Aprile 29, 2025

 

Finalmente, uno spettacolo che narra la nascita delle parole. 

“Discese dalle stelle”, scritto, diretto e interpretato da Chiara Sparacio, ci accompagna a scoprire la storia della nascita delle parole.

Lo show, selezionato all’interno del progetto “In-Progress”, ha debuttato il 21 febbraio scorso alla  Taverna Est Teatro di Napoli.

Chiara…

Chiara Sparacio è giornalista pubblicista per betapress.it e docente di storia del pensiero indiano, lingua sanscrita e linguistica esoterica per il progetto Unitre Edu. 

Soprattutto, è un’appassionata ricercatrice del profondo significato delle parole. Parole che portano all’esistenza ciò che definiscono e descrivono, riordinando l’altrimenti confuso guazzabuglio del caos primordiale. 

Il suo pallino è studiare i testi di tutti coloro che hanno riflettuto su certi argomenti usando parole bellissime, ricche di significato e quindi, di potere creativo… 

Parole che hanno a che fare con l’annuncio e quindi con gli angeli, coloro che, in tutta una serie di culture e di religioni portano, in un modo o nell’altro, una notizia, una parola chiave, la parola di svolta. La parola per cui, da quel momento in poi, se si è in grado di ascoltarla e intenderla, nulla sarà più come prima. E qui, si apre un mondo che meriterebbe un articolo a parte.

Chi volesse, può rivedere l’intervista realizzata insieme in video.

… Racconta parole!

“Chi di voi si chiede perché le parole si dicono proprio in quel modo? Perché hanno quel significato? O perché le usiamo al posto di altre? Da dove vengono?”

Con queste domande, Chiara si presenta al pubblico del dopolavoro letterario nella sala che, qualche giorno dopo, la ospiterà in veste di etimologa, autrice e storyteller del viaggio delle parole dalle stelle fino a noi. 

Prosegue descrivendo la sua rara, al giorno d’oggi, attitudine all’ascolto delle persone. E qui inizia il divertimento perché, concentrandosi sulle loro parole, si chiede come mai si dicano proprio in quel modo. Poi fa delle ricerche e si dà delle risposte. Il problema è che lei, delle sue risposte, non se ne fa niente, dice, perché non ha con chi condividerle. 

In realtà in questi ultimi anni, Chiara è riuscita a condividere la sua passione con un pubblico sempre crescente di persone, curiose di indagare il profondo significato delle parole, anche quelle di uso comune.

Da TikTok al Teatro, il passo è breve

La sua è una favola di storia, cominciata nei panni di solitaria ricercatrice per poi approdare, il 28 marzo 2022, sulla chiassosa e affollatissima piattaforma di TikTok. E lì, dedica il suo primo video all’etimologia, la scienza che studia l’origine delle parole. 

“La parola ‘etimologia’ – spiega – è composta da due parole di origine greca, ‘etimo’ e ‘logìa’. ‘Etimo’ vuol dire ‘radice’ mentre ‘logìa’, che ha la stessa radice di ‘logos’, vuol dire ‘studio’, ‘parlare’. Quindi ‘etimologia’ vuol dire studio delle parole partendo dalle loro radici, dalle loro storie.”

Nel suo profilo chiara.sparacio, “Chiara Racconta Parole”, è un susseguirsi di video dedicati alle parole e alla sua lingua preferita, il Sanscrito, lingua morta che non ha parlanti nativi e che è stata creata a tavolino, compiuta e perfetta in se stessa, immutabile, sacra come l’Entità divina cui è dedicata. Ne sapevano qualcosa gli antichi sacerdoti che si rivolgevano al Creatore o a varie divinità per co-creare, riordinare, mantenere, trasformare e guarire il mondo.

E veniamo al suo esordio dal vivo in “Discese dalle stelle – Un viaggio etimologico tra parole e storia” il 21 febbraio 2025, in occasione della giornata internazionale della lingua madre – guarda un po’ che coincidenza! – alla Sala Sole presso la Taverna Est Teatro di Napoli.

Lo show, che narra del viaggio delle parole dalle antiche civiltà ai giorni nostri, seguendo le migrazioni dei popoli indoeuropei e i sacerdoti che, interpretando i suoni degli astri, li traducevano in linguaggio, registra il tutto esaurito.

Il minimo che possa fare, a questo punto, è intervistarla.

L’intervista

JL: Dal solitario silenzio di Chiara Sparacio ricercatrice, al suo ingresso nell’incessante brusio di TikTok come divulgatrice digitale, al suo esordio in teatro come autrice e carismatica narratrice. Quali sono le emozioni, le sfide e i doni che il tuo viaggio dell’Eroe di appassionata etimologa ti ha dato? 

CS: I viaggi che viviamo dentro e fuori di noi hanno la caratteristica di essere contemporaneamente unici e universali.

Il viaggio di chi cerca attraversa sempre tratti di deserto e di abbondanza e questo è confortante perché ci insegna che anche nella desolazione non dobbiamo scoraggiarci, non dobbiamo “perdere la forza del nostro cuore” e continuare a cercare.

Le parole sono un pretesto, sono un simbolo (sia dal punto di vista diretto sia dal punto di vista relativo) e, in quanto tale offrono un caleidoscopio di spunti.

Ogni parola è un piccolo aleph di cui parla Borges: il punto dal cui è possibile guardare tutto l’universo contemporaneamente.

Nel mio viaggio ho vissuto il divertimento del “ma sì, proviamo”, la fatica del produrre contenuti e cercare risposte dove arrivavano solo domande… e accettare che le risposte non dovevo necessariamente darle io…

La responsabilità di parlare con persone che dovevo mettere nelle condizioni di comprendere quanto meno, se non i contenuti, lo spirito di essi.

L’accettazione del riconoscere la piccola dipendenza della pubblicazione, della gratificazione e il dispiacere davanti alle critiche e l’apprendimento del fatto che prendere le distanze dai ritmi e dalla misurazione delle gratificazioni è importante e lecito.

Mettere in pratica la convinzione che quelle che sembrano critiche o attacchi, sono modi di entrare in contatto e cercare assieme.

Ci sono stati periodi negli anni durante i quali ho pubblicato tanto e altri durante i quali ho pubblicato meno.

La ricerca però è sempre andata avanti per altri canali e altri luoghi, si modifica, forse si perfeziona e al momento cerco di presentarla come uno spunto di riflessione che nasce da una domanda interiore di chi mi chiede la parola.

JL: Negli anni sui social, ma anche nel corso degli eventi dal vivo (tanto che su questo hai ricavato uno spazio anche nella tua performance “Discese dalle stelle” appena data alle scene) sono le persone a suggerirti le parole da analizzare vero?

CS: Sì.

Tutto è nato, la decisione di aprire un canale TikTok è nata, dall’insistente richiesta di una classe di terza media presso la quale ho fatto un lungo periodo di supplenza (io insegno italiano). 

Questi ragazzi si erano talmente appassionati al tema delle etimologie da chiedermi – anche per restare in contatto dopo la fine del mio incarico temporaneo – di aprire un canale tik tok.

C’è da dire che era una classe particolarmente responsiva agli stimoli perché dopo un mese di etimologie leggevano con esattezza l’alfabeto greco.

Non nascondo che non avevo voglia di registrarmi su tik tok ma mi sono voluta fidare di loro, abbiamo un po’ contrattato “io creo il profilo ma non voglio sentire, in classe, i vostri stupidi tormentoni” (era il periodo di un tormentone su una capra) e così abbiamo entrambi ottenuto ciò che chiedevamo.

Quindi, le prime parole pubblicate sono state quelle affrontate in classe che avevano divertito i ragazzi. A seguire, fin da subito, le persone mi chiedevano parole e nomi e così non ho mai avuto problemi di contenuti.

Contemporaneamente hanno iniziato a chiamarmi per fare degli incontri dal vivo, anche con ordini professionali e io chiedevo ai partecipanti di inviarmi, prima dell’incontro, delle parole da guardare nello specifico.

È stato il successo. Non il successo inteso come mia gratificazione, ma come giusta strada.

Era chiaro che chi chiedeva una parola specifica, la riteneva in qualche modo importante.

Ho allora cercato di avere sempre la dovuta cura e questo si è rivelato efficace.

Io ci scherzo su e dico che leggo le parole come Jodorowsky leggeva i tarocchi.

Intendo dire che, nel cercare le radici della parola, cerco di mettermi nel sentire di chi me la chiede e cerco di fidarmi delle risposte che trovo, sperando di dare le risposte alle domande sottese.

JL: Poco fa ho accennato alla tua performance “Discese dalle stelle”. Come è nata?

CS: Ovviamente è nata per caso.

Qualche mese fa mi sono trovata particolarmente stimolata da persone creative e interessanti e questo ha creato in me il desiderio di potere anche io provare a cimentarmi nel settore della scrittura teatrale.

A questo punto, l’algoritmo dei social mi ha parlato e ho visto un bando molto particolare.

Napoli è una città che offre molte opportunità a chi vuol far teatro o a chi vuol fruirne.

A Napoli c’è una realtà (ce ne saranno senza dubbio altre, ma io mi sono imbattuta in questa) che si è distinta ai miei occhi per la possibilità che dà alla creatività di venir fuori, di palesarsi.

Questa è la Taverna Est Teatro alla Sala Sole.

Lì, viene data la possibilità a tutti (perché a volte l’arte si trova anche in chi di arte non vive) di presentare propri lavori o performance teatrali nel corso di uno spazio chiamato dopolavoro letterario. Lì vengono presentati spettacoli di ricerca, lì si rischia, si costruiscono opere importanti, si lavora con attori giovani e adulti.

Hanno pubblicato un bando particolare intitolato in-progress: un bando per spettacoli non ancora definiti. Un bando per uno spettacolo da creare. Un bando per uno studio.

Così ho partecipato e, inaspettatamente (senza falsa modestia), ho vinto.

Inaspettatamente perché quello che proponevo era davvero strano: proponevo di raccontare la storia delle parole e poi di fare degli esempi.

E loro hanno deciso di stare a vedere cosa potevo fare.

Una volta vinto il bando, lo spettacolo andava fatto, andava costruito.

Così ho fatto. L’ho cambiato tante volte nella mia mente; mi sono confrontata con amici fidati, esperti e molto competenti, che hanno sempre creduto in me… E così sono andata in scena.

JL: Nella performance hai coinvolto anche alcuni giovani attori della Taverna Est Teatro, vero?

CS: Sì, da una parte avevo bisogno di attori per una parte narrata che non volevo fare io per non annoiare il pubblico con un “one woman show”, dall’altra… Ho sentito il bisogno di ripagare l’opportunità che ho avuto.

Ripagare non alla Taverna Est, né alla giuria, ma – scusami se sembro eccessiva – all’Universo, al concetto di teatro, alla vita.

Io avevo avuto la possibilità di mettere in scena uno spettacolo che ai miei occhi era bello e suggestivo e non volevo tenere tutto questo solo per me, volevo coinvolgere anche altri; volevo dare la possibilità a giovani attori di calcare le scene.

Ne ho parlato con la proprietaria del teatro, Sara Sole Notarbartolo, che è anche regista e sceneggiatrice e tiene dei laboratori teatrali. Lei ha accettato di buon grado la mia richiesta di  avere con me degli attori. Abbiamo fatto bene. I ragazzi sono stati molto bravi e per me, guidare loro è stato un ulteriore momento di crescita.

Mi fa piacere riportare i loro nomi: Nico Zullo, Emanuele Martucci e Jualeo Migliore.

JL: Qual è a tuo avviso la formula vincente dello show?

CS: “Discese dalle stelle” è uno spettacolo dalla struttura anomala.

Prima di scriverlo ho studiato dei manuali sul teatro e sulla sceneggiatura. Ho riflettuto molto su quello che ero in grado di fare davvero e su come “pararmi” da eventuali “attacchi accademici”: affronto comunque in un teatro un argomento accademico e il mio approccio, per quanto rigoroso, prende dichiaratamente una piega più poetica che scientifica.

La consapevolezza di tutto questo, lo studio, l’appoggio delle persone competenti e care, mi hanno permesso di creare questa formula (perfettibile nell’esecuzione ma – trovo – buona nella struttura) che vede una parte lirica, di racconto e suggestioni, un passaggio sulla metodologia di estrazione delle radici e un’ultima parte di incontro col pubblico che in fase di prenotazione del biglietto aveva indicato una parola della quale avrebbe voluto conoscere l’etimologia.

JL: Visto il meritatissimo successo che ha avuto, c’è qualche speranza di potervi ascoltare e applaudire in altre città d’Italia?

CS: Sì, il bando in-progress al quale ho partecipato, nella sua perfezione strutturale poiché si occupa proprio di spettacoli in costruzione, mi ha dato a disposizione presso la Sala Sole di Napoli due spettacoli: quello del 21 febbraio appena messo in scena, e quello del 23 maggio prossimo. Anche qui, apprezzo l’idea del bando.

Dopo la prima rappresentazione ho potuto osservare delle cose che voglio fare meglio, e così – salva la struttura indicata – il 23 maggio modificherò qualcosa rispetto alla recita precedente. Lo studio è questo: ricercare, provare, osservare, conservare e cambiare.

JL: In che modo l’etimologia può cambiare la nostra vita a livello fisico, emotivo e mentale?

CS: Dicevo all’inizio che le parole sono simboli, sono quasi pretesti, ma non convenzioni.

L’etimologia, così come la affronto io, tocca le corde di radici antiche, di suoni vibrati dalle stelle e che risuonano in noi, che siamo parte dell’universo esattamente come tutto ciò che vediamo e non vediamo.

Riflettere sulle etimologie vuol dire far vibrare delle corde dentro e fuori di noi e le vibrazioni, come le onde, ci toccano, ci modellano, ci spostano.

E tutto questo allo stesso modo sia a livello fisico, sia a livello emotivo, sia a livello mentale.

JL: Dato che è nel Sanscrito, lingua simbolica e metaforica di comunicazione fra l’Uomo e il Divino, che affondano le loro radici la maggior parte delle nostre parole di uso quotidiano, in che modo ritieni che l’etimologia possa contribuire al nostro risveglio spirituale?

CS: Il sanscrito è una tappa della nostra ricerca.

Il sanscrito ci aiuta a confrontare le parole del latino e del greco e, visto che racconta di una cultura spirituale diversa dalla nostra (ma non del tutto e non in modo inconciliabile), è molto importante osservarla e lasciarsi sedurre (se- durre: portare via con lei).

Riflettere sull’etimologia andando a ritroso lungo le lingue che ci hanno preceduto fino alle radici indoeuropee è un viaggio mistico che contribuisce come ulteriore strumento al quotidiano risveglio spirituale al quale siamo tutti chiamati.

È uno strumento che io amo.

Non è l’unico ma, per persone con interessi di questo tipo, è molto utile e stimolante.

JL: Ci regali una riflessione finale sulla Parola e la sua magia?

CS: La parola è magica perché sconvolge l’universo. Pensa che la sua musicalità può influenzarci in modo diverso… La parola è magica perché è un suono. È il suono a essere magico. La parola rappresenta il livello massimo del suono, è l’articolazione, la sinfonia del suono. 

JL: Grazie, Chiara.

 

 

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