Dante poeta immortale muore ogni giorno…

“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, questo è forse uno dei versi danteschi più conosciuti.

E, senza ombra di dubbio, uno dei più frequenti utilizzati dagli studenti ed appeso sulla porta dell’aula, per suggerire, con simpatica ironia per loro e malcelato sarcasmo per i prof, di non varcare quella soglia, perché, dentro, dietro quella porta, ci potrebbe essere una situazione scomoda o per segnalare attività od iniziative che potrebbero essere inutili o di difficile successo, definendo il tutto “senza speranza”.

Stasera, annichilita dalla maestosità del film “Dante” di Pupi Avati, mi sono vergognata, come italiana, dello scempio fatto alla figura di Dante, non dalla storia contemporanea al Sommo Poeta, ma da noi, suoi connazionali, a più di 700 anni dalla sua morte.

Dante è morto il 4 settembre 1321 a Ravenna. Noi siamo ad ottobre 2022, sempre in Italia.

Dante è stato davvero un profeta, un grande visionario della grandezza e della miseria della nostra nazione.

“Ahi serva italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”.

Quanta amara verità e quanta sublime lungimiranza esprimono le parole scritte da Dante più di sette secoli fa.

Il film di pupi Avati è uno squarcio nell’anima, per chi, come la sottoscritta, è cresciuta a pane e Dante.

Figlia di insegnanti ed ora a sua volta docente, deve ammettere che, non solo la politica, ma persino la cultura contemporanea, non rendono merito a Dante.

Povera Italia in cu,i oscurantismo cattolico e propaganda politica, si abbinano a faziosità vuote di senso.

Povera Italia, ex-Patria, in cui volti e nomi vendono la loro immagine al posto di dire la loro voce.

Povera Italia, in cui Dante è sempre più scomodo e, dunque, insegnato poco e male nell’attuale scuola italiana.

Ai tempi di mio padre, professore di lettere nelle medie, Dante veniva insegnato insieme a Petrarca, Boccaccio, Foscolo, Manzoni e Leopardi. Io, dunque, da bambina, a tavola, lo sentivo recitare a mena dito interi canti della Divina Commedia, sentivo parlare di Virgilio, Caronte, Minosse, Paolo e Francesca, Farinata, Pier delle Vigne, Ulisse, il conte Ugolino, come se fossero delle persone reali, quasi dei vicini della porta accanto.

Diventata studentessa alle medie, ho sentito parlare di Dante, ma niente di più. E’ stato poi, al liceo, che ho avuto la fortuna di studiare e di apprezzare Dante.

Perché il viaggio nell’oltretomba di Dante è allegoria del viaggio sulla terra di noi comuni mortali.

Ed insegnare e studiare Dante, significa apprendere a vivere.

Adesso che sono io insegnante, con quasi 35 anni di esperienza nelle scuole medie e superiori italiane, vi posso garantire che Dante è morto e sepolto nella nostra scuola.

Sì, qualcuno al liceo, lo studia ancora, ma non come dovrebbe.

Anche ai miei tempi la versione scolastica di Dante era un poco diversa e molto meno umana e psicologica di quella fornita dal film di Pupi Avati. Ma almeno, tutti o quasi tutti, sentivano parlare di Dante.

Ed indipendentemente da censo e cultura, i valori danteschi scendevano nell’animo delle future generazioni. Erano un po’ come dei semi che, in terreno fertile, potevano dare grandi frutti.

Ma il diritto all’istruzione, sancito dall’art. 34 della nostra Costituzione, ed il successivo percorso di democratizzazione della scuola italiana, anziché, finalmente, portare la cultura al popolo, hanno mancato l’obiettivo.

Ora per chi, come la sottoscritta, la scuola, la vive dal di dentro e per davvero, Dante è ogni giorno morto e sepolto nel nostro sistema scolastico.

Scuola italiana che ha inflazionato la cultura, svenduto il diploma, imbrogliato l’utenza. La scuola dei fondatori della nostra Patria, credeva in Dante e ne avvalorava il messaggio. La scuola del “finalmente aperta a tutti”, credeva nella possibilità di formare le nuove generazioni trasmettendo loro i principi illuministici di liberté, égalité e fraternité.

Bene, la nostra attuale scuola, per tutti ed a qualunque costo, è diventata un sanatorio sociale, un riformatorio adolescenziale, un babysitteraggio gratuito. Ed un cavallo di battaglia politico.

Per questo il film “Dante” di Pupi Avati, la versione umana di Dante, ma anche e soprattutto il suo messaggio universale dovrebbero farci riflettere e pensare “Fu vera gloria? (quella di Dante) “Ai posteri, l’ardua sentenza”.

Per questo il film di Pupi Avati mi ha lasciato annichilita.

Firenze ha mandato in esilio Dante, vivo, il 10 marzo 1302.

L’Italia, nella sua pseudo cultura e nella sua vergognosa politica lo manda in esilio, da morto, ogni giorno sempre più nel 2022.

Ma, l’importante, è, che, a scuola, nessuno ci apra gli occhi…