DEAD COUNTRY WALKING

L’Italia, nel panorama attuale, appare sempre più come un paese avviato verso un declino strutturale che ne mina gravemente le prospettive future.
Questa condizione può essere efficacemente definita con l’espressione “dead country walking”, ovvero un paese che, pur mostrando segni di vitalità apparente, sta inesorabilmente scivolando verso una crisi socioeconomica e culturale profonda e probabilmente irreversibile.
A testimoniare questa condizione ci sono due elementi recenti molto significativi: da un lato, le dichiarazioni preoccupanti degli industriali, dall’altro, il piano scuola proposto dal ministro Valditara, palesemente privo di visione e lungimiranza.
Innanzitutto, l’annuncio da parte degli industriali italiani di voler avviare massicce operazioni di delocalizzazione della produzione all’estero rappresenta un campanello d’allarme particolarmente grave.
Non si tratta semplicemente di strategie aziendali dettate dalla ricerca di minori costi di produzione, ma della manifestazione evidente dell’incapacità strutturale del paese di garantire un ambiente favorevole allo sviluppo economico e produttivo. Le cause sono molteplici: una burocrazia eccessivamente lenta e complessa, una tassazione tra le più elevate d’Europa, infrastrutture arretrate e una carenza endemica di investimenti in ricerca e sviluppo.
Quando gli imprenditori, coloro che dovrebbero essere il motore economico di un paese, decidono di investire altrove, il messaggio che arriva è chiaro: l’Italia non è più competitiva e rischia seriamente di perdere ulteriori pezzi fondamentali del proprio tessuto produttivo e sociale.
Parallelamente, a questa crisi economica e produttiva si affianca un decadimento altrettanto grave sul fronte educativo e formativo.
Il recente piano scuola elaborato dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, infatti, evidenzia una totale mancanza di progettualità strategica e una pericolosa sottovalutazione delle necessità reali del sistema scolastico italiano. In un momento storico in cui la formazione dei giovani dovrebbe rappresentare il principale investimento per garantire un futuro solido al paese, il piano proposto si limita a misure estemporanee e prive di un serio e coerente disegno di lungo periodo. In particolare, appare evidente la mancanza di un piano di investimenti significativo nella formazione digitale, nella valorizzazione del personale docente e nella riduzione strutturale della dispersione scolastica, fenomeno che in Italia continua ad essere tra i più alti d’Europa.
La situazione odierna può essere paragonata a due momenti critici della storia italiana: il periodo immediatamente precedente la Seconda Guerra Mondiale e quello successivo al conflitto. Prima della guerra, l’Italia era caratterizzata da una fragilità economica e sociale che culminò con l’adesione del regime fascista a politiche espansionistiche irrealistiche e disastrose, che portarono rapidamente il paese al collasso morale ed economico.
Subito dopo la guerra, il valore etico del paese era precipitato sotto zero, segnato dalla miseria, dalla corruzione e da una profonda crisi di fiducia nelle istituzioni. Fu solo grazie a un grande sforzo collettivo e all’aiuto internazionale del piano Marshall che l’Italia riuscì a riprendersi lentamente.
Oggi, però, sembra mancare quella stessa capacità di mobilitazione e quello spirito di ricostruzione che allora furono determinanti.
La scuola, invece di essere il luogo privilegiato di preparazione delle nuove generazioni alle sfide globali e tecnologiche, rimane ancorata a logiche tradizionali e obsolete che contribuiscono ulteriormente al ritardo culturale del paese.
Il futuro di una nazione si gioca inevitabilmente sulla capacità di preparare al meglio i giovani cittadini, dotandoli di competenze trasversali e di spirito critico, qualità che sembrano essere trascurate dall’attuale indirizzo politico.
In sintesi, le scelte e gli annunci di questi ultimi mesi tratteggiano un paese sempre più incapace di reagire in modo efficace e strategico ai cambiamenti globali.
L’Italia rischia seriamente di diventare un paese fantasma, incapace di valorizzare le proprie potenzialità economiche e culturali, destinato ad assistere passivamente alla propria marginalizzazione progressiva nel panorama internazionale.
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