Coronavirus: epidemia massmediologica

La corrente pandemia di coronavirus fa risaltare alcuni aspetti sociologici e comunicativi molto importanti: primo, la polarizzazione dell’informazione mediatica sulla pandemia, che porta ad avere da un lato una enorme risonanza in termini di informazione quantitativa (dati cifre, numeri) dall’altro un forte impatto sulle emozioni degli utenti (televisivi e della stampa in genere).

Secondo, i servizi video-giornalistici enfatizzano per lo più i lati negativi della pandemia, quali il forte tasso di morbilità (contagio) e la sostanziale difficoltà nel contrastarla.

La combinazione di questi due fattori genera nel largo pubblico un senso di scoraggiamento, di esasperazione, di turbamento profondo e non giovano né alla risoluzione della pandemia né al sistema psico-neuro-immuno-endocrinologico di chi passa da un notiziario all’altro.

Questa polarizzazione, poi, sembra essere orientata solo alla reiterazione del problema in sé e non alla ricerca o alla divulgazione di soluzioni effettive, cioè sostanzialmente dà per scontato quanto di efficace vi sia ancora all’opera per sostenere il sistema nazionale (per esempio l’azione encomiabile del volontariato, senza il quale lo Stato collasserebbe in pochi giorni) e perciò appare evidente una corsa verso l’aggravamento e non verso la soluzione del problema.

Dispiace non avere notizie più trasparenti ed incoraggianti sull’impegno e sulle risorse messe a disposizione di chi rischia la vita per gli altri, dai volontari fino ai medici, alle forze dell’ordine e ai semplici impiegati di banca, tabaccai, edicolanti, farmacisti e cassieri dei supermercati che, ricordiamoci, rischiano la vita ogni giorno nel silenzio, in attesa del consueto “bollettino di guerra” serale, un conteggio freddo, burocratico, quasi asettico, di morti e guariti, ma senza quel calore, quella partecipazione sociale e quell’infusione di coraggio che tutti avrebbero bisogno di sentire.

Preoccupa poi soprattutto il fenomeno della parcellizzazione sociale: le persone separate dai nuclei famigliari perché sole o lontane, chi non può muoversi e soprattutto gli anziani, le vittime silenziose di questa tragedia. Eh si, perché, come si sente dire spesso “le case di riposo sono piene di coronavirus”, quasi che fossero dei lazzaretti dove l’anziano malato può solo tacere … e morire.

L’anziano, colui che ha costruito l’Italia, colui che ha sostenuto la sua famiglia fino ad oggi, anche attraverso la sua pensione, pilastro della famiglia, diventa così la vittima silenziosa di un sistema che non gli appartiene più e dal quale può solo uscire in sordina, in punta di piedi, dalla porta posteriore di una casa di riposo, mezzo vivo o mezzo morto, manipolato della freddezza dei guanti in latice, senza dire una parola e nemmeno vedere i volti dei suoi soccorritori, avvolti delle mascherine protettive.

Condotto in ospedale o direttamente ai luoghi di raccolta dei feretri, che poi vengono trasportati dall’esercito, sotto i riflettori impietosi di una stampa che sa valorizzare e spettacolarizzare l’audience, gli indici di ascolto, la notizia a tutti i costi, quella che “buca lo schermo” ma che purtroppo, spezza anche il cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.

 

Il primo bene di un popolo è la sua dignità

 

La libertà di stampa