Aprile 29, 2025

Donald Trump e Volodymyr Zelensky, ma non dovevano essere amici?

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oggi desidero parlarvi di due figure politiche del nostro tempo, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, esplorando il loro stile di leadership attraverso il confronto con illustri esempi storici della Roma antica e del Medioevo.

Questo ci aiuterà a comprendere meglio le loro azioni, i loro punti di forza e le sfide che entrambi devono affrontare.

Partiamo da Donald Trump, una figura che ha dominato la scena mondiale con un approccio pragmatico e transazionale.

Guardando alla storia romana, possiamo immediatamente pensare a Marco Licinio Crasso, il politico romano noto per la sua enorme ricchezza e per aver utilizzato il potere politico come un mezzo per espandere i propri affari.

Come Crasso, Trump vede la politica come un’opportunità economica e personale, creando relazioni basate su scambi immediati e utilitaristici.

Tuttavia, questa visione alimenta anche dubbi legittimi: fino a che punto le sue manie personali, la sua ambizione e la sua visione personalistica possano influenzare negativamente il suo agire, portandolo a decisioni impulsive o egoistiche?

Trump ricorda anche Federico II di Svevia, il famoso imperatore medievale noto per il suo pragmatismo spietato e la sfida costante alle istituzioni.

Federico, come Trump, gestiva la diplomazia con un approccio personalistico, spesso mettendo in difficoltà gli alleati e ignorando le strutture multilaterali. Questa sfiducia nelle istituzioni ha finito per indebolire il loro stesso potere.

E non possiamo ignorare il parallelo con Lucio Cornelio Silla, il dittatore romano che portò alla polarizzazione estrema della società romana con metodi spesso violenti.

Trump ha condiviso con Silla l’approccio radicale e polarizzante, semplificando la politica a una lotta tra amici e nemici, indebolendo così le fondamenta democratiche.

Ma Trump è un imprenditore che ha vissuto gli anni d’oro dell’America Reaganiana, che ha passato anni nei tribunali sia come imprenditore che come politico, che parla alla pancia dell’America, svegliando quelle paure ataviche degli americani, è scampato ad un attentato e nell’America religiosa è un segno di Dio, vi piaccia o meno Trump, ma agli Americani piace molto.

Donald Trump può essere paragonato a diversi presidenti americani del passato, considerando specifici aspetti della sua leadership, retorica e stile politico. 

Andrew Jackson (1829-1837)

Entrambi outsider politici, con una retorica populista anti-establishment con uno Stile diretto e provocatorio, linguaggio aggressivo e polarizzante; dotati di forte Critica verso le élite politiche ed economiche, ponendosi come rappresentanti del “popolo comune”.

Con l’assoluta tendenza ad ignorare o sfidare apertamente decisioni istituzionali (Jackson sfidò apertamente la Corte Suprema nel caso della deportazione degli indigeni).

Richard Nixon (1969-1974)

Approccio realista e transazionale alla politica estera, spesso basato su rapporti personali diretti.

Condivisione di una certa paranoia politica e diffidenza nei confronti dei media e delle istituzioni federali.

Coinvolgimento diretto in scandali politici: Nixon con il Watergate, Trump con l’impeachment legato all’Ucrainagate e i problemi giudiziari post-presidenza.

Ronald Reagan (1981-1989) (per certi versi, con forti differenze)

Entrambi provenienti da ambienti esterni alla politica tradizionale (Reagan dal cinema, Trump dall’imprenditoria e dalla televisione).

Comunicazione diretta, carismatica e fortemente mediatica.

Approccio politico semplificato, mirato a stabilire un legame diretto con il popolo, bypassando spesso i canali istituzionali tradizionali.

Warren G. Harding (1921-1923)

Entrambi hanno avuto presidenze segnate da scandali legati alla corruzione e all’abuso di potere (Harding fu travolto dal celebre scandalo “Teapot Dome”).

Harding, come Trump, era stato accusato di favorire amici personali e sostenitori nelle nomine politiche e negli affari di governo.

In definitiva, Donald Trump combina caratteristiche di diversi predecessori, ma emerge chiaramente come un politico unico nella storia americana, soprattutto per la combinazione di stile populista aggressivo, personalismo esasperato, mancanza di rispetto, almeno fino ad ora, delle istituzioni tradizionali e utilizzo massiccio e moderno dei media per comunicare direttamente con il pubblico.

Nixon e Jackson rimangono i paragoni più forti e pertinenti: Jackson per il populismo e lo stile anti-elitario, Nixon per il cinismo strategico e l’approccio polarizzante e sospettoso verso l’establishment.

Come si può intuire, Donald Trump possiede diverse caratteristiche che lo rendono molto popolare presso una parte significativa della popolazione americana.

Tra queste spiccano la sua comunicazione diretta, la capacità di parlare al popolo con un linguaggio semplice e schietto, il suo pragmatismo economico e la difesa degli interessi nazionali.

Molti americani apprezzano Trump per il suo approccio anti-establishment, la sua volontà di sfidare le élite politiche tradizionali e la sua promessa di mettere al primo posto gli interessi economici e occupazionali degli Stati Uniti.

Questo stile diretto, unito a un forte carisma mediatico, ha creato un legame personale e diretto con numerosi elettori americani.

Passiamo ora a Volodymyr Zelensky, che vuole rappresentare invece una leadership di tipo morale e carismatica.

La sua figura può essere comparata a Scipione l’Africano, il generale romano che salvò Roma da Annibale. Zelensky, come Scipione, ha saputo trasformare la sua figura in un simbolo della resistenza nazionale, creando una narrazione eroica intorno alla propria leadership.

Tuttavia, questa stessa grandezza rischia di trasformarsi in isolamento politico, come accadde a Scipione alla fine della sua carriera.

Zelensky richiama anche Goffredo di Buglione, il leader medievale della Prima Crociata, che ha combattuto non per profitto personale, ma per una causa morale superiore.

Zelensky ha incarnato lo stesso spirito etico, presentandosi come difensore di valori universali, usando una comunicazione epica e potente.

Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina dal 2019, incarna uno stile di leadership molto specifico, contraddistinto da carisma personale, capacità comunicativa efficace, e un ruolo cruciale durante una crisi esistenziale per il proprio paese.

Tali caratteristiche rendono significativo il confronto con alcuni presidenti americani che, in momenti critici della storia, hanno assunto un ruolo analogo.

 Abraham Lincoln (1861-1865)

Lincoln ha guidato gli Stati Uniti durante la Guerra Civile, affrontando la minaccia esistenziale alla sopravvivenza dell’Unione. Zelensky guida l’Ucraina nell’invasione russa del 2022, affrontando una crisi altrettanto esistenziale per il proprio Stato.

Entrambi sono noti per la capacità di comunicare in modo morale e diretto, ispirando il popolo con discorsi potenti e profondamente umani. Lincoln col discorso di Gettysburg, Zelensky con i frequenti appelli internazionali tramite social e conferenze.

Entrambi provenivano da ambienti non prettamente politici (Lincoln era un avvocato autodidatta; Zelensky un attore-comico). La loro ascesa politica avvenne grazie a una combinazione di carisma, chiarezza morale e capacità di identificarsi con le ansie e le speranze della popolazione.

Lincoln era un politico dotato di acuta capacità strategica e diplomatica nel lungo periodo, mentre Zelensky è più impulsivo e ancora in fase di maturazione politica.

Lincoln agiva sempre con prudenza istituzionale, mentre Zelensky spesso punta sul protagonismo personale e mediatico per accelerare i risultati diplomatici.

Franklin Delano Roosevelt (1933-1945)

Roosevelt guidò gli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, utilizzando abilmente il suo carisma personale e le comunicazioni radiofoniche (“fireside chats”) per rassicurare e mobilitare il popolo americano. Zelensky ha fatto lo stesso, utilizzando social media, video e apparizioni frequenti per galvanizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale durante l’invasione russa.

Entrambi hanno utilizzato la retorica morale per definire chiaramente “bene” e “male”, creando una narrativa potente che mobilitasse l’opinione pubblica interna e internazionale.

Roosevelt aveva una solida esperienza politica pregressa e una grande abilità diplomatica multilaterale (alleanze internazionali consolidate). Zelensky invece sta imparando queste competenze sul campo.

Roosevelt governò una potenza mondiale già consolidata, mentre Zelensky guida una nazione ancora giovane e più fragile sul piano istituzionale e diplomatico.

John F. Kennedy (1961-1963)

Kennedy, specialmente durante la crisi dei missili di Cuba, incarnò la capacità di gestione calma, ferma e risoluta di una crisi internazionale potenzialmente devastante. Zelensky si è trovato in una situazione analoga, dovendo affrontare un’aggressione diretta e immediata, mantenendo una calma pubblica che ha rassicurato il paese.

Kennedy fu il primo presidente ad utilizzare in modo ampio la televisione per comunicare direttamente col pubblico. Zelensky ha portato questo approccio al livello successivo con un uso intelligente dei social media e dei video.

Kennedy gestì una crisi breve ma intensissima, Zelensky deve affrontare una crisi protratta nel tempo, di durata indefinita, che rende più complessa la gestione delle aspettative e della fatica psicologica del paese.

Kennedy operava con una potenza economica e militare alle spalle; Zelensky deve dipendere fortemente da aiuti internazionali, mostrando maggiore vulnerabilità e difficoltà diplomatica.

Woodrow Wilson (1913-1921)

Wilson fu un leader fortemente idealista, promotore di principi democratici e autodeterminazione nazionale. Zelensky condivide la visione idealista della lotta per la libertà e l’autodeterminazione ucraina, cercando sostegno internazionale in nome di valori comuni.

Wilson cercò di costruire un consenso internazionale attorno alla Società delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale, basato sulla morale politica. Zelensky usa una diplomazia morale simile per convincere la comunità internazionale a sostenere l’Ucraina.

Wilson era un professore universitario con una visione teorica della politica internazionale. Zelensky è pragmatico e più diretto nel suo approccio diplomatico, meno accademico e più emozionale.

Wilson aveva un atteggiamento idealista talvolta distante dalla realtà; Zelensky è più pragmatico, consapevole delle dure realtà politiche della guerra.

Zelensky condivide con questi presidenti una fondamentale caratteristica: il potere della leadership morale e simbolica in momenti di crisi estrema.

Tuttavia, a differenza loro, egli ha dimostrato anche una fragilità istituzionale e politica derivata dalla sua inesperienza iniziale, che ha complicato alcune scelte diplomatiche.

Questi paragoni aiutano a comprendere perché Zelensky abbia saputo conquistare tanta simpatia internazionale, ma anche perché fatichi a consolidare risultati politici duraturi oltre la dimensione simbolica della sua leadership.

In ultima analisi, la sfida di Zelensky sarà quella di trasformare il carisma iniziale in una leadership stabile e istituzionale capace di superare non solo la crisi attuale ma anche il delicato periodo post-bellico che inevitabilmente seguirà.

Anche lui, però, rischia di trovare difficile il passaggio da leader simbolico a leader istituzionale dopo la fine del conflitto.

Tuttavia, nel caso di Zelensky, emergono dubbi riguardo alla reale efficacia e gestione degli ingenti aiuti internazionali ricevuti dall’Ucraina.

È davvero possibile garantire che tutte queste risorse siano state utilizzate nel modo più appropriato, o parte di esse potrebbero essere state disperse, sprecate o persino utilizzate in modo improprio?

È inoltre opportuno ricordare che il dialogo iniziale tra Trump e Zelensky si è rivelato problematico proprio per una forte immaturità politica del leader ucraino.

Durante il loro colloquio, Zelensky ha mostrato una certa ingenuità diplomatica, cercando di assecondare le richieste di Trump senza valutare pienamente le conseguenze politiche e istituzionali che ne sarebbero derivate.

Senza contare, ad esempio, che è andato da colui che ha detto che avrebbe fatto finire la guerra in due giorni sostenendo che la guerra sarebbe durata ancora anni, ovvio che la controparte ha subito reagito.

Ma come è possibile che un incontro del genere non sia stato preparato da Zelensky in maniera accurata? come ha fatto ad andare da Trump non pensando a certe reazioni?.

Inesperienza, forse troppa baldanza, troppa sicurezza, e forse anche troppa abitudine ad essere applaudito, e non solo come attore.

Questo atteggiamento, tipico di una leadership ancora inesperta, ha portato a un indebolimento della posizione internazionale dell’Ucraina e a tensioni diplomatiche inutili e dannose.

Zelensky, inoltre, si è cullato eccessivamente nell’ovazione iniziale ricevuta per la sua resistenza contro la Russia, senza valutarne pienamente la reale portata.

Infatti, gran parte degli applausi ricevuti non erano esclusivamente diretti a lui, ma riflettevano soprattutto l’opportunità strategica che la sua azione forniva a Europa e Stati Uniti per indebolire un blocco geopolitico che essi stessi avevano difficoltà ad affrontare direttamente.

Cari amici, cosa ci insegna tutto questo?

La storia dimostra che la leadership politica è ciclica: tempi di guerra e crisi generano leader carismatici e simbolici come Zelensky, mentre situazioni di instabilità interna portano leader divisivi e transazionali come Trump.

Entrambi questi leader hanno limiti e rischi: Trump indebolisce la fiducia nelle istituzioni e potrebbe essere condizionato negativamente da ossessioni personali, mentre Zelensky rischia di concentrare troppo potere personale e lascia aperti dubbi sull’efficacia nell’uso degli aiuti internazionali ricevuti.

La vera lezione della storia è che la leadership più duratura e positiva è quella equilibrata, che combina pragmatismo, idealismo e rispetto per le istituzioni.

Pensiamo a esempi come Augusto o Alcide De Gasperi, leader capaci di visione strategica, di creare un forte legame morale e di mantenere stabile l’ordine istituzionale.

In conclusione, nessun leader dura per sempre, ma il loro impatto può resistere nel tempo.

La sfida per noi tutti è imparare da questi esempi storici per costruire una politica più solida, equilibrata e duratura.

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