Didattica capovolta, quando la scuola si raddrizza

Visto che la scuola sta andando con le gambe all’aria… parliamo pure della classe capovolta (flipped classroom), una rivoluzione copernicana della didattica, che, magari, è una strategia per rimetterla in piedi…

Ho seguito un corso di aggiornamento di Daniela Lucangeli che ha una cattedra di Psicologia dello sviluppo all’università di Padova ed ha lavorato in mezza Europa.

I bambini di sei anni ridono 300 volte al giorno, ha esordito.

Gli adulti lo fanno da zero a 11 volte.

Vuol dire che tutti noi, crescendo, perdiamo funzioni che sono vantaggiose: ridere attiva il sistema dopaminergico e migliora il sistema immunitario.

È un meccanismo salutare per il cervello, e per l’intero organismo.

Allora, come mai, evolvendo, regrediamo?!?.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un allarme: una delle grandi pandemie da fermare è la depressione infantile, che può prendere avvio da cattive condizioni di apprendimento e da relazioni umane insoddisfacenti.

Questa situazione critica non riguarda solo la complessità della vita familiare, ma si sviluppa anche a scuola.

Vuol dire che l’ambiente che determina lo sviluppo del potenziale umano è in realtà, nell’ottanta per cento dei casi, un ambiente dello star male.

Per capire come e perché a scuola succede questo, ha proseguito Lucangeli, dobbiamo considerare le variabili cognitive messe in gioco dai metodi d’insegnamento tradizionali.

Oggi gli studenti vengono sommersi da un’enorme quantità di informazioni che dovrebbero “imparare”, come se fossero anatre all’ingozzo…

Ma, mentre pretende che gli studenti “imparino”, la scuola di norma non fornisce loro nessuno strumento e nessun sostegno per “imparare”, cioè per gestire in modo sano e produttivo le informazioni che elargisce in maniera intensiva e incessante.

Dunque, chi insegna non può limitarsi a trasmettere informazioni, deve cambiare la mente dei suoi allievi, migliorando il loro modo di ragionare e di confrontarsi con la realtà.

Facile a dirsi, ma come si può fare?

Ecco, allora che Lucangeli ci ha parlato del cervello come di un bollitore chimico che riceve stimoli dall’intero ambiente: percepisce non solo le cose dette, ma anche il modo in cui vengono dette, e l’intenzione che governa e determina quel modo.

E poi percepisce il luogo fisico.

E, a scuola, percepisce la relazione con l’insegnante, la relazione con gli altri studenti…

Bisogna sapere che, quando sperimentiamo emozioni, nel nostro cervello si registrano due tipi di picchi.

C’è un picco collegato a emozioni positive come la gioia: il picco è altissimo e ha una brevissima durata.

Il picco tipico delle emozioni gravi – come la tristezza, l’ansia, l’angoscia e la paura – è più basso e molto più permanente nel tempo.

È questo il motivo per cui le emozioni negative e prolungate possono determinare patologie.

Allora, tornando alla scuola: se un bambino, mentre impara, prova paura, il circuito della memoria registrerà, collegandole, sia l’informazione trasmessa sia l’emozione. Se un bambino si sente impotente o inadeguato nei confronti di quanto impara, l’apprendere resterà connesso con il senso di inadeguatezza.

E se un bambino è terrorizzato dalla scuola, fuggirà della scuola.

L’intelligenza sociale nasce con il sorriso, già quando abbiamo pochi mesi, e un sorriso d’incoraggiamento è, in termini di cambiamento, molto più potente di decine di rimproveri.

Un altro grande nemico dell’apprendimento è il senso di colpa connesso con un giudizio negativo: per questo gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare i loro allievi negli occhi e a sorridere. E dovrebbero saper incoraggiarli a sbagliare.

In classe, il cervello degli studenti porta “dentro” quel che c’è “fuori”. Il cervello dell’insegnante che fa una lezione frontale, invece, porta “fuori” quello che c’è “dentro”.

Nessuno di questi due atti è propriamente creativo: il potere creativo del cervello si esprime nella sua massima potenza nel momento in cui le informazioni che ci sono “dentro” vengono selezionate, connesse tra loro, riconfigurate in nuovo sapere, più ricco ed autoprodotto.

Anche la parola “intelligenza” viene dal latino (intusligere, cioè leggere dentro). E intelligenza sociale vuol dire portar dentro, riconfigurare, e solo, dopo, portar fuori, in una nuova forma. Questo è vero apprendimento. Ed è permanente.

Eppure quel che si fa a scuola non è altro che apprendimento passivo a breve termine. Il nostro cervello non è stato creato per questo. Non è fatto per portar dentro una massa enorme di informazioni che dovrebbe poi sputar fuori tali e quali. Se si trova in questa condizione, il cervello prova malessere.

Dunque, se l’obiettivo è attivare i cervelli, la classe capovolta sembra essere una soluzione possibile, efficace e naturale.

L’intelligenza è tanto più potente quanto più conosce e modifica le informazioni, facendole così davvero proprie. Ma più il cervello è sovraccaricato, meno ha risorse per elaborare informazione intelligente. È come se diventasse pigro ed obeso.

Dunque, se l’obiettivo è attivare i cervelli, la classe capovolta appare una soluzione possibile, efficace e naturale. L’idea di base è semplice: nella classe capovolta viene ribaltato lo schema tradizionale di insegnamento e apprendimento.

In aula si discute, si lavora e si impara insieme sotto la guida dell’insegnante.

A casa, da soli o insieme, ci si documenta grazie a materiali didattici multimediali.

Nella flipped classroom si pratica, insomma, il learning by doing. Se tutto ciò ci sembra molto americano è solo perché ci siamo dimenticati di Maria Montessori, che agli inizi del secolo scorso già parlava di apprendimento attraverso l’attività, o di don Milani.

Dal primo convegno sulla flipped classroom sono passati solo due anni.

Un numero crescente di insegnanti ci crede, ci prova, ottiene risultati, coinvolge altri insegnanti.

Date un’occhiata, se insegnate.

E, perché no?, provate…

 

 

Antonella Ferrari