini giuristi che conosco, c’è l’inversione dell’onere della prova.

Quindi per fare una segnalazione, che è obbligatoria, bisogna esserne certi, davvero certi!

Sono ormai nove anni che non gioco gare nei Club (spesso mi inserisco, fuori gara, nelle gare che organizzo) ma dire che un terzo dei giocatori è scorretto, penso sia un’iperbole, magari che segue una giornata storta sul green. Mi fa un po’ sorridere, perché se la prendessimo sul serio, vorrebbe dire che i Tesserati sarebbero generalmente scorretti, che la Giustizia Federale non funzionerebbe e che i Circoli chiuderebbero, almeno colposamente, gli occhi. Ecco un’espressione molto social dove si è fin troppo liberi, anche per chi ama la libertà come me, di scriver qualunque cosa, spesso e volentieri suggestiva, ma oggettivamente lontano dall’essere reale.

Ripeto, non vuole essere una scusante per chi compie qualsiasi tipo di illecito, – lungi da me! – ma le regole e la Giustizia Federale ci sono, sono particolarmente severe e funzionano bene. Potrebbe essere una buona idea invece essere contenti di avere un sistema che funziona ed invitare semplicemente a metterlo in pratica sempre di più!

Vorrei fare un’ultima considerazione sul decalogo per scoprire chi “ruba”: effettivamente, secondo me, fa riflettere che qualcosa di sbagliato ci sia… e mi viene ancora in mente l’On. Giorgetti che, facendo “mea culpa”, dice che bisogna essere più collegati alla realtà ed io, la faccio come professionista e dirigente sportivo, e mi chiedo: siamo davvero stati cosi poco capaci di appassionare al gioco, che un amateur passi (o debba passare) la sua giornata sul campo a controllare quello che fanno gli altri e non a divertirsi per aver trascorso qualche ora in un contesto spesso bellissimo e divertente come i nostri Club e aver cercato di migliorarsi in quello che, per molti, è il gioco più bello del mondo?




Eventi sportivi… siamo seri!!

Ho letto, nei giorni scorsi, un divertente articolo dal titolo “Abbiamo il golf: niente eventi in Italia fino al 2033. L’assurda clausola della Ryder Cup (ma la Raggi non c’entra)” comparso su Business Insidera firma di Andrea Sparaciari.

Siamo in estate, tempo di vacanze, di spensieratezza, di momenti piacevoli lontano dal lavoro e dai quotidiani problemi della vita e proprio in questo articolo c’è tutto questo, una forma bellissima, (magari sapessi scrivere così!), snella, veloce, accattivante che sa attirare il lettore parola dopo parola come quando ci si avvia verso la meta desiderata e tanto attesa.

Sono molti gli italiani decidono trascorrere questo periodo sulle nostre bellissime spiagge e quindi si parte percorrendo dalle autostrade alle stradine pedonali per arrivare davanti al mare ed anche nell’articolo c’è un mare … di confusione. 

Il titolo e la prima frase sono un po’ sensazionalistici, si sa è la moda del momento, ma ad un’analisi appena più approfondita potremmo dire che la Ryder Cup è il terzo/quarto evento sportivo – non solo golfistico – al mondo dietro alle Olimpiadi ed ai Mondiali di Calcio.

Se la gioca con il Super Bowl. 

Più avanti si entra nel dettaglio della natura giuridica delle Federazioni, definendole come di “soggetto di diritto privato”, definizione parzialmente esatta (ad oggi, ricordando che su questo si sta per pronunciare la Corte di Giustizia Europea C-156/19) che però è troppo semplicistica in questo caso perché per quanto riguarda il corretto svolgimento dei campionati le Federazioni svolgono una funzione demandata dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) che in Italia svolge (anche qui sarebbe opportuno valutare gli impatti dell’imminente riforma dello Sport in essere alle camere) la funzione di confederazione delle Federazione ed il CONI è un Ente Pubblico. 

Indipendentemente dalla funzione e dalla natura dell’atto in questione è evidente che una Federazione (che sia pubblica o privata e/o che svolga una funzione privatistica o pubblicistica) non ha alcun potere di prendere un impegno per l’intero Paese.

Un impegno per il Paese lo può prendere esclusivamente l’autorità di Governo competente che sia un Ministro, come era nel caso dell’On. Lottio un sottosegretario come è ora nel caso dell’On. Giorgetti

Non entrerò nel merito del contratto in quanto non essendo pubblico, credo debba rimanere nella riservatezza delle parti in questione, tuttavia è curioso quando si dice che “…dalla Federazione Italiana Golf la quale, probabilmente, sarà chiamata al più presto a risponderne al Coni, il quale avrà qualcosa da dire a proposito.” infatti si omette che il Presidente della Federgolf, il Prof. Franco Chimenti, è anche Vice Presidente Vicario del CONI.

Le sue capacità di negoziatore sono evidenti, essendo riuscito a far assegnare all’Italia la Ryder Cup, quindi sono sicuro che riuscirà anche a spiegarsi con se stesso e, visto che siamo in un periodo dove anche i tagli alle spese sono “di moda” … risparmierà sulla telefonata!

Si parla addirittura di Olimpiadi 2026 a rischio. Il CIO (Comitato Internazionale Olimpico)  raggruppa, tra l’altro, tutte le Federazioni Internazionali delle discipline sono presenti ai giochi Olimpici quindi, sarebbe illogico pensare che il Presidente della Federazione Internazionale del Golf, essendo il golf sport Olimpico, non sia informato e non abbia informato il Comitato Olimpico sul principale evento mondiale della sua disciplina.

Infine una nota di colore: leggo spesso nell’articolo che si parla di Ryders Cup, che si giocherà a Roma. Nel golf invece c’è solo la Ryder Cup, che nasce nel 1929 dall’idea di Samuel Ryder (da qui il nome Ryder), e si giocherà al Golf Club Marco Simone che, malgrado le mie scarse competenze in geografia è situato, vicino a Roma, ma nel Comune di Guidonia.

Magari la confusione ci ha permesso di scoprire una nuova competizione … e, da amante dello sport, considerando tutti i riders (con la i) di grande successo che abbiamo nel nostro Paese sia sulle moto che sulle bici chissà magari potremmo fare anche una gara per riders alla Ryder Cup.

ps. Da italiani, gioiamo per le Olimpiadi del 2026 e tifiamo per tutte le manifestazioni sportive dove il nostro paese si candiderà, perché sono delle ottime opportunità per crescere in infrastrutture e ridurre la spesa sanitaria del nostro paese! Più si fa sport, più scende la spesa sanitaria.

 




Targa Florio: dal 1906 cuore di Sicilia

Sono infinite le relazioni che affioreranno in noi nell’esatto istante in cui viene citata la Targa Florio.

Non so per voi ma per me, nata e cresciuta in Sicilia, non è semplicemente una gara, è la gara per eccellenza quella che percorre i tortuosi tragitti delle Madonie, la stessa che ha regalato emozioni infinite, batticuori e fiato sospeso, che ha attirato a sé migliaia di amatori, la gara che sin dagli esordi era destinata a divenire leggenda.

Alla fine dell’ultima competizione da poco conclusa, ho scelto di intervistare colui che per noi Siciliani, e non solo, è il campione indiscusso: Salvatore Riolo o come dice lui semplicemente Totò.

Quella che vi mostrerò non è semplicemente un’intervista concessa ai nostri microfoni di Betapress è diventata qualcosa di più, perché sebbene lui sia il campione ed io la Cronista, con Totò si finisce per fare due chiacchiere e dopo pochi istanti vi accompagnerà ad amare il Rally un po’ come lo ama lui.

Non ho intervistato solo un fuoriclasse ma un amico, un uomo distinto ed umile che si vanta della sua sicilianità ma che nonostante gli innumerevoli successi è rimasto sempre con i piedi per terra.

 

Saia: Dopo aver partecipato a 360 gare in tutta Italia, in tutta Europa, dopo 180 vittorie assolute, dopo aver scritto delle splendide pagine di sport, io vorrei partire dal momento in cui tutto ebbe inizio, come e quando è nata in te la passione per il Rally?

Riolo: la mia passione nasce dal fatto che siamo nati e cresciuti in un territorio in cui insita è la targa Florio. Quando ero bambino davanti la mia abitazione transitavano queste macchine fantastiche, con colori strabilianti e rumori eccezionali, credo che ciò abbia contribuito a scatenare in me questa sconfinata passione per il mondo automobilistico. Sono nato nel 1965 e negli anni importanti della targa Florio ero solo un bambino, all’età di 12 anni ero il piccolino che rimaneva incollato al balcone per veder sfrecciare, una dietro l’altra, le auto da corsa. Questa passione la mettevo in pratica non appena patentato, all’età di 18 anni, con la mia prima vera gara; è lì che iniziavo a realizzare il mio sogno: quello di correre la targa Florio. La mia prima gara è stata da navigatore con accanto un grande e fraterno amico Pietro S., fu lui che mi condusse al debutto, perché debutto è stato! Da lì inizia una carriera fantastica, ed oggi dopo 30 anni di gare sono ancora qua ad emozionarmi rivivendo la mia prima gara, l’esatto momento in cui tutto ebbe inizio, l’istante in cui ho compreso che si accendeva in me una passione destinata a durare nel tempo.

Saia: Hai scritto delle straordinarie pagine dell’automobilismo, qual è l’emozione che provi ogni volta che gareggi in quelle strade che ti hanno visto crescere dal punto di vista professionale e che ti hanno regalato infinite emozioni?

Totò: Dopo 30 anni di gare, un po’ ci si abitua anche se correre in casa è sempre un emozione particolare, come si suol dire essere profeta in patria non è mai facile. Quest’anno per scelte del mio team legate agli sponsor abbiamo deciso di correre in pianta stabile nel campionato italiano Rally auto storiche, si tratta di un campionato molto seguito, una competizione con numeri importanti che si svolge in tutta Italia. La targa era la terza gara; siamo partiti con il Valli Aretine in Toscana competizione che mi ha condotto alla vittoria, la seconda è stata il Rally di Sanremo, in cui per un piccolo problema mi sono dovuto fermare e poi il targa che era la terza gara del campionato che ci ha permesso di portare a casa molti punti. In questo due cose si uniscono due cose importanti: passare in testa al campionato Rally auto storiche e vincere di nuovo la Targa. Devo ammettere che vincere la Targa Florio, gareggiando in casa, regala sempre emozioni uniche. Indescrivibile è l’orgoglio provato quando nel 2002 conquistavo la mia prima vittoria della Targa Florio: ero di fronte grandi nomi che hanno scritto pagine indimenticabili del Rally quali Andreucci, Basso e molti altri, quella vittoria ha rappresentato per me non un punto di arrivo ma di partenza perché comunque un siciliano che vinceva la Targa non accadeva dal 1975 quando il grande Vaccarella, trionfava nella targa Florio storica. Un siciliano dominava il podio della targa Florio, scusami il giro di parole: un siciliano, da privato che vinceva la Targa Florio, quel siciliano ero io e quella è stata una gioia indescrivibile.

Saia: Come è cambiato il mondo del Rally in questi anni?

Riolo: È cambiato tanto perché la Targa Florio di velocità non si può più praticare, per motivi di sicurezza la nostra federazione non concede più le autorizzazioni per attraversare i Paesi in gara. Oggi il mondo dell’automobilismo si è spostato dalla velocità ai rally che sono a tappe, prove speciali che vengono chiaramente chiusi al traffico e lì si corre mentre poi ci sono tutti i tratti di trasferimento dove devi chiaramente si devono rispettare i codici della strada. Come è strutturato oggi, il rally avvicina tantissima gente perché comunque nell’ideale collettivo il Motor Sport oltre la salita, oltre la pista è Rally; la targa si è aggiornata, si è dovuta aggiornare, per continuare ad essere la gara più famosa e più antica al mondo.

Saia: Noi di Betapress siamo molto vicini ai giovani e ad investire su di loro e su ciò che il nostro territorio può offrire, come volete investire voi facenti parte del mondo automobilistico nei confronti dei giovani.

Riolo: Il Motor Sport in generale è uno sport molto costoso, abbiamo moltissimi giovani che amano questo sport ma il problema di fondo sta nel fatto che non ci sono azienda che credono nel Motor Sport, o per lo meno ci sono ma sono molto poche, i giovani che si avvicinano allo sport hanno bisogno di sovvenzioni. Io come Totò Riolo ma soprattutto noi come Targa Racing Club che annovera 150 associati, prettamente piloti, nasce per promuovere il Motor sport nei ragazzi, attingiamo a loro dal mondo dei Kart e per poi condurli a debuttare nel mondo Rally. Il progetto che stiamo cercando di realizzare è quello di far nascere una scuola di pilotaggio, questo è un sogno che da tempo voglio realizzare. Sembra che finalmente i tempi siano maturi e se tutto andrà bene Targa Racing Club si occuperà innanzitutto della promozione del territorio, ed in questo volevo fare un piccolo appunto: ho corso in tutto il mondo ed ovunque mi sono trovato la gente mi chiedeva la mia provenienza, ho sempre risposto di essere Cerdese, bastava nominare Cerda per far scattare quasi automaticamente l’indiscusso connubio con la terra della Targa Florio. Quanto appena detto non può che riempire d’orgoglio un siciliano; sono stato il trade union di tutte le amministrazioni che si sono susseguite in questi ultimi 20 anni a Cerda, sono stato il beniamino della Regione Sicilia nel campionato europeo, dove avevo un contributo dalla Regione denominato “Sicilia tutto il resto in ombra”, per cui sono sempre stato punto di riferimento nella valorizzazione del territorio. Ritornando alla domanda iniziale, i giovani sono un mio progetto che stiamo cercando di realizzare, e poi parliamoci chiaramente non posso correre ancora per chissà quanti anni, sono ancora molto competitivo ma voglio dedicarmi anche ad altro e le nuove generazioni, tra cui mio figlio Ernesto, sono il mio obiettivo principale.

Saia: Le domande non in programma fanno parte del nostro lavoro e mi hai spianato la strada ad una domanda personale; hai menzionato Ernesto, tuo figlio, che segue le tue orme e dunque la mia domanda sorge spontanea, cosa si prova a gareggiare sapendo che il proprio figlio partecipa alla medesima gara?

Riolo: Abbiamo già fatto un paio di gare assieme, chiaramente il mio pensiero è sempre stato quello di chiedere a Gianfranco Rappa, il mio navigatore, notizie di Ernesto, diciamo che da padre non è facile, nonostante questo ciò Ernesto lo vedo abbastanza bene perché sta crescendo motoristicamente mettendo in ciò che fa impegno e dedizione, sono certo che farà la sua strada ed io lo seguirò ad ogni passo, augurandogli di poter ripercorrere i miei successi.

Saia: Cosa ti aspetti per il futuro?

Riolo: Mi aspetto che il nostro territorio e soprattutto noi siciliani potremo vantare ancora tanti successi, mi aspetto che i giovani abbiano il loro attimo di gloria così come a me è stato concesso e poi chiaramente voglio seguire Ernesto ad ogni suo passo. Devo aggiungere un grazie a delle persone speciali che fanno parte della mia vita, se oggi sono qui ed ho realizzato i miei sogni è grazie alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli che mi hanno sostenuto e supportato in qualunque scelta e ad ogni gara, in particolare voglio dire grazie a mia moglie per essere stata al mio fianco e per avermi dato la possibilità di potermi muovere, senza lei sono certo che mai sarei arrivato dove sono.

 

Milena Saia

 

 

 

 

 

 




SSS studio sport e sacrificio

Studio, Sport, sacrifico e successo iniziano tutte con la stessa lettera “S”.  Le prime due sono legate, grazie alle seconde, da un rapporto di amore ed odio. Lo studio e lo sport tendono ad avvicinarsi perché in fondo sono due facce della stessa medaglia, la persona umana che naturalmente vuole tendere a migliorarsi. Queste hanno un grande nemico che si chiama “tempo”, il tempo che abbiamo a disposizione che, purtroppo, è sempre limitato, è proprio lui che cerca sempre di escludere lo Studio dallo Sport e viceversa. 

Per ottenere successo bisogna applicarsi, allenarsi, migliorarsi e questo richiede tempo sia nello Studio che nello Sport. Per potersi cimentare in entrambi è necessario il sacrificio che significa organizzare al meglio il proprio tempo e rinunciare a molte delle attività ludiche che normalmente si presentano ai ragazzi.

Io sono sempre stato un privilegiato in questo senso, non per meriti particolari ma per un mix di fortuna ed intuizione dei miei genitori. Nella scuola dove ho frequentato le elementari e le medie, la Laura Sanvitale di Parma, la mia attività sportiva e soprattutto i risultati positivi che ne conseguivano, è sempre stata supportata. All’ingresso della scuola c’era una bacheca dove venivano affisse notizie ed avvisi riguardanti la scuola. Un giorno, entrando, ho visto appeso un articolo che parlava dell’ultima gara che avevo vinto e questo mi ha riempito di orgoglio. 

Molto simile è stata la situazione al liceo, lo scientifico “San Benedetto”, sempre a Parma, dove, anche se le giornate di assenza da scuola inevitabilmente aumentavano perché le trasferte erano sempre più lontane, ho trovato sempre professori che vedevano di buon occhio la pratica sportiva. Importante è stato instaurare, fin da subito, un rapporto di estrema trasparenza e in questo sono stato facilitato dal fatto che il Prof. di Educazione Artistica, Antonio Figna, giocava a golf e quindi poteva comprendere la lunghezza delle trasferte e il Prof. di matematica, Gino Passigatti, è un appassionato nuotatore, oltre che un tifosissimo della Roma. Il clima di comprensione dello Sport unito a risultati mediamente buoni hanno sicuramente aiutato il mio percorso scolastico.

Dopo il liceo ho proseguito alla facoltà di Ingegneria, dell’Università degli Studi di Parma. Anche in quel caso sono stato molto fortunato e ho trovato professori disponibili come la prof di disegno o quello di informatica. Tuttavia seguire le lezioni ed essere presente ed attivo agli allenamenti non era certamente facile. Ad un certo punto, considerando le normali sessioni d’esame diventava particolarmente difficile. 

Nel 2008, con l’infortunio, temevo che lo studio avesse perso ogni speranza di continuare a far parte della mia vita. Gli allenamenti dovevano essere doppi, inizialmente per riabilitarmi poi per recuperare uno stato di forma accettabile. Ho sempre mantenuto attiva la mia iscrizione universitaria, con la speranza che prima o poi sarei stato in grado di fare qualcosa di più. 

Sulla porta della mia stanza in casa ho una frase che racconta la vita di Abraham Lincoln e dice così:

He failed in business in ’31. He was defeated for state legislator in ’32. He tried another business in ’33. It failed. His fiancee died in ’35. He had a nervous breakdown in ’36. In ’43 he ran for congress and was defeated. He tried again in ’48 and was defeated again. He tried running for the Senate in ’55. He lost. The next year he ran for Vice President and lost. In ’59 he ran for the Senate again and was defeated. In 1860, the man who signed his name A. Lincoln, was elected the 16th President of the United States. The difference between history’s boldest accomplishments and its most staggering failures is often, simply, the diligent will to persevere. 

Ecco che forse la voglia di perseverare ha avuto ragione anche questa volta. L’occasione è arrivata nel 2014 quando, per la mia passione politica ho iniziato a seguire un corso intitolato la Politica 2.0 all’Università Telematica Pegaso. Ero veramente felice quando ho scoperto di poter studiare nuovamente e da li ho ripreso il mio percorso di studi passando da ingegneria a giurisprudenza. 

Non so se nel 2003, quando i Ministri Moratti e Stanca vollero aprire la possibilità anche in Italia alle Università Telematiche o nel 2006 quando il dott. Danilo Iervolino, l’ideatore e presidente di UniPegaso, avessero o meno in mente il mondo dello Sport. Sta di fatto che, anche se ancora troppo poco pubblicizzato e con qualche luogo comune di troppo, hanno creato dal punto legislativo i primi, da quello imprenditoriale pratico il secondo uno strumento che potrà cambiare drasticamente il rapporto tra gli sportivi e l’Università. 

In occasione di una delle lunghe e proficue chiacchierate con il dott. Roberto Ghiretti, titolare dell’omonimo studio che si occupa di sport advisoring, ho ricevuto in regalo un libretto intitolato “secondo tempo” commissionato dalla Associazione Italiana Calciatori ed incentrato sulle prospettive che si presentano ai calciatori che terminano la loro attività professionistica. 

La lettura, come prevedibile, mi ha coinvolto particolarmente sia per la mia passione per i libri, sia per la materia sportiva. Tuttavia, ho dovuto rileggere più volte la pagina dove si parlava della percentuale di atleti che conseguivano una laurea, circa il 3%*. Secondo i dati ISTAT del 2017, pubblicati nel 2018, la percentuale di laureati in Italia si attesta al 15,7% e ci posiziona al penultimo posto in Europa. Il mondo del Calcio in Italia è, per numeri, il più rappresentativo e constatare quanto nei suoi principali atleti, quelli che raggiungono il professionismo, il dato sia un quinto di quello nazionale è emblematico.  

Premesso che sono fermamente convinto che la laurea non sia indice di intelligenza, anzi molte delle persone che hanno dimostrato di avere capacità oltre la media non sono laureate a partire da William Henry Gates III (Bill Gates) che grazie alle sue intuizioni ha di fatto rivoluzionato il mondo. Tuttavia, preso con le dovute cautele, il dato è quasi drammatico perché non tutti sono Bill Gates, o Steve Jobs anche perché molti degli atleti in questione sono già stati “fuori dalla norma” nella loro disciplina. 

La formula telematica per lo studio può diventare una soluzione ottimale per gli sportivi. Questo si può verificare spiegandone le potenzialità per quanto riguarda il tempo. Nella mia esperienza all’UniPegaso, ho potuto visualizzare le lezioni comodamente dal computer in casa o in una camera d’albergo durante le gare, ho potuto scegliere fra le molte opzioni di date e sedi per sostenere gli esami e, forse una cosa ancora più importante, ho avuto degli insegnanti straordinari. Un altro punto a favore delle università telematiche è proprio quello di poter avere dei docenti di altissimo livello, in quanto anch’essi non sarebbero più obbligati alla presenza in aula ad ogni lezione ma possono comodamente registrarla e lo studente, come detto, può visualizzarla quando è più opportuno. Ritengo questo punto estremamente accattivante per gli sportivi in quanto uno atleta è abituato a competere e vuole vincere per questo cerca di circondarsi sempre del meglio: dal tecnico al preparatore atletico, dal caddie nel golf al procuratore nel calcio e sapere anche nell’università di poter apprendere dal meglio sicuramente gli consente di sentirsi soddisfatto. Non intendo dire che nelle università convenzionali i professori siano meno capaci. Sicuramente quanto detto è un valore aggiunto per l’attrattiva delle telematiche verso il mondo sportivo. 

Non tutto è “rose e fiori”. Naturalmente si contrae il rapporto ed il confronto con gli altri studenti che, così come alcune attività laboratoriali, possono essere dei momenti estremamente formativi che, per ora, sono riservati alle Tradizionali. Spero tuttavia che ci possa essere più sinergia tra entrambe le modalità per agevolare gli sportivi, non certo per i profitti, quanto per concedere la possibilità di proseguire gli studi a tutti quelli che hanno anche altre attività, in particolare quelle sportive che hanno in media una continuità molto ridotta nel tempo ma che richiedono il massimo della dedizione. 

 

*3,8% riferito ai calciatori professionisti nella stagione sportiva 1992/1993

 




SSSS: tutto legato allo sport.

Studio, Sport, Sacrifico e Successo iniziano tutte con la stessa lettera “S”.

Le prime due sono legate, grazie alle seconde, da un rapporto di amore ed odio.

Lo studio e lo sport tendono ad avvicinarsi perché in fondo sono due facce della stessa medaglia, la persona umana che naturalmente vuole tendere a migliorarsi.

Queste hanno un grande nemico che si chiama “tempo”, il tempo che abbiamo a disposizione che, purtroppo, è sempre limitato, è proprio lui che cerca sempre di escludere lo Studio dallo Sport e viceversa.

Per ottenere successo bisogna applicarsi, allenarsi, migliorarsi e questo richiede tempo sia nello Studio che nello Sport. Per potersi cimentare in entrambi è necessario il sacrificio che significa organizzare al meglio il proprio tempo e rinunciare a molte delle attività ludiche che normalmente si presentano ai ragazzi.

Io sono sempre stato un privilegiato in questo senso, non per meriti particolari ma per un mix di fortuna ed intuizione dei miei genitori. Nella scuola dove ho frequentato le elementari e le medie, la Laura Sanvitale di Parma, la mia attività sportiva e soprattutto i risultati positivi che ne conseguivano, è sempre stata supportata.

All’ingresso della scuola c’era una bacheca dove venivano affisse notizie ed avvisi riguardanti la scuola. Un giorno, entrando, ho visto appeso un articolo che parlava dell’ultima gara che avevo vinto e questo mi ha riempito di orgoglio.

Molto simile è stata la situazione al liceo, lo scientifico “San Benedetto”, sempre a Parma, dove, anche se le giornate di assenza da scuola inevitabilmente aumentavano perché le trasferte erano sempre più lontane, ho trovato sempre professori che vedevano di buon occhio la pratica sportiva.

Importante è stato instaurare, fin da subito, un rapporto di estrema trasparenza e in questo sono stato facilitato dal fatto che il Prof. di Educazione Artistica, Antonio Figna, giocava a golf e quindi poteva comprendere la lunghezza delle trasferte e il Prof. di matematica, Gino Passigatti, è un appassionato nuotatore, oltre che un tifosissimo della Roma. Il clima di comprensione dello Sport unito a risultati mediamente buoni hanno sicuramente aiutato il mio percorso scolastico.

Dopo il liceo ho proseguito alla facoltà di Ingegneria, dell’Università degli Studi di Parma. Anche in quel caso sono stato molto fortunato e ho trovato professori disponibili come la prof di disegno o quello di informatica. Tuttavia seguire le lezioni ed essere presente ed attivo agli allenamenti non era certamente facile. Ad un certo punto, considerando le normali sessioni d’esame diventava particolarmente difficile.

Nel 2008, con l’infortunio, temevo che lo studio avesse perso ogni speranza di continuare a far parte della mia vita. Gli allenamenti dovevano essere doppi, inizialmente per riabilitarmi poi per recuperare uno stato di forma accettabile. Ho sempre mantenuto attiva la mia iscrizione universitaria, con la speranza che prima o poi sarei stato in grado di fare qualcosa di più.

Sulla porta della mia stanza in casa ho una frase che racconta la vita di Abraham Lincoln e dice così:

He failed in business in ’31. He was defeated for state legislator in ’32. He tried another business in ’33. It failed. His fiancee died in ’35. He had a nervous breakdown in ’36. In ’43 he ran for congress and was defeated. He tried again in ’48 and was defeated again. He tried running for the Senate in ’55. He lost. The next year he ran for Vice President and lost. In ’59 he ran for the Senate again and was defeated. In 1860, the man who signed his name A. Lincoln, was elected the 16th President of the United States. The difference between history’s boldest accomplishments and its most staggering failures is often, simply, the diligent will to persevere.

Ecco che forse la voglia di perseverare ha avuto ragione anche questa volta.

L’occasione è arrivata nel 2014 quando, per la mia passione politica ho iniziato a seguire un corso intitolato la Politica 2.0 all’Università Telematica Pegaso. Ero veramente felice quando ho scoperto di poter studiare nuovamente e da li ho ripreso il mio percorso di studi passando da ingegneria a giurisprudenza.

Non so se nel 2003, quando i Ministri Moratti e Stanca vollero aprire la possibilità anche in Italia alle Università Telematiche o nel 2006 quando il dott. Danilo Iervolino, l’ideatore e presidente di UniPegaso, avessero o meno in mente il mondo dello Sport.

Sta di fatto che, anche se ancora troppo poco pubblicizzato e con qualche luogo comune di troppo, hanno creato dal punto legislativo i primi, da quello imprenditoriale pratico il secondo uno strumento che potrà cambiare drasticamente il rapporto tra gli sportivi e l’Università.

In occasione di una delle lunghe e proficue chiacchierate con il dott. Roberto Ghiretti, titolare dell’omonimo studio che si occupa di sport advisoring, ho ricevuto in regalo un libretto intitolato “secondo tempo” commissionato dalla Associazione Italiana Calciatori ed incentrato sulle prospettive che si presentano ai calciatori che terminano la loro attività professionistica.

La lettura, come prevedibile, mi ha coinvolto particolarmente sia per la mia passione per i libri, sia per la materia sportiva. Tuttavia, ho dovuto rileggere più volte la pagina dove si parlava della percentuale di atleti che conseguivano una laurea, circa il 3%*.

Secondo i dati ISTAT del 2017, pubblicati nel 2018, la percentuale di laureati in Italia si attesta al 15,7% e ci posiziona al penultimo posto in Europa.

Il mondo del Calcio in Italia è, per numeri, il più rappresentativo e constatare quanto nei suoi principali atleti, quelli che raggiungono il professionismo, il dato sia un quinto di quello nazionale è emblematico.

Premesso che sono fermamente convinto che la laurea non sia indice di intelligenza, anzi molte delle persone che hanno dimostrato di avere capacità oltre la media non sono laureate a partire da William Henry Gates III (Bill Gates) che grazie alle sue intuizioni ha di fatto rivoluzionato il mondo.

Tuttavia, preso con le dovute cautele, il dato è quasi drammatico perché non tutti sono Bill Gates, o Steve Jobs anche perché molti degli atleti in questione sono già stati “fuori dalla norma” nella loro disciplina.

La formula telematica per lo studio può diventare una soluzione ottimale per gli sportivi. Questo si può verificare spiegandone le potenzialità per quanto riguarda il tempo.

Nella mia esperienza all’UniPegaso, ho potuto visualizzare le lezioni comodamente dal computer in casa o in una camera d’albergo durante le gare, ho potuto scegliere fra le molte opzioni di date e sedi per sostenere gli esami e, forse una cosa ancora più importante, ho avuto degli insegnanti straordinari.

Un altro punto a favore delle università telematiche è proprio quello di poter avere dei docenti di altissimo livello, in quanto anch’essi non sarebbero più obbligati alla presenza in aula ad ogni lezione ma possono comodamente registrarla e lo studente, come detto, può visualizzarla quando è più opportuno.

Ritengo questo punto estremamente accattivante per gli sportivi in quanto uno atleta è abituato a competere e vuole vincere per questo cerca di circondarsi sempre del meglio: dal tecnico al preparatore atletico, dal caddie nel golf al procuratore nel calcio e sapere anche nell’università di poter apprendere dal meglio sicuramente gli consente di sentirsi soddisfatto.

Non intendo dire che nelle università convenzionali i professori siano meno capaci. Sicuramente quanto detto è un valore aggiunto per l’attrattiva delle telematiche verso il mondo sportivo.

Non tutto è “rose e fiori”. Naturalmente si contrae il rapporto ed il confronto con gli altri studenti che, così come alcune attività laboratoriali, possono essere dei momenti estremamente formativi che, per ora, sono riservati alle Tradizionali.

Spero tuttavia che ci possa essere più sinergia tra entrambe le modalità per agevolare gli sportivi, non certo per i profitti, quanto per concedere la possibilità di proseguire gli studi a tutti quelli che hanno anche altre attività, in particolare quelle sportive che hanno in media una continuità molto ridotta nel tempo ma che richiedono il massimo della dedizione.

 

*3,8% riferito ai calciatori professionisti nella stagione sportiva 1992/1993

 

 

 

 

 

Andrea Vaccaro




SCI, SCI, SCI…

 

Ho iniziato a sciare quando avevo una decina d’anni grazie alle settimane bianche organizzate dalla scuola che frequentavo, la Laura Sanvitale di Parma.

Da lì, quello con lo sci, è sempre stato  un rapporto particolare: da un lato mi è sempre piaciuto perché sciare, come giocare a Golf, è una di quelle poche discipline nelle quali esiste una pratica non agonistica che consente comunque una buon livello di divertimento e competizione, dall’altro ho sempre avuto paura di eventuali infortuni e, va da se, che la paura di qualcosa è forse peggio dell’eventualità negativa stessa.

Sono andato con regolarità in montagna nelle occasioni dove c’era un gruppo che mi coinvolgeva; prima il mio vicino di casa Rocco e poi il mio amico Pimpi, che si è recentemente stupito delle mie capacità dopo qualche anno d’inattività.

A dire il vero non sono mai stato un bravo sciatore, mi limito a scendere le piste abbastanza lentamente con una certa regolarità e pochissime cadute (questa sulla fiducia NdR).

Di recente sono stato a Skipass, la principale fiera di settore in Italia, che si svolge alle Fiere di Modena. Grazie all’amico e Delegato del CONI Point di Modena, Andrea Dondi, ho potuto conoscere i presidenti, regionale e nazionale, della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali).

Da subito sono risultati evidenti la passione e l’impegno che stanno mettendo nelle loro iniziative.

Poi, nella sala principale, è stato spettacolare vedere proiettati i video delle vittorie di due Medaglie d’Oro Olimpiche, quelle di Sofia Goggia e Michela Moioli, rispettivamente nella discesa libera e nello snowboard cross e rivivere i quei momenti che ci avevano incollato alla televisione, con le vincitrici sedute davanti.

L’Italia, anche grazie alla natura che ci ha regalato delle splendide montagne, ha  spesso ottenuto buoni risultati nelle discipline invernali ma ogni vittoria, sopratutto alle Olimpiadi, ha una storia dietro che è qualcosa di speciale e impareggiabile.

A tal proposito, invito ad andare sul sito del CIO per vedere il video dedicato a Michela Moioli che parte dalla rovinosa caduta nella finale di Sochi alla vetta olimpica di PeyongChang.

Il video di Michela mi ha emozionato anche perché, nel mio piccolo, dall’infortunio che avevo avuto nel 2008 al professionismo nel 2010 ho vissuto tante di quelle sensazioni.

Tuttavia ciò che mi ha impressionato di più nella fiera, da Dirigente, è stato quando ho scoperto maggiormente i dettagli del progetto Cortina 2021.

Cortina nel 2021 ospiterà i Campionati del Mondo di sci. È una delle grandi manifestazioni che si svolgeranno nel nostro Paese nel giro di pochissimi anni.

Solo per citarne alcune abbiamo già visto nel 2018 i Mondiali di Pallavolo, nel 2019 ci sono i Campionati Europei di Calcio Under21 e le Universiadi a Napoli, nel 2020 la partita inaugurale degli Europei di Calcio assoluti e nel 2022 la Ryder Cup di Golf.

Questa è l’Italia che mi piace, quella che accetta le sfide e si prepara al meglio non solo per competervi ma anche per vincerle, partendo dall’organizzazione.

Dal mio punto di vista, le dolomiti di Cortina si stanno preparando nel migliore dei modi per meravigliare quei 500 milioni di persone che di solito guardano le grandi manifestazioni sciistiche in televisione, oltre ai titolari dei più di 150.000 biglietti che saranno venduti per chi vorrà godersi lo spettacolo dal vivo.

Mezzo miliardo di persone potranno, non solo supportare i loro beniamini che sceglieranno tra i circa 600 atleti ed atlete in campo, che si daranno battaglia nei giorni di gara, ma potranno anche ammirare gli impianti, i paesaggi unici che le nostre montagne regalano e, magari, essere invogliati a venire in Italia per le loro prossime vacanze.

Entrando più nello specifico del progetto si evince quanto questo punti su concetti che credo siano fondamentali per lo sviluppo non solo dello sci ma dello Sport in generale.

Uno su tutti è quello delle infrastrutture “L’obiettivo è investire (e favorirei investimenti pubblici e privati) solo su infrastrutture plurifunzionali, che potranno essere utilizzate per un lungo periodo…”.

Nel nostro Paese la maggiore criticità in campo sportivo è quella infrastrutturale.

Oltre ad essere un aspetto critico è anche la maggiore opportunità di crescita che ci troviamo davanti e ogni investimento in tal senso è apprezzabile, a maggior ragione se questo è pensato e realizzato con una visione progettuale di lungo termine.

Il Campionato del Mondo di Sci non sarà un evento “spot” ma il culmine di una serie, che vedrà quasi 30 gare internazionali e le finali della Coppa del Mondo nel 2020.

Questo permetterà anche allo staff organizzativo di testarsi e migliorarsi in previsione del grande evento.

La scorsa estate sono stato a Kazan, in Russia, dove hanno fatto un percorso simile anche se non incentrato su una singola disciplina ma sugli eventi sportivi in generale.

Giusto per elencarne alcuni, hanno ospitato le Universiadi nel 2013, i Campionati del Mondo di Nuoto nel 2015, la Confederations Cup lo scorso anno e i Mondiali di Calcio 2018.

Ho avuto modo di toccare con mano quanto siano importanti infrastrutture plurifunzionali e di alto livello così come la preparazione dei vari comitati organizzatori che, evento dopo evento, riescono a migliorarsi.

Un ulteriore aspetto meritorio dei Campionati del Mondo di Sci a Cortina è la comunicazione.

Già nel 2018, ma il lavoro è sicuramente iniziato molto prima, negli eventi e via social, una campagna per la ricerca di volontari per i giorni della manifestazione e sopratutto nei mesi invernali non si contano le occasioni promozionali che vengono organizzate per coinvolgere ogni fascia di persone che possono avere interesse, o come va di moda dire, ogni tipo di stakeholders, dell’evento.

Sono sicuro sarà un successo per l’organizzazione, per il mondo dello sci, per lo sport ma, soprattutto, per il nostro di Paese!