Giovani campioni ma sempre con i piedi per terra.

Parlare di giovani e sport è sempre una pratica estremamente complessa e rischiosa.

Per iniziare prendo spunto da una recente visita che ho fatto, con la guida eccezionale del consigliere nazionale della Federscherma Alberto Ancarani, alla prima tappa del Circuito Nazionale Giovani di scherma.

Appuntamento che ha visto più di mille ragazzi presentarsi al Pala de Andre’ di Ravenna.

E’ indubbio che siano proprio i giovani il motore di gran parte delle discipline, che gli atleti di successo comincino la loro pratica agonistica in tenera età e che proprio questi ultimi siano l’ispirazione per molti altri a cimentarsi con lo sport nella ricerca di emulazione.

Fino qui tutto perfetto, un circolo virtuoso che avrebbe notevoli aspetti positivi: è naturale che lo sport, soprattutto per i ragazzi, aiuti a crescere come persona, a sviluppare l’indipendenza, la determinazione, la capacità di problem solving e tanto altro, senza parlare di uno stile di vita sano che ha risvolti positivi sull’intera società, a partire dalla salute.

Bisognerebbe fermarsi qui, in questo sogno ad occhi aperti. Purtroppo però ci sono anche tante problematiche che riassumerei in due filoni: quelli che “atleti di successo” non lo diventano e il rapporto con chi ti sta attorno.

Partiamo dal primo, che spesso è confuso solo con mancanze tecniche ed invece comprende tutte le variabili imprevedibili che la vita ci mette davanti. è necessario, dal mio punto di vista, muoversi in due direzioni: la prima è quella, sicuramente controcorrente, di alzare l’età nella quale si diventa “semi-professionisti”; ovvero seppur atleti formalmente dilettanti ci si dedica interamente all’attività agonistica.

La seconda invece è che le Federazioni e le D.S.A. si prodighino per la creazione di way out che possano consentire agli atleti di uscire dal periodo di agonismo trovando uno sbocco lavorativo.

Ammirabile in questa direzione è il progetto “La Nuova Stagione” del Coni, ma immaginate se ogni federazione ne avesse uno proprio anche in virtù della differente fascia d’età nella quale si esce dall’attività agonistica.

Il secondo punto invece è molto più difficile perché si entra in rapporti personali: quali quelli con i genitori e con i tecnici.

Non credo che il “proibizionismo”, il non consentire la presenza in e attorno al campo sia una soluzione ma credo molto di più nell’informazione, un processo senza dubbio lungo ma che può dare risultati definitivi.

Lungi da me dire che bisogna smorzare l’entusiasmo di genitori, tecnici etc. per le prestazioni di livello dei giovani atleti ma serve solo più consapevolezza in materia.

Secondariamente credo che si possa prendere un po spunto dai giovani della scherma.

Tra il fioretto femminile e la spada maschile mi hanno spiegato la grande facilità di accesso a manifestazioni nazionali; in questo modo le possibilità di mettersi in mostra anche per l’ultimo arrivato aumentano in modo esponenziale e si genera cosi un buon ricambio ai vertici giovanili.

Naturalmente chi è destinato a primeggiare continuerà a farlo, e l’Italia nella scherma lo fa nel mondo, ma un maggiore dinamismo potrebbe far ragionare di più che anche un baby campioncino non farebbe male a considerare di darsi altre possibilità e dopo tante stoccate metta a segno anche quella più importante di realizzarsi nella vita.