Gli Italiani incapaci di andare all’estero.

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Meglio disoccupato che lontano da casa…

L’Italia ha un grandissimo problema di “fuga di cervelli”, che secondo la Confindustria è il vero “spreco del Paese” capace di costare 14 miliardi l’anno.

Ma, non solo, l’Italia deve fare anche i conti con l’altra faccia della medaglia, il problema esatto contrario: gli italiani che, interrogati sul tema, dicono di non voler lavorare lontani da casa, anche a costo di restare disoccupati e di rinunciare alla carriera.

Secondo un sondaggio realizzato dall’Osservatorio mensile Findomestic con Doxa, infatti, quasi un lavoratore su due (46%) preferisce non allontanarsi da casa, anche a patto di restare disoccupato o non fare una progressione di carriera significativa. La comodità e la vicinanza agli affetti hanno la meglio sull’ambizione professionale.

E, come se non bastasse, solo due italiani su dieci rinuncerebbero all’Italia, ed andrebbero a vivere all’estero, pur di fare il lavoro dei propri sogni.

Fortunatamente, almeno,” tre italiani su quattro sono soddisfatti della vicinanza al proprio posto di lavoro”, dice l’Osservatorio.

Ma c’è di più: la Sicilia è al top tra oltre 200 regioni europee per l’alto tasso di giovani fra i 18 e i 24 anni che non studiano e non cercano lavoro, i cosiddetti Neet.

Il dato negativo dell’isola (41,4%) è inferiore solamente a quelli registrati per la Guyana francese (44,7%) e la regione bulgara di Severozapaden (46,5%).

Questo è quanto emerge dal Regional Yearbook 2017 pubblicato il 14 settembre da Eurostat.

Dunque, c’è un problema, nel problema…

Accanto ai giovani siciliani che non riescono a trovare una strada lavorativa nella propria terra, quelli per cui partire sembra l’unico modo, doloroso e drammatico, per costruirsi un futuro dignitoso, ci sono quelli che non fanno niente!!!

Se in Italia un giovane su quattro non lavora e non studia, e il dato è già di per sé desolante, in Sicilia la percentuale sale addirittura al 39,5 per cento: poco meno della metà della popolazione tra i 15 e i 29 anni non lavora e non studia.

Pessimi i dati in generale per tutto il Mezzogiorno. Al secondo posto la Campania con il 36,2 per cento, seguita dalla Calabria con il 35,8, ancora, la Puglia, la Sardegna, la Basilicata e il Molise, tutte al di sopra del 30 per cento.

Un baratro nero, se si pensa che in Europa ci sono regioni come i Paesi Bassi dove lo stesso tasso scende di quasi 20 punti!!!

Niente di nuovo sotto il sole, diremmo noi…

Ma, per quelli che lavorano, ritornando all’indagine Doxa, scopriamo anche altri aspetti del rapporto tra gli italiani ed il loro lavoro.

A cominciare da quello economico: in base ai dati raccolti da Findomestic, oltre un lavoratore su due (54%) si aspetterebbe di guadagnare di più.

La maggior parte giudica invece positivamente il clima lavorativo (76%) e la sicurezza del posto (66%). Si torna al 54% di quelli che non sono soddisfatti della coerenza dell’occupazione con il proprio percorso di studio.

Non stupisce, dunque, che la maggior parte dei lavoratori italiani (60%) abbia pensato almeno una volta di cambiare lavoro, soprattutto nella fascia fra i 35 e i 44 anni.

Inoltre, anche i dati sul rapporto tra l’impegno professionale e la qualità della vita, sono significativi: il 61% dei lavoratori italiani è soddisfatto dell’equilibrio che è riuscito a raggiungere tra lavoro e vita privata, ma i “molto soddisfatti” sono solo 1 su 10.

Come al solito, se potessero avere più tempo libero gli italiani lo utilizzerebbero per stare con la famiglia (50%), poi, per dedicarsi agli hobby (43%), per viaggiare (42%) ed infine, solo uno su quattro, per fare sport (28%).

Dal capitolo ‘benefit’ dell’Osservatorio Findomestic risulta, inoltre, che i lavoratori chiedono soprattutto buoni spesa per carburante, alimentari ed elettronica (40%), oltre a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (38%) e forme di assistenza sanitaria (35%), queste ultime desiderate soprattutto dalle donne.

E qui, altra anomalia italiana…

Se, stipendio e stabilità restano le voci principali (il primo è la variabile più importante per il 64% dei rispondenti, la seconda per il 42%) di tutti i lavoratori, maschi o femmine che siano, alcune differenze di genere sorgono tra uomini e donne, frutto probabilmente di un carico diverso che ancora separa le due categorie, una volta che si rientra nelle mura domestiche.

La flessibilità dell’orario di lavoro è più rilevante per queste ultime (35% contro il 26% degli uomini), mentre gli uomini dimostrano di dare più peso all’autonomia decisionale (31% contro 27% delle donne) e all’opportunità di fare carriera (17% contro 9% delle donne).

Come al solito, per le donne italiane, il lavoro c’è sempre e comunque, a casa!!!

 

Antonella Ferrari

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